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Autore: Blubba    10/07/2013    0 recensioni
Nikola Tesla nacque il 10 luglio 1856, e oggi, nell'anniversario della sua nascita, pubblico il primo capitolo di questa storia.
“La scienza non è nient'altro che una perversione se non ha come suo fine ultimo il miglioramento delle condizioni dell'umanità.”
[Nikola Tesla]
Genere: Avventura, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“La scienza non è nient'altro che una perversione se non ha come suo fine ultimo il miglioramento delle condizioni dell'umanità.”

[Nikola Tesla]

 

Prologo

New York City-Central Park- 20 settembre 2013

Le foglie secche scricchiolavano sotto i piedi di una ragazza sui ventitré anni che si dirigeva verso uno dei numerosi alberi del parco. Era vecchio e ricurvo, le fronde davano direttamente sul laghetto e uno dei rami vi si immergeva in alcuni punti. Era un punto pericoloso e la ragazza non avrebbe dovuto essere lì, ma quello era il suo posto preferito e avrebbe rischiato qualsiasi cosa pur di sedersi e contemplare il panorama.  Si sedette sul ramo più resistente, che si allungava per circa un metro e mezzo sull’acqua e si rilassò, lasciando penzolare i piedi. Chiuse gli occhi, poi li riaprì e prese a frugare nello zainetto che portava sempre con sé, ne estrasse dei tozzi di pane vecchio e ne sbriciolò un po’ nella mano per poi spargerlo sull’acqua, e un po’ più in là, alla base del tronco. Alcune anatre si avvicinarono timidamente e cominciarono a banchettare sotto i piedi della ragazza che le osservava compiaciuta; a terra, invece, arrivo un solo e sparuto piccione che prese a beccare alla base dell’albero. La ragazza smise di dondolare le gambe per non spaventare i volatili e passò una buona mezz’ora spargendo briciole e molliche, compiaciuta della propria buona azione che compiva quasi due o tre volte a settimana da …Dal giorno in cui aveva scoperto quel posto da bambina. Una volta finito il pane sbadigliò, si sdraiò sul ramo e prese a sonnecchiare.

Durò solo un attimo. Camminavo contemplando il paesaggio, all’inizio non notai la figura che giaceva sdraiata sul ramo di un albero pericolosamente sospeso sull’acqua. Non era uno spettacolo che si incontrava tutti i giorni. I capelli corvini e lunghissimi della ragazza ondeggiavano al vento e io mi fermai a guardarla, ammirato e stupito da quella vista. Ero molto distante da lei e non riuscivo a scorgere i tratti del suo viso, ma immaginavo che fosse bellissimo, come il suo corpo.

Subito dopo un tremito scosse il ramo e la ragazza scivolo senza svegliarsi e cadde in acqua con un tonfo. Rimasi interdetto, ma solo per un secondo, mi precipitai verso la sponda del lago, gettai a terra la tracolla e mi tuffai. L’acqua era profonda già a un metro di distanza dalla riva, ma sapevo nuotare quindi sollevai la ragazza circondandole il busto con un braccio, respirava normalmente e adesso sembrava essere completamente sveglia, ma inconsapevole di cosa le fosse appena capitato. Le tenni la testa sollevata e con due bracciate raggiungemmo di nuovo la terra ferma. Si era finalmente resa conto di essersi addormentata e di essere caduta in acqua, doveva essere così, ma non percepii alcun cambiamento nello sguardo o nel volto della ragazza, che si limitò a raccogliere tra le mani la folta chioma scura e a strizzarla energicamente. Sembrava essersi già dimenticata di me, che stavo lì in piedi come un idiota a guardarla, fradicio dalla testa ai piedi. Anzi, pareva non avermi nemmeno visto, ci volle un po’ prima che si voltasse verso di me, e nell’osservarmi il suo volto non assunse nessuna smorfia, nessuna particolare espressione; era congelato in un sorriso piatto, reso vivo unicamente dagli occhi neri, luminosi e impenetrabili.
Ci fissammo per alcuni minuti: lei, seduta sull’erba, sembrava non essersi accorta di nulla; io, in piedi, la osservavo irritato, noncurante dei vestiti che gocciolavano ancora dopo quel bagno decisamente fuori programma.
-Certo che un grazie me lo merito, non credi?- borbottai abbandonandomi quasi a peso morto sull’erba e sdraiandomi. Avevo freddo, un freddo indicibile, ma non volevo farlo capire a lei, che pareva essere insensibile anche al freddo. 
Non mi aveva nemmeno ascoltato, si rimise in piedi e afferrò uno zainetto che era caduto dal ramo e fortunatamente atterrato alla base dell’albero; ne estrasse una larga felpa blu scuro e me la porse senza dire una parola. Da bravo gentiluomo la rifiutai e le dissi di usarla per sé.
-Non sento freddo- si limitò a dire lanciandomela. La indossai riluttante. Notai che era da uomo, e che mi stava alla perfezione… Doveva essere una di quelle ragazze che amava la comodità nel guardaroba…Ma evidentemente non nel relax, dato che era in grado di addormentarsi su un dannato tronco d’albero.
-Mi chiamo Russell – dissi tendendole la mano. Lei in tutta risposta ignorò il mio gesto e tornò a frugare nel suo zainetto.
Sbuffai, di nuovo irritato dal suo modo di fare.
-Io sono Opal- disse dopo alcuni minuti.
Era un bel nome, ma non espressi nessun complimento ad alta voce, non se lo meritava.
Passarono alcuni minuti, il silenzio era opprimente per me, ma non volevo aprire bocca, forse per ripicca, ma anche perché non avevo niente da dire.
-Vieni con me- Opal si rimise in piedi, prese le sue cose e cominciò a camminare senza aspettarmi. Non me lo feci ripetere due volte, afferrai la tracolla e la raggiunsi. Mi sentivo un idiota, ma ero curioso.
E la seguii.

   
 
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