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Autore: nephylim88    10/07/2013    1 recensioni
Giorgia Casiraghi non può essere definita fortunata. a diciassette anni è stata rapita e stuprata. Quindici anni dopo, dopo tutti gli sforzi fatti per lasciarsi tutto alle spalle, si ritrova con sua figlia in ospedale, malmenata e stuprata anche lei...
ogni riferimento a fatti e persone esistenti è puramente casuale.
Spero che la storia vi piaccia! Come ho promesso ne "la cacciatrice di anime", la storia qui presente è già completa. Pubblicherò in capitoli ogni due o tre giorni al massimo! Buona lettura!
Genere: Drammatico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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Mi ci volle un po' per elaborare un piano. Anche se in verità ero perfettamente consapevole che probabilmente non avrebbe funzionato, che mi avrebbero presa. Non ero certo una criminale incallita! Ma ero disposta a tutto pur di impedire a quel bastardo di fare del male ancora. E poi, lo ammetto, non era solo una questione di nobiltà d'animo. Volevo vendetta. Quell'uomo doveva morire. Ma lentamente. Soffrendo atrocemente. Non gli avrei concesso l'onore e la pietà di una morte rapida. Greta era ancora in coma. Non dava segni di vita. I medici erano abbastanza ottimisti, era stabile, e comunque le probabilità che si risvegliasse in tempi brevi erano piuttosto buone. Ma questo non mi distoglieva dal mio obiettivo. Leto doveva morire. E dovevo essere io a ucciderlo. L'unico problema era: quando?

Ebbi un colpo di fortuna, mia madre mi disse, con il suo tono da 'non sento ragioni', che sarebbe ritornata quella sera, e con Greta ci sarebbe rimasta lei fino al mattino successivo. Vedendo la mia occasione, feci un po' di finto tiramolla, prima di cedere. Rimasi con Greta tutto il giorno, senza mai staccare gli occhi da lei.

Quando arrivò mia madre, corsi a casa. Decisi che tanto valeva fare le cose in grande stile. Mi vestii di nero, pantaloni in pelle e maglia aderente, per potermi muovere più agilmente nel buio. Mi caricai in spalla una mia vecchia sacca, con dentro una torcia, un coltello, una corda, una pallina di gommapiuma, del nastro adesivo, guanti monouso e un dildo in plexiglass. Me l'avevano regalato per la mia laurea, prendendomi in giro per il fatto che non volevo uomini nella mia vita, almeno fino a quando Greta non fosse stata abbastanza grande da accettarli senza sentirsi spodestata. Detta in modo egoistico, mi bastava quello che avevo passato, non volevo altre rogne in casa.

Mi diressi verso la casa abbandonata dove ero stata tenuta prigioniera. L'avevano già perquisita, ma, non so perché, ero convinta che sarebbe ritornato lì. Mi infilai i guanti, per non lasciare impronte. È vero che forse mi avrebbero beccata, ma non avevo certo voglia di facilitare le cose! Cercai dappertutto delle tracce di quello scarto d'uomo. In effetti avevo ragione, Leto era stato lì di recente, c'erano delle impronte nella polvere sul pavimento e non c'era puzza di chiuso, segno che le finestre venivano regolarmente aperte. In fondo poteva permettersi questa piccola imprudenza, la casa era in una zona molto isolata. Ghignai. Poi mi diressi verso la stanza dove per me era cominciato quell'inferno.

Mi rannicchiai in un angolo, dietro alla porta, constatando che quello stronzo ci dormiva abitualmente, in quel posto. Il vecchio letto era ancora lì. L'idea che magari alla sera, una volta steso a letto, si eccitasse all'idea di quello che ci aveva fatto sopra, con me e chissà con quante altre, accrebbe la mia ira. Una cosa mi stupì non poco, comunque. Quello era il covo di Leto. Ne ero sicura. Come mai i poliziotti non tenevano sorvegliata la zona? Ero entrata lì dentro con una facilità estrema. Non c'erano testimoni della mia presenza lì, come già detto, la zona era troppo isolata perché dei vicini potessero notare movimenti sospetti. Possibile che sottovalutassero così il pericolo che rappresentava quel sociopatico? O magari l'avevano già preso? No, impossibile, Loredana o Brandi mi avrebbero avvisata. Ma allora perché...

In quel momento la porta si aprì. Nell'oscurità, a cui mi ero abituata, intravidi il profilo inconfondibile di Leto. Afferrai l'abat-jour che avevo a fianco, e prima che potesse emettere un solo fiato, gliela scagliai in testa. L'uomo crollò come un sacco di patate.

“Si dia inizio al divertimento.” sogghignai.


Si svegliò dopo un quarto d'ora. Avevo fatto a tempo a spogliarlo, sistemarlo sul letto, e legarlo mani e piedi alla ringhiera. Tenevo la lampada accesa (miracolosamente funzionante), in modo che mi vedesse.

“Che cosa... chi sei tu?” sbottò, spaventato.

“L'ultima persona a cui hai fatto del male, stronzo.”

Cominciò a dimenarsi come un matto, inutilmente. Sghignazzai.

“Chi sei?” ripeté, bianco come un lenzuolo.

“La madre di tua figlia.”

“Figlia? Io non ho figlie! E neanche figli!”

“Non che tu sappia, Samuele, non che tu sappia.”

“CHE COSA VUOI DA ME?”

“Guardami in faccia, Samuele.”

Mi guardò. Se possibile, diventò ancora più pallido.

“Tu... tu... sei quella troia che mi ha fatto finire in carcere!”

“Ahiahiahi, Samuele! Tua madre non ti ha insegnato a non dire parolacce?”

Tirai fuori la pallina e il nastro adesivo. Feci per mettergli in bocca la pallina, ma mi resi conto che era troppo grossa. Così la tagliai a metà. Non volevo che soffocasse prima ancora di cominciare a divertirmi con lui. Mi avvicinai, ma lui mi sputò addosso. Schivai lo sputo, e fu a quel punto che mi stufai.

“Fai il ritrosetto, eh?”

Gli diedi un colpo in testa. Abbastanza forte da stordirlo, non abbastanza da fargli perdere i sensi. Perfetto! Poi presi il dildo dalla sacca, rigirai per quanto possibile quel lurido verme, infilai la punta del dildo nel suo ano. Mi alzai in piedi sul letto, un po' a fatica. Quando trovai un po' di equilibrio, calciai forte il dildo dentro di lui. Recuperò la coscienza in meno di un secondo, urlando come un maiale. Oh, sì! Calciai una seconda volta. All'urlo si unì un pianto disperato, un'invocazione di pietà.

“Hai avuto pietà di me, quando ero legata a questo letto? Hai avuto pietà di tua figlia, l'altra sera, quando l'hai stuprata e ridotta in coma? RISPONDI!” diedi un altro calcio.

“BASTA! IO NON SAPEVO CHE QUELLA FOSSE TUA FIGLIA!”

“Cos'è, sei sordo? Io ho detto che la figlia è tua!”

“Cosa?” anche in mezzo all'agonia, mise su un'espressione sorpresa.

“Samuele, io, in quei disgraziati dieci giorni, sono rimasta incinta. E ho partorito una bambina. Che ho cresciuto con amore, nel rispetto degli altri, nel tentativo di farla crescere senza rabbia nei confronti di te, suo padre. Aveva anche funzionato, nonostante tutto. Ma poi hai rovinato tutto! Pensa alla ragazzina che hai stuprato l'altra sera.”

Inorridì “vuoi dire che era lei?”

“Sì, figlio di puttana! E ora la pagherai!”

Decisi di facilitarmi ulteriormente le cose. Uscii fuori dalla stanza, alla ricerca di qualcosa di pesante. Trovai un tubo di metallo. Tornai in stanza. Gli spaccai le ginocchia. Non esisteva proprio che si liberasse come avevo fatto io, con un insperato colpo di fortuna. Urlò. E io quasi gemetti di piacere. La vendetta aveva un sapore inebriante.

“TI PREGO!” gridò.

“Credi sia il caso di pregare? Va bene, va bene... ma sappi che sarà inutile!”

Presi il coltello in mano. E in quel momento mi accorsi che, diavolo!, avevo dimenticato il sale! Va beh, nessun problema, la casa era impolverata, bastava un po' di sporcizia a raggiungere il mio scopo. Certo, all'inizio non sarebbe servito granché, ma una volta sparsa la polvere in tutto il corpo...

Cominciai a tagliuzzarlo. Stetti bene attenta a non tagliare vene e arterie. Poi cosparsi le ferite di polvere. Funzionò. Cominciò a dimenarsi, per quanto poteva con le ginocchia frantumate, nel tentativo di grattarsi. Credo, ma non ne sono sicura, che la zona vicino ai genitali fosse tremenda per lui. Sghignazzai. A ripensarci ora, credo proprio che avessi perso il lume della ragione.

“Ti scongiuro! Ti scongiuro! Io non volevo farle del male, se avessi saputo che era mia figlia non l'avrei toccata!” singhiozzò. Era quasi patetico, un uomo di trentotto anni che biascicava come se fosse mezzo ubriaco. E per di più si era pisciato addosso! Credo che avrebbe mollato anche qualcosa di più consistente, ma l'uscita posteriore era bloccata... ooops!

“Vorresti dirmi” sibilai “che comunque avresti fatto del male? Che se anche avessi saputo che lei era tua figlia, magari lei l'avresti evitata, ma avresti comunque stuprato una ragazza innocente?”

“Tu non capisci. Non capisci com'è... essere me... io so... sono malato...” esalò.

“Non provare a giustificarti con me in questo modo così ignobile. Tu sei malato, è vero, ma non hai fatto niente per curarti. Niente. Hai tenuto me prigioniera per dieci giorni. Sospettano di te in altri casi di stupro, e in altri rapimenti avvenuti prima della mia prigionia. Se tu ti rendessi veramente conto della tua malattia, parecchi di quei casi non si sarebbero mai verificati. Tu eri pienamente consapevole di quello che facevi. Hai scelto tu di fare del male.”

Lo vidi quasi perdere i sensi. E mi resi conto che non avevo molto tempo. Non potevo rischiare che mia madre mi cercasse sul cellulare, e non trovandomi venisse a casa mia. Non avevo un orologio, ma a occhio e croce avevo fatto almeno tre ore di assenza. Sospirai, e feci quello che mi ero prefissata di fare. Quello che avrebbero dovuto fargli una volta incarcerato. Afferrai il suo pene. E lo recisi. Non era come tagliare una salsiccia, ci misi un po'. Considerando che, nonostante i taglietti fossero poco profondi, aveva perso una discreta quantità di sangue, e sicuramente era in agonia per via delle ginocchia e del dildo infilato nel didietro con tanta brutalità, aveva degli ottimi polmoni. Aveva urlato per tutto il tempo. Alla fine la pallina non mi era servita a niente. Mi piaceva sentirlo urlare. Mi faceva sentire bene, una specie di angelo vendicatore, la mano sinistra di Dio.

Sventolai il suo organo genitale con un ghigno perverso, quasi a dire 'indovina cos'ho preso?'. Poi lo gettai a terra. Guardai Leto che tremava, convulso.

“Avresti dovuto saperlo che prima o poi l'avresti pagata.”
Lui non rispose. Rantolava. Io sbuffai. Poi gli piantai il coltello nel cuore. Morì in pochi minuti.

E io urlai, come un animale ferito. Piansi e risi insieme. Ululai. Finalmente era finita! Raccolsi la mia sacca, recuperai l'unico oggetto che potevano collegare a me (il dildo) e tornai a casa.

  
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