“La
scienza non è nient'altro che
una perversione se non ha come suo fine ultimo il miglioramento delle
condizioni dell'umanità.”
[Nikola Tesla]
Prologo
New
York City-Central Park- 20 settembre 2013
Le foglie secche
scricchiolavano sotto i piedi di una ragazza sui
ventitré anni che si dirigeva verso uno dei numerosi alberi
del parco. Era
vecchio e ricurvo, le fronde davano direttamente sul laghetto e uno dei
rami vi
si immergeva in alcuni punti. Era un punto pericoloso e la ragazza non
avrebbe
dovuto essere lì, ma quello era il suo posto preferito e
avrebbe rischiato
qualsiasi cosa pur di sedersi e contemplare il panorama. Si sedette sul ramo
più resistente, che si
allungava per circa un metro e mezzo sull’acqua e si
rilassò, lasciando
penzolare i piedi. Chiuse gli occhi, poi li riaprì e prese a
frugare nello
zainetto che portava sempre con sé, ne estrasse dei tozzi di
pane vecchio e ne
sbriciolò un po’ nella mano per poi spargerlo
sull’acqua, e un po’ più in
là,
alla base del tronco. Alcune anatre si avvicinarono timidamente e
cominciarono
a banchettare sotto i piedi della ragazza che le osservava compiaciuta;
a
terra, invece, arrivo un solo e sparuto piccione che prese a beccare
alla base
dell’albero. La ragazza smise di dondolare le gambe per non
spaventare i
volatili e passò una buona mezz’ora spargendo
briciole e molliche, compiaciuta
della propria buona azione che compiva quasi due o tre volte a
settimana da
…Dal giorno in cui aveva scoperto quel posto da bambina. Una
volta finito il
pane sbadigliò, si sdraiò sul ramo e prese a
sonnecchiare.
Durò
solo un attimo. Camminavo contemplando il paesaggio,
all’inizio
non notai la figura che giaceva sdraiata sul ramo di un albero
pericolosamente
sospeso sull’acqua. Non era uno spettacolo che si incontrava
tutti i giorni. I
capelli corvini e lunghissimi della ragazza ondeggiavano al vento e io
mi
fermai a guardarla, ammirato e stupito da quella vista. Ero molto
distante da
lei e non riuscivo a scorgere i tratti del suo viso, ma immaginavo che
fosse
bellissimo, come il suo corpo.
Subito dopo un
tremito scosse il ramo e la ragazza scivolo senza
svegliarsi e cadde in acqua con un tonfo. Rimasi interdetto, ma solo
per un
secondo, mi precipitai verso la sponda del lago, gettai a terra la
tracolla e
mi tuffai. L’acqua era profonda già a un metro di
distanza dalla riva, ma
sapevo nuotare quindi sollevai la ragazza circondandole il busto con un
braccio, respirava normalmente e adesso sembrava essere completamente
sveglia,
ma inconsapevole di cosa le fosse appena capitato. Le tenni la testa
sollevata
e con due bracciate raggiungemmo di nuovo la terra ferma. Si era
finalmente
resa conto di essersi addormentata e di essere caduta in acqua, doveva
essere
così, ma non percepii alcun cambiamento nello sguardo o nel
volto della
ragazza, che si limitò a raccogliere tra le mani la folta
chioma scura e a
strizzarla energicamente. Sembrava essersi già dimenticata
di me, che stavo lì
in piedi come un idiota a guardarla, fradicio dalla testa ai piedi.
Anzi, pareva
non avermi nemmeno visto, ci volle un po’ prima che si
voltasse verso di me, e
nell’osservarmi il suo volto non assunse nessuna smorfia,
nessuna particolare
espressione; era congelato in un sorriso piatto, reso vivo unicamente
dagli
occhi neri, luminosi e impenetrabili.
Ci fissammo per
alcuni minuti: lei, seduta sull’erba, sembrava non
essersi accorta di nulla; io, in piedi, la osservavo irritato,
noncurante dei
vestiti che gocciolavano ancora dopo quel bagno decisamente fuori
programma.
-Certo che un
grazie me lo merito, non credi?- borbottai
abbandonandomi quasi a peso morto sull’erba e sdraiandomi.
Avevo freddo, un
freddo indicibile, ma non volevo farlo capire a lei, che pareva essere
insensibile anche al freddo.
Non mi aveva
nemmeno ascoltato, si rimise in piedi e afferrò uno
zainetto che era caduto dal ramo e fortunatamente atterrato alla base
dell’albero; ne estrasse una larga felpa blu scuro e me la
porse senza dire una
parola. Da bravo gentiluomo la rifiutai e le dissi di usarla per
sé.
-Non sento
freddo- si limitò a dire lanciandomela. La indossai
riluttante. Notai che era da uomo, e che mi stava alla
perfezione… Doveva
essere una di quelle ragazze che amava la comodità nel
guardaroba…Ma
evidentemente non nel relax, dato che era in grado di addormentarsi su
un
dannato tronco d’albero.
-Mi chiamo
Russell – dissi tendendole la mano. Lei in tutta risposta
ignorò il mio gesto e tornò a frugare nel suo
zainetto.
Sbuffai, di
nuovo irritato dal suo modo di fare.
-Io sono Opal-
disse dopo alcuni minuti.
Era un bel nome,
ma non espressi nessun complimento ad alta voce,
non se lo meritava.
Passarono alcuni
minuti, il silenzio era opprimente per me, ma non
volevo aprire bocca, forse per ripicca, ma anche perché non
avevo niente da
dire.
-Vieni con me-
Opal si rimise in piedi, prese le sue cose e cominciò
a camminare senza aspettarmi. Non me lo feci ripetere due volte,
afferrai la
tracolla e la raggiunsi. Mi sentivo un idiota, ma ero curioso.
E la seguii.