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Autore: Keaira Elenath    22/01/2008    2 recensioni
Cosa succederebbe se Sauron avesse avuto la malefica idea di generare discendenti?
Peggio ancora, cosa succederebbe se per farlo, avesse scelto di creare un essere perfetto, traendo da ogni razza ogni beneficio, unendo quindi il suo essere demoniaco con le caratteristiche elfiche e quelle umane?
Questa è la storia di una creatura creata dal male, generata per fare del male, ma che essendo appunto discendente di nobili razze, tra cui quella elfica, è dotata anche di sentimenti e sensazioni.
Un "piccolo" sconvolgimento del mondo di Tolkien, con l'apparizione di una nuova creatura, tra i personaggi storici di quest'opera.
E' la mia prima fanfiction, spero con tutto il cuore che piaccia, anche in minima parte.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Denethor, Faramir, Gandalf, Nuovo personaggio
Note: Alternate Universe (AU), OOC, What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo Quattro - The Escape

Sire Denethor rimase immobile nel palazzo reale, al suo posto, affianco al trono del Re di Gondor.

Sedeva su un seggio di marmo nero, il cui schienale era piuttosto rialzato, e per raggiungerlo, doveva salire due gradini, anch’essi in marmo nero.
Rispetto a quello del Re, era molto più piccolo, ma la sua presenza lì vicino stava a simboleggiare la sua importanza.
Il Sovrintendente era ancora lì, dopo che Faramir, suo figlio, gli aveva voltato le spalle senza rispondere alle sue provocazioni. Le braccia poggiate lungo i braccioli del seggio, strinse le mani su di essi, stringendo forte come se volesse frantumarli con la sua sola forza.
Era in collera con lui, più del solito.
Non solo perché era il prediletto di Gandalf ma ora anche perché aveva ignorato del tutto le sue parole, assumendo un atteggiamento più maturo rispetto al solito. Quelle parole erano sempre state molto dure, e per Faramir, erano un colpo al cuore ogni volta che le sentiva.
Denethor quasi si compiaceva del dispiacere che si dipingeva sul volto di suo figlio, quando lo sminuiva. E nonostante tutto, il giovane capitano, Faramir, non aveva mai osato rispondere per le rime a suo padre, magari litigando. Lui cercava solo di fargli capire quanto le sue parole fossero cattive.
Ma ora non era più così.
Qualcosa era cambiato...
E dato che non facevano più effetto quelle parole, Denethor sentiva l’animo bruciare di rabbia.
Si alzò in piedi.
Sapeva che adesso Faramir stava per raggiungere quella ragazza/creatura di cui avevano parlato. Appena suo figlio era tornato a Minas Tirith, Denethor aveva mandato le sue guardie a prendere Nolwen e l’aveva fatta rinchiudere nella stanza di sicurezza.
Sapeva anche questo, dell’arrivo di Nolwen.
Di solito le sue guardie non facevano quasi mai domande sui suoi ordini, ma quel giorno, sul loro volto, si scorse chiaramente il disappunto. E la motivazione, fu : << E’ alleata con il nemico >>.
Il motivo per cui Denethor fosse così sicuro delle sue parole e sapesse tutto in anticipo, era che aveva fatto uso del Palantir, ancora una volta, senza che nessuno lo sospettasse.
Il Palantir, la Pietra di Minas Anor, era una sfera perfetta, che in stato di riposo, appariva fatta di vetro o cristallo massiccio, di colore nero cupo.
Il suo nome, in elfico, significava ‘lugimirante’, e la sua particolarità era infatti, di dare visioni lontane nel tempo e nello spazio, e di poter comunicare con un altro Palantir, trasmettendo l’un l’altra le immagini di quanto la circondava. Concentrandosi su determinati obbiettivi, si potevano pilotare queste visioni, e avere tutte le informazioni necessarie, attraverso le altre Pietre. Tuttavia il loro uso non era semplice, e il diritto di scrutarle era riservato ai sovrani di Nùmenor prima, e poi agli eredi di Anàrion e di Isildur.
I Palantir, erano considerati pericolosi, proprio perché una trasmetteva immagini all’altra. E se una fosse caduta in mani sbagliate (come successe tempo addietro, quando una fu nelle mani di Sauron), avrebbe potuto causare non poche disgrazie, rivelando strategie di battaglia e decisioni dell’avversario.
Gli unici Palantir ancora esistenti a quel tempo, erano appunto quello di Minas Anor, e quello di Orthanc.
Nessuno, a Minas Tirith, aveva mai osato usarla in precedenza, proprio perché si sapeva quanto potesse essere pericolosa e che solo gli eredi del Re potevano scrutarle.
Ma sire Denethor, sentendosi autorizzato come Sovrintendente del Re, ne aveva fatto uso durante gli ultimi anni, venendo a capo di informazioni non vere, e soprattutto attirando l’attenzione di Sauron.
Questi, non aveva più con se il Palantir, ma essendo un puro spirito demoniaco, aveva il potere di vedere attraverso esse. E avendo questo potere, aveva anche modo di manipolare le visioni e così irretire chiunque stesse scrutando il Palantir.
Ed era proprio quello che era successo a sire Denethor.
Egli aveva avuto visioni riguardanti suo figlio Boromir e il modo in cui era morto, completamente distorte rispetto alla realtà. Così come, aveva visto Gandalf comportarsi in modo strano e portare tutte le situazioni della Terra di Mezzo a suo favore.
E ancora, aveva visto Nolwen. Ma in questo Sauron non c’aveva messo lo zampino. Anzi egli stesso rimase a guardare attraverso il Palantir di Denethor, ciò che veniva mostrato. Erano strane immagini di Nolwen, che egli stesso non seppe interpretare.
Denethor le interpretò come ostilità, ovviamente, e sentendosi completamente conscio delle sue azioni, diede l’ordine di rinchiuderla, in modo da prevenire qualsiasi azione da parte della ragazza/creatura, in attesa di una decisione definitiva sulla sua sorte.
Ora però che suo figlio Faramir, stava per andare da lei, si sentiva turbato e non più tanto al sicuro. Doveva sapere cosa voleva suo figlio da quella ragazza.
Voleva coglierlo in fragrante, mentre cospirava contro di lui.
Perché ne era sicuro: suo figlio tramava per rovesciare il suo trono. La sua paura, lo aveva reso cieco alla verità.
Si voltò e facendo il giro attorno al trono del Re, si diresse verso una porta che si trovava proprio lì dietro. Portava a varie ‘scorciatoie’ in giro per il palazzo reale, e solo chi le conosceva bene, riusciva a trovare la giusta strada, senza perdersi.


Nel frattempo, Faramir era finalmente giunto al corridoio che portava alla stanza di sicurezza. Il palazzo reale era molto grande, e aveva una serie infinita di corridoi.
I suoi passi echeggiavano lungo i vari androni, silenziosi, freddi e vuoti. Il suo avanzare era l’unico suono percepibile.
Più avanzava, più pensava al posto in cui si trovava Nolwen.
Quella stanza, al contrario delle celle per i prigionieri, si trovava in una delle torri più alte. A questo era dovuta soprattutto la temperatura così bassa all’interno della stanza.
Due uomini erano a guardia della porta, immobili accanto ad essa, uno a destra e uno a sinistra. Un altro era seduto poco più in la, colui che custodiva la chiave.
Camminando verso di loro, Faramir iniziò ad avere il dubbio che quell’uomo non gli avrebbe consegnato facilmente la chiave della stanza, o eseguito i suoi ordini.
Seppure egli fosse un capitano di Gondor, quelle guardie erano anche sotto il comando del Sovrintendente e dovevano rispondere prima a lui.
Decise comunque di tentare, e sperare di non dover ricorrere alla forza – cosa che detestava -.
La guardia si alzò subito in piedi, non appena vide avvicinarsi il capitano.
Fece il saluto militare che gli spettava.
Faramir lo salutò a sua volta, ma senza dire niente. Lo guardò per un attimo negli occhi, per poi avvicinarsi alla porta della stanza, lentamente, senza degnare di uno sguardo le altre due guardie.
Doveva avere un’aria autoritaria e sicura. Erano le carte vincenti di chi si trovava al comando. Al minimo cenno di insicurezza, avrebbe potuto lasciar intendere che ci fosse qualcosa che non quadrava.
Ma lui era abituato a queste situazioni. E poi, era davvero più forte di quanto si potesse pensare. Moralmente, era un uomo tutto d’un pezzo, pronto a morire per i suoi principi, e per aiutare chi avesse bisogno.
Si fermò davanti alla porta, e si girò di lato, verso la guardia con le chiavi, fissandolo, in attesa.
Questi, era rimasto fermo dov’era, senza aver seguito il capitano, cosa che invece lui si aspettava facesse.
<< Cosa aspetti? >> disse Faramir, osservandolo dritto negli occhi.
<< S-signore? >> chiese la guardia. Sembrava confuso, ma sapeva bene a cosa si riferiva il capitano.
Faramir alzò di più la testa, drizzò la schiena, e lo fissò severamente. La sua figura si fece più poderosa.
<< Apri - questa- porta >> rispose, scandendo tutte le parole, lentamente, con un leggero tono irritato nella voce.
La guardia, continuò a guardarlo, indeciso sul da farsi. I suoi ordini erano chiari, e i suoi doveri erano verso il suo sovrano, sire Denethor.
Ma anche il capitano Faramir era un suo superiore, nonché leale capitano da anni, e uomo di cui si fidava, come tutti in città: era un uomo in cui tutto il popolo di Gondor riponeva una grande fiducia e rispetto.
Dopo aver esitato per qualche istante, la guardia si decise, facendo qualche passo in avanti verso il capitano.
Tese la mano, e infilò la chiave nella serratura.
Ancora una volta esitò. Girò lo sguardo verso il capitano, guardandolo incerto, quasi come a voler chiedere pietà.
<< Signore, non crede che... >> balbettò la guardia.
<< Te lo ripeto per l’ultima volta, apri questa porta...! >> Faramir non gli diede il tempo di finire la frase. Il suo sguardo severo ora era fisso ancora di più sulla guardia, e attendeva solo un’altra esitazione, per sollevarlo dall’incarico e farsi consegnare la chiave.
Al ‘quasi ruggito’ del capitano Faramir, la guardia si fece forza, girò la chiave nella serratura, aprendo la porta.
Il capitano posò la mano sulla maniglia, e prima di aprire la porta, si voltò verso la guardia.
<< Qualsiasi cosa sentiate, non intervenite, non aprite la porta...sono stato chiaro? >> Faramir non sapeva perché gli avesse detto così, ma sapeva che voleva restare un po’ solo con Nolwen, capire quale fosse la situazione e chi fosse lei, senza essere disturbato.
La guardia annuì con la testa, una sola volta, uscì la chiave dalla serratura, e si voltò per tornare al suo posto.
Faramir, staccò finalmente lo sguardo da lui, e girò la testa verso la porta. Spinse in giù la maniglia, e l’aprì, lentamente.
Il suo sguardo si posò subito all’interno della stanza, ma era buio. Non si vedeva quasi nulla. Solo un piccolo spiraglio di luce penetrava dalla finestra, del sole che lentamente tramontava, e illuminava una piccolissima parte di quella stanza.
Fece qualche passo in avanti, lentamente.
Chiuse la porta alle sue spalle, e si rigirò verso la stanza.
Pian piano i suoi occhi si abituarono al buio, ma troppo tardi perché potesse evitare di essere preso alla sprovvista.
Si ritrovò di spalle al muro: qualcosa stringeva attorno al collo e lo teneva immobile vicino al muro.
Per quanto si sforzasse di liberarsi, non ci riusciva. Portò le sue mani vicino a ciò che lo stava strozzando, e capì che si trattava di due mani, gelide e esili.
La figura che lo aveva aggredito, e che ora lo stava strozzando, si fece più avanti, sotto lo spiraglio di luce, lasciando che la sua immagine finalmente si rivelasse: era Nolwen.
Faramir la fissò, sorpreso. Respirava a stento, per cui non riuscì più di tanto a trattenere il suo stupore.
Istintivamente, strinse di più le mani attorno a quelle di Nolwen, tentando di liberarsi. Ormai l’aria nei polmoni era quasi del tutto esaurita. Sentiva il sangue stringergli la testa, quasi come se da un momento all’altro avesse potuto esplodere.
Nolwen non accennava ad allentare la presa. Era in preda ad un attacco di rabbia intenso. Non distingueva il volto dell’uomo, in quell’aggrovigliarsi di emozioni negative. Ai suoi occhi era uno dei tanti uomini che per tanto tempo aveva osservato da lontano.
Più Faramir stringeva le mani attorno alle sue, più le mani di Nolwen si stringevano attorno al suo collo, come una tenaglia.
Fu un attimo, in cui la ragazza aveva improvvisamente allentato la stretta, come presa da un attimo di ripensamento, che Faramir riuscì a liberarsi: respinse le mani di Nolwen, e prima che lei potesse rendersene conto, afferrò le sue braccia bloccandole dietro la schiena. Era immobilizzata. Anche volendo, non le sarebbe stato facilissimo liberarsi, persino per lei. Avrebbe dovuto muoversi parecchio prima di essere libera.
<< Non voglio farti del male...>> disse a stento Faramir. Doveva ancora riprendere fiato del tutto.
Nonostante le sue parole, Faramir si accorse che Nolwen non opponeva nessuna resistenza. Sembrava si fosse arresa. Era immobile sotto la sua presa. Il che era già molto strano di per se. Aveva visto la forza di quella ragazza, era sicuro che se avesse voluto, si sarebbe potuta liberare in qualsiasi momento.
Questo non lo aveva fermato dal provare a bloccarla, se non altro per difendersi anziché lasciare di essere ucciso facilmente.
La osservò per un attimo, senza abbassare la guardia nemmeno per un attimo.
Nolwen fissava il pavimento. Il suo viso era quasi del tutto coperto dall’ombra dei suoi capelli. Non si scorgeva la minima espressione su di esso.
<< Manke im? (Dove sono?) >> sussurrò Nolwen, in un tono cupo, ma con una voce molto sottile e dolce.
Dopo un attimo, in cui Faramir fu completamente colto alla sprovvista – per la seconda volta - allentò appena la presa sulle braccia della ragazza.
Ancora non capiva quello che gli diceva, ma il suo stupore non era per quello, quanto nel tono in cui Nolwen aveva parlato. Sembrava essere completamente calma.
Che fosse un trucco?
Attese ancora qualche attimo prima di decidere cosa fare. Se era una trappola, non poteva cedere nemmeno per un attimo. Il minimo cenno di distrazione avrebbe potuto costargli la vita.
La ragazza non si mosse. A vederla, si poteva pensare che fosse completamente senza forze.
Alla fine Faramir decise: con molta delicatezza, lasciò andare Nolwen. Voleva fidarsi. Ma allo stesso tempo mantenne alzata la guardia.
Nolwen era ancora ferma. Il suo corpo non accennava il minimo movimento.
Solo le sue labbra si muovevano e ripetevano sottovoce sempre la stessa frase: << Manke im? >>

Faramir non sapeva cosa fare. L’unica cosa che gli veniva in mente al momento, era di chiedere aiuto a Mithrandir. Era l’unico nel raggio di miglia che potesse capire quella ragazza, e che probabilmente potesse aiutarla.
Ma non fece in tempo ad agire, che alle sue spalle sentì la porta aprirsi lentamente, accompagnata da una ventata di aria gelida proveniente dai corridoi.
Il capitano girò velocemente su se stesso, pronto a rimproverare la guardia. Era certo che fosse lui. Era pronto ad ammonirlo, la sua espressione si era trasformata improvvisamente, era in collera.
Non appena fece per aprire bocca, una voce – che non era quella aspettata – lo precedette.
<< Vuole sapere dove si trova…Conserva la rabbia per un altro momento, Faramir figlio di Denethor…>> un lungo bastone precedette l’entrata nella stanza dell’uomo al quale apparteneva quella voce <<…adesso dobbiamo portare via di qui questa creatura…>> gli occhi dello stregone si fermarono su Faramir, la solita espressione comprensiva e allo stesso tempo severa <<…in fretta…>> aggiunse infine.
Mithrandir, ‘il grigio pellegrino’, ora divenuto ‘il bianco’, era proprio lui.
Pensando a quanta fortuna lo aveva appena investito, Faramir si rigirò verso Nolwen. Questa era ancora per terra, senza forze, ma stavolta il suo sguardo era fisso su Mithrandir. O almeno ci provava.

I suoi occhi si socchiudevano alla vista della bianca luce emanata dallo stregone. Era una luce che racchiudeva purezza e innocenza, e ai suoi occhi l’effetto era simile all’acqua fredda versata su lava incandescente.
Mithrandir ricambiava lo sguardo della ragazza. La sua espressione per un attimo lo aveva tradito, rivelando una forte preoccupazione.
<< Andiamo… >> sussurrò Faramir, avvicinandosi a Nolwen con cautela, tendendole la mano.
La ragazza la osservò, poi fissò gli occhi di Faramir, poi Mithrandir e infine di nuovo la mano del capitano. Come una creatura impaurita e indifesa, che non comprende quello che le accade attorno.
Faramir girò lo sguardo verso Mithrandir, appena più indietro di lui, fissandolo, cercando di capire cosa potesse fare.
Ma prima che lo stregone potesse parlare, Faramir sentì sfiorare la punta delle sue dita, da qualcosa di gelido, che lentamente saliva sulla sua mano, sino a ricoprirne il palmo.
Tornò velocemente con lo sguardo su Nolwen. Era la sua mano.
Faramir la cinse appena con la sua e con delicatezza la tirò verso di se, per aiutarla ad alzarsi. Erano pronti per uscire dalla stanza.
Il capitano non aveva idea di come Mithrandir fosse riuscito a oltrepassare la guardia, ma conoscendolo – almeno in parte – non se lo chiese più di tanto.
Lo stregone si affacciò alla porta per controllare bene che non ci fosse nessuno ad ostacolare il loro passaggio. Lanciò uno sguardo infondo al corridoio, e scorse Pipino, intento a fare la guardia, che sventolava il braccio segnalando il via libera.
<<Ora!>> disse Mithrandir, lasciando passare avanti Faramir e Nolwen, per poi seguirli. Chiuse alle sue spalle la porta della stanza, serrandola bene.
Uscendo, Faramir vide le guardie della Torre, in piedi ad occhi aperti, ma completamente immobili. Sembrava che il tempo per loro si fosse fermato.
Passarono velocemente attraverso quella stanza e il corridoio che la precedeva.
Dopo che Mithrandir ebbe ‘sistemato’ le cose con le guardie, passò avanti al gruppo, guidandoli attraverso gli altri corridoi.
Faramir non aveva più idea di dove si trovassero, nonostante conoscesse bene quel palazzo. Succedeva tutto così in fretta e con agitazione, che per un attimo perse il senso dell’orientamento.

Finalmente arrivarono davanti ad una porta.
L’attraversarono e si ritrovarono tutti e quattro in una stanza.
Erano fuori dal palazzo reale, e il capitano non aveva la più pallida idea di come ne fossero usciti.
La stanza era piccola. Al centro un tavolo in legno, rotondo, non molto grande. Un camino al centro della parete, appena più dietro del tavolo, preceduto da qualche poltrona e un lungo divano.
Sul lato sinistro v’era un altro piccolo scomparto, la stanza da letto.
Una grande finestra chiudeva il tutto, ad arcata, seguita da un balconcino, non molto grande, ma abbastanza da ospitare Mithrandir e Faramir, i quali subito vi si recarono per parlare tranquillamente.
Pipino rimase con Nolwen.
La fece accomodare nella stanza da letto, assicurandosi che stesse al caldo, porgendole ogni sorta di coperta. Quella ragazza era così fredda, che non aveva pensato nemmeno per un attimo potesse essere fatta proprio così. Pensò solo che avesse molto freddo, un ragionamento logico dopo ch’ella era rimasta in quella stanza-prigione fredda per ore.
Che dolci gli Hobbit. Erano premurosi sempre e comunque. Pur non sapendo che qualcosa poteva costituire un pericolo per loro.
Uscì dal piccolo scompartimento da letto, senza porta, e si sedette ad una sedia che affacciava lo sguardo proprio sulla stanzetta.
Intanto Mithrandir e Faramir erano intenti in una discussione, fuori, sul balconcino, della quale all’interno della stanza, non si sentiva la minima parola.
<< Ogni spiegazione a suo tempo…>> disse Mithrandir <<…per ora devi solo sapere che abbiamo dovuto portarla via di lì, non solo perché tuo padre avrebbe potuto farle più male di quello che già le stava facendo facendola rinchiudere in una stanza così squallida, ma anche perché in quella alta torre è facilmente rintracciabile da…>> girò lo sguardo verso nord, verso le nuvole nere in lontananza, verso le montagne scure <<…Sauron…>> concluse.
Faramir lo guardò interrogativo.
Cosa c’entrava Sauron con Nolwen? Perché avrebbe dovuto cercarla? Si conoscevano? E soprattutto, Mithrandir cosa sapeva di lei esattamente?
Non pose nessuna di queste domande.
Da uomo saggio qual’era, sapeva bene che lo stregone non avrebbe risposto a nessuna delle sue domande. Gli avrebbe rivelato tutto al momento opportuno, quando meglio egli l’avrebbe ritenuto.
  
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