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Autore: Niglia    09/07/2013    11 recensioni
Ottobre, 1878. Parigi.
Il Fantasma dell'Opera non è morto. Anzi, non è mai stato più deciso a vivere di adesso. Accompagnato da dei nuovi piani di vendetta, torna nella città dalla quale è stato costretto a fuggire due anni prima, un uomo vuoto, senz'anima, con solo un nome nella testa che lo spinge a tornare a Parigi, in quello stesso teatro che in fondo è sempre stato il suo regno, la sua casa, perchè non può essere altrimenti...
E così la storia sembra ripetersi, ma c'è sempre qualcosa con cui dimentichiamo di fare i calcoli; possibile che il Fantasma possa trovarsi di fronte ad una ragazza - incredibilmente somigliante alla sua antica musa - capace di risvegliare in lui quel qualcosa che credeva essere morto per sempre?
In uno strano miscuglio di passato e presente, la strana vicenda del Fantasma dell'Opera sembra continuare a stupire e terrorizzare anche attraverso il tempo.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Erik/The Phantom, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Chapitre 35

Monsieur, I bid you welcome

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Did you think that I would harm her?

 

Entrare di nascosto nel palazzo Garnier si era rivelato decisamente più facile dell’ultima volta, rifletté Jean-Louis dopo essersi lasciato alle spalle il passaggio segreto celato dallo specchio. Forse era merito del passe-partout che gli aveva procurato sua madre, o forse più semplicemente era lui che sapeva cosa avrebbe trovato dall’altra parte e non era più spaventato dai fruscii delle tende e dagli spifferi che soffiavano nei corridoi, e dai quali si era lasciato suggestionare in passato.

Era trascorsa esattamente una settimana da quando Giulia era ritornata in quell’altra epoca, e come da promessa Jean-Louis si trovava per l’ennesima volta nelle gallerie labirintiche del teatro, stavolta armato tuttavia di una piantina dell’edificio che gli permetteva così di girare laggiù senza il timore di perdersi. In realtà temeva che la ragazza potesse non trovarsi nei sotterranei; ad essere sincero, anzi, lo sperava, dato che l’idea di saperla insieme a quell’uomo spaventoso che era stato la causa principale di tutti i loro problemi o, perlomeno, della maggior parte di essi, non era esattamente confortante – ma in quel caso non avrebbe saputo neppure dove andare a cercarla.

Man mano che avanzava procedendo sempre più in profondità, iniziò a riconoscere gli angoli, le ampie arcate, le crepe dei muri, i ganci di ferro privi di torce di cui gli aveva parlato la sorella, e fu così che comprese di essere vicino ai livelli più bassi del teatro, presso il lago sotterraneo, laddove si trovava, secondo le storie e le leggende, il dominio incontrastato del Fantasma. Non sapeva esattamente se essere confortato o spaventato da tale scoperta – dato che, se pure Giulia lo avesse accolto a braccia aperte, stessa cosa non si poteva dire del suo ammiratore – ma malgrado ciò Jean-Louis proseguì, senza neppure pensare di tornare indietro, e al contrario accelerando il passo per scacciare dalle ossa il gelo che permeava le gallerie.

Preso com’era dalla foga di raggiungere la sua destinazione, aveva cessato di controllare le mappe e di osservare con attenzione dove metteva i piedi; fu così che, dopo aver frettolosamente svoltato un angolo, inciampò in un rilievo del pavimento che attivò senza che lui se ne rendesse conto un qualche congegno situato pochi metri più avanti. Se ne accorse soltanto quando vi si trovò sopra, e a quel punto era troppo tardi. Una botola si aprì con uno scatto, facendo scomparire all’improvviso il terreno sotto ai suoi piedi, e Jean-Louis vi precipitò con un urlo strozzato, finendo in trappola come un topo di fogna.

In quel momento, un allarme acuto e sgradevole come unghie sul vetro iniziò a suonare in lontananza.

 

 

*

 

 

Erik non si trovava precisamente nella predisposizione d’animo adatta ad occuparsi dell’intruso. In passato non si era fatto mai troppi scrupoli nel proteggere il suo segreto e la sua casa dai curiosi che dalla superficie si arrogavano il diritto di andare a ficcanasare in territori al di là della loro portata, finendo poi con l’affogare misteriosamente nel lago sotterraneo e guadagnandosi come unico lamento funebre il Requiem che il loro stesso assassino si degnava di eseguire; aveva sempre messo la propria sopravvivenza davanti alle vite di quegli inetti, ma dall’ultima volta in cui si era macchiato di quei crimini erano trascorsi più di quattro anni, e la sua ultima vittima non era stato altri che l’allora conte Philippe de Chagny, come aveva senza troppa tristezza scoperto in seguito. Stranamente, tuttavia, la consapevolezza di aver ucciso il fratello dell’uomo che lo aveva privato della donna che amava non era servito un granché come balsamo per curare le sue ferite. Al contrario… non aveva fatto che farlo sentire ancora più miserabile.

Per cui, come già detto, Erik non era per niente eccitato all’idea di doversi macchiare le mani ancora una volta. Credeva che dopo tutto quello che era accaduto recentemente – i tragici eventi del ballo in maschera di capodanno ancora lo tormentavano ogniqualvolta chiudeva gli occhi, e il rimorso lo faceva dormire a malapena – gli abitanti del mondo di sopra avessero finalmente imparato a occuparsi dei propri affari e a non curiosare in zone che erano loro interdette, ma a quanto pareva la fiducia che aveva nell’istinto di sopravvivenza dei suoi simili era ancora una volta stata riposta nel momento sbagliato!

Una volta che l’allarme ebbe cessato di suonare, grazie a una sorta di interruttore che il suo inventore si era premurato di premere, Erik poté udire l’eco soffocato di urla provenienti da qualche parte nei dintorni, probabilmente dietro, o sotto, qualche muro. Stringendo le dita intorno al manico della pistola e al laccio del Punjab, si diresse a passo sicuro verso il punto dal quale proveniva la voce, deciso a mettere a tacere una volta per tutte lo stolto che aveva avuto il fegato di mettere naso nel suo regno. In realtà non aveva davvero intenzione di ucciderlo – con quale coraggio sarebbe tornato da Giulia, poi, e avrebbe osato guardarla negli occhi? – ma almeno di spaventarlo in modo che la prossima volta ci avrebbe pensato più attentamente prima di infilarsi nei suoi domini, e stordirlo, quello sì, in attesa di riportarlo poi in superficie e abbandonarlo privo di sensi da qualche parte in Rue Scribe, dove confidava che qualche passante caritatevole se prendesse carico e lo rimettesse in sesto. Aveva già funzionato altre volte, in passato, e non vedeva perché non avrebbe dovuto funzionare anche ora; a Giulia poteva sempre dire di essersi sbagliato, o che si era trattato di topi disattenti che avevano fatto scattare l’allarme dopo essere finiti in qualche vecchia trappola. E poi sarebbero potuti tornare serenamente al loro piccolo paradiso privato.

Fu con questo confortante pensiero che si diresse a passo sicuro verso la trappola che era certo di trovare piena.

 

Jean-Louis iniziava a non avere più sensibilità alle corde vocali. Aveva gridato così forte e così a lungo che ormai la voce gli si era ridotta a un sibilo rauco e doloroso, e come se ciò non fosse abbastanza stava per morire di sete. Stavolta non aveva portato con sé un borsone con acqua o attrezzi vari come l’ultima volta, e stava iniziando a credere che sarebbe potuto morirci in quei dannati sotterranei, prima che qualcuno si accorgesse di lui e venisse a salvarlo.

Arrampicarsi e cercare di uscire per conto suo, d’altra parte, si era rivelato impraticabile. Quella specie di pozzo era molto profondo, le pareti erano prive di appigli e iniziavano a restringersi sulla sommità, verso l’alto, come una cupola, e come se non bastasse erano viscide e ricoperte di muffa, cosa che rendeva impossibile qualsiasi tentativo di fuga. A rendere più macabra e sconfortante la sua permanenza laggiù, poi, contribuiva la presenza di vecchie ossa di dubbia natura – Jean sperava davvero che non si trattasse di ossa umane, benché ne dubitasse, ma grazie all’oscurità poteva contare sul beneficio del dubbio – sparse sul freddo pavimento della celletta, nonché lo squittio lontano di ratti ignari.

Perlomeno non soffriva di claustrofobia.

Per evitare di lasciarsi prendere dallo sconforto, e per avere l’illusione di fare qualcosa, il ragazzo ricominciò a urlare, chiamando aiuto; il tetro rimbombo della sua voce sulle pareti della cella sarebbe bastato a far impazzire gente ben più furba di lui, ma Jean cercò di non lasciarsi prendere dal panico. Se Giulia era riuscita a sopravvivere in quel tempo e in quel luogo, ragionò febbrilmente, non vedeva perché non avrebbe dovuto riuscirci lui.

Grazie a Dio, non dovette attendere molto tempo prima di udire un rumore di passi cadenzati spezzare il silenzio dei corridoi, facendosi sempre più vicino a dove si trovava.

«Ecco che cosa succede a chi disturba la quiete di Erik», fece una voce terribile, un sussurro sibilante, proveniente da sopra la sua testa – da fuori la botola, sì, un’ombra di salvezza!, «a chi cerca di scoprire il suo segreto! Cerco forse, io, di entrare in casa d’altri? Cerco di intrufolarmi in territori che non mi appartengono? No! E dovrei anche sentirmi in colpa per lo sventurato che invece ha voluto turbare la pace della mia casa?»

Jean-Louis non poteva vederlo – non c’era molta luce nella galleria, e di sicuro là sotto non gliene arrivava neppure uno spiraglio – ma Erik era, in quel momento, accovacciato presso l’apertura della botola, e cercava di scrutare il buio per capire chi diavolo potesse essere il topo in trappola.

Senza far caso all’inquietante borbottio dell’uomo là fuori, il giovane si tirò su a fatica, mettendosi in piedi, come se in tal modo potesse avvicinarsi di più all’uscita. «Per favore, fatemi uscire!» Esclamò appena più confortato, sforzandosi di utilizzare tutti i residui della sua voce. «Signore! C’è qualcuno, lassù? Fatemi uscire, aiutatemi!»

Ora, essendo Erik un genio dalle infinite sfaccettature, un profondo conoscitore della musica e di tutte le arti in generale, non c’era molto che egli non sapesse fare; un’altra delle sue interessanti caratteristiche consisteva nell’incredibile capacità di riconoscere tra mille una voce anche se l’aveva udita solo una volta e tanto tempo prima. Dunque, la voce del giovane finito nella trappola aveva un che di familiare, anche se in un primo momento non avrebbe saputo dire cosa; sapeva che, se aveva quella sensazione, il motivo era assai semplice – conosceva il proprietario di tale voce, ma la domanda più rilevante che si sarebbe dovuto porre era se egli conosceva Erik.

Maledizione. Per evitare ulteriori grattacapi e futuri pericoli sarebbe bastato puntare la pistola verso l’oscurità della cella e porre fine alle sofferenze di chiunque fosse finito laggiù, e invece… E invece, per amore e per rispetto della donna che lo aspettava nella Dimora sul lago, che aveva ciecamente riposto la sua fiducia in lui, il fantasma dell’Opera prese un’altra decisione.

Una corda grossa e piuttosto resistente venne calata all’interno della botola, e allungando le mani alla cieca Jean-Louis riuscì ad afferrarla; toccò un cappio, abbastanza largo da far sì che lo potesse infilare e stringere sotto le braccia, a mo’ di imbracatura. Doveva solo sperare che la corda fosse tanto robusta quanto sembrava, e che il suo sconosciuto soccorritore avesse la forza necessaria per issarlo su.

«Date uno strattone alla corda quando siete pronto a risalire», lo istruì la voce, che aveva la strana facoltà di essere chiara e scandita come se lo sconosciuto si trovasse accanto a lui, dietro di lui, invece che sopra e lontano. Che razza di trucco era mai, quello, si ritrovò a pensare Jean perplesso, stringendo le mani sulla corda e dando un brusco strappo come gli era stato detto di fare.

Diversi metri più in alto, Erik sentì lo strattone e con un profondo respiro iniziò a tirare, stringendo i denti e puntando bene i piedi sul pavimento onde evitare di scivolare e mandare al diavolo il salvataggio. I suoi sforzi sarebbero stati vani se chiunque si trovasse nella trappola fosse caduto a metà salita – poteva non essere morto la prima volta, ma una seconda non sarebbe stato così fortunato.

Quando le mani dell’intruso apparvero sul bordo della botola, Erik legò con un ultimo sforzo la corda intorno ad un gancio di ferro che sporgeva dalla parete; poi si avvicinò al ragazzo, chinandosi e afferrandolo per entrambe le braccia per aiutarlo a issarsi oltre il pavimento.

Gli occorse qualche minuto per comprendere che in effetti il volto del piccolo ficcanaso aveva dei tratti familiari, e quando infine lo riconobbe – come avrebbe potuto dimenticare il viso di colui che solo pochi mesi prima gli aveva portato via Giulia – lasciò la presa come se si fosse scottato e indietreggiò di un passo.

«Voi!» Esclamò Erik a mezza voce, prima che la sorpresa cedesse il posto all’irritazione. Per un istante passò nella sua mente l’infida immagine di sé stesso che spingeva il giovane di nuovo giù nella botola. «Che cosa fate ancora qui? Vostra sorella ha deciso di tornare di sua spontanea volontà, sarà meglio che vi mettiate l’animo in pace e torniate da dove siete venuto!»

Riprendendo fiato a fatica, Jean-Louis riuscì a sollevare lo sguardo sul suo salvatore, che a quel punto aveva cessato di essergli sconosciuto, e a lanciargli un’occhiata rabbiosa. «È stata Giulia a farmi promettere di venire dopo una settimana», ribatté con un filo di voce, ancora tremante. «Evidentemente non era molto sicura della sua decisione, non credete?»

Se Erik non avesse trascorso gli ultimi sette giorni insieme a lei, imparando a conoscerla in modi che nessun altro uomo avrebbe mai sperimentato, amandola e facendosi amare, probabilmente avrebbe anche potuto cedere al dubbio che in un’altra occasione lo avrebbe avvelenato dopo le parole di quel ragazzo. Ma, vista la realtà dei fatti, qualunque cosa avesse detto lei a suo fratello prima di separarsi da lui ormai non aveva più alcuna importanza. Era palese che avesse scelto Erik: in confronto a questo, tutto il resto perdeva importanza.

«Se preferite che sia lei a dirvi di andarvene, ragazzo, così sia», sibilò per tutta risposta, infilando la rivoltella in una tasca interna della propria giacca; la corda venne invece avvolta intorno all’avanbraccio e resa innocua, privata così del cappio che la rendeva un’arma mortale. «Seguitemi adesso, se non vi dispiace. Gradirei che lasciaste il prima possibile i miei domini.»

I suoi domini? Per quanto stanco e provato dalla recente esperienza, Jean-Louis non poté fare a meno di indagare, curioso, sul genere di vita che conduceva l’uomo per il quale sua sorella aveva testardamente deciso di abbandonare la sua famiglia. «State dicendo che abitate sottoterra? In queste gallerie?»

«Sto dicendo che non vi ho dato il permesso di angustiarmi con le vostre domande. E adesso tacete, per l’amor di Dio, o vi assicuro che troverò un modo per farvi chiudere la bocca!»

Detto questo, il tragitto proseguì in un incredibilmente teso silenzio.

 

 

**

 

 

La dimora sul Lago aveva la straordinaria capacità di lasciare a bocca aperta chiunque vi posasse gli occhi per la prima volta. Erano rimasti sbalorditi coloro che avevano raggiunto quelle sponde la tragica notte dell’incendio per inseguire il fantasma, era rimasta sbalordita Christine Daaé ed era rimasto sbalordito il suo fidanzato, e stessa cosa si poteva dire delle altre poche anime che avevano avuto il privilegio di osservare da vicino, come madame Giry, sua figlia, Bamdad e ovviamente Giulia.

C’era un che di soddisfacente nel vedere quegli sguardi nei volti dei suoi più o meno desiderati ospiti, riconobbe Erik, notando il modo in cui quel ragazzino faceva vagare i suoi occhi curiosi e disorientati avanti e indietro nella sua dimora. Era un tacito riconoscimento del suo genio, della sua arte, dei prodigi di cui la sua mente era capace, e come tutti gli artisti Erik non era immune al fascino delle lodi, fossero esse espresse ad alta voce o sottintese.

«Rimanete qui», gli intimò con tono severo, scoccandogli un’occhiata ammonitrice. «E non toccate niente.» Non gli diede neppure il tempo di replicare, dirigendosi invece verso la propria camera da letto, dove trovò Giulia intenta a rivestirsi.

Non appena vide Erik sulla soglia, la ragazza sobbalzò presa alla sprovvista, per poi sospirare di sollievo. «Dio, mi hai spaventata. È tutto a posto?» Chiese legandosi in vita il cinto della vestaglia e avvicinandosi a lui. «Sei stato via per un bel po’ di tempo…»

«Sì, mon cœur, non ti preoccupare. Va tutto bene», la tranquillizzò subito, circondandole il viso tra le mani e chinandosi per baciarla. Indugiò un momento in quella posizione, respirando il suo profumo, ma poi prese un profondo respiro e si ritrasse, controvoglia. «No, in realtà non va tutto bene», aggiunse sottovoce, sfiorandole delicatamente le labbra con i polpastrelli. «Abbiamo ospiti.»

Nell’udire una simile affermazione, Giulia aggrottò la fronte, perplessa. «Ospiti? Chi diavolo potrebbe scendere in questi… Oh.» All’improvviso si interruppe, sgranando appena gli occhi con l’aria di chi aveva già compreso senza aver bisogno di sentire altre spiegazioni. «Lui è qui? Mio fratello?»

Temendo che i suoi timori potessero rivelarsi fondati, Erik si staccò da lei e indietreggiò, forzando le proprie braccia lungo i fianchi per impedirsi di toccarla. «Quindi è vero, sapevi che sarebbe tornato. Lo stavi aspettando», disse piano. «È venuto per portarti via? Di nuovo?»

«Cosa? Erik, no… No, non è così», si affrettò a correggerlo lei, avvicinandosi nuovamente. «Non è così. Sono stata io a chiederglielo… Prima di tornare da te gli ho fatto promettere di venire dopo sette giorni, per controllare la situazione. Dopo tutto quel tempo non sapevo se tu mi stessi ancora aspettando, non sapevo se mi volevi ancora, e avevo paura, in quel caso… Non lo so, avevo paura di rimanere qui da sola. Jean mi avrebbe riportato indietro, ma solo se le cose fossero andate diversamente. Erik, puoi stare tranquillo, te lo assicuro – nessuno mi porterà via, e io di certo non ti lascerò un’altra volta.»

L’espressione dell’uomo si distese leggermente, ma c’era in lui una rigidità che faticava a scomparire. Giulia sollevò le mani e gli circondò il volto con esse, sorridendogli gentilmente nel cercare di rassicurarlo. «Come puoi avere ancora dei dubbi, dopo quello che abbiamo condiviso?» Mormorò, sfiorando con le dita l’accenno di barba che gli scuriva la guancia scoperta.

Erik sospirò, chiudendo gli occhi e voltando appena il capo per poggiare le labbra sul palmo della mano della ragazza. «Vai da tuo fratello, adesso. Io e te parleremo con calma più tardi», concesse a mezza voce, cercando di non far trapelare il timore di perderla dai suoi gesti.

 

Quando Jean vide che sua sorella era tutta intera e in perfetta salute – chissà perché ne dubitava, poi? Giulia era sempre stata in grado di prendersi cura di se’ stessa – non poté fare a meno di sospirare di sollievo, sorridendole e andandole incontro per stringerla in un lungo abbraccio sotto lo sguardo torvo di Erik. A parte gli abiti diversi e l’espressione radiosa – non si ricordava quando era stata, l’ultima volta che l’aveva vista così – la ragazza era esattamente come la ricordava: quella settimana era stata angosciante per lui, nonché per i suoi genitori, dato che ancora dovevano venire a patti con l’idea di averla lasciata libera di andare – inoltre, il fatto di essere all’oscuro di quello che le sarebbe potuto succedere dall’altra parte non era qualcosa che li facesse dormire bene la notte.

«Sapere che tutto questo si trova sotto il teatro che frequento sin da bambino ha un che di inquietante», fu uno dei primi commenti di Jean-Louis una volta che prese posto su una poltrona, mettendosi comodo.

«Non più inquietante di tutta la faccenda del viaggio nel tempo», ribatté Giulia con un sorrisetto.

Jean-Louis si chiese come diavolo facesse a scherzare su un argomento del genere, ma tale pensiero se lo tenne per sé. «Già, hai ragione», mormorò. Poi spostarono la chiacchierata su un territorio più allegro.

Tuttavia, con gli occhi di Erik puntati addosso dallo stipite della stanza – evidentemente, benché avesse concesso loro il beneficio di un momento d’intimità, preferiva pur sempre tenerli d’occhio, più per paura che il giovane ospite tentasse di dissuaderla dal rimanere lì che per vera e propria gelosia – Giulia iniziava a sentirsi un po’ a disagio. Per carità, riavere il fratello accanto e farsi raccontare notizie da casa era bello, però… Adesso, a distanza di una settimana, non aveva nulla da dirgli che non fosse la semplice decisione di restare. E affrontare quell’argomento con Erik che la guardava la metteva, scioccamente, in imbarazzo.

Ad un tratto le venne un’idea. «Perché non ti fermi qui per qualche giorno?»

Sia lui che Erik risposero ad una voce. «Che cosa

Senza nemmeno voltarsi verso Erik, Giulia riprese a parlare con il fratello, sorridendo. «Voglio farti ripartire con l’animo in pace, Jean, e l’unico modo per farlo è che tu veda come io vivo qui, come mi trovo bene, come appartengo a questo luogo. Avrai già capito che non ho intenzione di tornare indietro, e… beh, non voglio rendere del tutto inutile il tuo viaggio, chiamiamolo così. Una volta rientrato potrai dire alla mamma e al papà che non hanno nulla di cui preoccuparsi, che sto bene e che sono al sicuro, che voglio loro un bene dell’anima e che non dimenticherò mai tutto quello che hanno fatto per me… ma che ormai non posso più vivere con loro. Con voi. È qui che ho tutta la mia vita, adesso – è qui che ho il amore», aggiunse, abbassando la voce e arrossendo leggermente.

A quel punto, Jean-Louis non sapeva che cosa rispondere – i suoi tentativi di convincere la sorella a rinunciare a quella follia erano stati distrutti ancora prima di vedere la luce – e probabilmente anche Erik era rimasto colpito dal suo breve discorso.

«Io… beh… Non so che dire…» Borbottò il ragazzo, stringendosi nelle spalle. «Sono felice che tu abbia trovato il tuo posto, Jules, certo, però… Non puoi pretendere davvero che la cosa mi vada bene. Insomma, sei mia sorella! L’idea di perderti per sempre non mi piace.»

A quello Giulia non poteva proprio ribattere. Le sarebbe piaciuto potergli dire che no, non l’avrebbe mai persa, che lei sarebbe stata sua sorella, che gli sarebbe stato accanto… ma così non era. Una volta presa la decisione di rimanere insieme ad Erik non sarebbe più potuta tornare indietro, né avrebbe voluto: la sua famiglia le sarebbe mancata sempre e comunque, questo non si metteva in discussione, però non avrebbe mai potuto avere entrambe le cose. Purtroppo, nel suo caso, scegliere uno significava sacrificare l’altro, e Giulia aveva già commesso una volta l’errore di abbandonare Erik: non l’avrebbe rifatto, soprattutto visto il dolore che ne era venuto dopo.

Erik, benché si stesse sforzando di rimanere in disparte e di non interferire con i loro discorsi, non poté non notare che Giulia adesso si trovasse decisamente in difficoltà. Così, prima di cambiare idea, diede voce alla sua proposta.

«Se il tuo ospite si deve trattenere è meglio chiedere a madame Giry», suggerì, lasciando il suo posto accanto alla porta e avanzando verso i due fratelli. Rimase in piedi accanto alla ragazza, una mano posata sullo schienale della sua poltrona, gli occhi dolcemente posati su di lei. «Volevi andare da lei in ogni caso, mi sbaglio? Per salutarla e dirle che sei tornata. Ebbene, potresti anche approfittarne per vedere se è disposta ad offrire a tuo fratello un luogo dove stare prima che torni a casa sua.»

Giulia sollevò lo sguardo su di lui, per poi annuire con aria pensierosa. «Non è un’idea malvagia», decretò alla fine, voltandosi nuovamente verso Jean-Louis. «Bisognerebbe procurarti anche dei vestiti adatti, dato che non puoi andare in giro conciato così – con jeans e tutto il resto. Ma madame è stata molto generosa con me, si è comportata come una madre… penso di poterle chiedere questo ennesimo favore. Ti ricordi di lei, vero? L’hai conosciuta la sera della festa in maschera.»

Il fratello annuì, ma non sembrava molto convinto. «Sì, credo di sì… Ma perché dovrebbe ospitarmi in casa sua? Non mi conosce nemmeno.»

«Si tratterebbe solo di pochi giorni, benché la sua curiosità potrebbe spingerla ad ospitarti molto più a lungo. In caso non voglia, comunque, sono sicura che anche Erik sarebbe un perfetto padrone di casa», sorrise lei, sfiorando con la propria la mano che l’uomo aveva ora posato sulla sua spalla.

A quelle parole, per quanto scherzose, Erik emise quello che poteva sembrare uno sbuffo sarcastico; Jean, da parte sua, si ritrovò ad impallidire leggermente. Evidentemente il sentimento di antipatia tra i due uomini doveva essere reciproco.

 

 

***

 

 

Qualche ora dopo, due ombre scure uscirono dal teatro di nascosto, passando per le scuderie, prima che l’alba spazzasse via le tenebre e rendesse impossibile sgattaiolare via dall’edificio senza esser visti. Aveva appena smesso di piovere e nell’aria aleggiava ancora il gelo lasciato dalle gocce d’acqua, che creava una leggera nebbia che si librava sul selciato sporco agli angoli delle strade di neve infangata; le luci a gas dei lampioni illuminavano ancora gli ultimi momenti di oscurità, mentre il cielo andava via via rischiarandosi in lontananza, sopra i tetti dei palazzi.

Giulia e suo fratello, stretti l’uno all’altro in cerca di calore, affrettarono il passo e il ticchettio delle loro scarpe sul marciapiede era per adesso l’unico rumore che rimbombava per le vie. Percorsero un breve tratto di Rue Auber e poi svoltarono a sinistra verso Rue Scribe, giacché madame Giry abitava alla fine dell’isolato, laddove la strada si immetteva in Boulevard des Capucines. Entrambi avevano percorso un’infinità di volte quel tratto, ma era la prima volta che Jean-Louis vi passava in quell’epoca, e benché fosse consapevole di conoscere la strada non poté fare a meno di guardarsi intorno sorpreso ed estasiato, malgrado la luce scarsa non rendesse completamente giustizia alla bellezza dei palazzi signorili e della pacata quiete causata dall’assenza del traffico dell’età moderna dalla quale proveniva.

All’improvviso, dall’ombra di un vicolo scarsamente illuminato, venne fuori uno sconosciuto avvolto dalla testa ai piedi da un mantello che ne rendeva impossibile il riconoscimento, e che sbarrò loro il passo. Perplessi, il primo istinto dei due fratelli fu quello di fermarsi; poi Giulia fece per spostarsi di lato e aggirarlo, ma l’uomo imitò il suo movimento e si frappose nuovamente tra lei e la strada libera, aprendo il mantello il tanto sufficiente a mostrarle la pistola che egli teneva puntata nella loro direzione. Jean-Louis non trattenne un’imprecazione, afferrando il braccio della sorella per attirarla verso di sé mentre lanciava un’occhiata alle proprie spalle per controllare la situazione: dietro di lui erano apparsi altri due uomini, a loro volta armati, che non sembravano per nulla avere buone intenzioni.

«Signori, siete sfortunati: non abbiamo denaro», li avvertì piano Jean, come se parlare a voce bassa fosse servito a distoglierli dalla tentazione di utilizzare le loro armi.

L’uomo di fronte a loro scrollò brevemente le spalle. «Benissimo, non è il denaro che vogliamo. Siamo qui per la signorina», replicò con noncuranza, la voce leggermente attutita dal bavero della giacca, indicando Giulia con un gesto della mano che reggeva la rivoltella. «Venite con noi, mademoiselle, e nessuno si farà del male.»

«Jean», sussurrò Giulia accanto a lui, con un’evidente nota di panico nella voce. Le sue mani si aggrapparono al mantello del fratello – prestito di Erik – come se fosse bastato quello per impedire ai tre di aggredire entrambi; si guardò intorno per individuare eventuali vie di fuga, e in effetti dietro di loro il vicolo era libero. Indietreggiò di qualche passo, attirando anche il fratello verso di se’, ma la voce gelida di uno degli uomini incappucciati la pietrificò.

«Non provateci nemmeno, mademoiselle. Non vorrete che il vostro compagno si faccia del male?» Disse con un tono discorsivo, aggiustando la mira della rivoltella in direzione di Jean-Louis.

«Chi siete, voi?» Sibilò quest’ultimo, cercando di mantenere una posizione tale da continuare a frapporsi tra l’uomo armato e sua sorella. «Dovete aver sbagliato persona, signori, perché noi siamo arrivati in città solo ieri e non abbiamo ancora avuto il tempo di farci dei nemici.»

«E per quale motivo, allora, quest’aria furtiva? Perché gironzolare a quest’ora, con le strade ancora deserte?» Replicò beffardo; pareva si stesse divertendo.

Una voce cupa, proveniente da uno degli uomini alle loro spalle, li interruppe. «Basta perdere tempo, Gilles. Prendiamo la ragazza e andiamocene.» Giulia gli riconobbe un accento del sud, forse di Marsiglia, ma dubitava che la cosa potesse esserle di una qualche utilità.

L’altro fece un brusco cenno affermativo col capo. «Sì. Alain, tieni fermo il nostro eroe.»

Jean parve confuso. Si guardò intorno, ma non ebbe il tempo di prendere la mano della sorella che uno degli uomini lo afferrò brutalmente, bloccandogli con forza le braccia dietro la schiena e tenendolo fermo con sorprendente facilità. «Lasciami, brutto figlio di-» Ringhiò furioso, ma un colpo ben assestato allo stomaco da parte del terzo uomo lo mise a tacere, impedendogli di terminare la frase. Jean gemette, piegandosi in due, ma prima che potesse riprendersi un altro colpo e poi altri ancora seguirono il primo, con terribile dedizione, facendolo crollare a carponi sull’umido selciato.

Giulia gridò, adesso veramente terrorizzata. «No, smettetela! Che bisogno c’è di picchiarlo!» Cercò di correre per assistere il fratello, ma venne a sua volta trattenuta da uno degli uomini – quello che avevano chiamato Gilles. Ormai inferocita, iniziò senza pensare a dare gomitate e a dimenarsi come un’ossessa, spaventata all’idea di quello che i tre sconosciuti potevano volere da lei, e al contempo preoccupata per Jean-Louis che non pareva neppure respirare, là disteso sulla strada bagnata.

«Lasciami, lasciami!» Ringhiò furiosa, voltandosi il tanto sufficiente per graffiare l’uomo sul viso, da parte a parte. Quest’ultimo imprecò e istintivamente la lasciò andare, ma Giulia non riuscì a fare che pochi passi prima di venire riacciuffata da quello che aveva picchiato Jean-Louis.

«Adesso farete la brava, piccola strega, se non volete che diamo il colpo di grazia al vostro amico», le sibilò all’orecchio il Marsigliese, stringendole il braccio con tanta forza da farla lacrimare.

Si ritrovò a piangere sommessamente, odiandosi per non essere capace di fare qualcosa, di reagire, bloccata com’era dalla paura. Venne trascinata lontano dal fratello, che continuava a non muoversi, fino alla fine del vicolo, dove c’era una carrozza completamente nera, priva di insegne, ad attenderli. La obbligarono a salire senza troppe cerimonie, e quando lei provò a sgusciare dall’altra parte, aprendo il secondo sportello, Gilles l’afferrò con furia e la tenne ferma fin quando il Marsigliese non le ebbe legato le mani con della corda dura e resistente. Poi le misero una benda sugli occhi, e a quel punto, tremante, Giulia si arrese.

In strada, l’uomo chiamato Alain tirò fuori da una tasca della propria giacca una lettera sigillata con della ceralacca rossastra, chinandosi su Jean-Louis per infilargliela sotto il mantello, al riparo dalla pioggerellina leggera che aveva iniziato a scendere. Dopodiché seguì gli altri due compari e sparì all’interno dell’elegante coupé, bussando poi sul tettuccio per invitare il cocchiere ad muoversi.

In quel momento le campane della Madeleine rintoccarono le otto del mattino.

 

 

 

****

 

 

Quando la benda le venne finalmente tolta dagli occhi, Giulia sbatté più volte le palpebre e si guardò intorno, agitata, cercando di capire dove si trovasse e soprattutto in che razza di situazione fosse finita. Il viaggio in carrozza era stato orrendo, benché una volta che aveva smesso di agitarsi nessuno l’aveva più toccata, e poi una volta scesi da lì era stata trascinata e sballottolata alla cieca dentro chissà quale casa, su per delle scale, e poi fatta sedere su una normale sedia. Dopodiché era seguito un lunghissimo silenzio, fin quando qualche anima pia – una donna, chissà chi – non le aveva sciolto le mani per legarla in un altro modo su di una sedia, immobilizzandola. Di certo una cosa del genere non le sarebbe capitata così facilmente nel ventunesimo secolo – ma dopotutto mai dire mai; inoltre, qualcosa le diceva che la sua relazione con Erik giocasse un ruolo importante in quella sorta di sequestro di persona.

Dopo un tempo che le parve infinito, sentì qualcuno maneggiare il nodo della sua benda, sciogliendolo e permettendole di vedere di nuovo. Sbatté le palpebre, per un momento acciecata dalla luce improvvisa, poi ne approfittò per studiare l’ambiente circostante e provare a farsi un quadro della situazione. La stanza nella quale si trovava era arredata con gusto ed eleganza, un mobilio molto diverso da quello che si era immaginata, dato che aveva creduto di essere stata trascinata in qualche cella o Dio solo sapeva dove. E invece ecco una finestra, oltre il cui vetro si vedeva Parigi – bene, allora era ancora in città – una scrivania, dei quadri, tappeti persiani e numerose preziose suppellettili… Restava solo da scoprire chi diavolo ci fosse dietro il suo rapimento, e soprattutto quale diavolo di motivo potesse avere.

Finalmente, colui che le aveva restituito il dono della vista cessò di rimanere alle sue spalle e si portò davanti a lei, giacché nel modo in cui era stata legata alla poltroncina non le era possibile muoversi né voltarsi. Eppure, quando riconobbe l’identità dell’uomo che l’aveva fatta rapire, non riuscì a comprendere che cosa potessero avere lei, o Erik, in comune con un vecchio duca che di tanto in tanto frequentava il teatro dell’Opèra. «Mi ricordo di voi», mormorò perplessa, aggrottando la fronte. «Siete… Il duca De Blanchard, vero? Avete voluto conoscermi, qualche mese fa.»

In un’altra occasione avrebbe fatto dell’ironia – davvero, non credevo di essere già così famosa da costringervi a prendere simili provvedimenti per avere un colloquio privato con me – ma qualcosa le diceva che era meglio procedere con cautela. Perlomeno fino a quando non si fosse fatta un’idea più precisa di ciò che il nobile potesse volere da lei.

«Sono lieto che vi ricordiate di me, mademoiselle. Ciò significa che possiamo saltare comodamente i convenevoli, e passare al motivo della vostra presenza qui. Suppongo che Erik non vi abbia mai parlato di me…»

Sentire il nome di Erik pronunciato con così tanta nonchalance dalle labbra di quello che a tutti gli effetti lei continuava a giudicare un estraneo la fece sussultare e rabbrividire nello stesso tempo. Ecco, pensò spaventata. Lo sapevo che lui c’entrava qualcosa. Di sicuro il fantasma dell’Opera si sarà fatto un discreto numero di nemici nel corso della sua “carriera”…

«Non capisco di cosa stiate parlando», ribatté, cercando di celare la rabbia e di sembrare perplessa. «Non conosco nessuno che si chiami in quel modo… Erik, avete detto? Dev’esserci un malinteso.»

Negli occhi dell’anziano duca passò un lampo feroce che non le piacque per niente. «Via, mademoiselle Sanders, non insultate la mia intelligenza», la riprese con falsa gentilezza, versandosi un bicchiere di vino. «Gradite qualcosa da bere? No? Non è gentile rifiutare del vino così pregiato, ma se insistete…»

Giulia iniziava ad essere davvero preoccupata. Che cosa avrebbe dovuto fare? Fingere fino alla nausea di non conoscere Erik, o arrendersi all’evidenza che quell’uomo, per chissà quale motivo, era a conoscenza del loro legame, e assecondarlo dunque in quella follia?

Forse sarebbe stata la cosa più saggia; magari, se l’avesse fatto parlare, se l’avesse distratto con le chiacchiere, avrebbe potuto farsi dire per quale motivo si trovava lì, in casa sua, e soprattutto che cosa volesse da Erik; inoltre, nutriva pur sempre la flebile speranza che suo fratello, pregando che stesse bene, si fosse ripreso e fosse andato ad avvisarlo, e che dunque l’uomo si stesse organizzando per andare a salvarla. Odiava l’idea di essere una specie di damigella in difficoltà e di essere in procinto di rivelare il segreto più grande dell’uomo che amava – ovverosia quello riguardante la sua esistenza – ma era stata minacciata con una pistola, che cosa avrebbe potuto fare?

«Sto ancora aspettando una risposta, mademoiselle.»

La ragazza si riscosse dai suoi pensieri, e sospirò piano. «Per quale motivo avrebbe dovuto parlarmi di voi?» Capitolò alla fine a mezza voce, come se sussurrando rendesse meno terribile la sua resa.

Sul volto del duca apparve un sorriso trionfante, che venne subito sostituito da un’affettata espressione di stupore e sconforto. «Ma, mademoiselle, per un motivo assai semplice… Si da il caso che io sia suo padre.» Poi sorrise un’altra volta, ma non vi era nulla di gioioso in quel sorriso. «Vedo che non ne eravate davvero a conoscenza. Erik dev’essere un maestro nel mantenere i segreti, non è vero? Chissà tutto quello che vi nasconde… Come potete fidarvi di lui?»

Giulia ignorò quelle parole, che non ebbero alcun effetto su di lei: conosceva abbastanza i segreti di Erik per sapere che se l’uomo le aveva taciuto qualcosa era soltanto perché non era ancora del tutto pronto per parlargliene, e non certo per tenerla all’oscuro. «Non comprendo il vostro gioco, monsieur, né comprendo ancora perché mi avete rapita», disse quindi, riportando l’attenzione sul soggetto principale del discorso.

«Oh, via, mademoiselle, non siate così drammatica! Io non parlerei di rapimento, direi piuttosto che siete stata… persuasa ad accettare il mio invito. Non era mia intenzione spaventarvi, credetemi, ma converrete con me sul fatto che Erik non vi avrebbe mai permesso di venire qui se ve lo avessi domandato in una maniera più civile.»

«Non so che idea vi siate fatto di me o di Erik, monsieur, ma sono perfettamente in grado di prendere le mie decisioni anche senza la sua intercessione», sibilò la giovane, infastidita. «E vi assicuro che non avrei accettato il vostro invito in ogni caso, dato che non è mia abitudine frequentare le case di estranei.»

«E questo, mia cara, temo ci riporti all’inevitabilità delle mie misure drastiche, non credete?» Replicò il duca con l’ennesimo sorriso, per nulla colpito dal tono gelido della ragazza. «Ad ogni modo, non ho intenzione di farvi del male: consideratevi mia ospite. Ho bisogno della vostra presenza solo per convincere mio figlio a prestarmi ascolto una volta per tutte, e mi dispiace che a causa della sua testardaggine voi siate stata trascinata in una situazione così delicata.»

«Sono una merce di scambio, è questo che volete dire?»

«Se vi piace vederla sotto questi termini, fate pure», sospirò de Blanchard, chinando appena il capo in un gesto d’assenso. «Ma ripeto, vi pregherei di considerarvi mia ospite, perlomeno fintantoché non farete nulla di sciocco come cercare di scappare o aggredire nuovamente i signori che lavorano per me.»

«Mi hanno messo le mani addosso», ringhiò, indignata.

«E vi assicuro che sono già stati ripresi per questo; ma adesso vi prego, comportatevi bene», la riprese con benevola condiscendenza. Poi suonò un campanello, e pochi attimi dopo un domestico in elegante livrea si affacciò sulla porta dello studio.

«Procurate degli abiti più adeguati per mademoiselle Sanders», ordinò il duca, istruendo con affettata nonchalance il suo maggiordomo o chiunque fosse il nuovo arrivato. «Potrebbe doversi trattenere a lungo, e noi vogliamo che la nostra ospite si senta il più possibile a suo agio.»

 

 

*****

 

 

Jean-Louis si diresse trafelato verso gli uffici del direttore artistico, ignorando le lamentele delle donne che spazzavano e lucidavano il pavimento e scansando i membri della sorveglianza, che nell’ultimo periodo – ossia dopo l’ennesimo coup de théâtre della notte di Capodanno – frequentavano l’Opèra a tempo pieno e in ogni circostanza. Si sentiva indolenzito in punti che non credeva neppure potessero dolergli, eppure era tornato indietro il prima possibile, correndo quando ci riusciva, una volta che aveva ripreso conoscenza in quel lurido vicolo.

Quando varcò la soglia dello studio di monsieur Destler, al quale arrivò solo grazie alla caritatevole indicazione di una delle ragazze che si occupavano di lavare i costumi di scena, egli sollevò di scatto gli occhi da alcuni documenti che giacevano sulla sua scrivania e aggrottò le sopracciglia – o, perlomeno, quella non celata dalla maschera – nel trovarsi davanti il giovane che si supponeva essere in compagnia della sorella a diversi isolati di distanza. Gli occorsero a malapena pochi secondi per rendersi conto che qualcosa non andava, visti gli indumenti sgualciti e scomposti e l’aspetto pallido e angosciato del ragazzo.

«Voi? Cosa diavolo è successo? Dov’è Giulia?» Scattò immediatamente, alzandosi in piedi e aggirando il tavolo in modo da non mettere nessun ostacolo tra lui e l’altro.

«Questo speravo poteste dirmelo voi», ribatté Jean ancora ansimante, porgendogli la lettera che aveva trovato accanto a sé quando aveva ripreso conoscenza e che portava, sul retro, il nome dell’uomo che gli stava di fronte.

Erik quasi gli strappò dalle mani la missiva, notando che il sigillo di ceralacca era già stato spezzato – evidentemente il ragazzo non aveva trattenuto la curiosità ed era già a conoscenza di ciò che vi era scritto – e ne dispiegò dunque la carta; i suoi occhi si posarono su un’elegante e sconosciuta calligrafia espressa in inchiostro nero, e senza attendere oltre iniziò a scorrere le parole una dopo l’altra, divorandole velocemente e sentendo l’ira crescere dentro di sé man mano che andava avanti.

 

Mio caro Erik,

non dovete temere per mademoiselle Sanders: ella è sotto la mia ala. Poiché non avete seguito le mie istruzioni, discusse precedentemente riguardo al vostro obbligo morale e al rispetto che mi dovete in quanto mio figlio primogenito, ho ritenuto opportuno intervenire per altre vie, lo ammetto, più discutibili. Se la vostra decisione è sempre la medesima, ossia se continuerete a voler rifiutare di accettare il nome e le ricchezze che vi spettano, insieme alle responsabilità che ne deriveranno, allora vi consiglio di dimenticarvi della vostra amante, giacché non la rivedrete finché avrò vita.

Tuttavia voglio essere generoso con voi, che siete sangue del mio sangue, e vi darò ancora un’ultima possibilità. Venite nella mia casa, che poi è anche la vostra, e accettate di discutere con me da gentiluomo civile e bendisposto come sospetto che siate: sono sicuro che riusciremo a raggiungere un accordo.

I miei omaggi,

Henri J. Lescroart,

Duca de Blanchard, ecc.

 

 

Erik strinse la lettera nel pugno fin quasi a stracciarla, soffiando come un animale feroce e riportando la sua attenzione su Jean-Louis. «Avete lasciato che prendessero vostra sorella?» Ringhiò, avanzando di un passo. «Che razza di uomo siete?»

Punto sul vivo, Jean si sentì in dovere di difendersi. «Ci hanno aggredito in un vicolo, erano in tre contro uno! Che cosa avrei dovuto fare? Non sono abituato a situazioni del genere come potete esserlo voi!» Ribatté, arrabbiandosi a sua volta: la rabbia era un sentimento che gli piaceva decisamente di più del senso di vergogna che lo aveva accompagnato da quando si era risvegliato in quella viuzza sporca e buia. E in ogni caso, che senso aveva prendersela con lui? Sapeva di avere la sua parte di colpa, ma litigare tra loro non avrebbe giovato in quel frangente.

«Andate da madame Giry, lei baderà a voi, e attendete mie notizie», ordinò freddamente, infilandosi la giacca. Senza degnare il giovane di uno sguardo, raggiunse il proprio tavolo da lavoro e aprì il primo cassetto, dalla quale tirò fuori la rivoltella che vi teneva per ogni evenienza – un tempo aveva creduto che sarebbe stato il bacio di quell’arma l’ultima carezza che avrebbe avuto la sua tempia prima di abbandonare il mondo dei vivi, ma adesso era il caso che le trovasse uno scopo più utile. «Bamdad, il mio segretario, verrà con me in modo da potervi avvisare in caso di un cambiamento della situazione.»

Jean era palesemente contrariato all’idea di venir tagliato fuori in quel modo. «E io dovrei rimanere zitto e fermo senza fare nulla per salvare mia sorella?»

Erik lo fissò come se solo il legame fraterno che lo legava a Giulia lo trattenesse dallo strangolarlo lì e subito. Avete avuto la vostra occasione e non ne avete fatto buon uso, razza di idiota!, avrebbe voluto dirgli, e magari anche scrollarlo con forza; ma si trattenne. «Come avete detto voi stesso, non sapreste come comportarvi in queste circostanze», replicò con un sibilo, sforzandosi di essere ragionevole. «Per cui vi suggerisco di dare retta a chi ne sa più di voi e di fare ciò che vi ho detto!»

Attraversò a grandi passi il suo studio e afferrò il mantello dall’appendiabiti, gettandoselo sulle spalle e sparendo nel corridoio senza neanche attendere il ragazzo. Se era la guerra che il duca voleva, ebbene, la guerra avrebbe avuto… Ma avrebbe maledetto il giorno in cui aveva osato sfidare il Fantasma dell’Opera.


























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Angolo Autrice.

Habemus Capitulum! Dite la verità, ormai avevate perso le speranze, nevvero? Ma cosa vi dico sempre io? Mai perdere le speranze! :D Ribadisco, nel caso non l'abbia ancora detto, che questa storia ha un inizio e, per tutti i Don Juan, avrà una fine ù_ù Dunque, non importa quanto tempo ci metterò (beh, in realtà importa: ma non pensiamoci ora), prima o poi la concluderò! Non abbiate timore :)
Scherzi a parte, uao, che capitolo pieno! Mai scritto uno più lungo, dico davvero D: Ma mi sembra il minimo visto tutto il tempo che è trascorso dall'ultimo aggiornamento... vi direi anche di godervelo perché chissà quando arriverà il prossimo, ma... non so, mi sento ispirata, quindi forse aggiornerò in tempi decenti. Si accettano volontari che incrocino le dita :D //ps: perdonate eventuali errori di distrazione. L'ho riletto una decina di volte ma mi sfuggirà sempre qualcosa, inoltre non vedevo l'ora di aggiornare, quindi... forgive me :) //
Finalmente un po' d'azione, eh? Basta con le cose smielate e i pucci-pucci, promesso ù_ù E chissà cosa succederà adesso... muahahaha!
Passiamo a cose serie.
Innanzitutto grazie mille a coloro che hanno recensito lo scorso capitolo, vale a dire Sylphs, Homicidal Maniac (benvenuta in questa odissea, cara <3), loveis4ever, StarFighter e Helmwige, nonché tutte coloro che continuano a leggere silenziosamente! Siete tutte adorabili *---*
E adesso vi lascio, corro a preparare la cena :D Baci e abbracci, e grazie di nuovo per essere arrivate sin qui! ♥
Sempre io, la vostra
Niglia.
   
 
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