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Back- 10
anni
Il
piccolo Aphrodite sollevò lentamente il capo dal banco,
stendendo le gambe che
aveva tenuto incrociate fino a quel momento ed arricciando infastidito
il naso
quando si rese conto che non toccava ancora terra. Eppure era cresciuto
di ben
tre centimetri in quelle due settimane! I suoi compagni di classe a
volte lo
prendevano in giro perché era basso per la sua
età, ma Aphrodite non ci faceva
caso: era minuto, ma perfettamente proporzionato. era sempre stato un
bambino
un po’ viziato e capriccioso, ma poteva
permetterselo… l’unico fastidio che a
volte provava era quel sentirsi diverso. Migliore. A se stesso poteva
confidarlo: era più carino, intelligente e forte dei suoi
amici.
Il
bambino però cercava di stare il più lontano
possibile da quei pensieri: lo
facevano stare male e lo confondevano solamente.
Ignorando
quindi la punta di irritazione per la propria bassezza,
puntò annoiato lo
sguardo sulla maestra, che sembrava persino più allegra del
solito nel
presentare il loro nuovo compagno di classe.
“Bambini,
lui è Angelo… si è appena trasferito
dall’Italia, ma conosce già la nostra
lingua! Siate gentili con lui, ok?”
I
bambini
esplosero in mormorii, saluti, urletti, che fecero sorridere
maggiormente la
maestra. Aphrodite, invece, sbuffò poggiando il mento sulla
mano: gli era
antipatica.
Sembrava
che parlasse con degli stupidi, come se a dieci anni non fossero
abbastanza
grandi per le cose! Sospirò con aria drammatica lanciando
un’occhiata al banco
vuoto al suo fianco: l’italiano sarebbe finito vicino a lui.
L’idea non gli
piaceva: aveva già degli amici ed anche se si riteneva un
bambino socievole si
annoiava a dover far sentire a suo agio uno sconosciuto. La mamma gli
aveva
detto tante volte che anche se non voleva doveva farlo comunque per
educazione,
ma quello non gli impediva di trovare la cosa
fastidiosa.
“Ecco
Angelo, il banco vuoto è il tuo, vicino ad
Aphrodite.” la maestra gli rivolse
un sorriso mieloso e cui lui rispose scostandosi una ciocca di capelli
dietro
le orecchie e spostando l’attenzione sull’altro
bambino che avanzava lentamente
: era sicuramente più alto di lui e già quello
era un brutto inizio…
I
suoi
capelli poi erano spettinati e poco curati. Sì, partiva
proprio male.
Ma
quello
che colpì Aphrodite furono i suoi occhi scuri: sembravano
due pozzi troppo
profondi in grado di assorbire qualsiasi cosa e in quel momento stavano
brillando di una luce divertita. L’italiano si sedette al suo
fianco ed Aphrodite
allungò lentamente una mano pallida verso di lui;
sobbalzò, sorpreso dalla
morsa in cui l’altro gliela serrò:
“Ahi…” si lasciò sfuggire,
pentendosene
subito dopo. Angelo tese le labbra in un sorrisetto, sussurrando:
“Sei
delicato, vero ciuriddu?”
Aphrodite
ritrasse con rabbia la mano: non aveva capito come l’altro lo
aveva chiamato.
Sospirò,
incrociando gambe e braccia e poggiando nuovamente la testa sul banco
ignorando
la voce irritante della maestra che annunciava l’inizio della
lezione: quella
era una giornata no, una di quelle in cui la sensazione che gli
mancasse
qualcosa lo tormentava fin quasi togliergli il respiro. Non capiva. Era
ancora
troppo piccolo per capire.
Si
agitò
leggermente sulla sedia, puggiandosi una mano sul cuore: batteva
disperatamente
e sembrava implorarlo di accontentarlo e dargli nuove esperienze, nuove
emozioni, nuova vita. Di più. Voleva di più.
Alzò con un scatto la mano,
respirando a fondo prima di parlare per assicurarsi che la propria voce
non
tremasse e chiese alla maestra di poter andare in bagno. Quando lei
acconsentì,
Aphrodite si alzò lentamente raggiungendo con la solita
calma e grazia che lo
caratterizzavano, ma non appena fu solo in corridoio
cominciò a correre,
sentendo le prime lacrime sfuggire dai suoi occhi.
Spalancò
la porta del bagno fiondandosi al lavandino più vicino,
sciacquandosi il viso
con acqua gelida, poi, finalmente, sollevò lo sguardo per
incontrare il proprio
riflesso: Aphrodite era lì, pallido, che lo fissava con gli
occhi arrossati e
le labbra leggermente dischiuse. Quello era lui. Quel bambino dal viso
spaventato era lui. Allungò una mano verso lo specchio,
facendo un salto
indietro quando arrivò a toccare le dita protese del proprio
riflesso: quello
era davvero lui. Ma chi era? La
domanda rimbombò nella testa del piccolo, che si
coprì entrambe le orecchie nel
tentativo di fermare quella voce: “Chi sei? chi sei,
Aphrodite? Nessuno.”
Si
lasciò
scivolare lungo la parete, sedendosi a terra e nascondendo il viso
sulle
ginocchia: pianse. Fu in quel bagno che, per la prima volta, qualcosa
si ruppe
definitivamente in Aphrodite, qualcosa che molto tempo dopo lo avrebbe
portato
lontano da casa, a rischiare la vita, a perdere se stesso inseguendo
un’illusione
senza vedere il baratro farsi sempre più vicino. Ma in quel
momento era ancora
troppo piccolo per capire.
Dopo
quelle che avrebbero potuto essere ore il bambino riuscì a
rialzarsi e scappare
da quel bagno in cui non avrebbe più messo piede, evitando
accuratamente lo
sguardo ferito e sanguinante del riflesso nello specchio. Quel bambino
sarebbe
sempre stato lì: anche molti anni dopo si sarebbe potuto
vedere un visino
spaventato e confuso chiedere aiuto, imprigionato in uno specchio dove
nessuno
poteva sentirlo. Stringeva fra le dita protese parte di un anima che si
era
strappata per la prima volta in quel luogo. Una sola persona avrebbe
ascoltato
il pianto di quel bambino, cercando in ogni modo di aiutarlo. Persino
quando
gli sarebbe sembrato troppo tardi.
Aphrodite
aprì la porta della propria classe tenendo lo sguardo basso,
liquidando la
maestra e la sua preoccupazione con un gesto svogliato.
L’unica cosa che
sentiva in quel momento erano gli occhi indagatori di Angelo bruciargli
la
pelle: in un altro momento avrebbe sollevato il mento con orgoglio
lanciandogli
uno sguardo di sufficienza, ma era troppo debole per indossare una
maschera in
quel momento. Gli occhi scuri dell’altro bambino lo mettevano
a disagio,
facendolo sentire quasi nudo davanti a tanta forza: gli stavano
togliendo ogni
copertura per cercare di leggere il suo cuore. Era la prima che
qualcuno
riusciva a scorgere Aphrodite, il
vero Aphrodite, dietro quel bambino viziato ed altezzoso. Ne era
sicuro, Angelo
ci stava riuscendo. Si sedette, lasciandosi quasi cadere sulla sedia,
ma prima
che potesse nuovamente la testa sul banco, Angelo lo afferrò
con forza per un
braccio costringendolo a voltarsi e guardarlo.
“Piangi,
ciuriddu?” mormorò ridacchiando
l’italiano senza lasciarlo. Aphrodite reagì
d’istinto,
schiaffeggiandolo.
Lo
sguardo di Angelo cambiò, ma non nel modo in cui si era
aspettato: credeva vi
avrebbe letto rabbia e irritazione, invece l’altro sembrava
solo sorpreso… e
preoccupato.
“Aphrodite!”
la voce della maestra li fece sobbalzare entrambi: “Come ti
è venuto in mente?
Sai benissimo che non si alzano le mani per nessuna ragione! Ora chiedi
scusa
ad Angelo, poi accompagnalo in infermeria e chiedi un po’ di
ghiaccio… portami
il tuo diario, mi costringi a darti una nota.”
“Non
gli
serve il ghiaccio per uno schiaffo. E poi, se l’è
cercata.” mormorò il bambino
carezzandosi i boccoli celesti senza staccare un attimo i propri occhi
da
quelli di Angelo.
“Non
peggiorare la tua situazione: fa ciò che ti ho detto.
Immediatamente.”
Aphrodite
inspirò a fondo, pronto a dar battaglia alla donna, ma prima
che potesse
ribattere Angelo si alzò trascinandolo con lui verso la
porta: “Si scuserà
strada facendo: mi fa male la guancia, voglio il ghiaccio. Discutete
dopo.”
quindi uscirono.
L’italiano
non gli diede nemmeno il tempo di respirare, strattonandolo lungo il
corridoio.
“Aspetta!”
mormorò Aphrodite cercando di fermarlo, invano:
“L’infermeria è dell’altra
parte!”
“Pensi
davvero che mi serva il ghiaccio per uno schiaffo?” il moro
rise, bloccandolo
contro il muro ed afferrandogli una mano: “Sei talmente
delicato che non
riusciresti mai a farmi male…”
“Non
sono
delicato!”
“Ti
avevo
addirittura scambiato per una ragazza…”
Aphrodite
lo spinse, irritato, ma l’italiano non si mosse di un
millimetro, ridendogli in
faccia: “Non ho ragione, ciuriddu?”
Più
cercava di ribellarsi, più Angelo gli si avvicinava, senza
smettere di ridere.
Poi Aphrodite si bloccò di colpo, sentendo il respiro
dell’altro sul proprio
viso: aveva il corpo completamente immobilizzato fra il muro ed Angelo,
che gli
stava talmente vicino che i loro nasi si toccavano.
“Bravo
piccolo, sta fermo…” sussurrò senza
perdere quel sorrisetto sghembo, ignorando
gli occhi di Aphrodite che si spalancarono: le loro labbra si erano
sfiorate
mentre Angelo parlava, ma l’altro sembrava non essersene
accorto nemmeno.
Ancora sorpreso il piccolo svedese non si oppose minimamente sentendosi
di
nuovo trascinare.
Come
in
trance vide Angelo aprire la porta d’ingresso e portarlo nei
giardinetti,
quindi, costeggiando il muro per non essere visti, arrivarono sul retro.
“Non
c’è
nessuno qui…” mormorò e
l’italiano rise ancora con il chiaro intento di
deriderlo: “Ma va, non lo avevo notato…”
Lo
spinse
costringendolo a sedersi su un gradino, fissandolo dall’alto.
“Non
mi
scuso.” sbottò Aphrodite dopo quasi un minuto di
silenzio ed Angelo sbuffò: “Sei
un tipo interessante, svedese. Sempre pronto a ribattere, eh? Sei il
primo che
ha trovato il coraggio di schiaffeggiarmi… cosa nascondi
ciuriddu?”
Aphrodite
sbuffò a sua volta, incrociando le braccia e fissandolo con
un sopracciglio
inarcato.
“Hai
paura, vero? Di essere troppo piccolo in un mondo così
grande…” l’italiano
sospirò sedendosi al suo fianco: “Ti capisco, sai?
E’ normale vedere di più.”
“Ma
come…?”
“Appena
sono entrato in classe ti ha notato: sei diverso da tutti i bambini che
ho
incontrato fino a questo momento. E chi è diverso
è solo.”
Aphrodite
si alzò: non voleva ascoltare quelle parole. Non voleva
sentire il proprio
cuore battere felice nella speranza di aver trovato qualcuno come lui,
qualcuno
che potesse capirlo. Se avesse ceduto a quell’illusione, se
si fosse spezzata
avrebbe sofferto e lui era davvero stanco di star male.
“Fermati.”
Angelo lo trattenne per una mano e lo costrinse a sedersi nuovamente:
“So che
hai paura. Fidati, lo so… lascia che mi occupi io di
te.”
Finalmente
Aphrodite lo guardò: era terribilmente serio. Sembrava
capirlo davvero.
“Forse
sei meno solo di quanto pensi.”
Chinò
nuovamente la testa sentendo gli occhi bruciare, ma il moro lo
costrinse a
guardarlo: “Lascia che mi occupi io di te,
Aphrodite.” ripeté, pronunciando per
la prima volta il suo nome: “Ti si legge in faccia che stai
male.”
Forse
fu
un gesto avventato, forse avrebbe dovuto riflettere di più
prima di annuire,
forse cedette a quella speranza che gli faceva battere il cuore
così velocemente
solo perché era ancora solo un bambino, ma in ogni caso
Aphrodite accettò
quella mano che, anche se un po’ rozza, si tendeva in suo
aiuto. Sorridendo,
quel bambino di dieci anni, non avrebbe mai immaginato che anni dopo
sarebbe
stata proprio quella mano a salvarlo da un mostro. A salvarlo da se
stesso.
Angelo sorrise a sua volta, cogliendo una margherita e porgendola
all’altro: “Ciuriddu.
Significa fiorellino. Non era un insulto, ma un
complimento…” spiegò,
visibilmente imbarazzato.
Aphrodite
rise stringendo leggermente il fiore fra le dita e lasciandosi
scivolare lungo
il petto dell’italiano fino a posare la testa sulle sue
gambe: “Grazie…”
“In
cambio mi aiuterai a trovare un nome decente, Angelo fa veramente
schifo…”
sussurrò il moro scostando i capelli dalla fronte
dell’altro.
“Forse
andremo molto più d’accordo di quanto
immaginassi.”