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Autore: Clarrie Chase    09/07/2013    4 recensioni
La storia è ambientata 5 anni dopo l'albo 29 di Monster Allergy.
Dal 2° Cap.:
Zick inspirò l’aria consumata dell’Antica Armeria e richiamò a sé tutte le sue forze per rimanere calmo: i passi lenti e costanti di Elena, accanto a lui, servivano da deterrente a quella brutta sensazione alla bocca dello stomaco che minacciava di mangiarlo vivo.
La nostalgia per un mondo a cui non apparteneva più da molto tempo.
Dal 3° Cap.:
« Non si consuma, se la fissi in quel modo? », lo prese in giro Teddy, avvicinandosi a lui ridendo. Zick gli mostrò la lingua: « Pensa a come guardi Lay, piuttosto. » replicò, prima di scoppiare a ridere.
Dal 4° Cap.:
« Fa tanto freddo. », sbuffò Elena, portandosi la coperta sopra gli occhi.
Evan sorrise, al buio. « Hai ragione. Credo che la caldaia sia di nuovo rotta. ».
« Di nuovo? », Elena spalancò gli occhi sorpresa, ma anche lei non si mosse, per evitare che la brandina scricchiolasse sotto il suo peso: « Zick non mi aveva detto che era rotta, prima. Avremmo potuto dormire da me, stanotte. ».
Genere: Avventura, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro Personaggio, Elena Patata, Zick Barrymore
Note: Otherverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ciao! Ebbene, rieccomi col secondo capitolo. Anche se non conto di aggiornare più, visto che la storia sembra non piacere a nessuno, visto che non lasciate recensioni. Perciò godetevi l'ultimo capitolo - anche se nel computer la storia è quasi terminata. 

L.L.

The Past


Si svegliò di soprassalto, quando all’improvviso il Domanometro iniziò ad emettere il fastidioso e squillante suono di allarm: il Domatore si stropicciò gli occhi e brontolando raggiunse l’aggeggio infernale. La valvoletta che segnava i picchi di Energia Dom nella città di BigBurg era di nuovo sulla zona rossa, ad indicare che in un determinato luogo della città era stata localizzata una nuova e potente forma di Energia Dom. L’uomo sospirò forte, e uno sbuffo di vapore caldo si liberò dalla sua bocca per disperdersi dell’aria: Dio, quanto detestava l’inverno. E quella brutta macchina. E vivere in quella dannata caverna, come un esiliato.
Sicuramente, stava captando l’ennesimo falso positivo della settimana.
Stava per spegnere la macchina quando questa iniziò a stampare alcuni fogli: non l’aveva mai fatto prima. Il Domatore strappò via i fogli dalla bocca di ferro della macchina e li lesse: erano una serie di coordinate e vari altri numeri. Lui non sapeva leggere quei fogli, perciò avrebbe dovuto mandarli avanti perché lui li interpretasse e li rimandasse indietro.
Dov’era finita, la scatola varco dimensionale? La cercò a tentoni trovandola sotto il suo letto; dette un ultimo sguardo ai fogli, prima di metterli nella scatola e richiuderla. Pochi minuti dopo l’interno della scatola si illuminò di azzurro, e il Domanometro ricominciò il suo schiamazzo fastidioso.
L’uomo pallido imprecò, tappandosi le orecchie frastornato. Riaprì la scatola e al posto dei fogli vi era un unico messaggio scritto a mano, della sua stessa calligrafia: le lettere ‘m’ e ‘n’ erano scritte all’inverso. Era sconfortante appena un po’, pensare che non avrebbe mai imparato a scrivere come si deve. Il messaggio era questo: “Fase uno. Che il Progetto Dom abbia inizio!”. Un sinistro sorriso si dipinse sul suo volto gelido, rivelando tanti piccoli denti appuntiti.
 
***
 
Evan si ritrovò ancora una volta a tentare di allentare i nodi che gli tenevano costrette le mani dietro la schiena, e a rabbrividire contemporaneamente. Si trovava scalzo, con pantaloncini corti e maglietta a maniche corte, chiuso in una delle cripte dell’Antica Armeria. Quegli sconosciuti che occupavano l’Armeria gli avevano requisito immediatamente i Telepattini e il borsone di suo padre. Timothy non gli aveva creduto, quando Evan aveva tentato di parlargli. Addirittura non lo riconosceva! E dire che lo aveva visto innumerevoli volte da bambino.
E di suo padre e sua madre nemmeno l’ombra. Figuriamoci di sua sorella, di Henry e di Clare Thaur. Non che l’assenza di questi ultimi lo turbasse più di tanto. Ma era tutto strano.
Ancora poteva sentire il dolore che gli avevano provocato i Telepattini, ma non erano nulla in confronto alla paura – al terrore – che provava in quel momento.
Lo avevano legato e chiuso in una cella, senza ascoltare quello che aveva da dire, come se fosse un pazzo delirante. E non c’era nessuno – nessuno -  che conosceva – o che lo riconosceva. E il freddo. Il freddo! Si gelava.
Evan non avrebbe potuto immaginare un risvolto degli eventi peggiore, quando si era alzato dal letto quella mattina.
 Udì dei passi in avvicinamento, perciò smise di ribellarsi ai nodi che lo legavano e attese di vedere chi veniva a trovarlo: era un uomo alto, biondo e con la barba incolta. Aveva sentito qualcuno, prima, chiamarlo Terrence.
Terrence aprì la porta della cripta e fece ad Evan un cenno con la testa: « Su, alzati. E’ arrivato il momento di interrogarti. ». Evan si alzò barcollando e dopo alcuni passi cadde nuovamente: aveva i piedi intorpiditi dal freddo, e non riusciva a camminare. Terrence sbuffò spazientito e lo raggiunse, tirandolo su per il colletto della divisa scolastica e spintonandolo davanti a sé fino alla Piazza delle Cento Porte. Lo lasciò cadere su di uno sgabello come se fosse una camicia stropicciata, ma Evan non si lasciò sfuggire alcun lamento: c’erano troppe persone ad osservarlo.
Uomini e donne e ragazzi e ragazze e tanti, tanti mostri. Evan non aveva mai visto l’Armeria così affollata. Dal cerchio che la gente formava intorno a lui uscì Timothy, che lo scrutava con sospetto.
« Come ti chiami, ragazzo? », domandò il Tutore Stellato, imperioso.
Evan deglutì: « Mi chiamo Evan. ». rispose, battendo i denti. Una ragazza dai capelli blu all’incirca della sua età, che somigliava tanto a sua sorella, sussurrò qualcosa al ragazzo biondo al suo fianco. Lui la zittì, ignorandola. Timothy prese a girargli attorno, pensieroso: « Qual è il tuo nome completo? », ripeté pazientemente il gatto. Evan si morse il labbro inferiore, guardando in basso.
« Barrymore. Evan Barrymore. ».
Al sentir quel nome, immediatamente la Piazza delle Cento Porte si animò del vociare concitato di tutti coloro che assistevano all’interrogatorio.
Timothy corrucciò la fronte indispettito, e Terrence sbottò: « Bugiardo! », esprimendo a gran voce il pensiero che attraversava la mente di tutti i presenti.
Evan strinse i denti, ormai decisamente arrabbiato: « Non sono un bugiardo! »
« Silenzio! » ringhiò Timothy, esasperato: immediatamente calò il silenzio.
Il petto di Evan si alzava e si abbassava dalla rabbia: era sicuro che quello che stava subendo violasse almeno tre comandamenti.
« Perché sei venuto all’Antica Armeria? », gli chiese Timothy, fissandolo.
Il ragazzo non riusciva a ricambiare lo sguardo di quell’estraneo, e fissava i suoi occhi altrove: « E’ stato mio padre a dirmi di venire. Aveva dimenticato a casa il suo stupido borsone. »
Timothy parve gradire la risposta, perché fece a Terrence un cenno col capo: lui allora venne avanti, tra le mani il borsone di suo padre. Lo posò a terra e tirò la cerniera. Evan lo guardò accigliato ma non disse niente.
« Che cos’è questo oggetto? », domandò Terrence, estraendo dal borsone un prisma blu.
Evan roteò gli occhi: « E’ una Memoria per Dombox Universale, idiota. »
Terrence strinse il prisma tra le mani e lo gettò per terra con rabbia: sobbalzarono tutti, incluso Evan. « Ma sei fuori? », esclamò il ragazzo dai capelli arancioni, spaventato.
Dal prisma scaturì una voce metallica, come quella dei Dombox, e una luce proiettata proprio dall’oggettino: « Confermare la Traccia Vocale per accedere alla Memoria per Dombox Universale », disse la voce metallica atona, mentre le medesime parole scritte venivano proiettate sopra il prisma. I presenti ammutolirono dalla sorpresa, arretrando come dei cavernicoli di fronte al fuoco: solo Terrence parve farsi coraggio e fece un passo avanti. « Terrence Thaur. », proclamò con voce un po’ titubante. Evan roteò nuovamente gli occhi e sibilò a bassa voce « Idiota. », mentre la voce metallica della Memoria rispondeva: « Traccia Vocale non riconosciuta. Confermare la Traccia Vocale per accedere alla Memoria per Dombox Universale »
Evan chiuse gli occhi, facendo ricorso a tutte le sue energie per usare la Voce Dom: « Evan Barrymore. ».
« Traccia Vocale riconosciuta. Effettuare l’accesso alla Memoria per Dombox Universale? », domandò servile la voce metallica che scaturiva dal prisma, mentre l’immagine di Evan veniva proiettata sopra il prisma. « Chiudi il sistema, Memoria. », ordinò Evan, con voce stanca. « Chiusura in corso. ». La luce proiettata dal Prisma vacillò e si spense poco dopo.
Timothy guardò accigliato e un  po’ scettico il Prisma, ma iniziava a nutrire dei seri dubbi circa l’origine dell’identità dell’intruso.
Terrence agguantò un altro aggeggio dal borsone: era una piccola pistola del medesimo colore del prisma, ma invece di un grilletto aveva vari bottoni di diverso colore sull’impugnatura.
« Cos’è questa diavoleria? ». Evan assottigliò lo sguardo: « Secondo te?? E’ un Dombox! » esclamò, contrito. Timothy guardò sorpreso quel piccolo aggeggio: « Se quello è un Dombox, dove vanno i mostri che vengono inscatolati? », domandò, incuriosito. « Ovviamente vanno nella Memoria. », affermò il ragazzo legato con aria saccente. « Non ci credo. », annunciò Terrence, impugnando la pistola e puntandola verso un grassoccio Bombo che se ne stava in disparte con altri mostri. L’uomo biondo premette il pulsante verde e Bombo venne immobilizzato: nella Piazza, tutti si allertarono. Contemporaneamente, la Memoria si attivò da sola: « Specie: Bombo. Livello di pericolo: Inesistente. Inscatolare? ».
I mostri intorno a Bombo sembrarono cadere dalle nuvole: che stava succedendo?
 
« Arresta il sistema. » affermò Evan, facendo uso della Voce Dom. Il prisma si spense e la pistola smise istantaneamente di immobilizzare Bombo, che, assieme agli altri mostri, andò a nascondersi spaventato. Gli altri Domatori presenti nella stanza sussurravano tra di loro parole che Evan non poteva sentire, fissandolo come se fosse lui il mostro nella stanza.
Ancora, Terrence estrasse dal borsone un sacchetto di  zollette di zucchero di forma triangolare, lasciando ricadere con attenzione il Dombox all’interno. « Che cosa sono questi?  », domandò il Domatore, guardingo.
Evan sbuffò, incredulo: « Sono zollette di zucchero! », esclamò stancamente: quant’era testardo quel Terrence. In qualche modo, gli ricordava Clare.
Ripensare ai suoi quasi-amici gli fece tornare consapevolezza della situazione assurda in cui si trovava, e i suoi occhi blu si adombravano di tristezza e preoccupazione.
La folla che presenziava all’interrogatorio aveva ricominciato a mormorare concitatamente, e Timothy stava per richiamare nuovamente la loro attenzione quando all’improvviso vide Zob entrare nella Piazza delle Cento Porte con al seguito Zick ed Elena.
Evan seguì il suo sguardo e, nel guardare Zob, non riuscì a reprimere un’esclamazione di pura sorpresa: « Nonno! ». Timothy si voltò di scatto verso Evan, sconvolto, ma il ragazzo non lo guardava, non aveva occhi che per Zob.
« Terrence. Porta immediatamente i Telepattini del ragazzo da Uzca, nella città sospesa. », ordinò, tentando di mantenere la calma. Terrence si immusonì come un bambino: « Fammi almeno salutare Zob! », protestò, sbuffando. Timothy scosse la testa. « Vai, adesso. »
 
***
 
Zick camminava di fianco ad Elena dietro suo padre, mentre insieme varcavano la soglia della Piazza delle Cento Porte: lontano, tutti i suoi vecchi amici erano disposti a cerchio attorno ad un ragazzo che da quella distanza non riusciva a vedere bene.
Ma vedere tutti quelli che conosceva, dopo quasi 5 anni di distanza, gli fece un bell’effetto.
Come lui, Teddy era diventato decisamente più alto di prima; Lay era, se possibile, ancora più magra di come la ricordava, e Bobby aveva un fisico decisamente più allenato. Gli adulti, sembravano tutti più vecchi e più stanchi. I gemelli sembravano stare affrontando i brufoli e l’irrequietezza tipici della pre-adolescenza.
Inspirò l’aria consumata dell’Antica Armeria e richiamò a sé tutte le sue forze per rimanere calmo: i passi lenti e costanti di Elena, accanto a lui, servivano da deterrente a quella brutta sensazione alla bocca dello stomaco che minacciava di mangiarlo vivo.
La nostalgia per un mondo a cui non apparteneva più da molto tempo.
Vide Terrence separarsi dal gruppo e prendere una delle scalinate che portavano verso l’alto, al covo dei Flyvan, con in mano un paio di Telepattini molto graziosi. Allora cercò di vedere oltre la folla, al ragazzo che stava subendo quell’interrogatorio.
Zick si accorse che anche Elena lo stava osservando: aveva i capelli arancioni corti, grandi occhi blu, corporatura gracilina che veniva evidenziata dal fatto che tremasse come una foglia. E indossava una divisa scolastica che portava lo stemma della loro scuola superiore.
I due lo notarono insieme e si lanciarono uno sguardo confusi: la Oldmill High School non aveva divise scolastiche da più di 150 anni. Erano talmente fuori moda e spersonalizzanti…
Il temibile intruso non era altro che un ragazzino, apparentemente un loro compagno di scuola.
Raggiunsero il gruppetto, ed Elena si fece da parte per fare in modo che tutti salutassero Zick in modo appropriato: sfruttando la disattenzione di Timothy, la ragazza si avvicinò al temibile intruso. Lui la guardò col volto inclinato, come se avesse il torci collo: sembrava estremamente agitato, quasi come se avesse appena visto un fantasma. E tremava dal freddo, come una foglia.
Immediatamente, e senza che nessuno gliel’avesse chiesto, Elena si sfilò la pesante giacca di lana grigia che indossava e la posò sulle spalle del ragazzo, che per la prima volta quel giorno rabbrividì di piacere invece che di freddo. Le rivolse uno sguardo azzurrino di pura gratitudine, ed Elena si ritrovò inspiegabilmente ad arrossire: quello sguardo era lo stesso che Zick le riservava in alcune rare occasioni. « Grazie. », mormorò lui, timidamente.
Elena gli sorrise incoraggiante: il ragazzo non le sembrava cattivo. Si chinò al suo fianco, porgendogli la mano. « Mi chiamo Elena. ». Vide il ragazzo reagire al suono del suo nome, ma non si fece domande. Lui, le rispose tristemente. « Sono Evan. Ti stringerei la mano volentieri, ma le ho entrambe occupate. Posso batterti il cinque col piede, se vuoi. »
Elena rise, quindi guardò Timothy: « Non potete slegarlo, prima di interrogarlo? Credo che questo violi almeno tre comandamenti! », esclamò sorridente. Timothy le lanciò un’occhiata penetrante, ma annuì: « Slegalo pure, l’interrogatorio è finito. »
« E’ già finito?? », esclamò sconfortato Zob, a nessuno in particolare.
Zick aveva assistito con la coda dell’occhio a tutta la conversazione di Elena ed Evan, senza intervenire ma sentendo per l’ennesima volta quel giorno, una piccola fitta di gelosia stringergli lo stomaco. Come se già essere lì, in quel momento, non fosse abbastanza per lui. Senza Elena al suo fianco si sentiva perso.
Quando Elena prese a massaggiare le mani di Evan tra le sue per riscaldargliele, Zick decise che era il momento di intervenire: si avvicinò alla coppietta e si inginocchiò accanto ad Elena, senza alcun motivo particolare. « Allora, chi va in giro vestito così a Dicembre? », domandò, sarcastico.
Evan si irrigidì e ritirò le mani da quelle di Elena repentinamente, portandole all’altezza del volto per soffiarci sopra alito caldo. « Mi chiamo Evan, e ti posso giurare che stamattina era una calda mattinata di Maggio. ». Zick sorrise senza accorgersene, incuriosito: quel tipo non sembrava una minaccia – né per lui, né per l’Armeria. « Sono Zick. », si presentò l’ex Domatore, ridendo.
« Ehi Zick, vieni a vedere la roba che si è portato dietro Evan! AL-LU-CI-NAN-TE!! », gridò Teddy Thaur poco lontano da lì, col borsone del padre di Evan aperto davanti alle gambe.
« Ehi, quella roba non è tua! », esclamò Evan contrariato, facendo per alzarsi ma rischiando di cadere subito dopo. Cadde esattamente tra Zick ed Elena, che lo sostennero aiutandolo a rimettersi seduto. Elena lanciò a Zick uno sguardo preoccupato, che lui non fu troppo felice di recepire.
Elena si stava dando tanta pena per quello sconosciuto. Anche troppa, secondo Zick.
« Eddai, Evan, non fare il tirchiaccio! », sbuffò Teddy, frugando nel borsone. Ne estrasse un cubo di Rubik dai colori fosforescenti: Evan impallidì, mentre Zick ed Elena guardavano scettici l’oggettino tra le mani di Teddy. Prima che Evan potesse dire qualcosa, il Domatore biondo iniziò a spostare le caselle del cubo, che divenne incandescente e gli cadde di mano: una nuova luce veniva proiettata dal cubo: «Avvio Simulazione in corso. », disse annoiata la voce metallica proveniente dal cubo. Adesso Zick ed Elena guardavano ammirati il cubo, ed Evan avrebbe tanto voluto sprofondare sotto terra. Lay e Bobby nel frattempo si erano avvicinati a Teddy, interessati: quando sopra il cubo parve materializzarsi un Magnacat, tutti i Domatori presenti nella stanza – compresi Elena e Zick – si allarmarono, scostandosi in modo da creare un cerchio intorno a lui. Solamente Evan era rimasto al suo posto, massaggiandosi le tempie con aria stanca.
Partirono una serie di raggi Dom contemporaneamente, che attraversarono Magnacat come se non ci fosse: « Attendere l’avvio della Simulazione per iniziare l’allenamento. » comunicò atona la voce metallica proveniente dal cubo. L’attenzione di tutti ritornò nuovamente su Evan: « Ma che razza di roba hai nel borsone, ragazzino? », gli chiese un Domatore alto e tarchiato, con una bandana rossa sul capo. Evan aveva un gran mal di testa. « La roba che mio padre mi ha chiesto di portargli. » rispose, come se fosse la cosa più ovvia del mondo. Una delle donne Mamery si avvicinò al ragazzo dai capelli arancioni, sul volto un’espressione preoccupata: « Se tuo padre ti ha detto di venire qui, dov’è adesso? ».   
« E’ esattamente la stessa cosa che mi chiedo io. », borbottò Evan, guardando di sfuggita prima Zick e poi Zob, che non si accorsero di nulla.
Elena si sentiva così dispiaciuta per quel ragazzo! Sembrava che gliene fossero capitate di tutti i colori, quel giorno. Evan si alzò lentamente dallo sgabello e recuperò il cubo, sollevandolo da terra assieme all’immagine di Magnacat che pareva levitare, e digitando una combinazione speciale per spegnerlo. «Simulazione conclusa. », replicò obbediente la voce del cubo, mentre Evan lo rimetteva nel borsone e chiudeva la cerniera con uno scatto deciso, sfidando i presenti a vietarglielo. « Che cos’era, quell’affare?  » bofonchiò Teddy, ancora un po’ spaventato.
Evan non lo degnò di uno sguardo, facendo l’offeso: « Mio padre ha salvato i dati dei mostri che ha affrontato negli anni nel Software di Simulazione per allenare mia sorella. Quello era l’ultima simulazione che avevano attivato. ». Timothy riemerse in mezzo a loro, lo sguardo severo rivolto al nuovo arrivato: « Io e te dobbiamo parlare a quattr’occhi, ragazzo. », affermò lui, facendogli cenno di seguirlo.

   
 
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