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Autore: Finnick_    09/07/2013    3 recensioni
Le persone scompaiono, gli affetti svaniscono.
Tre anni di assenza sono tanti. Il ritorno è più difficile del previsto.
Eppure la rete di Moriarty era stata distrutta...
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: John Watson, Molly Hooper, Mycroft Holmes, Nuovo personaggio, Sherlock Holmes
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
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Il grido di dolore era straziante.
Ruppe il silenzio del luogo buio e smosse terribilmente i sensi acuti che Sherlock aveva sviluppato nell’assoluto silenzio. Barcollò, ma cercò stabilità e piantò i piedi a terra.
Si guardò attorno con foga, ma tutto restò nero.
Ed ecco di nuovo il grido, tremendo, lungo e destabilizzante.
Sherlock sussurrò il nome di John e seguì la direzione da cui era venuto il grido. Era impossibile vedere qualcosa, era tutto così dannatamente buio. E silenzioso. Almeno questo lo aiutava a percepire anche il minimo rumore.
L’angoscia aumentava ad ogni passo.
Di nuovo l’urlo, questa volta era secco e lancinante e terminò con gemiti angustiati.
Sherlock corse, corse attraverso il buio, come se quello non fosse stato un edificio. Come se quella fosse stata solo una notte più scura delle altre. Come se quella fosse stata l’ultima, sensata possibilità di salvare John.
Dov’era Lestrade, adesso?
Ci sarebbe stato bisogno della sua pistola. Avrebbe sparato alla cieca, in quell’infinita oscurità, ma sarebbe stato meglio che correre solo e disarmato.
Dov’era Molly?
Il suo balbettio poco rassicurante, adesso, gli sarebbe stato di enorme conforto.
Continuò a correre e il fiato si fece corto.
Corse finchè non si imbattè in un invisibile, o quantomeno nero, muro. Senza esitare, tastò la parete liscia alla ricerca di una maniglia, un bottone o qualunque cosa potesse far scomparire quell’odiosa oscurità e farlo piombare tra le braccia di John.
La trovò: una maniglia.
La spinse.
Venne travolto da una luce abbagliante. Il grido si ripetè e lui non riuscì a muovere un passo. Gli occhi lacrimarono, le ginocchia toccarono terra.
Una voce lo chiamò.
“John!” gridò lui, ma non rispose nessuno.
Poi la voce di una donna pronunciò il suo nome: “Sherlock” . Si sentì spingere di lato, le forze non lo ressero più e cadde a sedere.
“No!” gridò  Sherlock “No, dov’è  John, dove? John!”
Ma a rispondere fu sempre una voce di donna. Lo chiamava per nome e lui si dimenò, si divincolò da una presa invisibile.
Cadde sdraiato. Tutto era luce, udì solo la voce femminile.
Non riuscì più a parlare.
Si svegliò.
 
“Sherlock, svegliati” di nuovo la voce della donna e la mano che lo spingeva di lato. Sembrava quasi lo volesse svegliare. Ma da che cosa? Doveva salvare John, non poteva pensare ad altro.
Il resto era un’ inutile perdita di tempo.
“Sherlock, vuoi svegliarti? Non fai che ripetere il nome di John”
Sherlock, contro voglia, aprì lentamente gli occhi.
“Bravo” la donna si assicurò che si fosse ripreso e si lasciò andare sul seggiolino accanto con un sospiro.
“Dove…?” lui, invano, iniziò a parlare, ma quando realizzò di essere nella limousine di suo fratello, si interruppe. Si ricompose di scatto, si schiarì la voce e si concesse un secondo di tempo per guardarsi intorno. I finestrini erano oscurati, ovvio. Il vetro che lo separava dal guidatore era alzato, ovvio.
Molly era seduta accanto a lui e si torturava il lembo del maglione, ovvio.
Adesso che tutto era tornato ovvio, la realtà aveva un senso.
Quello di prima era un sogno.
“Che cosa ho detto, mentre...” fece poi a Molly, senza voltarsi a guardarla.
“Oh, niente di strano. Chiamavi solo il nome di John.” borbottò Molly, senza staccare gli occhi dal lembo ormai sgualcito del maglione.
Sherlock, col volto impassibile si appoggiò di nuovo al seggiolino e guardò fuori.
Erano nel pieno centro di Londra. La grande città brulicava della gente di mondo che affollava le strade e che si dirigeva verso i locali notturni più in voga. Le scene più comuni sfrecciavano in rapida sequenza di fronte ai suoi occhi attenti: un giovane che baciava la sua ragazza, un gruppo di scatenati con le birre in mano che cantavano i cori della loro squadra di calcio, un tizio che reggeva un amico mentre vomitava al lato del marciapiede.
Tutte persone così comuni.
Credevano di godersi la vita, quando non sapevano quanto tempo stavano in realtà perdendo dietro al niente.
Il calcio è niente, l’amore è niente, l’alcool è niente.  Forse un sorso ogni tanto può aiutare, ma una quantità esagerata distrugge inesorabilmente quelle poche facoltà mentali che la gente si ritrova.
Sherlock roteò gli occhi.
“Cosa…” iniziò Molly, che aveva intanto cambiato l’oggetto della sua tortura e si stava concentrando su un angolo della sciarpa che Sherlock aveva lasciato cadere accanto a sé. Lui si voltò a guardarla e cautamente le tolse la sciarpa di mano. Molly fece finta di niente e continuò:
“Cosa pensi di fare, una volta arrivato da Mycroft? Al telefono ti ha detto che nemmeno lui sa dove possa essere John.”
“Già, ma non avrebbe mandato una macchina a prendermi, se realmente non avesse saputo niente” rispose lui, indifferente.
“In effetti anch’io non capisco perché sono qui” aggiunse Molly, balbettando.
Sherlock non rispose. Era una domanda che si era effettivamente posto, appena aveva aperto la portiera dell’auto e se l’era trovata davanti. Ma non aveva fatto domande. Molto probabilmente Molly sarebbe stata utile per lo studio di qualche particolare campione. Questo confermava l’ipotesi che Mycroft aveva davvero del materiale fra le mani.
Si arrotolò la sciarpa intorno al collo e attese impazientemente di arrivare a destinazione.
***  
La mattina stessa.
 
L’aria del sottoscala era fredda.
La signora Hudson era uscita per fare le abituali compere, Sherlock se ne era accertato.
Da quando era tornato non aveva fatto che seguire John e Martha per capire quando poter entrare di nuovo nell’appartamento, inosservato.  
Tre anni di assenza pesavano su di lui e sui suoi ricordi. Nel suo palazzo mentale aveva ben conservato tutto, per carità, ma prima di tornare da John a braccia spalancate pretendendo che tutto si sarebbe ricomposto, voleva vedere come procedeva la vita senza di lui.
Uscì dal sottoscala quando fu sicuro che la signora Hudson non sarebbe rientrata alla ricerca di qualcosa di distrattamente dimenticato. Salì gli scalini scricchiolanti e, quando fu in cima, spalancò la porta ovviamente aperta. Non c’era nessuno, come previsto.
C’era solo un caos tale da far pensare a Sherlock che John da solo non sarebbe riuscito a farlo. Lui si era sempre lamentato della confusione che Sherlock lasciava dopo una notte in bianco o una giornata piena.
E adesso quel posto era così.
Il sospetto si fece immediatamente strada in Sherlock e soppiantò la vaga scintilla nostalgica che stava prendendo piede nel suo cuore, alla vista dell’appartamento così tanto condiviso con John.
Mosse qualche passo, lento. Dovette scavalcare soprammobili andati in mille pezzi, riviste strappate e …
Macchie di sangue?
Sherlock si piegò immediatamente a verificarne la natura.
Era sangue, fresco, trall’altro.
C’era stata una colluttazione, in quella stanza, e qualcuno aveva perso. Dov’era John? Perché non spuntava da dietro l’angolo del cucinotto, magari con un livido in faccia, dicendogli che era andato tutto bene?
Perché non era così.
Improvvisamente Sherlock si rese conto della gravità della situazione e corse in cucina.
Sul tavolo un foglietto:
C’è stato un problema, niente di grave, signora Hudson.
La contatterò io, nel frattempo non mi cerchi.
 
John
 
“Nel frattempo non mi cerchi”? Che senso aveva?
A John era successo qualcosa. Sherlock tirò fuori di tasca la fedele piccola lente ed esaminò il foglietto.
“Stropicciato, segno di ansia. La calligrafia è di John, ma è insicura e frettolosa, qualcuno deve averlo costretto a scrivere il messaggio, magari con una pistola puntata alla tempia, ma questo era deducibile fin dall’inizio. Non è sporco di sangue, evidentemente la colluttazione è avvenuta dopo che ha scritto il biglietto” sussurrò fra se, senza preoccuparsi troppo di scandire bene le parole pronunciate di fretta.
Prese il biglietto e lo infilò in tasca insieme alla lente di ingrandimento che portava sempre con sè.
Si diresse a grandi passi verso la finestra. La forzò come meglio poteva, ma era chiusa dall’interno. Non lo avevano portato via da lì.
Con i battiti stupidamente accelerati, corse giù per le scale, tirò fuori il cellulare dalla tasca e decise di correre il rischio. Mentre premeva il tasto di chiamata rapida e si avvicinava il telefono all’orecchio, guardò dallo spioncino della porta d’ingresso per accertarsi che non ci fosse nessuno di conosciuto.
“Che ti è venuto in mente?” la voce dall’altra parte del telefono aveva risposto. Mycroft era evidentemente rimasto sorpreso: usare il cellulare avrebbe aumentato le possibilità di essere rintracciato e questo Sherlock non poteva permetterselo, non prima del suo ufficiale ritorno dall’aldilà.
Sherlock fece come se il fratello non avesse mai parlato e, prima di aprire la porta e uscire in strada, disse secco:
“John è stato rapito.”

NOTA AUTRICE: Vorrei ringraziare in particolar modo Yaya, che nella stesura dei capitoli di questa storia, d'ora in poi, mi ha aiutato con idee e correzioni e a lei devo la bellissima immagine di copertina della storia. Grazie infinite, lo sai già :) E grazie anche a _WhatsErname per il suo perenne appoggio, in tutto quello che scrivo. Infine, ma non meno importante grazie anche a Yllel, con cui abbiamo iniziato un piacevole scambio di recensioni e letture. Un bacio a tutte, sperando di non deludervi andando avanti!
  
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