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Autore: Delilah Phoinix Blair    10/07/2013    2 recensioni
Due migliori amici.
Una proposta impulsiva.
Una notte di fuoco… No, un momento…
E se lei rifiutasse e addirittura decidesse di non rivolgergli più la parola?
E se lui fosse il tipico ragazzo donnaiolo, allergico anche alla sola idea di avere una ragazza fissa?
E se lei decidesse di buttarsi in un'altra relazione perchè lui è il tipico ragazzo perfetto ed è così che le cose devono andare?
Aggiungete un gruppo di “Disadattati” e due amiche adorabilmente appiccicose ed avrete un’accozzaglia di ormoni in subbuglio.
LA STORIA E' MOMENTANEAMENTE SOSPESA PERCHE' MI STO DEDICANDO ALL'ALTRA LONG CHE HO IN CORSO (che trovate sulla mia pagina) MA TROVERA' CERTAMENTE UNA CONCLUSIONE
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Veronica guardava la strada scorrere davanti ai suoi occhi con la fronte appoggiata al vetro del finestrino. Si trovava sull’autobus che l’avrebbe portata a lavoro, dall’altra parte della città rispetto casa sua. Dopo la scuola alla fine erano andati a pranzo in una pizzeria in centro ed erano rimasti li a cazzeggiare fino quasi alle cinque, poi il gruppo si era disperso e Veronica, insieme a Federica, che abitava qualche fermata prima di lei, aveva preso l’auto per tornare a casa. Alla fine non era andata tanto male: Lorenzo l’aveva ignorata spudoratamente e lei si era comportata di conseguenza; dopotutto a pranzo erano in otto, non c’era motivo per cui si sarebbero dovuti ritrovare a parlare proprio loro due. A casa aveva trovato solo Samanta, dato che Stefania era ancora al lavoro, ma lei non le aveva prestato molta attenzione, impegnata com’era in qualche “importantissima” attività su facebook.
«Ma non hai da studiare?!» le aveva chiesto sbuffando e spegnendo lo schermo del  loro computer del paleozoico guardandola poi con le mani poggiate sui fianchi.
«Guarda che è stato il primo giorno anche per me!» le aveva risposto ridendo sua sorella voltandosi di nuovo verso il computer e riaccendendo lo schermo che prese vita con un ronzio sordo poco rassicurante.
“Tra poco questo catorcio inizierà a chiedere pietà e, quando non la otterrà, morirà definitivamente.” Aveva pensato non riuscendo a trattenere una smorfia di preoccupazione.
Sua sorella l’aveva notata e l’aveva guardata rassegnata riprendendo poi a parlare. «Tu lo sai vero che è praticamente impossibile che io sia già in dietro dopo appena un giorno, si?»
Veronica aveva alzato gli occhi al cielo dirigendosi in camera per cambiarsi ed andare al lavoro, visto che rischiava di perdere l’autobus ed arrivare in ritardo. «Si lo so, lo so.» aveva detto dall’altra stanza, senza il bisogno di urlare. “Ma cos’è oggi, la Giornata Nazionale Dei Ritardi Di Veronica Tinucci?” aveva pensato sospirando.
«E poi tu sei uscita oggi no? Eppure fai il quinto.» aveva continuato Samanta.
Veronica aveva riso prima di rispondere. «Si, cara la mia piccola Sam, ma ti ricordo che io sono io.»
«Davvero molto, molto divertente!» aveva sbuffato Samanta irritata.
In quel momento Veronica era entrata di nuovo nel loro salotto/cucina/studio/ingresso/sala-da-pranzo e lo aveva attraversato per raggiungere l’uscita. Poi aveva concluso «Non scherzavo mica, sorellina!» facendole la linguaccia e chiudendosi la porta alle spalle prima che Samanta potesse lanciarle qualcosa.
Era riuscita a prendere l’autobus appena in tempo ed ora eccola li che aspettava di raggiungere l’hotel presso il quale lavorava. Aveva iniziato a fare la cameriera li all’inizio dell’estate appena conclusa perché aveva incontrato per caso il figlio di un vecchissimo amico di famiglia, con il quale giocava quando era piccola, e chiacchierando era saltato fuori che suo padre aveva da poco acquistato un Hotel e stava cercando personale. Veronica, che invece stava disperatamente cercando lavoro, non aveva perso tempo e aveva chiesto al suo amico se poteva mandargli un curriculum con le sue precedenti esperienze lavorative da presentare a suo padre e lui aveva accettato. Qualche giorno dopo l’aveva chiamata la segretaria del signor Marchini per dirle che aveva ottenuto il posto.
Arrivata alla sua fermata scese e si avviò a piedi verso l’hotel. Lei lavorava al ristorante che era aperto anche per persone che non alloggiavano li ed, essendo quasi uno dei migliori della città, era sempre strapieno, cosa che rendeva il lavoro straestenuante. Era consapevole che molti ragazzi della scuola alberghiera avrebbero ucciso per il suo posto, mentre lei non aveva nessuna capacità particolare, ed un po’ si sentiva in colpa per averlo ottenuto solo grazie a delle conoscenze. Sicuramente se non avesse avuto un così disperato bisogno non avrebbe accettato ma, insomma, quale diciottenne lavora se non ne ha bisogno? Quindi tentava di mettersi l’anima in pace pensando che, dopo aver cercato lavoro per mesi e non averlo trovato, non aveva avuto altra scelta se non chiedere un favore al suo vecchio amico Giacomo.
Entrò non dall’ingresso principale, che portava alla hall dell’albergo, ma da quello riservato al ristorante.
Era piuttosto in anticipo. Le persone che si muovono sempre e solo in autobus sono di due tipi: o perennemente in ritardo o perennemente in anticipo; e Veronica faceva senz’altro parte di questa seconda categoria.
Ad ogni modo, visto che aveva indossato l’“uniforme” (un paio di pantaloni e di ballerine nere ed una camicia bianca) a casa e quindi non doveva cambiarsi, iniziò ad avvantaggiarsi il lavoro di pulire i tavoli. Mentre era ancora presa da questa occupazione un paio di braccia la cinsero giocosamente da dietro e prima ancora di accorgersene si trovò un bacio stampato sul capo. Si voltò ridendo.
«Ciao Vero!» Il ragazzo aveva un sorriso da un orecchio all’altro.
«Hei Gianni! Dillo che arrivi sempre il più tardi possibile per lasciare a me l’onore di pulire questa infinità di tavoli! Te ne sono davvero grata, per inciso.» esclamò lei per accoglierlo, alzando poi, con un sorriso, le iridi azzurre all’alto e scintillante soffitto della sala.
«Scusami, giuro che dopodomani arriverò prima.» replicò Gianluca voltandosi e dirigendosi verso il bagno del personale per cambiarsi.
«Ma che cavolo è quello? Dov’è il tuo casco?» lo richiamò Veronica notando che in mano non aveva il solito integrale* nero ma un semi-integrale*… rosa. Scoppiò a ridere guardandolo voltarsi e continuare a camminare all’indietro.
«Tanto per chiarire: questo… coso me l’ha prestato mia cugina. In secondo luogo non è per me, ma per te.» concluse con un’alzata di spalle come se fosse ovvio.
«Per me? Ma cosa…?» Iniziò a dire lei avanzando verso l’amico che però si voltò, riprendendo a camminare in avanti, lasciandola con un «oggi si esce! Festeggiamo l’inizio della scuola!» prima di chiudere la porta del bagno alle sue spalle.
Veronica cercò di rispondere «Ma se tu nemmeno ci vai più a scuola!» ma probabilmente lui nemmeno la sentì, poi scosse il capo sorridendo con rassegnazione e si rimise a pulire.
“È inutile,” si disse “quando vorrà dirmi cos’ha in mente lo farà, non prima”.
Gianluca aveva vent’anni e voleva fare il chirurgo.
Voleva fare il chirurgo e aveva ottenuto una borsa di studio per la facoltà di medicina di una delle migliori università della nazione.
Aveva ottenuto una borsa di studio per la facoltà di medicina di una delle migliori università della nazione e, dopo appena un trimestre, aveva dovuto rinunciarvi perché, con i due lavori che aveva, non aveva tempo ne per seguire le lezioni e ne per studiare.
Si era trovato davanti ad una scelta che in realtà fingeva di essere tale perché non c’era nessun dubbio: doveva lavorare. Sua padre era morto alla fine del suo quarto anno di liceo, poco più di un anno prima, in un banale incidente stradale tornando a casa dal lavoro, e la sua azienda era stata presa in gestione esclusivamente da suo zio, che non aveva voluto sapere niente ne di lui e ne di sua madre. Lei, nata da una famiglia facoltosa, la cui sola ambizione era di sposare un uomo ricco, non aveva imparato nessun mestiere e non era mai stata una donna portata per il lavoro, così lui doveva occuparsi di quello che restava della famiglia: loro due. Così si era trovato a passare da Figlio-di-papà-sborone-e-arrogante a Lavoratore-insancabile-e-uomo-di-famiglia. Aveva conosciuto Giacomo ad una delle poche lezioni che era riuscito a frequentare e lui era riuscito a farlo assumere nel ristorante dell’Hotel del signor Marchini. “Quel ragazzo ci ha salvati.” ricordava di aver pensato Veronica quando Gianluca le aveva raccontato la sua storia. Quella sera a fine turno, mentre ripulivano la sala, le aveva detto anche che l’incidente era avvenuto un paio di settimane prima del suo compleanno e che da quel momento sua madre non si era più ripresa.
In quel momento Gianluca uscì dal bagno. Era un ragazzo ben piazzato, alto e dalle spalle larghe, con un intreccio di ricci scuri che dovevano aver litigato con ogni pettine della città, due pozze nere al posto degli occhi ed un sorriso ampio e caldo in ogni circostanza.
Iniziarono ad apparecchiare con quella cura quasi maniacale che avevano loro insegnato in quel posto, operazione che richiese un’ora buona, durante la quale non parlarono molto perché nel frattempo era arrivata la boss che, sebbene fosse una donna molto cordiale in cucina, pretendeva che i suoi dipendenti fossero perfetti nelle zone riservate ai clienti.
Quando, verso le nove, arrivarono i primi clienti, esclusivamente su prenotazione, i camerieri si stamparono sul volto il loro miglior sorriso ed iniziarono a condurli ai loro tavoli. Le preoccupazioni personali rimanevano fuori da quella sala, li erano solo dei ragazzi entusiasti di servire pietanze costose a famosi uomini d’affari ed ai loro boriosi figlioli. Veronica stava appunto dando il benvenuto ad una tipica coppia imprenditore-segretaria, quando vide con la coda dell’occhio qualcosa che le piacque davvero poco: i Bezzi stavano facendo il loro ingresso nel ristorante. Si voltò per controllare ma non c’erano dubbi, erano proprio loro. Nessuno avrebbe potuto negare che fossero davvero bellissimi, tutti  tre. Il signor Bezzi era il tipico uomo-vino. Non perché fosse un ubriacone, ma perché più avanzava con l’età e più migliorava. Non somigliava molto al figlio ne come aspetto fisico e ne come atteggiamento: era un uomo che dava l’impressione di poter controllare il mondo e, si sa, questa è una cosa che sotto, sotto piace molto alle donne, soprattutto se coordinata ad un abito Brioni. Lorenzo invece, anche in giacca e cravatta, aveva la tipica aria da “Tutti farebbero quello che voglio non perché ho i soldi ma perché sono io.” E forse era anche vero. Insomma tutti gli esemplari di genere femminile gli avevano dato uno sguardo quando era entrato e ben poche non apparivano soddisfatte. La signora Bezzi era… incantevole. Non era solo bella, con gli stessi occhi del figlio ed i capelli castani che le ricadevano in onde morbide sulle spalle, ma emanava un’eleganza ed una leggiadria che spiazzavano.
Veronica desiderò ardentemente non essere li.
Si riscosse quando si accorse che l’imprenditore che stava accompagnando al tavolo stava cercando di attirare la sua attenzione.
«Si, certo, scusi! Mi era parso che mi stessere chiamando. Prego, da questa parte.» disse con un sorriso a trentadue denti, facendo strada alla coppia verso un tavolo vicino alla vetrata dalla quale si poteva osservare la spiaggia ed il mare. La vista la lasciava ogni volta senza fiato.
“E dire che dovrei essere abituata!” pensò.
«Posso portarvi qualcosa da bere mentre scegliete cosa ordinare?» chiese gentilmente dopo aver consegnato loro i menu.
«No, ti ringrazio, preferisco prima scegliere cosa mangiare.» rispose l’uomo (ovviamente) senza distogliere gli occhi dalla pagina che stava consultando e facendole capire che poteva andare con un distratto gesto della mano.
Lei sorrise di nuovo prima di allontanarsi. Sorriso che andò completamente sprecato visto che lui continuava a scorrere le pietanze massaggiandosi il mento e la sua accompagnatrice era troppo occupata a fargli gli occhi languidi.
“Se continuo così, a forza di sorridere, questo lavoro inizierà a farmi vomitare arcobaleni.” Si trovò a riflettere, sempre sorridendo a beneficio dei commensali che fortunatamente non potevano leggerle nel pensiero. Mentre si stava avviando verso un altro tavolo, che aveva fatto accomodare poco prima e che ormai doveva essere pronto per ordinare, intercettò uno sguardo grondante di sorpresa e… tristezza e vi si trovò immersa. Lorenzo la stava guardando e lei si ritrovò a ricambiare lo sguardo. Non gli aveva detto che stava cercando lavoro l’anno precedente perché non voleva farlo preoccupare riguardo alla situazione economica della sua famiglia e quando l’aveva trovato ormai lui era già “scomparso dai radar”, quindi non c’era stata occasione per metterlo a parte di niente ed ora lui doveva essere discretamente sconvolto.
Distolse lo sguardo dirigendosi a passo svelto verso il bagno del personale per ritrovare la concentrazione perduta. Si sbatté la porta alle spalle forse con troppa forza, ma questo non rappresentava un problema perché il bagno si trovava all’inizio del corridoio che portava al magazzino, quindi non proprio vicinissimo alla sala. Si poggiò con la braccia al lavandino e si guardò nello specchio.
“Ok Veronica, Lorenzo ti ignorerà proprio come ha fatto per tutto il giorno. Il turno finisce tra quattro ore, puoi farcela.” Cercò di convincersi, ma una parte di lei non poteva fare a meno di ricordare che Lorenzo non l’aveva ignorata proprio per tutto il giorno. Ripensò al passaggio in macchina ed alla loro freddezza reciproca e sentì montare la rabbia. La verità era che Lorenzo le era mancato e anche ora che era “resuscitato” continuava a mancarle. Era il suo migliore amico da sette anni, da quando alla fine della quinta elementare il padre di Veronica se n’era andato e lei si era trasferita con sua madre e Samanta nella casa dove abitavano ora, di fronte a quella di lui, e lei aveva dovuto separarsi da Federica e Serena, con le quali aveva legato moltissimo alle elementari, perché avrebbe frequentato la scuola media vicino casa sua e invece loro si erano iscritte in centro. Si era ritrovata da sola per la prima volta da quando aveva memoria, ma poi aveva conosciuto Lorenzo e tutto era diventato più semplice. Finita la scuola media, lei e le sue migliori amiche avevano deciso di riunirsi al liceo, perché ormai lei poteva tranquillamente muoversi con i mezzi pubblici e non aveva importanza che sua madre non avesse la macchina, e Lorenzo si era lasciato convincere ad iscriversi nella loro stessa classe. Non erano mai rimasti senza parlarsi per due mesi e mezzo, era un sacco di tempo, solitamente non resistevano nemmeno un paio di giorni. Certo magari dopo aver litigato ricucivano il loro rapporto urlandosi addosso, ma almeno era qualcosa, era un confronto. In questa nuova situazione lei non sapeva come comportarsi: era pronta a scontrarsi con la sua rabbia ed il suo sarcasmo (le era già successo), ma non con la sua freddezza.
Mentre era ancora immersa in questi pensieri la porta alla sua destra si aprì e lei si affretto ad avvisare l’intruso che il bagno era occupato, ma Gianluca entrò lo stesso.
«Oi Vero, ti ho visto praticamente scappare dalla sala.» le disse con un sorriso mesto. «È successo qualcosa?» aggiunse allora scrutandola.
«No, no, è tutto apposto.» rispose Veronica tirando fuori il miglior sorriso che riuscì a trovare. Lui la guardò dubbioso.
«Bugiarda.» disse con un’alzata di spalle, infatti.
«Ok, d’accordo, c’è un mio amico in sala e non sa che lavoro, tutto qui.» era una mezza verità. Non sapeva nemmeno lei perché non aveva detto a Gianluca che l’amico in questione era il suo migliore amico anche se non si parlavano da due mesi e mezzo e che era proprio per questo che la sua vista la turbava.
In quel momento Gianluca le venne più vicino e la abbracciò con affetto poggiandosi la sua testa sul petto.
«Non c’è niente di cui vergognarsi nel lavorare qui, lo sai si? Anzi! Dico ma l’hai vista la sala? È dieci volte il mio appartamento!» rise il ragazzo per sdrammatizzare e tentare di tirarle su il morale. Veronica si ritrovò a ridere e, sciogliendosi dall’abbraccio cercò di essere un po’ più convincente nel suo sorriso mentre rispondeva.
«Ma no! Non è una questione di vergogna!» mosse la mano davanti al viso che se quell’idea fosse come un insetto fastidioso da scacciare. «È solo che io… cioè lui… non siamo…» aveva iniziato bene, ma sul finale la sua voce si perse farfugliando qualcosa di incomprensibile e comunque di insensato.
«Lui ti piace?» la domanda aveva il sapore aspro della constatazione.
«No, no! Ma che dici?» rispose subito Veronica portando le mani avanti come a volersi proteggere da quelle parole.
Seguì una lunga pausa.
«Vero, tu sei una ragazza fantastica. Sei sempre così gentile e amichevole e…» Gianluca si interruppe facendo un passo in avanti e venendole davvero molto vicino. In quel momento Veronica si accorse di trovarsi tra lui ed il lavandino.
«Gianni…» iniziò lei ma venne interrotta da una carezza di lui sulla sua guancia che la lasciò pietrificata al suo posto. Lo sguardo di Gianluca andava dai suoi occhi alle sue labbra mentre lui si avvicinava lentamente, come se volesse darle tutto il tempo per allontanarsi se lo avesse voluto. Non era sicura di volerlo. In realtà era da tempo che sospettava che, per lui, lei fosse più di un’amica e ne aveva parlato anche con Federica e Serena, che da sempre approvavano Gianluca, così da qualche sera, in realtà, si aspettava un scena del genere (magari non in un bagno) ed era piuttosto preparata. Chiuse gli occhi, in attesa.
In quel momento entrò Sara nel bagno e Gianluca si allontanò di colpo.
«Farò finta di non aver visto.» esordì la rossa ridendo e scuotendo la testa. Veronica diventò di una simpatica tonalità cremisi in meno di un secondo. «E voi fareste meglio a tornare in sala prima che la boss si accorga che vi siete imboscati qui.» aggiunse poi aprendo la porta per far capire loro che aveva bisogno del bagno. Veronica cercò di spiegarle che non si erano affatto imboscati ma ogni suo tentativo si rivelò inutile così uscì dal bagno a testa bassa per poi scappare in sala, seguita dalla risata del’amica.
Il resto del turno trascorse abbastanza tranquillamente, tralasciando Lorenzo che la ignorava con fermezza parlando con i suoi parenti. I suoi genitori le avevano fatto un cenno di saluto, la conoscevano molto bene, ma lei si era guardata bene dall’andare a servirli, chiedendo a Sara una mano per evitarlo. Quando finalmente chiesero il conto e lasciarono il ristorante per lei fu un sollievo. Verso mezzanotte e mezza i clienti erano andati via tutti e i camerieri si ritrovarono soli a sparecchiare.
«Allora, cosa facevate tu e Gianni in bagno soli, soletti?» le chiese Sara avvicinandosi con un sorriso malizioso.
«Di certo non quello che pensi tu.» rispose Veronica ridendo e tornando dello stesso colore dei capelli dell’amica.
«Certo, vedo!» constatò allora lei notato il suo “lieve” rossore ed allontanandosi ridendo. Veronica le lanciò un tovagliolo, ma non riuscì a farla smettere.
Lei e Sara si erano conosciute all’inizio dell’estate, quando Veronica aveva iniziato a lavorare al ristorante. Aveva ventitré anni e si era da poco laureata in economia, ma ovviamente, in attesa di trovare un impiego, si accontentava di fare la cameriera. Era una ragazza dai capelli rossi, gli occhi di un marrone chiarissimo ed il viso pieno di lentiggini. Erano andate d’accordo da subito e Sara le diceva sempre che era una ventitreenne mancata, intrappolata nel corpo di una diciottenne.
Quando aveva finito e stava andando a prendere la sua borsa in magazzino, Gianluca le si parò davanti con un’aria combattuta.
«Senti Vero… mi dispiace per prima. Cioè no, non è vero che mi dispiace. Diciamo che mi dispiace se ho fatto qualcosa che ti ha dato fastidio, ecco. Il fatto è che mi piaci. Dio, detto così sembro un bambino delle elementari! Vorrei solo che iniziassimo a frequentarci come qualcosa di più che amici.» concluse con il sorriso più timido che Veronica gli avesse mai visto. Lei non sapeva cosa dire. Gianluca non le dispiaceva, ma… ma niente. Gianluca non le dispiaceva.
«Per me va bene.» rispose con un sorriso più convincente di quello di lui, che subito la imitò.
«Fantastico, allora per te va bene se sta sera usciamo con Sara ed il suo ragazzo?» Gianluca scoppiò a ridere. «Giuro che mi ha incastrato, sarei voluto uscire solo con te.» ammise con un’alzata di spalle.
“Ed ecco spiegato il mistero del casco rosa.” Pensò Veronica.
«Certo.» rispose in parte sollevata perché un’uscita a quattro come prima uscita era sicuramente meglio di un’uscita da soli. «Io vado a prendere la borsa, voi aspettatemi fuori.» aggiunse incamminandosi a passo svelto verso il magazzino.
 
Uscire all’aria aperta, dopo aver passato le ultime sette ore in un ristorante, fu come rinascere. Si stava già incamminando verso Gianluca, Sara ed il ragazzo di quest’ultima quando una sagoma familiare a pochi metri da lei attirò la sua attenzione. Se ne stava appoggiato al muro con le spalle ed un piede, con la cravatta allentata ed i primi due bottoni della camicia aperti, ed aveva una mano affondata nella tasca, mentre l’altra portava una sigaretta dal suo fianco al suo viso con un ritmo abbastanza serrato. Veronica fece cenno agli altri di aspettarla per qualche secondo. Poi gli si avvicinò senza riflettere.
«Da quando hai ricominciato a fumare?» gli chiese una volta giunta abbastanza vicino.
Lorenzo prese l’ultima, lunga boccata dalla sigaretta ormai finita, poi la gettò lontano.
«Fumo solo quando sono nervoso, lo sai.»
“Oh si che lo so.” Pensò Veronica. La fase da fumatore di Lorenzo era durata appena un anno, in secondo liceo, poi si era stancato di sentire le prediche infinite della sua migliore amica e aveva smesso, anche perché non gli piaceva avere vizi: detestava l’ide di dipendere da qualcuno, figurarsi da qualcosa. Da quel momento fumava solo quando era molto nervoso, come ad esempio quando suo nonno era stato ricoverato e poi era morto. In quel caso Veronica non gli aveva detto nulla sul fumo, perché lei sapeva.
«Che ci fai qui?» Cambiò domanda allora.
«Sono venuto a cena con la mia famiglia.» rispose lui facendo finta di non aver capito il vero significato della domanda.
«Che ci fai qui, ora?» precisò lei.
«E tu, che ci fai qui?» Lorenzo si staccò dal muro.
«Ci lavoro.» rispose lei facendo finta di non aver capito il vero significato della domanda.
“Da quando io e lui facciamo finta?” Si ritrovò a chiedersi lei.
«E perché?» la incalzò allora lui come se stesse chiedendo ad un bambino come si chiamava.
«Perché la gente lavora, Lorenzo?» chiese lei di rimando con sarcasmo.
«Veronica.» sembrava che la stesse pregando e nei suoi occhi passò un lampo di malinconia.
«Lo scorso ottobre mia madre ha perso il lavoro. Ha iniziato a lavorare in un call centre, ma aveva bisogno di una mano, così ho iniziato a cercare. Lavoro qui da giugno.» Veronica decise di essere sincera, rispondendo stringendosi nelle spalle e distogliendo lo sguardo da lui.
«Perché non mi hai detto niente?» esclamò lui con slancio.
«Perché va tutto bene.» Veronica disse ad alta voce la stessa frase che continuava a ripetersi da quasi un anno, tornando a guardarlo.
«Sono il tuo migliore amico.» iniziò lui con un tono più pacato. «Avrei potuto aiutarti.» si passò una mano tra i capelli. “Cavolo, è davvero nervoso.” «Cazzo, Ronnie, avrei voluto saperlo!»
«Perché non mi hai detto che saresti partito?» chiese allora lei di punto in bianco riprendendo il coltello dalla parte del manico.
«Perché…» Lorenzo si interruppe quasi subito. «Non stavamo parlando di me.» Cercò di troncare l’argomento ma poi lasciò perdere. «… ero talmente arrabbiato!» concluse.
«Tu?!» esclamò Veronica spalancando gli occhi.
«Dopo quello che è successo, avevo deciso di aspettare che fossi tu a farti viva.» la guardò, e nei suoi occhi, per appena un momento, a lei sembrò di intravedere qualche sfumatura di senso di colpa. «Ma dopo una settimana di te non avevo saputo niente e non potevo credere che tu avresti lasciato che tra noi le cose rimanessero così sospese per tanto tempo. Ero arrabbiato. Sembravi perfettamente intenzionata a permettere ad una stronzata del genere di distruggere… noi.» aveva iniziato con veemenza ma verso la fine la sua voce si era ridotta ad un sussurro carico di risentimento.
«Una stronzata? Una stronzata!» Veronica era senza parole e continuava a fissarlo ad occhi sbarrati. Si riprese solo con grande fatica. «Tu» iniziò puntandogli un dito contro. «Tu mi hai trattata coma una delle tue puttanelle pronte a venire al letto con te in qualunque momento.» si era autoimposta di non alzare la voce ma sul finale non ci riuscì.
 «È così che la pensi?» anche lui aveva alzato leggermente la voce e le aveva preso il polso del dito che poco prima era puntato contro il suo petto. «Tu non sei mai stata come le altre! Santo Dio, sei la mia migliore amica, pensi davvero che ti tratterei come loro.» i loro volti erano vicinissimi, mentre loro si guardavano in cagnesco.
«Lorenzo, tu mi hai chiesto di fare sesso con te.» il tono di veronica era rabbioso e recava ancora tracce della delusione di quella maledetta sera.
«Come potevo pensare che avresti creduto di essere solo una che volevo portarmi al letto? Pensavo sapessi che ci tengo a te, pensavo mi conoscessi!» le lasciò andare il braccio con rabbia e si passò una mano sul viso. «Poi ci siamo ritrovati nella nostra strada e non ho pensato più niente. Eri bella, ok?» concluse allargando le braccia quasi con disperazione.
«Tu non puoi nemmeno immaginare quanto mi hai ferita.» disse piano, scandendo bene le parole.
«E non potevi urlarmelo addosso?» chiese lui lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi.
Veronica abbassò il capo sentendo gli occhi pizzicare. La verità era che tutto quello che aveva cercato di fare da quella sera era stato dimenticare ciò che era successo.
«No,» rispose lui per lei. «hai preferito buttare via sette anni come se niente fosse per… nulla.» era tornato ad appoggiarsi con le spalle al muro incrociando le braccia al petto, con quell’aria indifferente che gli veniva così bene.
Veronica alzò gli occhi lucidi su di lui e poi sussurrò impercettibilmente (o quasi) «Per me non è stato nulla.» prima di voltarsi e dirigersi a passo svelto verso i ragazzi che la stavano aspettando vicino alla moto di Gianluca ed alla macchina del ragazzo di Sara.
Lui non riuscì a fare altro se non guardarla andare via.
 


È venuto davvero luuuuuungo hahaha :). Ok hemm, un momento di contemplazione per il Lorenzo che aspettava Veronica fuori dal ristorante? Cioè perché io lo adoro. Ma veniamo a noi. La dichiarazione di Gianluca stile bambino delle elementari non era prevista (ne da me e ne da lui) però lui è un po’ così: trasparente. A confronto con Lorenzo, lui è una specie di boccata d’aria fresca e continuerà ad esserlo, vi avviso, ma tra qualche capitolo avremo anche qualche scena in cui vi mostrerò cosa sono Veronica e Lorenzo quando sono insieme da soli. In più in questo capitolo abbiamo saputo anche qualcosa di più sulla storia di Veronica, ma c’è ancora molto da dire. Il prossimo capitolo sarà incentrato per lo più su Veronica, Federica e Serena: ci prendiamo una piccola pausa dai ragazzi. Avevo pensato (in realtà è già scritto, ma volendo potrei rifarlo ex novo) di fare il sesto capitolo dal punto di vista di Lorenzo, fatemi sapere cosa ne pensate ;). Credo di aver detto tutto.
Grazie mille a nuvolina90 e laika_89 che hanno aggiunto la storia tra le preferite ed a afrodite31 che l’ha aggiunta tra le seguite!
Bacioni :*
 
* per intenderci il casco integrale è quello con la copertura anche sul mento e la visiera, mentre quello semi-integrale non ha la visiera.
  
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