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Autore: NanaK    08/07/2013    4 recensioni
Mi chiamo Penelope e ora vi racconterò la mia storia. Preparatevi ad ascoltare qualcosa di tanto surreale che spesso mi chiedo se non sia stato tutto un sogno. Il Titanic era appunto chiamata la nave dei sogni, ma di certo mai avrei creduto che potessi salirci. Tutto cominciò una sera di aprile, il dieci aprile 2012..
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jack Dawson, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Rosalinda Dewitt Bukater
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 9

 

Quella mattina tutto era molto tranquillo. Assolutamente nulla lasciava presagire la strage che di lì a poche ore avrebbe sconvolto il mondo: il Titanic era stato considerato inaffondabile e i passeggeri si sentivano al sicuro e fuori da ogni pericolo. Con tristezza guardavo tutti coloro che mi passavano davanti, persone di ogni ceto sociale, di diversa nazionalità. Se non fossi riuscita a salvare la nave chi si sarebbe salvato? Chi invece sarebbe morto? Scossi la testa, scacciando questi pensieri. Era il momento meno opportuno per lasciarsi prendere dalla malinconia, dovevo essere forte. Cosi mi aprii in un sorriso e mi proposi di pensare positivo. Fui distratta da Fabrizio che si era appena svegliato.

< Buongiorno dormiglione >

< ‘Giorno Penny >

< Jack dorme ancora? >. Dopo il nostro piccolo dialogo si era riaddormentato ed io, cercando di fare il più piano possibile ero sgattaiolata fuori a godermi il sole.

< Eh si, figurati se si sveglia adesso, sono solo le dieci e mezzo > rispose sarcastico. < Hai fatto colazione? >.

< Si, poco fa. Se vuoi ti accompagno però, cosi prendo anche qualcosa per lui > dissi e ci avviammo verso la mensa. Era affollata come al solito, ma riuscimmo comunque a farci largo per prendere il necessario per sfamare il mio amico e Jack, il che non fu molto facile data l’insaziabilità di Fabrizio. Poco distante da noi dei bambini giocavano a rincorrere un topo e non riusci ad impedirmi di sorridere a quella vista: sarebbe stato bello poter tornare bambina per qualche ora, dimenticare ogni pensiero, ogni preoccupazione se non quella di riuscire a prendere un topolino che correva. Una volta da piccola trovai un ratto sotto al mio letto e con la mamma piazzammo molte trappole in casa per riuscire a catturarlo, ma erano più le volte in cui ci schiacciavamo le dita noi che quelle in cui riuscimmo nell’impresa. In quel momento il pensiero di mia madre mi inondò di nostalgia: ricordai quando mi leggeva le sue poesie preferite per farmi addormentare, quando andavamo a lavare la macchina insieme e, puntalmente, tornavamo a casa bagnate fradicie; quando la aiutavo a preparare i biscotti per la nonna e poi andavamo a portarglieli insieme; quando di mattina la guardavo truccarsi e non vedevo l’ora di crescere per poter usare tutta quella roba magica; quando d’estate ogni martedi andavamo alla scogliera a fare le gare di tuffi; quando andavamo a trovare papà. In quei pochi minuti la situazione si capovolse. Come potevo lasciarla?  Conoscevo Jack solo da qualche giorno e, nonostante lo amassi immensamente, non potevo dimenticare chi mi aveva cresciuta e che aveva un ruolo fondamentale nella mia vita. In quei pochi minuti rimisi in gioco tutte le decisioni prese fino a quel momento. Chiusi gli occhi iniziando ad accettare la piega che stava prendendo la situazione. Odiavo pensarlo, ma dovevo lasciare Jack. Dovevo tornare a casa mia, altrimenti che ne sarebbe stato di mia madre? La morte di papà l’aveva sconvolta, non potevo scomparire anche io. E daltronde avevo bisogno di lei. Ero proprio una stupida, la tragedia era imminente ed io stavo a pensare a tutto questo. D’accordo: in quel momento mi promisi che mai più sarei stata l’eterna indecisa che non sapeva cosa fare. Avrei salvato i passeggeri e la nave. Se qualcosa sarebbe andato storto, dovevo comunque essere sicura che Jack non sarebbe morto.

E poi sarei tornata a casa.

 

Guardai verso l’orizzonte e per la prima volta mi sentii padrona del mio destino. Sobbalzai quando una figura si frappose tra me e il mare.

< Ehi. Buongiorno > sussurrò Jack afferrandomi il mento con un dito < Cos’è quel muso lungo? >

Dovevo avere una faccia che diceva tutto, sono sempre stata un libro aperto per le persone, figuriamoci per lui che era molto attento ad ogni minimo dettaglio. Presi un profondo respiro, mi feci coraggio e mi alzai, guardandolo negli occhi, ferma come non lo ero mai stata.

< Jack.. Non dobbiamo più parlarci. Fa finta che noi due non ci fossimo mai incontrati > la mia voce non si incrinò < Mai parlati. Mai sorrisi. Mai avuti. >. I miei occhi non cedettero.

Vidi chiaramente lo smarrimento e il dolore che prendevano possesso dei suoi, magnifici come sempre. Evidentemente non se l’aspettava perché non aprì bocca, nemmeno quando gli volsi le spalle e mi allontanai, le labbra strette e i pugni chiusi, unico segno della mia sofferenza.

Ti amo Jack. Perdonami se puoi.

 

Data la mia profonda passione verso il Titanic, a suo tempo mi documentai approfonditamente sui dati storici dell’affondamento. La nave sarebbe entrata in collisione con l’iceberg esattamente alle 23 e 40 minuti e sarebbe affondata 2 ore e 40 minuti più tardi. Era mezzogiorno e, non avendo fame, tornai in cabina che per fortuna trovai vuota. Avevo bisogno di pensare da sola e vagliai con attenzione le possibilità che avevo. Punto uno: avrei potuto parlare con il Capitano della nave o con il signor Andrews, ma era improbabile che mi avrebbero creduto. Punto due: se i due uomini che erano di vedetta avessero avuto un binocolo avrebbero potuto avvistare prima l’iceberg e quindi far virare prima la nave. Ma dove lo trovavo un binocolo? Punto tre: potevo farmi spiegare come si virava dal signor Andrews o da chiunque altro e, al momento opportuno, dare una bastonata in testa a chi teneva il timone e prendere io stessa il comando della nave. Forse stavo cominciando a dare i numeri. L’opzione due era al momento quella con maggiore ossibilità di riuscita. Iniziai a guardarmi attorno e gli occhi mi caddero sulla sacca di Jack, marrone e rovinata dal tempo e dall’usura. Un avventuriero come Jack poteva non avere un binocolo o un cannochiale o qualcosa del genere? La aprii e, tendendo le orecchie nel caso stesse arrivando qualcuno, iniziai a rovistare al suo interno. Non mi parve vero quando le mie dita toccarono proprio quel tipo di materiale e forma e quando lo tirai fuori, si, era proprio un binocolo, mi sedetti sul letto, spossata. Non poteva essere così facile.. Era davvero sicuro che con quello strumento si potesse salvare l’intera nave?  

In ogni caso in quel momento non potevo fare molto, avrei aspettato un paio d’ore e poi avrei provato a parlare con qualcuno. E dovevo dare il binocolo a chi di dovere.

 

Era così bello davanti a me, era così bello accarezzargli i capelli biondi e baciarlo piano e sentire la sua voce sussurrata sulla mia pelle. Il cuore mi batteva forte, ne sentivo i rimbombi e mi stupii che lui non li sentisse.

“ Penelope,lo so che mi ami, lo so che mi vuoi. Non mentire a te stessa, non fare finta di aver cancellato tutto. Apri il tuo cuore, apri.. ”

< ..questa maledetta porta! Pen! Lo so che sei lì, maledizione! >. Jack stava bussando furioso alla porta. Ecco cos’era, altro che i battiti del cuore. Risi tra me e subito dopo sospirai. Sapevo che l’avrei sognato, era ovvio. Quanto avevo dormito?

< Se non apri la butto giù >. Oh, avevo quasi dimenticato quel piccolo particolare. A dir la verità non ricordavo nemmeno di aver chiuso a chiave, ma poco importa. Un po’ inquieta girai la chiave e aprii la porta, mentre mi strofinavo un occhio. Cosa dovevo fare ora? Avevo deciso di troncare, come dovevo comportarmi con lui? Che stupida, non avrei dovuto dormire nel suo letto. Lui entrò fulmineo nella stanza e e mi guardò con attenzione, percorrendomi da capo a piedi. Avendo visto che ero viva e vegeta si calmò leggermente, ma per infuriarsi ancora di più subito dopo.

< Mi hai fatto prendere un colpo, sei sparita per più di due ore, ti ho cercata dappertutto! > inspirò a fondo per poi abbassare la voce < Non farlo mai più >.

Io rimasi muta, tentando di non sorridergli per rassicurarlo, di non abbracciarlo per tranquillizzarlo, per dirgli che c’ero e per chiedergli se anche lui ci fosse. Abbassai lo sguardo mentre calava il silenzio tra di noi.

< Quello che mi hai detto prima.. >

Alzai di scatto la testa < No. Non dire nulla per favore >. Fece per muovere un passo verso di me, ma fu interrotto dall’arrivo di Fabrizio, che vedendoci soli ed in silenzio, si scusò per averci interrotti.

< Non preoccuparti. Stavo andando via >. Sentii lo sguardo di Jack perforarmi la schiena e stavo per uscire, quando mi prese per un braccio facendomi voltare verso di lui. Quante volte l’aveva fatto in quei giorni? Il suo sguardo era così intenso, così infervorato che mi sentii bruciare, e la sua mano con cui mi stringeva il braccio mi faceva quasi male.

< Io non ti permetterò di andare. Non senza lottare, non senza capire. Non puoi dirmi di cancellare tutto senza spiegarmi nemmeno cosa dentro di te ti abbia indotta a questo >

< Jack.. Non posso spiegarti adesso, non c’è tempo, devo andare a.. Lo sai a fare cosa >. Fabrizio ci osservava alternatamente senza afferrare il punto della situazione. In un altro momento sarei scoppiata a ridere guardando la sua faccia.

< Vengo con te >

< Tu.. >

< No, Penelope. Ci sono dentro quanto te, se non di più >. Aveva ragione ed io non ero nessuno per impedirgli di aiutarmi in questa faccenda.

< E sia. Andiamo >

Uscimmo in fretta ed iniziai a spiegargli la situazione: mi seguiva ed era molto concentrato su ciò che gli dicevo, annuendo di tanto in tanto e aggrottando le sopraciglia. Proprio mentre gli citavo il binocolo ricordai che l’avevo lasciato in camera, sul suo letto.

< Dannazione. Potresti aspettare qui un attimo? >. Camminando eravamo quasi arrivati all’altezza della timoneria e mi disse di fare in fretta.
Erano le tre del pomeriggio ed una leggera ansia iniziò a farsi sentire nei pressi del mio stomaco. Chissà cosa sarebbe successo.. Con il fiatone rientrai in quella cabina per la terza volta e vidi subito l’oggetto che mi interessava. Lo presi e stavo per tornare indietro quando vidi qualcosa che mi bloccò: dalla sacca di Jack spuntava la sua famosa cartellina di cuoio. Senza improvvisamente più nessuna fretta la afferrai con delicatezza e curiosa, la aprii. Subito vidi me stessa. Ero seduta sul ponte, lì dove nel film ci fu il primo bacio dei protagonisti. Nonostante avessi il mio vestito blu avevo le braccia intorno alle ginocchia, la testa leggermente all’indietro, gli occhi che scrutavano il cielo. Era impressionante con quanta nitidezza aveva riportato sulla carta lo scintillio del mio sguardo, l’impetuosità dei miei capelli, la piega delle mie labbra. Presi un altro disegno. Il soggetto ero sempre io, ma in una posizione diversa: con il suo tratto morbido mi aveva ritratta mentre dormivo a pancia in giù, con addosso solo il lenzuolo che lasciava scoperta gran parte della mia schiena, la testa voltata verso sinistra, la bocca semi aperta. Aveva disegnato anche il piccolo neo che avevo dietro l’orecchio sinistro. Commossa, continuai a sfogliare e vidi che aveva più volte delineato i miei occhi, in tutte le sfumature e con tutte le emozioni, gioia, sofferenza, piacere. Mi sopresi a notare quanti ve ne erano di pensierosi e malinconici.

< Oh, Jack.. > sussurrai, cercando di trattenere le lacrime.

< Cosa devo fare con te? >. Quasi sussultai, ma in effetti dovevo immaginarmelo che non sarebbe rimasto lì buono buono ad aspettarmi. Forse avrei fatto meglio a godere di quegli ultimi momenti con lui, piuttosto che stargli lontana.

Mi voltai, incurante di avere gli occhi lucidi, e mi fiondai tra le sue braccia. Mi strinse forte e mi sentii morire. Gli baciai la base del collo e il mento e poi la boccca preda di un’incontrollabile emozione.

< Ho il binocolo > gli soffiai sulle labbra con voce tremante, non sapendo cosa dire per fargli capire come mi sentivo < Muoviamoci >

Lui sorrise, strofinando il naso tra i miei capelli < Ti amo anche io >.

 

I ragazzi che erano di vedetta non riuscivano a capire perché gli stessimo dando il binocolo ed inizialmente dissero di non preoccuparci, dicendo ridendo che se la sarebbero cavati benissimo da soli. Vedendo però che non demordevo, ed diventavo via via più irascibile, si limitarono a ringraziarci, evitandomi la figuraccia di usare nei loro confronti epiteti poco carini del mio tempo. Ed una cosa era fatta. Intanto la sensazione d’ansia diventava via via più pesante sul mio stomaco.

Una figura dai i capelli rossi mi salutò da lontano e riconobbi Rose. Le andammo incontro e ci sorridemmo. Le avevo riportato il vestito quella mattina presto e mi aveva invitata a fare colazione con lei e Caledon, ma avevo rifiutato gentilmente, dopo quella scenata che avevo fatto la sera prima stare con quei ricconi era l’ultima cosa che volevo. Con lei passeggiavano anche sua madre, Molly e il signor Andrews.

Pensai che chiacchierare un po’ mi avrebbe fatto bene, distrarsi faceva sempre bene. E sentendo la mano di Jack che stringeva la mia, conscia che per il momento il peso che avevo sul cuore sarebbe rimasto comunque, mi accinsi perlomeno ad alleggerirlo per un po’, prestando attenzione alle inezie che la vita su una nave quel’era il Titanic presentava.

 

Buonasera.

Oh, non intendo giustificarmi, sono troppo stanca al momento per mentire. La verità è che sono un’inguaribile pigrona, il più delle volte senza ispirazione che con. La buona notizia è che oggi mi sono messa al lavoro con una voglia incredibile di continuare e sappiate che fra due, massimo tre giorni pubblicherò un altro capitolo, il penultimo credo. Spero che chi mi segue non sia stato scoraggiato dal lungo periodo di sosta.

Ringrazio tutti coloro che recensiranno e gradiranno ciò che scrivo. Un grazie speciale a Fiordaliso, che mi sostiene e mi da sempre emozioni e spunti. Questo nono capitolo lo dedico a lei!

Detto ciò,

a presto <3

Hime02

   
 
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