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Autore: _Sherazade_    08/07/2013    1 recensioni
Jane si ritrova sola dopo la morte della nonna, la sua vita le sembra un labirinto oscuro senza vie di fuga. In uno stato di profonda tristezza e disperazione si reca su un’isola indicata dalla nonna come luogo del proprio riposo. Con questo viaggio Jane ritroverà forse il suo filo d’Arianna per tornare a vedere la luce?
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6^ classificata al contest "Non può piovere per sempre" sul forum di EFP
Da revisionare
Genere: Avventura, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il mulino della collina senza tempo


 
Jane non riusciva a distogliere lo sguardo dallo spettacolo che aveva dinanzi agli occhi. L'isola offriva dei panorami splendidi.
Per la prima volta dalla morte dell’amata nonna paterna, riuscì a sorridere e a cancellare, per qualche istante, i brutti pensieri che, da diverse settimane affollavano la sua mente.
 
Era rimasta sola al mondo; la sua ultima parente, la sua unica famiglia, l’aveva lasciata sola.
Sola, in un mondo dove solo il più forte poteva sopravvivere.
Jane riusciva a tirare avanti grazie al lavoro di commessa a tempo pieno e a qualche piccolo lavoretto saltuario come dogsitter o babysitter.
Gran parte dello stipendio e della pensione della nonna andava per ripagare i debiti che il padre aveva lasciato in eredità a Jane.
Lui se n’era andato facendo la cosa che più amava: sperperando i soldi nel gioco.
 
Erano passati già due anni dalla scomparsa dell’uomo, e oramai il debito era quasi completamente estinto. Quanti sacrifici avevano fatto lei e la nonna: per poter arrivare meglio a fine del mese la donna si era rimessa a prestare lavoro come sarta per amiche e parenti che ne avessero bisogno. Non portava tanti più soldi a casa, ma almeno respiravano un po’ di più.
L’eredità che Jane aveva ricevuto dalla madre, morta quando lei era ancora una bambina, era stata interamente spesa per saldare gran parte del grosso debito lasciatole dal padre. Jane avrebbe potuto saldare a rate, ma voleva togliersi più in fretta possibile il pensiero.
 
Aveva sempre vissuto coi nonni paterni; dato che sia la madre che i suoi parenti, erano già deceduti. Il padre di Jane all’epoca non era un giocatore d’azzardo, era molto preso dal lavoro, quindi, senza il supporto dei suoi nonni, Jane sarebbe rimasta da sola.
Fu così che quella divenne la sua famiglia, e ora non c’era più.
Il nonno era morto quando Jane non aveva che dieci anni, e da allora la nonna era diventata la sua unica guida; poiché il padre era sempre più assente.
 
Ancora una volta Jane era stata abbandonata da chi amava, solo che ora non aveva più dieci anni, ne aveva quasi venticinque. Non era più una bambina, eppure si sentiva impaurita, sperduta e atterrita dalle responsabilità della vita. Il cammino che si prospettava davanti la faceva sentire come se fosse stata sull’orlo di un precipizio, e la voglia di lasciarsi cadere giù era molto forte.
Sarebbe bastato davvero poco, sporgersi ancora quel poco, e le tenebre l’avrebbero avvolta per sempre.
 
Lei non era così, certo, era spaventata; ma non era una debole, si sarebbe rialzata, per lei e per chi le aveva voluto bene.
La nonna, nel testamento, le aveva chiesto di spargere le sue ceneri su una collina in un’isola che aveva visitato da giovane, e Jane avrebbe esaudito quell’ultimo desiderio!
 
Era un punto un po’ sperduto, Jane s’informò tra gli abitanti dell’isola, in genere i turisti preferivano altre zone, ma lei era andata in quel luogo appositamente per vedere questa collina, la nonna l’aveva definita davvero magica.
Per raggiungere la collina Jane doveva procedere a piedi, era una bella giornata, e per questo non si preoccupava, le avevano assicurato che in un’ora avrebbe tranquillamente potuto raggiungere la collina, ma un uomo anziano le aveva detto che certamente sarebbe venuto a piovere e che le conveniva rimandare la visita.
 
Jane era invece sicura del suo istinto, non sarebbe mai venuto a piovere con un cielo così terso… ma l’anziano signore aveva ragione.
Raggiunse infine la collina, la riconobbe perché sulla sua sommità vi era un mulino, che sembrava sul punto di cadere, un po’ come la torre di Pisa, ma non così pendente, né così grande.
Nel giro di pochi minuti si rannuvolò e cominciò a tuonare, non era il caso di spargere le ceneri col temporale, se era come i classici temporali estivi non sarebbe durato più di qualche minuto.
Jane allora si rifugiò nel mulino, era mal messo, ma le sembrava stabile e resistente, non le sarebbe crollato in testa, o così sperava.
Non appena varcò la sua soglia sentì dietro di sé lo scroscio dell’acqua, potenti secchiate che si abbattevano ora sulla bella collina.
 
Sospirando Jane cominciò a osservare l’ambiente attorno a sé: se lo aspettava molto più sporco, pieno di polvere e ragnatele, invece sembrava abitato.
Se era così allora aveva violato la casa di qualcuno, quindi provò a chiamare.
- Scusi, c’è nessuno? Chiedo perdono, sono una turista, il temporale mi ha sorpresa, e pensando che questo mulino fosse disabitato mi sono rifugiata, posso chiedere ospitalità fino alla fine dell’acquazzone? – purtroppo nessuno le rispose.
“Forse mi son sbagliata” pensò allora la ragazza.
 
Jane trovò una poltrona, il rivestimento si stava lasciando andare, ma era davvero comoda.
Abbandonandosi allo schienale si ritrovò a fissare il soffitto.
Alcune travi erano spaccate, e si riusciva a vedere che anche il soffitto aveva dei buchi, dai quali entrava l’acqua, scendendo fino al piano terra.
Si era formata una piccola pozza e una piccola striscia d’acqua aveva preso a fluire verso una mattonella. All’inizio Jane non vi aveva prestato troppa attenzione, ma dopo un po’ vedendo che si era formato come un cerchio attorno a questa, le si avvicinò.
La mattonella era mobile e Jane, senza pensarci su troppo, la sollevò trovando una scatola in legno e, al suo interno, vi era riposto un libro rilegato in pelle.
 
Jane prese in mano il tomo, subito, dalla prima pagina, capì che era speciale: era un diario, e a giudicare dall’usura doveva essere anche parecchio antico.
Lo aprì, la prima pagina era datata millesettecentoquarantotto.
La giovane che aveva riposto i suoi dolori e patimenti nel diario si chiamava Laurentina e aveva solo quindici anni.
La ragazzina confidò al diario il suo tormento riguardo al matrimonio combinato con un lontano cugino; il quale aveva ben quarant’anni. Aveva provato invano a convincere i genitori a cambiare idea e a permetterle di scegliere chi sposare e amare, ma non ottenne mai il loro consenso.
Laurentina amava, ricambiata, lo stalliere del padre, e aveva progettato la fuga il giorno prima delle nozze col cugino.
Andando avanti con la lettura Jane scoprì che una volta fuggiti si rifugiarono proprio in quel mulino, e che vi si fermarono per un breve periodo.
Laurentina aveva lasciato volontariamente il diario, perché sperava che qualsiasi altra giovane giunta in difficoltà presso lo stesso mulino, avrebbe potuto, in qualche modo, far tesoro della sua esperienza, e superare così i propri ostacoli lasciando magari un segno del proprio passaggio per le generazioni a venire.
 
Jane trovò la cosa un po’ bizzarra, ma al contempo si intenerì leggendo le parole lasciate da Laurentina “Spero che un giorno le mie parole possano giungere al cuore di chiunque possa aver bisogno di un’amica. Non siete sole, vi basterà alzare gli occhi verso il cielo per vedere quanto qualsiasi problema possa essere piccolo. Rialzatevi e riprendete il vostro cammino.”
Jane sorrise mentre una lacrima le rigava il viso. Alzò lo sguardo, e tra le travi rotte, e la pioggia che ancora scendeva, riuscì a scorgere il cielo. Da lassù sarebbe sembrata una formichina, e così anche i suoi problemi.
Per anni aveva dovuto resistere alle avversità, non era forse giunto il momento di riprendere in mano la propria vita e vivere, per davvero?
 
Jane riprese la lettura, una nuova ragazza aveva continuato la narrazione.
Lianne, che aveva vissuto ai primi dell’ottocento.
Era una giovane donna di circa vent’anni, andando a zonzo per il bosco, per sfuggire un po’ alle pressioni familiari, si ritrovò nel bel mezzo di un temporale, e fu così che trovò riparo nel mulino.
Lianne si sentiva oppressa, la famiglia la riteneva già un peso, perché non c’erano pretendenti, e la ragazza era spesso dedita a scrivere novelle e a fantasticare su una possibile pubblicazione delle stesse.
Era una donna che non chiedeva altro che la possibilità di sbocciare ed essere indipendente. Voleva solo poter essere l’unica a cui dover rendere conto.
 
Essere davvero libera.
 
Purtroppo la sua famiglia non la vedeva alla stessa maniera!
Per loro una donna si realizzava solo sposandosi e mettendo al mondo dei figli.
Questa però non era la visione di Lianne.
Raccontò di come stava per arrendersi ai voleri della famiglia, e di come le parole di Laurentina l’avevano raggiunta e spinta a continuare la propria esistenza per sé, non per compiacere gli altri.
 
Dopo le storie di Laurentina e Lianne, ne seguirono molte altre, sempre di donne in difficoltà che, grazie alle esperienze descritte da altre donne, erano riuscite a far chiarezza nel proprio cuore.
Marina, Adèle, Yvonne, Miyu, Yasmine, Donna, Cho, Cristelle…
 
Jane si sentiva sempre più rincuorata, e vicina a quelle donne e ragazze che prima di lei si erano ritrovate nello stesso mulino a leggere e a confrontarsi con chi l’aveva preceduta.
Arrivò all’ultimo diario.
 
Rose, come la sua amata nonna.
Rose aveva venticinque anni, era giunta in vacanza dopo la morte del fidanzato, stavano per sposarsi, e secondo i canoni dell’epoca lei era anche in là con gli anni per sposarsi.
Era disperata, perché la morte del compagno a causa della guerra l’aveva completamente distrutta. Parlò della sua famiglia, di come la facessero sentire inutile e, soprattutto, di peso. Di come tutte le scelte della ragazza fossero state sbagliate e fallimentari.
Poco ci mancava che le dessero la colpa della morte del fidanzato.
Prima di giungere al mulino aveva pensato che l’unica strada fosse quella di ricongiungersi al fidanzato…
 
Dopo avere “incontrato” tutte quelle ragazze di paesi e culture lontane, Rose avrebbe lasciato sì la sua casa, per iniziare una nuova avventura.
Disse inoltre che un giorno sarebbe tornata in quell’isola, e che i suoi figli o i suoi nipoti avrebbero sparso le sue ceneri di fronte al mulino che le aveva salvato la vita.
Rose Weston. Così si era firmata.
Jane rilesse il nome più e più volte.
Era sua nonna. Lei sapeva cosa Jane avrebbe potuto provare e quindi voleva darle una possibilità di ritrovare sé stessa e la propria vita.
Jane strinse al petto il diario piangendo e ringraziandola per quell’ultimo dono che la nonna le aveva voluto fare.
Si guardò attorno, e sullo scrittoio trovò una penna.
“Lascerò anche io la mia storia e la mia nuova motivazione. Anche io ce la farò, non importa quanti ostacoli potrò mai incontrare. Li supererò, perché non sono sola, non lo sono mai stata”.
Quando finì sentì il cuore più leggero, e a mente fresca cominciò a pensare.
Tutte le ragazze avevano parlato della propria esperienza, della propria famiglia, della propria città…
E proprio su quest’ultimo particolare Jane si mise a pensare… ognuna viveva in città diverse, chi era orientale, chi americano, chi europeo o africano…
Com’era possibile?
Risfogliò il diario, e molte pagine ora erano scritte in lingue a lei sconosciute, certo, capiva che questa o quella erano scritte con gli ideogrammi cinesi, alcune usavano l’alfabeto cirillico, e altre ancora erano scritti in alfabeti a lei sconosciuti.
 
Sentì il cinguettio degli uccelli: il temporale era finito.
Jane prese il vaso nel quale c’erano le ceneri della nonna, e uscì dal mulino.
Varcata la soglia si girò e notò che all’ingresso c’era scolpito un nome, che non le diceva nulla: Eluht.
Col vento che le scompigliava i capelli lasciò che le ceneri uscissero dal vaso e con un sospiro abbandonò i suoi timori, le incertezze e le paure. Il vento avrebbe portato con sé anche quelle.
Si incamminò verso il sentiero che aveva abbandonato con l’arrivo del temporale, e si girò per ringraziare il mulino che le aveva dato riparo e una rinnovata fiducia nel futuro ma… era scomparso.
 
Jane aveva sempre creduto a fate e magia. Decise che quello era il suo piccolo miracolo, per una nuova vita.
Aveva sempre letto di luoghi incantati, di fate e streghe buone. Forse non erano solo favole.
Passo dopo passo arrivò infine all’albergo e buttandosi a letto, prima di addormentarsi capì che quello non era solo un mulino magico, il nome racchiudeva in sé molto più potere di quanto non avesse capito.
Si addormentò sussurandone il nome.
 

Grazie Thule

  
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