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Autore: Legionario97_    07/07/2013    0 recensioni
La storia è ambientata nel 50 d.C. circa, ancora da precisare. Aurelio è un romano, amante della cultura e della conoscenza. Riluttante a ogni forma di violenza. Ma quando il padre, il centurione Marzio, spira in una battaglia contro i Galli, il fato decide di lanciare Aurelio in un nuovo mondo, e di vendicare l'onore familiare. Ed è proprio questa nuova natura che porta Aurelio alla gloria, presto oscurata dall'ambizione.
Genere: Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Raccolta | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Antichità, Antichità greco/romana
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Lama di sangue


Il sole, dal colore sanguigno, raggiunse negli attimi in cui ero distratto, il profilo dell’orizzonte. I suoi ultimi raggi morenti, incendiarono ancora con vitalità la grande distesa d’erba sulla pianura. La mia cavalcatura, un destriero arabo dal colore nero come quello della pece, nitriva e scalciava nervosamente. Cercai di stringergli i fianchi, con l’unico obbiettivo di calmarlo. In breve tempo dovetti arrendermi all’idea che c’era qualcosa che, in realtà, non andava. L’istinto concesso agli animali è di gran lunga superiore rispetto a quello concesso all’uomo. Riuscii per poco a domarlo, e approfittandone del mio effimero successo, lo colpii con un calcio sui fianchi, incitandolo a spronare. In men che non si dica, Ayman, così lo chiamai, si lanciò in un galoppo sfrenato. Sentii il terreno vibrare sotto il martellare incessante dei suoi zoccoli ferrati. Cavalcava con un vigore straordinario, come se volesse scappare da un presentimento misterioso, a me sconosciuto, il quale non prometteva nulla di buono. Per un attimo mi sentii attonito. Mi parve di volare, come se il mio destriero mi avesse disarcionato, con chissà quale forza e agitazione. Mentre Ayman continuava la sua folle corsa verso una meta da lui non precisata, scrutai con disinvoltura l’orizzonte. I miei occhi catturarono l’immagine incerta di un corso d’acqua, illuminato dal riverbero pallido del crepuscolo.
Percorsi gli ultimi tratti che mi distanziavano dal corso d’acqua al trotto, e mi fermai alla riva. Rimasi ad osservare Ayman per qualche attimo, impegnato a cercar di riprendere fiato, gonfiando ritmicamente i polmoni. Il suo pelo nero, madido di sudore, era scintillante sotto i raggi del sole morente. Balzai giù di sella, e dopo aver lasciato il mio destriero libero da ogni obbligo, mi avvicinai al fiume con una borraccia, per riempirla d’acqua. Il lieve e rilassante rumore prodotto dallo scorrere dell’acqua mi rilasciava una vaga sensazione di torpore.

Riempii la borraccia, e mandai giù diverse sorsate, quando ad un certo punto… «Tu, cosa ci fai qui?» mi disse una voce del tutto sconosciuta alle spalle. Quest’ultima spezzò l’equilibro che la mia mente aveva creato, e mi riportò bruscamente alla realtà. Mi spaventai, come se mi fossi svegliato da un brutto incubo. Mi girai verso quella direzione e rimasi a dir poco allibito. Davanti a me si ergeva, fiera e imponente, la figura di un cavaliere sopra uno stallone dal manto candido come la neve. Dal portamento potei subito giudicare che fosse parte di un clan molto prestigioso. Il suo mantello azzurro, con un’insegna sanguigna, ondeggiava nell’aria. Quella stessa insegna era impressa sullo scudo che pendeva dal lato destro dello stallone. Tutti e due mi fissavano in modo curioso, come se avessi qualcosa che non andava, come se mi stessero studiando, ma in realtà ero io che lo stavo facendo.
«C’è qualcosa che non va? Non ho intenzioni ostili nei tuoi confronti. » mi disse subito dopo con tono più marcato e deciso. Dovevo rispondere. Mi feci forza e alzai lo sguardo, sostenendo subito dopo il suo, con fatica. «Ma… non è quello che intendevo farti capire. Non vedo un cavaliere come te da moltissimo tempo e allora…» volevo continuare, ma mi fermò con un gesto svelto del braccio. «E allora ti sei permesso di osservarmi per bene, prima di rispondermi». «Penso sia una cosa fondamentale osservare, prima di compiere una mossa. Ma forse ho un tantino esagerato a far scivolare il mio sguardo su di te e sul tuo cavallo per così tanto tempo.. » «Hai fatto bene, avevi sicuramente dei buoni motivi. Ma per ritornare su questo argomento avremo molto tempo ancora. Adesso bisogna risolvere cose molto più urgenti. » sentenziò infine. Non riuscivo ad arrivare al punto. Mi soffermai sui suoi occhi. Loro dicevano di più, me ne accorsi, ma ancora non ci riuscii. Sembrava dominarli. «Cose più urgenti? » ripetei stolidamente. «Si, hai udito bene. Il sole sta per cedere il suo posto alla luna. Le tenebre sono prossime. Balza sulla tua cavalcatura e, senza obbiettare, seguimi». In quel momento non sapevo che fare. Inoltre aveva ragione, il sole stava tramontando. E con esso, anche il riverbero sul fiume si stava a poco a poco spegnendo. Presi le redini, e balzai sulla groppa di Ayman. Un qualcosa di inspiegabile mi spingeva a seguire quell’uomo sbucato dal nulla.
«Ecco, qui va più che bene». Il cavaliere scese dal suo stallone, e, tirandogli le redini, lo accompagnò vicino ad un albero. Lo legò e mi raggiunse velocemente. Anch’io feci lo stesso con la mia cavalcatura. La notte scese velocemente ad avvolgere l’intero bosco. Soffiava un leggero vento, del tutto accettabile, che piegava le fronde degli alberi, producendone un dolce lamento. Accendemmo un fuoco, e presto fummo pronti per continuare la nostra discussione, interrotta da chissà quale motivazione. Il cavaliere rimase in silenzio da quando lasciammo il corso d’acqua. Uscì dalla sua bisaccia del formaggio di capra e del pane, e con cortesia, me ne offrì una parte. «Prendi pure. Sono stato abituato fin da piccolo a dividere tutto con chi incrociavo durante il percorso della mia vita. Non puoi rifiutare» mi disse infine. «Li accetto volentieri. Anch’io ho qualcosa nella mia bisaccia, ma va bene ugualmente».

Si tolse l’elmo, e solo da lì in poi, potei riformulare le mie idee. Una barba tendente al grigio gli copriva entrambe le guance, scendendo fino al mento.
I suoi zigomi erano sporgenti, e gli occhi di azzurro intenso. Il volto, molto probabilmente, era stato messo alla prova da molto tempo. Una lunga cicatrice gli solcava la fronte. «Ho percorsa molta strada, e non pensavo di trovare te in giro, specialmente in queste zone. » continuò il cavaliere. «Non so dove tu voglia arrivare. Ma io voglio sapere cosa c’è dietro. Allora il comportamento del mio destriero è stato veritiero. » Mi girai dalla parte della mia cavalcatura. A primo impatto non lo trovai, e mettendo bene a fuoco l’immagine, riuscii a vederlo. Si era mimetizzato perfettamente. Era raggomitolato sopra le sue zampe, vicino all’albero a cui lo legai. Stava già dormendo, era tranquillo. Forse il pericolo era scampato. «Ho deciso di darti informazioni su ciò che sta accadendo, a meno che tu non lo sappia. La nostra terra sta subendo l’occupazione romana. Pochi giorni fa abbiamo perso una piccola battaglia, e tra poco non ci sarà più spazio per noi, se continueremo a non affrontare di petto il problema. » «Questo lo sapevo. Ho cercato di non pensarci, e di dirigermi verso un luogo che possa offrirmi molte più distrazioni. » «Come vedi è servito a poco. Hai cercato distrazioni e non hai fatto altro che riaccendere le tue preoccupazioni. Non è tollerabile scappare dai problemi. Più scappi, e più essi acquistano forza, e modificano le dimensioni. Quel luogo che hai visto poco prima, tra non molto, non sarà che terra bruciata e riarsa dalle fiamme». Quelle parole non fecero altro che aumentare il mio timore. Per adesso non era mio desiderio andare avanti e approfondire quell’argomento. «Dimmi un po’, come ti chiami, e da dove vieni? » «Il mio nome è Brenn, e vengo da un villaggio a sud di queste terre. Vuoi sapere altro? ». Quella sera consumammo una cena frugale in serenità. Lasciai a lui la parola, anche perché ascoltare era una delle poche cose che sapevo fare bene. Mi parlò della sua gioventù, e delle sue terre. E quando parlava di esse, nel chiarore lunare, vidi che i suoi occhi da azzurri gli si fecero di ghiaccio. Quando Brenn ebbe finito di parlare, mi disse che era ora di dormire. Domani all’alba dovevamo metterci al lavoro. Non mi ha voluto dire altro, e preferii continuare a fidarmi di lui. Non appena ebbi preso posizione, sprofondai in un sonno pesante. La confusione si prese gioco di me, offuscandomi la vista.

Mi ritrovai in un bosco del quale non riconobbi che il cinguettio degli uccelli, melodia che accompagnò i miei primi anni. La vegetazione era piuttosto fitta, e il sentiero che stavo percorrendo si snodava tortuosamente dinnanzi a me, per poi scomparire, inghiottito dalla foschia. Scoprii successivamente che era disseminato qua e la da massi, dall’aspetto poco rassicurante. Avanzavo con passo claudicante, lanciando rapide occhiate ad entrambi i lati. Levai lo sguardo in alto, in direzione del cielo notturno. La luna era piena, posta precisamente sopra al mio capo. Era la mia unita fonte di luce. Una sferzata di vento gelido mi colpì sul volto, scostandomi i capelli sulla fronte. Strinsi i pugni, e incoraggiandomi, cercai ancora di proseguire in avanti. Non riuscivo ad andare più veloce. Il freddo aumentò d’intensità, e dovetti coprirmi con entrambe le braccia il mio ventre scoperto. Le mie orecchie captarono il rumore di un calpestio, attenuato dalla distanza. Mi fermai. E da allora la mia immaginazione iniziò a prendersi gioco di me.

Sentivo una chiara presenza di qualcuno alle spalle. Mi girai. Niente di niente: solo foglie che ondeggiavano in aria.
“Per scrutare la luce, occorre attraversare le tenebre” balbettai fra me e me. Mi strinsi nel mio lacero mantello, e con determinazione, mi incamminai nuovamente a testa alta. Un nitrito. Quello che avevo percepito prima allora era vero. In fondo al sentiero ci doveva essere qualcuno, per forza. Aumentai la velocità dei miei passi, e per poco me ne pentii: proprio nel momento in cui mi fermai per osservare nuovamente i dintorni, un cavaliere romano dall’aspetto spettrale sbucò fuori dalla foschia. Impugnava una lancia, ed essa era protesa nella mia direzione. Sulla destra teneva lo scudo da legionario. A non molta distanza da me cominciò a gridare. Le sue urla metalliche, dovute alla presenza dell’elmo, riecheggiarono presto nel bosco, moltiplicate mille volte a distanza. Non riuscivo a muovermi. Vidi il cavaliere incitare aggressivamente il suo destriero, per raggiungermi nel minor tempo possibile. Ma subito dopo accadde quel che non mi sarei mai aspettato. Con un grido secco, e con movimento sciolto delle braccia, tirò le redini per fermare la sua cavalcatura a poca distanza da me. Il battito cardiaco aumentò notevolmente e fui investito da una vampata di calore. Ma ciò nonostante sentii il sangue raggelare nelle vene. Presto mi trovai la fronte imperlata di sudore ghiacciato. Ero così vicino al suo cavallo che potei sentire il vapore caldo sbuffato dalle sue narici addensarsi con il mio. Stavo per posare i miei occhi sul cavaliere, quando quest’ultimo finì a terra con un tonfo secco. Lo vidi che si contorceva , e cercava di togliersi qualcosa dalla spalla. Un giavellotto, sfondando l’armatura, riuscì a trapassargli la clavicola.
  
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