Serie TV > Dr. House - Medical Division
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Autore: LucreziaPo    08/07/2013    3 recensioni
Questa storia inizia alcuni mesi dopo la fine dell'ottava stagione di House M.D. House e Wilson hanno deciso di lasciarsi tutto alle spalle, finché una cura non convince Wilson a partire...
Finirà per rendersi conto di ciò che ha sempre avuto dinanzi ai suoi occhi e che non ha mai avuto il coraggio di ammettere a sè stesso...
Ovviamente Hilson!
Spero vi piaccia!
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Greg House, James Wilson | Coppie: Greg House/James Wilson
Note: Lime | Avvertimenti: Incompiuta | Contesto: Nel futuro
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Ansimò, come un naufrago che finalmente arriva sulla terraferma, dopo giorni di mare burrascoso, aggrappato ad una zattera.

Cercò di immagazzinare quanto più ossigeno possibile, sentendo qualcuno premergli sul volto una mascherina.

Ogni boccata era un puro e semplice sollievo.

“Stai tranquillo...ssh...ora sei al sicuro...respira...”

Quella voce era familiare, era...

Wilson decise di aprire gli occhi, vedendo di fronte a lui gli occhi blu di House.

Erano lucidi di lacrime, ma lo stringevano con fermezza, una mano dietro la nuca ed una sulla mascherina dell'ossigeno.

Mentre tutt'intorno a lui era nel caos, infermiere che controllavano i suoi valori, qualcuno, Johnson, che parlava a voce alta, House era l'unico punto di riferimento.

“Non lasciarmi.”sillabò ed House capì, prendendogli la mano e facendogli l'occhiolino.

“Sono qui.”mormorò piano, in modo che sentisse solo lui.


Wilson l'aveva costretto a mettere via il veleno, appena aveva visto il pacchettino accanto al letto ed aveva intuito le intenzioni di House.

Gli aveva raccontato della sua esperienza durante il coma, di come l'aveva visto a pezzi per il dolore.

Aveva delle difficoltà a parlare, le parole si incespicavano nella sua bocca e gli ci voleva più tempo per formulare una frase completa.

“Mi hai detto...mi hai detto “ti amo”, mentre ero in coma.”balbettò.

Erano sdraiati sul letto della clinica, Wilson raggomitolato su un fianco accanto ad House.

Il dolore era scomparso quasi del tutto, nonostante Wilson fosse perennemente tenuto sotto controllo.

E non c'era stato alcun rigetto del fegato.

House non rispose.

Teneva un braccio attorno alla sua vita e giocherellava con le sue dita con le proprie.

“House...”

“Eri in coma, avrai sognato tutto.”

“Forse...”

House non disse nulla, intrecciando le loro dita e tirandolo verso di sé, senza fargli male.

“Cambierebbe qualcosa se te lo dicessi?”

“Uhm...suppongo di no.”rifletté tra sé e scosse il capo.

“Visto?”

“Trovo strano che entrambi abbiamo sognato Amber nel momento della nostra quasi morte.”mormorò.

Gli ci volle un po' per articolare la frase.

“Credo sia solo stato un sogno, Wilson. Non esistono fantasmi o roba simile. Sei un medico, perché fantastichi su queste cose?”sbuffò.

Era ormai gennaio inoltrato e faceva freddo.

Wilson si coprì di più con la coperta, agognando un contatto maggiore con House che lo accontentò, stendendosi su un fianco e sfiorandogli il viso.

Percorreva con le dita le sue guance, la barba un po' cresciuta, il naso, la bocca...

Lo guardava in silenzio.

“House...Cos'hai?”sussurrò lentamente.

“Pensavo.”

“A cosa?”

Le dita scivolarono sulle sue labbra, percorrendole da destra a sinistra e viceversa.

Wilson gliele baciò piano.

Lo preoccupava quel silenzio.

Era uscito dal coma da pochi giorni ed House era sempre stato quasi del tutto in silenzio.

Non era da lui.

“Parlami. Stai bene?”

“Sei tu quello uscito dal coma.”

“Ti ho spaventato?”balbettò.

House continuò ad accarezzargli il volto.

Wilson gli bloccò la mano, dolcemente e s'avvicinò a lui.

“Parlami.”ripeté. “Non voglio il silenzio da parte tua. Voglio sapere cosa ti frulla per la testa. Stavi per suicidarti, quando hai temuto per me. House...dimmi cosa c'è.”lo pregò.

“Avrei dovuto dirlo a tutti...chiamare i tuoi genitori, la tua famiglia, i tuoi amici e dire a tutti o chiedere a Johnson di farlo, che il loro figlio, il loro amico era morto. E che l'unica cosa che avrei potuto fare io, perché non ci sarebbe stato nessuno cui tornare era...”

Wilson capì.

Vide i suoi occhi lucidi, le labbra che tremavano e l'abbracciò stretto.

“Sto bene. E'...tutto ok. Ci sono io.”

House rise, nervosamente.

“Dovrei essere io a rincuorarti, non tu.”

“Va bene lo stesso. Sto bene.”

Wilson posò le labbra sulle sue lentamente.

Assaporò la sua bocca, piano, come se volesse gustarsela senza fretta, mordicchiandogli prima il labbro superiore, poi quell'inferiore, prima di intrufolare nella sua bocca la lingua per approfondire il bacio.

House posò una mano sulla sua guancia, attirandolo ancora di più a sé, finché i loro corpi non aderirono del tutto, lottando per avere più calore, più pelle possibile.

Wilson affondò le mani tra i suoi capelli, baciandolo con foga finché entrambi non ebbero bisogno di riprendere fiato.

Le mani di House scivolarono sotto il suo camice, sfiorandogli il petto, il ventre, la schiena.

Si fermarono cingendogli la schiena e baciandolo sul collo.

“Mi è mancato tutto questo.”mormorò al suo orecchio e Wilson arrossì.

La barba di House gli graffiò il collo, ma lui non se ne curò e lasciò che lo baciasse a lungo e con foga.

Wilson gli cinse la vita, facendo aderire i loro corpi ancora di più, ma House lo fermò, allontanandosi.

L'altro gli lanciò uno sguardo interrogativo ed House scosse il capo.

“Non possiamo. Non ora che ti sei appena ripreso. Devi riposarti.”

Wilson scosse il capo e fece scivolare una mano tra le gambe di House che sussultò, compiaciuto da quel gesto, ma lottò contro sé stesso per impedirgli di continuare.

“Dormi.”

“Non ho voglia di dormire.”mormorò.

“Ed io di fare sesso.”

“Bugiardo.”

Sì, era una bugia enorme.

House aveva una voglia matta di prendere Wilson lì senza pensare alle conseguenze, ma il suo compagno s'era appena ripreso da un coma di tre settimane ed era così fragile.

Non aveva intenzione di fargli del male.

“Almeno resta qui.”

House abbozzò un sorriso e gli passò un braccio attorno alla vita.

“Promesso.”sussurrò contro le sue labbra, prima di posargli un bollente, seppur casto, bacio.


Riprendersi da un coma richiedeva lungo tempo.

Wilson aveva delle difficoltà a camminare, vomitava ciò che mangiava e dormiva molto.

Inoltre era spesso confuso e gli risultava difficile articolare frasi complesse e lunghe.

Finiva per innervosirsi ancora di più quando non riusciva a parlare ed House era sempre lì a stringerlo a sé, a stuzzicarlo con una battuta ed a prenderlo in giro con affetto.

Lo spingeva a mangiare, lo aiutava a vestirsi e con la sua ripresa si riprese anche House.

Johnson lo vide più allegro, meno triste, più in carne rispetto a quando aveva quasi del tutto smesso di mangiare per la preoccupazione e la paura.

Vedere Wilson senza barba era come un segnale per House.

Significava che le cose stavano andando per il verso giusto, nonostante le difficoltà.

Aveva preso l'abitudine a premiare Wilson ogni volta che faceva dei progressi.

La fisioterapia era una cosa che lui odiava immensamente, ma che gli era utile a riuscire a controllare meglio i suoi movimenti che, dopo il coma, erano molto impacciati.

House lo baciava dolcemente quando Wilson faceva dei progressi, lo stuzzicava con affetto, gli comprava i suoi cibi preferiti per farlo mangiare.

Era una cosa che non pesava su nessuno dei due, perché prendersi cura l'uno dell'altro era qualcosa che avevano sempre fatto ed ora era il turno di House di occuparsi di lui.

“Così. No, così. Ecco, stringi e poi lancia.”

House era seduto accanto a Wilson nella sala della fisioterapia e lo aiutava con una pallina da ping pong.

Le mani di Wilson tremavano leggermente, ma di meno rispetto ai primi giorni in cui non riusciva ad afferrare nulla.

“Prova a lanciarmela.”

“Non ci riesco.”

House annuì, incoraggiante, sorridendogli.

Wilson ricambiò il sorriso.

“Amo quando sorridi. Lo fai raramente.”gli disse.

“Non ho molti motivi per farlo.”

“Ah, grazie.”

“Non parlavo di te.”

House rifletté per un attimo, spintonandolo leggermente con la spalla.

“Ora sto bene.”

Wilson sollevò lo sguardo verso di lui e lo baciò sulla guancia, spingendo House a cingergli le spalle ed abbracciarlo stretto.

“Greg...”

“Mmm...”

“Voglio tornare a casa.”


“Sistemerà tutto lui. Garantito. È un pezzo grosso della polizia di Kingston e deve un favore ad House perché ha scoperto la malattia della moglie e grazie a lui ora è viva e vegeta. Sarà facile fingere che House abbia scontato qui la pena. E riavere il suo nome.”

“E' illegale.”mormorò Wilson.

“Anche fingersi morto per evitare il carcere lo è.”

Il pezzo grosso era George Arthur, che Wilson aveva conosciuto di sfuggita alla clinica, quando assisteva la moglie malata.

Non gli era particolarmente simpatico, era un omaccione con lo sguardo arcigno e parecchio alto, ma se riusciva ad aiutare House gli andava più che bene.

“Sì, sistemerà tutto. Ne sono certo.”assicurò Johnson a nome suo.

Fu solo dopo un paio di giorni che House ricevette una carta d'identità col suo vero nome e tutte le informazioni corrette ed una fedina penale che contava anche 8 mesi di carcere per atti vandalici e per essersi finto morto.

“Wow...questo fa di me davvero un cattivo ragazzo.”disse, facendo l'occhiolino a Wilson.

“A me piacciono i cattivi ragazzi.”disse l'altro, baciandolo sulla bocca di impulso.

House fu piacevolmente sorpreso dal suo gesto e gli cinse il corpo con le braccia, arretrando fino a sedersi sul divano e tirandolo su di sé.

Wilson sorrise, baciandolo ancora più profondamente.

Il diagnosta gli tolse la maglietta, baciando e mordendo ogni singolo lembo di pelle che riusciva a raggiungere e lo spinse sotto di sé sul divano, imprigionandolo sotto il suo corpo e spogliandolo del tutto.

Wilson lo lasciò fare, incantato dai suoi baci, dal suo calore, dall'eccitazione che continuava a crescere violenta ed incontenibile.

Gettò di lato la camicia di House, facendo saltare alcuni bottoni dello spalancarla ed infilò la mano tra le sue gambe, lottando per liberarlo dai jeans e boxer.

House gemette ad alta voce quando il compagno iniziò a massaggiarlo con foga, spingendolo ad aggrapparsi al divano per non crollargli addosso.

Lasciò che le sue mani gli dessero sollievo, mani che a lungo non l'avevano toccato o stretto.

Ansimò quando raggiunse l'apice del piacere, ma Wilson non aspettò che si calmasse, ma lo attirò a sé con forza e lo baciò sulla bocca, muovendo il suo corpo contro il suo, ansioso di maggior contatto, maggior calore, più pelle, più baci, più sesso.

House affondò le mani nei suoi capelli voltandolo bruscamente mentre lo prendeva e continuò a stringerlo a sé, tenendolo per i fianchi, mentre si muovevano l'uno verso l'altro, in ritmiche spinte.

Catturò le sue labbra, bloccando i loro gemiti di piacere e chiudendo gli occhi, felice perché lui era ancora lì, perché poteva sempre baciarlo ed averlo e che nessuno gliel'avrebbe portato via.

Wilson mordicchiò le sue dita, crogiolandosi nel suo calore e baciandogli la bocca lentamente, dolcemente.

“Stai bene?”sussurrò House.

Cenno d'assenso.

Wilson prese il braccio di House e se l'avvolse attorno alle spalle come una coperta calda ed umana, mentre House posava il viso sulla mano e lo guardava.

“Cosa c'è? Perché mi guardi così?”

“Così come?”

“Come se volessi leggermi dentro.”

“Stavo solo pensando.”

“A cosa?”

“Al ritorno a casa. Perché vuoi tornare? Ti mancano i tuoi genitori? I tuoi amici?”

“Sì. Voglio solo far saper loro che sto bene, House. Sistemare alcune cose...”

“Che cose?”

House lo guardava intensamente e Wilson ricambiò lo sguardo.

“Johnson ha detto che è meglio interrompere la cura per un po', per dare tempo al mio organismo di riprendersi. Dopo potremo asportare il tumore.”

“Lo so. E vuoi tornare perché temi di non rivederli più? Nel caso l'operazione andasse male?”

Wilson deglutì a vuoto.

Quegli occhi erano capaci di sconvolgerlo ogni volta.

“Sì. Pensi sia una cosa stupida?”

“Se lo pensassi mi staresti a sentire?”

“Credo che stavolta non lo farei.”

“Immaginavo.”

House si sistemò meglio sul divano e Wilson gli strinse un braccio.

“Voglio rivedere la mia famiglia. Dirle che sto bene, che sono felice e che sto con te.”

“Hai intenzione di sconvolgerli, quindi? Immagino la scena “Ciao mamma, ciao papà. Ricordate House? Ha finto di essere morto, ma non lo è e scopa con me!”

Wilson rise.

House amava la sua risata.

Amava il modo in cui chiudeva gli occhi e si lasciava andare, ridendo.

Lo baciò di slancio, facendolo ridere ancora di più.

“Credo che ai miei verrebbe un colpo. Ma voglio che sappiano che sto bene. E voglio vedere la faccia di Foreman e degli altri quando diremo “stiamo insieme”!”

“Stiamo insieme? Mi sembra sdolcinato da dire.”

“Dire “scopiamo come conigli” non è meglio.”

“Beh, è la verità.”

Wilson gli pizzicò un fianco ridendo e House ne approfittò per afferrarlo e stringerlo al petto.

“Ci penseremo quando saremo lì.”mormorò Wilson, ammaliato dai suoi occhi blu.

Smetteva di pensare quando House lo guardava in quel modo così lussurioso e pieno di brama.

Sentì la bocca di House catturare la sua ancora una volta e s'abbandonò alla sua stretta, avendo un bisogno disperato di amarlo il più possibile.


“Dovete venire assolutamente! Tutti quanti!”

Amanda Lest saltellava da un piede all'altro nel reparto di oncologia.

House lanciò un'occhiata interrogativa a Wilson, ma prima che potesse udire la sua risposta la ragazza era piombata dinanzi a loro, tendendogli un bigliettino argentato.

“Io e Leon ci sposiamo stasera. Ci sarà questa sciamana a consacrare il matrimonio e vi voglio tutti quanti.”

Baciò sia lui che Wilson sulla guancia e saltellò verso altri invitati.

L'espressione di House era palese.

Stava per dire qualcosa di pungente o scoppiare a ridere.

“E' una cara ragazza.”lo prevenne Wilson.

Conosceva Amanda da qualche mese.

Era stata assunta come infermiera nel reparto di oncologia ed era un vero tornado.

Non stava mai zitta, era sempre allegra ed era una boccata di aria fresca per chiunque stesse male.

Wilson l'aveva conosciuta pochissimo perché era stato operato ed entrato in coma due settimane dopo il suo arrivo, ma era stata lei a prendersi cura di lui durante i cicli di cura successivi al coma.

“Sciamana?”

“Sarà interessante.”

“Sciamana?”ripeté ancora House quando s'unirono alla folla sulla spiaggia.

C'erano dei giganteschi tendoni e gazebi, ma tutta la folla si riunì attorno alla coppia di sposi ed ad una tipa davvero bizzarra.

Indossava molteplici veli colorati, aveva la faccia dipinta di bianco e rosso ed era in ginocchio dinanzi agli sposi, seduti a gambe incrociate.

Wilson intuì che House stava per dire qualcosa e gli tappò la bocca, lanciandogli un'occhiataccia perentoria ed ammonitrice.

“Non una parola.”sillabò, mentre tutti tacevano.

Il rituale consisteva nel recitare alcuni inni nella lingua giamaicana, lo scambio di promesse e poi la parte più importante consisteva in un piccolo taglio sul palmo della mano dei due sposi e nel mischiare il loro sangue mettendo a contatto le ferite.

“E' stata la cosa più strana che abbia mai visto.”annunciò House al suo orecchio, dopo la cerimonia, mentre si mescolavano agli ospiti nel prendere da mangiare.

“E' stata una cosa particolare.”

“Assurda. E ridicola.”

“Un po'. Però è stata bella.”

“Io non credo nei matrimoni. E visti i tuoi precedenti, non dovresti neanche tu.”

House addentò una mini quiche e si voltò per andare a sbattere contro la...sciamana.

S'era tolta il trucco, rivelando la pelle scura al di sotto di tutto quel bianco e rosso.

“Tu hai l'aria di uno scettico.”

“Mi creda, è il re degli scettici.”la corresse Wilson.

La donna si voltò verso di lui.

“Tu sei il suo compagno e migliore amico, James Wilson. L'hai amato a lungo, ma te ne sei accorto solo ora.”

“Sta tirando ad indovinare. O qualcuno le ha detto chi siamo.”

House fece per andare via, ma la donna lo bloccò, afferrandolo per un braccio.

“Gregory House, la persona che dovrebbe essere morta, almeno è ciò che credono i suoi amici. Sei fuggito da tutto e da tutti per poterlo proteggere ed aiutare. Hai sofferto così tanto nella tua vita che credi di ferire chiunque tu ti trovi a toccare. Ma questa persona la ami molto e sai che faresti di tutto, anche allontanarla da te, se ciò servisse a renderla felice.”

House si liberò dalla sua stretta.

“Chi sei?”

“Mi chiamo Alalea. E so molte cose. Su molte persone. E su di voi.”

“Come?”

“Posso vedere.”

“Cosa, esattamente?”

“Tutto, Gregory. Ogni cosa nel presente e nel futuro e nel passato.”

“E' impossibile. Non è una cosa umanamente possibile.”

“So che sei spaventato. Perché ora sei felice ed hai paura che tutto possa svanire dinanzi ai tuoi occhi. Hai paura di perdere il tuo migliore amico e compagno, di vederlo morire tra le tue braccia e di non riuscire a vivere senza. E tu, James, temi che questo benessere ti possa abbandonare e soprattutto che la tua morte coincida con il suo suicidio. Ho sbagliato, per caso?”

“Andiamocene.”

House prese Wilson per un braccio e fece per portarlo fuori, ma Wilson scosse il capo.

“Aspetta.”

“Non le crederai mica?”

“Finora hai indovinato ogni cosa.”

“Appunto indovinato.”

“Quindi ho indovinato anche il nome di Lisa, Amber, Sam, Stacy?”

House si voltò, guardandola incredulo.

Ma cosa faceva a....

“Esistono cose che non puoi spiegare, House. Miracoli. Veggenti. Dei. La scienza non spiega tutto, ma capisco come possa essere la tua roccaforte. Ci sono momenti, però, in cui è necessario qualcos altro. Come quando hai rassicurato Wilson dicendo che sarebbe andato in un posto migliore.”

“D'accordo. Ammettiamo che esistano. Cosa vuoi da noi?”

“Solo darvi la mia benedizione per il viaggio di ritorno. E legare le vostre anime. Come ho fatto con Amanda ed il suo ragazzo.”

“Credevo che fosse un matrimonio poco convenzionale.”disse Wilson.

“E' un rito per legare due anime, due spiriti. Voi attendete solo di essere legati.”

“No, graz...”

“Perché no?”

House tacque sentendo la frase di Wilson.

“Sei diventato matto all'improvviso? O romantico, il che è peggio? Già, tu sei sempre stato...”

“House, lo voglio fare. Andiamo. Non cambierà nulla.”

“Allora, perché farlo?”

“Perché è un bel modo per dimostrare ciò che proviamo.”

House aprì la bocca, ma la richiuse subito dopo con un sospiro.

Wilson aveva uno strano sguardo.

Incuriosito dalla sciamana e dal rituale e voglioso di una nuova esperienza.

Perché opporsi?

Era uno stupido rito, fatto da una sciamana che sembrava veggente, forse lo era, ma House non l'avrebbe mai ammesso, cui Wilson teneva.

“D'accordo. Sposami.”decise, attirandolo a sé con un braccio e cingendogli la vita per far aderire i loro corpi.

Wilson rise e la sciamana abbozzò un sorriso.

Fu strano.

House ricordò quella notte per la musica ad alto volume, il buon cibo, il freddo sulla spiaggia e l'acqua gelida.

Ma soprattutto per la canzone sciamana, per il breve dolore per il taglio al palmo della mano, il bacio di Wilson, caldo, morbido che suggellava l'unione delle loro anime, oltre che dei loro corpi.


  
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