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Autore: xlovedrew    11/07/2013    9 recensioni
Quando gli sguardi si incontrano e l'amore chiama, è davvero difficile rifiutare, soprattutto quando hai di fronte Louis Tomlinson. //
*Dal testo*
«Sai Styles, sei più bravo con i baci, che con le parole» soffiò sulle sue labbra Louis, mentre riprendeva fiato, appoggiato alla sua fronte. Harry ridacchiò felice, sereno e spensierato. Desiderava così ardentemente che il tempo si fermasse, riavvolgesse il nastro e ripetesse il momento più bello della vita di Harry all’infinito. Ancora, ancora e ancora, finché non gli fosse mancato il respiro.
Dio, com’era bello baciare quelle labbra, sentire quel sapore, stringerlo a sé e capire che era finalmente tutto suo, solamente suo.
«Allora credo che qualsiasi altra parola sia solo inutile» affermò, riavvicinandosi a lui.
Louis sorrise, prima di riprenderne il possesso e ricominciare a torturarle con passione, dolcezza e amore.
***********
HighSchool!AU
IT'S LARRY TIME.
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
- Questa storia fa parte della serie 'Fans call them Larry Stylinson.'
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30 pagine, 14 046 caratteri, ma credo sia abbastanza scorrevole. Perdonatemi la lunghezza.
Buona lettura!

 

«It was love at firt slight»



Appena fatto il primo passo oltre la soglia d’ingresso della Holmes Chapel Comprehensive School eri costretto a scegliere.
Libri o sport?
Rosa o viola?
Felpa da baseball o camicia nei pantaloni?
Più importante la popolarità o la scuola?
A che tavolo della mensa mangiare, come atteggiarsi, se preferire le scienze o la letteratura… Insomma, il primo passo per sopravvivere in quella maledetta scuola eri far capire loro chi sei.
Per questo Harry Styles fece il suo grande ingresso con una palla che girava su un dito, una larghissima felpa da baseball, un sorriso mozzafiato arricchito da due meravigliose fossette, un diamante all’orecchio e una camminata che urlava “Vi conquisterò tutti”. Lui era convinto della sua bellezza e che avrebbe avuto tutte le ragazze –e magari ragazzi- ai suoi piedi. Era così, sin dai tempo dell’asilo; ma una cosa il riccio ignorava: alla Holmes Chapel Comprehensive School  tutte le convinzioni vengono abbattute come un muro di cartone sotto la pioggia.
Qualche anno prima –esattamente tre-, però da quella stessa porta vi entrò un certo Louis Tomlinson. Un libro nella destra, tracolla penzolante dalla sinistra, una camicia abbottonata fino al collo, occhiali neri sul naso, un sorrisone dolce e occhi che guardavano ovunque curiosi. Louis, però, commise un gravissimo errore il suo primo giorno. Lui non sapeva chi era, però sapeva chi voleva essere: un famosissimo scrittore.  Non sapeva nulla sulla sua sessualità, ma desiderava con tutto il cuore una persona da amare. Amava la letteratura, ma a volte faceva qualche tiro con il suo migliore amico: Liam Payne. Anche quest’ultimo era un tipo tutto sommato apposto, qualcosa in più della media, se la sapeva cavare insomma. Aveva un fisico davvero formato, belle braccia muscolose fasciate dalle solite t-shirt leggermente attillate e Louis lo aveva visto fare box una sola volta e aveva deciso che non si sarebbe mai messo contro il ragazzo. Anche se era a conoscenza della sua indole molto pacifica, che gli permetteva di mantenere sempre la calma e non alzare assolutamente mai le mani, infatti nei dodici anni che lo conosceva non lo aveva mai visto pestare nessuno.
«Louis!» lo richiamò prima che il ragazzo possa salire sul pulmino scolastico senza di lui.
«Liam, ci sento ancora. Muoviti o ci accompagna tua madre» lo minacciò con voce scocciata.
«Dormito poco, Tommo?» domandò notando le due enormi borse sotto gli occhi color oceano, sempre felici.
«Diciamo che non ho proprio dormito» disse sedendosi stanco su un posto in quartultima fila.
«Hai di nuovo sognato di prendere B+ in inglese?» ridacchiò, con quella sua risata cristallina e dolce, ma irritante per le orecchie mezze addormentate di Louis.
«Magari Payne, ho dovuto finire quella merda di ricerca per scienze…» spiegò prima di sbadigliare rumorosamente e chiudere gli occhi.
«Merda! La ricerca!» esclamò Liam alzandosi in piedi, «Sono finito!»
«…Sulla quale ho messo entrambi i nostri nomi, calmati dannazione» concluse portando giù l’amico.
«Dio, Tomlinson. Sai come salvare il mio culo» fece con voce affannata e spaventata. Louis ridacchiò scuotendo la testa, rimarrà sempre il solito idiota e sbadato Liam Payne.
«Ti devo cento favori, anzi mille! Facciamo così, ti faccio da schiavetto per una settimana, meglio, meglio! Per un mese. Ti faccio i compiti. Mio Dio, mi hai salvato» disse il tutto con tanta velocità che Louis non riuscì nemmeno a capire una parola, ma cavolo! Stiamo parlando di scienze! Il professore e Liam hanno avuto qualche divergenza in passato, quindi per lo studente è davvero difficile prendere una A piena.
«Lì, tappati quella fogna. Grazie per queste proposte allettanti, ma se mi lasci dormire non mi devi assolutamente niente» piagnucolò richiudendo gli occhi.
«Hai ragione, scusami. Dormi pure, io penso a come sdebitarmi» e così lo lasciò in pace per tre quarti d’ora buoni e Louis ringraziò Dio per aver l’infinito traffico e la pioggia.
Scesero dall’autobus si diressero velocemente verso l’entrata e di conseguenza agli armadietti. Non potevano di certo prendere un ritardo e rompere così il record di cui Louis andava così fiero. Zero assenze in quattro anni: era il record della scuola, ne era certo.
Corsero nell’aula di scienze, dove Liam si guardò un po’ quel gioiello di ricerca. Tipico di Louis fare le cose perfette, decisamente sopra tutte le aspettative dei professori. Con sguardo scettico il professore chiamò i due studenti, che –grazie ad una grandissima botta di culo- riuscirono a mantenere salva la media.
«Ce la siamo cavati, calcolando che tu non sapevi nulla di ciò che stava scritto» lo interpellò il più grande mentre sbloccava l’armadietto e «Cavolo! Stupido lucchetto!» sbottò dopo il quarto tentativo.
«Davvero, non so come ringraziarti Lou» gli sorrise gentile.
«Non devi Liam, davvero. Siamo amici, no?» e ricambiò lo sguardo.
«Giusto, ma saprò ripagarti, promesso» Louis roteò gli occhi, mentre ancora litigava con l’armadietto.
«Uh, a quanto pare qualcuno si è aggiunto alla setta di Jonathan» cambiò discorso il più piccolo, puntando lo sguardo al gruppo della squadra di basket della scuola.
Louis si voltò verso il punto indicato dagli occhi dell’amico e li vide, i classici stronzi. Futili quanto belli. Non era ovviamente il tipico secchione che odiava la squadra di basket della scuola, solo che li trovava inutili. “Buoni solo a spendere i pochi fondi della scuola, che potrebbero essere spesi nella cultura” e infondo aveva anche ragione; ma senza quella squadra che vinceva premi e soldi, senza la loro popolarità, quella scuola sarebbe già caduta a pezzi da un po’. Infondo una sfida a chi sapeva meglio le tabelline, non ripagava mica. Semplicemente, Louis era l’unico in tutta la scuola a provare verso di loro indifferenza. Non stendeva né tappeti rossi, né aveva il desiderio di umiliarli e farli scendere dal piedistallo sul quale il preside li aveva posti. Però, dovette ammettere che era davvero dei bei ragazzi. Soprattutto quel Zayn, la prima cotta liceale di Louis.
«Ci manca solo il vento a scompigliarli i capelli» commentò acido, mentre guardava tutte le ragazzine sbavare al loro passaggio e tutti i ragazzi gustarsi la piacevole vista che le mini gonnelline delle Cheerleader donavano.
«Che ti importa Liam? Sono solo dei ragazzi che se la credono. Ogni scuola ha il suo gruppo» rispose scrollando le spalle, «Dovresti anche ringraziarli per averci ritenuti invisibili per due interi anni» aggiunse prendendo il libro di storia dall’armadietto.
«Lo so, ma guardali. Con i loro fisici palestrati, le loro perenni felpe o i pon pon che sventolano da una parte all’altra della scuola. Non li sopporto» ed ogni sillaba sprizzava irritazione ed anche un pizzico di gelosia.
Da due anni che avevano gentilmente deciso di lasciare Louis in pace e dovevano anche ringraziarli, magari dopo il diploma. Sentire ciò che fanno a quelle povere vittime ogni giorno, a volte faceva salire l’ansia a Louis. Alla fine erano anche fortunati.
«Liam, ma tu hai un fisico perfetto e felpe larghe, in più hai anche l’intelligenza, lo sai» roteò gli occhi verso il cielo, perché davvero quella gelosia era inutile, soprattutto se eri bello come Liam Payne e potevi permetterti una ragazza al mese, cosa che lui non faceva: aveva troppi“principi”.
«Preferisco far parte della plebe» richiuse l’armadietto.
«Devi, non puoi di certo lasciarmi solo!» gli ricordò con un lieve pugno sulla spalla.

Mentre il battibecco tra i due continuava, il famoso gruppetto attraversava sicuro e ridente il corridoio principale della scuola, senza guardare nessuno in faccia e spintonando qua e là qualche novellino del primo anno. Loro camminavano sempre in gruppo e facendo coppiette, che a volte venivano scambiate. Le felpe da baseball erano il loro marchio, la felpa della loro squadra. Era sacra, non andava lavata il giorno prima di una partita, né messa insieme agli altri vestiti ed era di assoluto cattivo auspicio prestarla a qualcuno estraneo alla squadra, anche se era una ragazza.  In questo gruppo c’era Harry, anche lui del primo anno e davvero in gamba, visto che si è inserito perfettamente nel raggruppamento che voleva. Faceva parte dei “vip" della scuola, quelli duri, quelli che contavano, ma non tralasciava la scuola, perché era anche intelligente, oltre che bello. Voleva un futuro, ma era necessario sopravvivere lì dentro e grazie alle sue doti da giocatore e il suo fascino non era stato poi così difficile entrare a far parte della squadra.
Stava parlando con Brittany, la ragazza con cui ci provava da una settimana, faceva la difficile, ma lo sapeva che era la più facile del gruppo, se non di tutta la scuola.
È stato un attimo. Un momento solo, nemmeno un secondo e i su1oi occhi si puntarono distrattamente verso un sorriso lontano qualche armadietto. Denti bianchissimi e splendenti circondati da una bocca sottile, incorniciata da un lieve strato di barbetta, sfuggita al rasoio e reduce di una mattinata frettolosa. Piccole fessure dalle quali spuntava un celeste invidiato per fino dal cielo e delle piccole rughe che li fiancheggiavano. E così, Harry Styles, un ragazzino un po’ confuso, che si era fatto ben cinque ragazze in soli tre mesi di scuola, si ritrovò a pensare “Mio Dio, è la cosa più bella mai vista.” di un ragazzo.
«Brit, tesoro. Scusami un minuto» le sorrise mostrando le fossette e lasciandola, per poi andare velocemente all’orecchio di Zayn Malik e sussurrare «Zay, chi sono quei due?» puntò lo sguardo sugli armadietti più in là. Zayn si guardò furtivo intorno.
«Appena siamo soli te lo dico» ammiccò e tornò a concentrarsi sulla sua camminata da bullo.
Passarono davanti al ragazzo ed Harry non poté davvero fare a meno di guardarlo con occhi adoranti, regalandogli uno dei suoi miglior sorrisi. Louis se ne accorse e ricambiò indifferente, per poi voltarsi alzando le spalle.
Visto da vicino appariva ancora più bello. “Devi per forza essere irreale” pensò mentre si ritrovò affiancato da Brittany che gli raccontava della sua manicure venuta male.

Mancava solo un’ora alla fine della lezione e della settimana scolastica. L’unico giorno in cui l’aula della detenzione era praticamente vuota, perché nessuno era così stupido da rovinarsi gli attimi di libertà.
Zayn ed Harry erano in cortile a fumare la seconda sigaretta della giornata. Ad Harry non piaceva molto quella roba, ma aveva accettato l’invito di Zayn per non mostrarsi debole, anche se era uno dei suoi amici più stretti, forse l’unico di cui si fidava davvero. Solo che Harry puntava molto sull’apparenza e dire no a Zayn equivaleva a lasciar trasparire un lato debole al mondo intero.
Di fronte a loro si espandeva tutto il prato, regnato da ragazzi che lanciavano una palla, altri che chiacchieravano e sparlavano e poi c’erano i secchioni, con i loro fedeli libri tra le mani. Ed Harry giurò di non aver mai visto nulla di più sexy di quel secchione con occhiali neri, che di tanto in tanto calavano, matita tra i denti e la fronte corrugata in una ruga di concentrazione massima.
«Louis Tomlinson e Liam Payne» pronunciò spezzando il silenzio.
«Lui chi è dei due?» domandò pestando il mozzicone sotto i piedi.
«Louis. Tipo davvero strano, sicuramente. Un intellettuale. Credo abbia avuto una cotta per me, in primo. Ma non ne sono certo» fece scattare una scintilla di gelosia che sporcò il verde puro di Harry, ma con questa arrivò anche una felice consapevolezza e speranza.
«Vuoi dire che è gay?» chiese frizzante.
«Non si vede?» rispose retorico ridendo. Effettivamente, i risvolti dei pantaloni attillati, magliette o camicette con strane fantasie, parlavano da sé.
«Ma che ti frega? Non ti piacerà mica? –rise leggermente- Non eri il mitico Harry sono totalmente etero Styles?» lo canzonò scherzoso, con un evidente tono da “a me non la dai a bere” nella voce.
«Non partire con le seghe mentali Malik» rispose con tono insicuro.
Aveva avuto più scopate etero che mutante, eppure quel ragazzo metteva in dubbio questa profonda ed antica convinzione che aveva di sé stesso. Non gli importava molto di ciò che sarebbe successo o diventato, doveva essere suo. Punto primo: non aveva mai avuto una così forte attrazione per nessuno, soprattutto alla prima vista; secondo: Louis era troppo bello; terzo: il culo di Louis era qualcosa di oltremodo invitante.
«Beh, dovresti sbrigarti, o qualcun altro che potrebbe precederti» fece fuoriuscire l’ultima nuvola di fumo e buttò la sigaretta, puntano il mento verso un ragazzino biondo che parlava e scherzava con il Louis.
«Smettila, Zayn» concluse ridendo. Era davvero poco convincente con Zayn, però. Sarà perché è il suo migliore amico e lo conosce meglio delle sue tasche, sarà che a Zayn non si può mentire –fottutissimi occhi profondi.
Appena fu sicuro che sia Louis, sia Zayn non erano più lì, si diresse con passo deciso verso il ragazzino di prima. Quando gli fu davanti il biondino trasalì e deglutì rumorosamente.
«Ciao, io sono Harry!» lo salutò sorridente sedendosi vicino a lui.
«Niall…» balbettò guardando il prato.
«Avanti, puoi anche calmarti. Non mangio mica» gli assicurò, ma l’altro non sembrò sciogliersi nemmeno un po’.
«Nel caso non l’avessi notato, fai parte dei bulli della scuola» sbuffò con tono ovvio, allora Harry rise. Non si aspettava di certo tanta sincerità da un ragazzo apparentemente in panico.
«Hai ragione, ma sono qui in pace e in cerca di informazioni» spiegò gesticolando.
«Non credo di poter essere molto utile, ma ci proverò» lo incoraggiò gentile.
«Vedi, prima ti ho visto parlare con un ragazzo. Louis Tol-Tomn… Tomlinson, se non sbaglio –fece vago, nonostante avesse già inciso quel nome della mente- Vorrei che tu mi dessi il suo numero, grazie».
«E perché dovrei?» pretese con tono scettico, facendo scattare l’ilarità di Harry.
«Che fine ha fatto il ragazzo terrorizzato di pochi minuti fa?» continuò ridendo sommessamente.
«Le tue fossette mi ispirano» affermò infilando un dito in una delle due.
«Già, immagino –e rise nuovamente- allora, questo numero?» insistette. Non avrebbe mollato, decisamente no.
«Prometti che non dirai che sono stato io, ti prego. Niente casini, okay?» il riccio rispose annuendo e Niall, sia per la leggere paura che comunque, sia per la sua troppa bontà d’animo, estrasse il cellulare e gli diede il numero del suo amico.
«Un ultimo favore e poi ti lascio in pace, giuro» lo scongiurò con tono quasi supplichevole.
Il ragazzo sbuffò, ma alzò il mento in segno che poteva anche proseguire.
«Che materia ha ora?»
Niall lo squadrò stranito e con tono quasi scioccato rispose «E io che diavolo ne so? Forse inglese, visto che prima lo stava ripetendo».
«Ti sei appena guadagnato il privilegio di non essere presto per culo e pestato fino al diploma» gli sorrise alzandosi e porgendo la mano per aiutarlo.
«Beh, è un piacere fare affari con te» detto ciò Niall uscì di scena, mentre Harry si rigirava il cellulare tra le mani.
Aveva bisogno di Nathan, sì.

«Ed ecco perché Chaucer viene considerato il padre della nostra lingua» continuava il suo monologo la signorina Smith, mentre teneva tra le mani  I racconti di Canterbury e ogni tanto ne leggeva qualche passo, giusto per far addormentare di più la classe. Quest’ultima sembrava assorta in un caldo tepore che li portava a chiudere gli occhi e a sbadigliare ogni cinque minuti. In seconda fila, penultimo banco partendo da sinistra, Louis Tomlinson rischiava di slogarsi il polso, per la velocità con cui riportava ogni singola parola che pronunciava la sua insegnante preferita.
 «Dio, che siede nell’alto dei cieli, preservi tutta questa compagnia, grande e piccola» sussurrò cercando di tenere a mente la citazione esatta.
Dal fondo dell’aula un ragazzo, uno che faceva parte del gruppo di Harry, messaggiava con quest’ultimo, essendo davvero poco interessato alla lezione.

“Perché dovrei chiamare Louis Tomlinson mentre è in classe? E poi, chi diavolo è Louis Tomlinson?”

“Che ti frega? Ti ho detto che ti presto tutti i giochi che vuoi.”

“I tuoi giochi sono davvero una merda, Styles.”

“Capito, quanto vuoi?”

“Trenta.”

“Sei un amico di merda.”

“Almeno sarò ricco. Allora?”

“Va bene, ma devi assicurarti che prenda una punizione, chiaro?”

“Agli ordini.”


Salvò il numero nella rubrica e appena la classe fu nel suo massimo silenzio interrotto dalla voce acuta dell’insegnante, una suoneria interruppe tutta la calma e sfumò quella poca concentrazione.
Louis non se ne accorse in un primo momento, preso com’era dal trascrivere una fantastica citazione, poi la classe scoppiò in una fragorosa risata e Louis iniziò a sudare freddo e a balbettare un paio di scuse alla donna, mentre con imprecazioni e pugni tentava di spegnere quel maledetto arnese.
«Quante volte dovrò ancora ripetere che detesto i cellulari?! Tomlinson, mi dispiace, ma ti aspetto nell’aula punizioni a fine giornata» lo richiamò con tono alto, mentre scarabocchiava su un foglietto che subito gli porse.
«Ma-Ma è venerdì!» protestò il ragazzo, che effettivamente, non aveva nemmeno colpe.
«Non è un mio problema, Tomlinson e adesso torniamo alla lezione» richiese esigente.
Tra tutti i momenti meno opportuni, tra tutte le ore che poteva scegliere, questo tipo (o tipa) ha deciso di chiamarlo proprio a scuola? Durante l’ora che preferita? Durante la materia in cui aveva il voto più alto? Insomma, non riceva mai chiamate, se non quelle di Liam, della madre e a volte di Niall, ma erano tutti da escludere; avrebbe scoperto chi è stato e lo avrebbe ucciso, con le sue stesse mani, o magari con una pistola.
In realtà, l’unica cosa che fece al colpevole, fu farlo innamorare.
Harry si godeva la scena da dietro la porta, spiando dal vetro quadrato. Ridacchiava e si innamorava sempre di più di quelle guance arrossate e occhi lucidi per la vergogna.
«Styles!» lo richiamò un vocione maschile.
«Signor Clarkson» lo salutò scocciato Harry.
Non sapeva perché quell’uomo lo odiasse così tanto, forse perché lui era qualcuno in quella scuola, mentre lui a trentasette anni era solo un supplente. O forse perché a tutti piacerebbe avere fascino, intelligenza ed essere uno sportivo. O forse perché un moccioso del primo si è fatto più ragazze di un povere trentasettenne che viveva ancora con la madre.
«Non dovresti essere in classe o a palleggiare una stupidissima sfera arancione?»
«Dovrei?» sbuffò infastidito, anche se finire in punizione era esattamente ciò che voleva.
«Dovresti sì. Perché non sei in classe?» continuò senza badare al ragazzo che gli prestava poca attenzione.
«Non mi andava di seguire matematica» strinse le spalle.
«Beh, allora guadagnerà quest’ora persa a fine giornata» e così anche a lui gli fu consegnato quel maledetto foglietto.
Harry non ricordava nessun alunno che volesse finirci in punizione, che contasse i minuti che mancavano. Nessuno ci sarebbe stato in quell’aula, nessuno era così stupido da farsi mettere in punizione il venerdì. Nessuno, tranne Harry Styles.
Calmò il respirò e prese posto vicino a Louis, il quale era intento a leggere un libro dalle pagine leggermente giallastre.
«Il professore?» domandò Harry. No che gli importasse, ovviamente, ma voleva sentire la voce del suo angelo.
Già, lui era un convito etero che aveva avuto il suo primo colpo di fulmine con un ragazzo.
«Non ne ho la minima idea» rispose senza alzare il volto.
Che voce meravigliosa. Così delicata, così dolce, un’ armonia.
«Capisco… Comunque, io sono Harry» si presentò porgendogli la mano.
Louis alzò gli occhi dal libro, visibilmente irritato. Tutto a lui oggi?
Poi  si scontrò con quelle irridi tanto belle quanto limpide, ci si poteva specchiare. E quel sorriso! Le guance paffute e un volto incorniciato da dei ricci che se ne stavano sparsi in modo disordinato.
«Lo..Lou-Louis» balbettò tutto rosso inviso. Dio, doveva sembrare davvero patetico, forse lo era davvero.
«Piacere Louis. –Sorrise dolce- Allora, cosa ti porta qui?»
Louis si arrese e chiuse il libro, anche perché la sua voce era un’avventura più interessante di quella del libro.
«Qualche idiota mi ha chiamato in classe, la signorina Smith non ha apprezzato» spiegò ancora arrabbiato.
«Beh, guarda il lato positivo: ci siamo conosciuti. Forse dovresti ringraziarlo questo idiota» sdrammatizzò felice, sperando vivamente che l’altro la pensasse come lui, perché conoscerlo era davvero una cosa positiva.
«Certo, ma avrei preferito altrove, non è il massimo starsene a scuola il venerdì pomeriggio» borbottò.
«Avevi qualche piano?»
«In realtà no, non c’è mai molto da fare i week-end, almeno per me» disse riflettendoci sopra.
«E allora, lascia che ti riempi un po’ la tua agenda. Domani trasmettono un film strepitoso. Ho letto la trama e le recensioni! È fantastico e poi c’è un attore stupendo!» parlò talmente tanto euforico e veloce che Louis non riuscì a non trattenersi e scoppiare a ridere, lasciando Harry un po’ triste e deluso.
«Non ti piace come idea? Cioè, so che non ci conosciamo, ma non sono un maniaco e poiè così che nascono le amicizie migliori, no? È solo un… Appuntamento?»
«Certo che accetto Harry, solo che mi sembravi una ragazzina difronte a Justin Bieber» si giustificò tra una risata e l’altra, «Comunque, accetto volentieri».
«Grande, potrei… Uhm, passarti a prendere verso le sette?»
«Harry, non sai nemmeno dove abito» gli fece notare divertito.
Il riccio si sentì avvampare, goffo, stupido e non capiva più niente. Non era stato mai così impacciato con nessuna ragazza ed effettivamente fino a ventiquattro ore prima si convinceva che gli piacessero anche, poi è arrivato Louis e, al diavolo tutto! Fingere, convincersi, tutto. Non sapeva se era gay o bisex, di certo non era la prima volta che provava attrazione per un ragazzo, ma era sicuramente la prima volta che lo ammetteva e ci provava spudoratamente. 
«Già, è stata una giornata pesante. –Improvvisò quasi in panico- allora, mi lasci il tuo numero –che ho già-?»
«Sicuro!»
Solo quando Harry si rimise il cellulare in tasca-dopo esserci scambiati i numeri-, Louis si rese conto che portava la felpa da baseball con lo stemma della scuola.
«Non sapevo che i giocatori della squadra fosse gay… o bisex?» notò con la testa inclinata ad un lato e lo sguardo curioso.
«Lunga storia, magari te la racconto domani» disse con le orecchie pulsanti e le guance in fiamme.
Chissà cosa avrebbero pensato quelli delle squadra. Chissà che avrebbe Zayn, anche se era bisex dichiarato da quando aveva quindici anni.
Ma forse quell’improvvisa infatuazione verso quel ragazzo, non significava per forza che fosse gay, no? Magari era solo un’esperienza, c’è sempre una prima volta. Harry ci sperava, sperava che non diventasse un vizio  guardare i ragazzi in quel modo, pensare a loro in quella maniera, perché sarebbe stato davvero difficile accettarlo, accettarsi.
Poi però arrivava Louis, con quel sorriso, con quel cielo nelle irridi, occhiali che le ingrandivano, con quella sua risata, la sua voce, i suoi paroloni e Dio! Quel ragazzo era fantastico, con quelle labbra, il suo profumo, il suo corpo che non aspettava altro che essere amato.

«Avanti, non puoi davvero preferire il primo film!» esclamò Harry scioccato, agitando la vaschetta con i pochi pop-corn rimasti reduci dalla serata.
«E a te non può davvero piacerti il secondo, Harry. Si vede che il primo è di un altro livello proprio, si vede che il regista è diverso» spiegò con tranquillità.
«Certo che si vede, è migliore!» gli rispose ovvio.
«Cavolo Harry, non vedi che la scenografia è patetica e gli effetti riuscirei a farli anch’io con un programmino mediocre?» tentò di farlo ragionare con il suo fare da grande nerd.
«Non vincerò mai contro di te, vero?» sospirò stanco del battibecco. Tanto intelligente quando bello.
«Che vuoi farci, Styles» scherzò  prima di prendere le chiavi di casa, perché erano ormai già arrivati.
«Beh, allora a lunedì» dopo che Harry ebbe premuto le labbra sulla sua guancia e averlo fatto morire non si sa quante volte, poté finalmente capire che significa essere cotti fino al midollo.
A quell’appuntamento ne seguirono ben altri sei e ognuno di questo li faceva sempre più innamorare. A scuola era sempre più difficile ignorarsi e non parlare di persona, perché le loro voci ormai erano come calamite, anzi come una droga. La droga più buona, quella più dolce, quella essenziale. 
Ma «Scusami Lou, ma non ce la farei a farlo sapere a tutti. Tu mi piaci, davvero, ma non se non mi riesco ad accettare io, come potranno farlo loro?»
«Tranquillo Harry, lo so, ci vuole tempo» disse accarezzandogli la guancia comprensivo.
«Sei il migliore» sospirò stringendolo  forte per poi baciargli l’angolo della bocca.
Poi venne il sesto appuntamento e Louis non era mai stato così nervoso, nemmeno al primo. C’era qualcosa nell’aria che gli metteva ansia, qualcosa che profumava di cambiamento, forse anche radicale.
«Come sto, Frizz?» chiese alla sorella fissandola dallo specchio. La ragazza si alzò dal letto sul quale era spaparanzata e gli fissò lo camicia.
«Cambia scarpe, Tommo» gli consigliò prendendo delle vans e porgendogliele.
Il ragazzo le mise e con un grande sospirò e tremila “Ti prego” sussurrati, la interpellò speranzoso, ancora una volta quella sera.
«Sei perfetto! Ti adorerà, vedrai» lo rassicurò convinta e serena.
Proprio mentre il ragazzo tremolava davanti allo specchio, tutto insicuro e in pieno panico, Harry suonò il citofono.
«Oddio, eccolo!»
«Calmati e niente sceneggiate da checca isterica, sai che non le sopporto» disse prima di uscire e scendere le scale, per aprire la porta ad un Harry tutto nervoso, ma bello. Bello come mai lo era stato, con quel sorrisone sul volto e la voglia di rivedere il suo amato che gli scorreva nelle vene.
Dopo aver aspettato una buona mezz’ora per assaggiare la pizza migliore di Holmes Chalpes ed essersela gustata come se fosse la loro ultima cena, passeggiarono come una vera coppia per un parchetto adorabile, illuminato da fiochi lampadari.
Trovarono una panchina e vi si sedettero, erano in un silenzio calmo, rilassante, per niente imbarazzante. Il braccio di Harry era posto sulle spalle di Louis, il quale aveva portato la testa all’indietro e chiuso gli occhi. Il vento soffiava nella loro direzione, trasportando così il profumo di Harry fino alle narici dell’altro, che ogni volta aspirava forte. Il riccio era rigido, non trovava le parole giuste per dirglielo.
Dirgli cosa? Louis lo aveva sicuramente capito, magari poteva aspettare che sia lui a dichiararsi.
No, no, no. Era stato lui a chiedergli ben sei appuntamenti ed era lui a doverlo fare.
«Lou…» lo richiamò e l’altro sollevò piano le palpebre e lo fissò, rimettendosi composto.
«Che c’è?»
«Io… io non so. Dovrei dirti una cosa, ma non trovo le parole. Magari se te la dico, poi scappi, forse non provi lo stesso. Non so…» ormai Harry diceva frasi scollegate e senza senso. Il modo in cui muoveva le labbra, sembrava che stessero chiamando Louia e non se la sentiva proprio di rifiutare la chiamata. Così, si avvicinò improvvisamente ad Harry e senza preavviso o permesso, posò delicato ed inesperto le sue labbra sottili, su quelle carnose di Harry. Quest’ultimo inizialmente sorpreso e forse anche intimorito, si immobilizzò ancora di più, ma quando Louis si allontanò da lui,  Harry gli strinse la nuca e riportò i loro visi vicinissimi e le loro labbra unite. Il più piccolo socchiuse lievemente la bocca, lasciando che la lingua toccasse il labbro inferiore di Louis, incitandolo ad aprire. Lo fece, così che le due lingue possano accarezzarsi l’un l’altra e mischiarsi i sapori, per crearne uno nuovo, più dolce. Si baciarono per un tempo che sembrò poco, sentendo la terra fermarsi, mentre i cuori acceleravano sempre più.
“Quanto è perfetto.” Fu l’unico pensiero che riuscirono ad elaborare.
Prima di staccarsi, Harry gli morse il labbro inferiore, tentando di incidere ancor più il suo sapore nella memoria.
Dolce, menta, particolare. Indescrivibile. Imparagonabile.
«Sai Styles, sei più bravo con i baci, che con le parole» soffiò sulle sue labbra Louis, mentre riprendeva fiato, appoggiato alla sua fronte. Harry ridacchiò felice, sereno e spensierato. Desiderava così ardentemente che il tempo si fermasse, riavvolgesse il nastro e ripetesse il momento più bello della vita di Harry all’infinito. Ancora, ancora e ancora, finché non gli fosse mancato il respiro. 
Dio, com’era bello baciare quelle labbra, sentire quel sapore, stringerlo a sé e capire che era finalmente tutto suo, solamente suo.  
«Allora credo che qualsiasi altra parola sia solo inutile» affermò, riavvicinandosi a lui.
Louis sorrise, prima di riprenderne il possesso e ricominciare a torturarle con passione, dolcezza e amore.
Erano bastati due occhi celesti per mandare a puttane tutta la falsa barriera di eterosessualità di Harry, ma ne valeva davvero la pensa per quel ragazzo. Era speciale, semplice, intelligente, perfetto. Perfetto per Harry e nessuno ora glielo avrebbe portato via. Che importa della popolarità, o di tutta la squadra di basket se poteva avere un Louis Tomlinson tutto per sé?
Erano bastati due occhi verdi per smentire tutte le sue convinzioni sui ragazzi belli e sportivi. Ormai aveva trovato Harry con lo stesso sollievo che si ha nel trovare una persona a cui appoggiarti, mentre sei in una stanza buia e desolata da secoli. Non lo avrebbe lasciato scappare. E da quando Louis Tomlinson è così convinto, spontaneo e sicuro? Che Harry sia uno di quei maghi che si vedono nei film fantasy? Beh, se era così, lasciate che la magia abbia il suo effetto, perché non si sentiva così felice da quanto? Due anni? Da quando i vecchi bulli erano andati via da scuola e lui era rimasto nel suo angolino, invisibile. Ecco, forse la felicità che gli regalava Harry era più grande di quella provata in quell’occasione. Era più pura, più sincera e di certo non dovuta ad un passato di torture. Era più appagante.
Si separarono con un sorriso da ebete sul volto e il cuore che batteva all’impazzata.  Louis distese la testa sulle gambe di Harry ed iniziò ad ammirare il cielo, cosa che faceva davvero raramente. Era bellissimo, le stelle brillavano come mille diamanti e la luna rifletteva nel laghetto vicino con una limpidità romantica. Il cielo era scuro, eppure riusciva a rassicurare il ragazzo. Era tutto così privo di difetti da sembrare irreale, forse perché per Louis era irreale che un ragazzo lo apprezzasse, ma era solo questione d’autostima: Harry era vero, più reale che mai e a lui piaceva così tanto Louis, che sembrava che gli esplodesse il cuore ad ogni sua mossa.
Il più piccolo, non di altezza però, prese a delineare il profilo –stupendo- del suo… ragazzo. Ormai lo definiva tale, dopo quel bacio doveva, anzi lui voleva definirlo il suo ragazzo. Era solo un modo di etichettarlo forse, ma era anche un modo per sentirlo ancora più suo. Il suo ragazzo, dannazione, suonava così bene che avrebbe potuto ripeterselo nella mente mille e mille volte ancora.
«A cosa pensi, Harry?» lo interpellò con uno tono da bambino: ingenuo, tenero.
Harry si abbassò e gli baciò prima il naso, poi le labbra.
«A quanto sia bello sentire una persona così vicina» rispose ancora piegato sul suo volto.
«Come se non fossi abituato» disse ricevendo un segno di disapprovazione con la testa dal riccio.
«Non lo sono, non lo sono affatto. Sei il mio primo ragazzo Louis, l’unico che non mollerò dopo aver scopato» spiegò con tono tranquillo, prima di baciarlo nuovamente a stampo. Il ragazzo arrossì visibilmente e senti lo stomaco andare su di giri.
«Il-Il tuo ragazzo?» domandò con voce tremante.
Harry gli sorrise e prese il labbro tra i denti, non ne riusciva a fare a meno, doveva baciarlo per forza, adesso che poteva. Sentiva le labbra di Louis esigerlo a voce sempre più imponente ed esigente.
«Sì, perché non vuoi?» fece in tono quasi dispiaciuto.
«Io… Io-io non lo so» rispose. Il mondo vorticava e il tempo sembrava scorrere talmente velocemente da fargli venire un’emicrania.
Harry, guardando il timore negli occhi di Louis e la paura nel suo tono, si schiarì la voce e «Louis Tomlinson, vorresti essere il mio ragazzo?»
Quella domanda fece cadere ancora di più il ragazzo in un abisso di vergogna, ma amava quella dolcezza e se la godeva tutta.
Attirò il suo –a quanto pare- ragazzo, intrecciando le dita tra i ricci morbidissimi e lo baciò piano e a lungo.
«Lo prendo come un sì» affermò Harry ridacchiando.
Mentre tornavano a casa, mano nella mano da brava coppietta diabetica, Harry si sentì in dovere di avvisarlo.
«Lou, domani a scuola… Non possiamo stare insieme lì, non sono pronto. Scusami» sospirò con lo sguardo basso. Louis si fermò un attimo un po’ per riflettere, un po’ per tranquillizzarlo.
«Per me va bene –lo guardò rassicurante- lo capisco, anch’io ci ho messo un po’ ad accettarlo».
«Ti adoro!» esclamò felice, baciandolo nuovamente
 Riaccompagnò Louis a casa, felice come non mai e innamorato come una fottutissima ragazzina.

 

*

Da quel giorno passò esattamente un anno, due mesi e quattordici giorni.
Ogni giorno accresceva il loro amore, diventavano sempre più inseparabili e non stare insieme a scuola risultava sempre più una tortura. Ma Harry non poteva rischiare così tanto, lui era ancora al secondo anno e se lo avessero scoperto sarebbe stato tutto un inferno. Louis lo capiva e, per quanto difficile, gli stava lontano ed evitava di guardarlo a scuola, tanto appena arrivati a casa di Louis recuperava il tempo perso.
I raggi attraversavano le tende e colpivano direttamente il volto di Harry. Ogni mattina la stessa storia, Louis diceva che era perché “il sole bacia i belli”, Harry semplicemente pensava che il sole lo odiasse più dell’irritante sveglia del suo ragazzo. Quest’ultimo dormiva dietro Harry, con le braccia che stringevano forte il corpo caldo dell’altro e le larghe spalle che gli facevano da parasole.  
«Un giorno gli comprerò delle tende decenti» borbottò alzandosi piano dal letto. Si stiracchiò, sentendo le ossa fare un rumore inquietante e si rimise i boxer buttati ai piedi del letto. Ammirò il suo ragazzo dormire come un angioletto con il braccio teso verso la parte dov’era pochi minuti prima e i capelli sudaticci attaccati alla fronte rilassata. Spalancò le finestre per far cambiare aria, svegliando bruscamente il ragazzo che dormiva tanto tranquillo.
«Harry!» brontolò Louis infastidito, nascondendosi sotto il cuscino.
«Boo alzati o dovrò sentirmi in colpa per aver rotto il tuo mitico record» gli ricordò, buttando giù il cuscino.
«Non mi importa, sono stanco e sono andato a dormire tardi» tirò su le coperte per coprirsi dai raggi prepotenti.
Harry rise fragorosamente e si sentì un pizzico in colpa, ma insomma, l’amore lo si fa in due. Quindi era anche colpa di Louis se hanno preferito fare altro fuorché dormire. Si buttò sul letto e gli alzò la coperta.
«Amore, se non ti alzi sarò costretto a buttarti giù» lo richiamò baciandogli la guancia, poi scese al collo e poi finì sulle labbra, dove sussurrò un “buongiorno” appena percettibile. Louis sorrise con gli occhi ancora chiusi e ricambiò  il piccolo bacio.
«E se restassimo a letto tutta la giornata, sono in carenza d’affetto, sai?»
«Non ti è bastato ieri sera?» sogghignò divertito.
«Sei come una droga Styles, più l’assaggi, più ne vuoi» disse aprendo finalmente gli occhi e guardandolo.
«Smettila Lou, dobbiamo andare a scuola» dichiarò con un tono che voleva essere severo, ma risultava solo scherzoso.
«Da quando ti importa così tanto?» domandò quasi scioccato.
«Da quando sto con te e adesso alza quel bel culo» concluse cercando anche i pantaloni.
Louis sbuffò. Era stanco, voleva solo dormire. Dopo aver passato la nottata a fare l’amore con il suo ragazzo, una sana dormita se la meritava eccome. Poi odiava il mattino, passava così poco tempo con lui e quel poco lo trascorrevano nascosti, lontani da tutti, nei posti più impensabili e Louis non voleva nemmeno chiedergli come avesse fatto a trovarli.
«Buongiorno Harry!» lo salutò Jay, la madre di Louis, «Dov’è il dormiglione?»
«Sono qui, mamma» anticipò Harry con un grande sbadiglio e delle occhiaie che facevano paura. Come faceva Harry a non averle e ad essere pimpante di prima mattina, restava un mistero per lui.
«Buongiorno! Che hai fatto alla faccia?» chiese sorpresa e guardando l’espressione stanca del figlio. Harry ridacchiò divertito sotto i baffi e «Io gliel'ho detto di andare a dormire presto, che non c’era bisogno di studiare così tanto, ma non mi ha sentito» rispose al posto dell’altro, che lo fulminò con lo sguardo.
«Non ascolti tua madre, non ascolti Liam, non ascolti neppure il tuo ragazzo! Sei una testa di marmo, Louis» scosse la testa quasi sconsolata, posando i piatti sul tavolo e tornando davanti ai fornelli.
«Me la pagherai, Hazza» gli sussurrò all’orecchio abbracciandolo da dietro. Gli schioccò un bacio sulla guancia e andò a mangiare.
Harry si limitò a sorridere appena e a rispondere un «Mi ami troppo».
«Ci vediamo dopo, ciao mamma!» «Ciao signora Tomlinson!» la salutarono entrambi con un bacio sulla guancia ed uscirono senza sentire il «Fate i bravi!» della donna, come sempre.
«Odio questa parte della giornata, soprattutto se abbiamo passato la notte insieme» si lamentò Louis, con voce ancora assonnata.
«Anch’io e mi dispiace tantissimo costringerti a questo, Boo» sospirò con tono triste.
«Tranquillo amore, non è colpa tua se in quella scuola hanno una mentalità del cazzo –gli regalò un piccolo sorriso- solo, non baciare troppo Janet, quella mette troppo lucidalabbra» storse il naso.
Janet era la nuova “ragazza” di Harry, in realtà non si poteva definire stare insieme quello. Si vedevano solo a scuola e i pomeriggi in cui Louis aveva davvero troppo da studiare, ma se a lei andava bene così, chi erano loro per rovinarle il momento di gloria?
«Ah, non farmi ci pensare –fece una smorfia di disgusto- Comunque io vado, ciao piccolo» lo baciò sulle labbra e prima di lasciarlo, aspettò il suo solito «Ti amo tanto».
Si separarono, uno salì sul pullman con il solito Liam logorroico anche alle sette di mattina, l’altro con il gruppo più casinista della scuola.
«Che cera Tommo!» esclamò appena lo vide.
«Ciao anche a te Leeyum» lo salutò sbadigliando.
«Ti ha di nuovo tenuto sveglio?» chiese malizioso. Liam malizioso, da quando?
«Dobbiamo per forza parlarne?»
«Sono il tuo migliore amico, certo che dobbiamo!»
«Ma se nemmeno ti va a genio Harry» bisbigliò il suo nome, attento e pauroso che qualcuno lo possa scoprire.
«Lo so, lo so, non devi rinfacciarmelo ogni volta» sbuffò con le braccia incrociate al petto.
«E tu potresti per un attimo smetterla di fare l’amico geloso e protettivo e dargli una possibilità».
«Ma perché esco sempre questo argomento?!»
«Me lo chiedo sempre anch’io».

Louis odiava davvero profondamente la mensa scolastica. Oltre al cibo davvero obbrobrioso che presentava, doveva subirsi quegli irritanti gruppetti di ragazzi divisi in base alla popolarità e al modo in cui si vestivano. Ogni tavolo aveva un suo gruppo: quello dei popolari, quello dei nerd, il teatro, quello di canto e così via e poi c’era Louis che non faceva parte di nessun gruppo, perché da quando ha messo piede in quella scuola ha scoperto quanto schifo facessero tutte quelle etichette. Per questo si era tirato fuori da quella storia e aveva deciso che non avrebbe fatto parte di nessun gruppo. E poi il duetto che formava ormai dall’alba dei tempi con Liam gli piaceva troppo ed era confortante. I problemi arrivavano quando il suo protettore non c’era o non si presentava a pranzo.

“Ma dove cavolo sei?”

“Scusa, la prof. mi ha bloccato in classe. Stronza. Ci vediamo all’uscita, scusami tanto.”


Sbuffò infastidito e no, non avrebbe passato nemmeno un minuto in mezzo a tutte quelle persone che conversavano, facendo la figura dell’asociale pentito, che stesse diventando anche sociopatico? Anche se la risata di Harry sembrava richiamarlo. Ma anche se fosse? Non poteva pranzare con lui, con i suoi amici che sicuramente nemmeno lo conoscevano, perché ovviamente Harry non avrà parlato loro di lui. Se lo aspettava e non replicava, capiva che era difficile accettarlo, ci era passato anche lui. Quindi, prima che le labbra di Janet si avvicinassero a quelle di Harry davanti a tutta la scuola, Louis decise di passare la pausa pranzo in bagno, come un bravo e perfetto asociale pentito.
Non sapeva assolutamente che farci lì dentro e si maledisse per non aver portato un fottuto libro per intrattenersi. Perché la pausa pranzo doveva durare così tanto? Potevano anche mangiare a casa, non ci sarebbe stato nulla di male. Odiava quel bagno, la sua sporcizia, quell’odore acre che non capiva da dove provenisse, le porte tutte rotte e tutte quelle cicche per terra. Che schifo. Era di malumore, aveva bisogno di vedere Harry, ne aveva un bisogno disperato. Ormai era troppo difficile stargli lontano, per quanto si erano affezionati l’uno all’altro e no, la nottata non gli era di certo bastata. Aveva la necessità di quelle labbra, di quelle mani che vagano ovunque per il suo corpo, di sentirsi incastrato a lui come un pezzo di puzzle mancate. Che schifo, che schifo, che schifo!
Sentì  dei passi e delle risate avvicinarsi sempre più e nel totale panico, decise di chiudersi nella cabina più nascosta, dove nessuno entrava, ma quando Louis lo fece, ne capì il motivo. «Ma qui dentro ci è per caso morto un topo?!» pensò schifato, tappandosi il naso.
«Jonathan, smettila!» lo scongiurò una voce roca e famigliare a Louis.
«Harry!» lo chiamò Nathan, il più piccolo.
«Okay, okay. Ragazzi fermiamoci un attimo e fumiamoci una sigaretta, prima di ritrovarci la nostra miglior giuda morta per le troppe risate» Jonathan diede una pacca alla spalla a Harry.
Prese il tabacco ed iniziò a rollare, mentre i due attendevano parlando di quanto si sia superata la cuoca oggi con lo schifo di pranzo.
«Ah Harry, oggi c’era di nuovo quel Tomlinson che ti fissava all’entrata della mensa» disse Nathan accendendosi la sigaretta.
«Tomlison?» ripeté Jonathan, il quale ne aveva già finita metà, «Louis Tomlinson?»
Harry sentì il sangue delle vene raggelarsi e la fronte iniziare a sudare, il cuore battere all’impazzata e sì, adesso aveva davvero bisogno di quella sigaretta.
«Sì, lo conosci?» chiese Harry.
«Più o meno, Dan e Luke gli hanno reso la vita un inferno i primi due anni. Poi se ne sono andati e sinceramente non mi importava di pestare un idiota del genere» raccontò tra un fumo e l’altro.
«Idiota?» le meningi iniziarono a pulsare e la vena sul collo diventava evidente. Chi cazzo si credeva di essere questo stronzo per parlare in quel modo del suo ragazzo?! “Okay Harry, calmati. Sta al gioco, devi. Tanto Louis non c’è, non lo saprà mai.” Consigliava il cervello, ma non capiva che parte: se quella che ci teneva a Louis o quella egoista, che lo amava, ma prima di tutto pensava all’apparire figo.
 «Beh, adesso si diverte a guardare Harry da lontano, pensando chissà a cosa» sogghignò Nathan.
Intanto Louis se ne stava rannicchiato in bagno, con il cuore che perdeva battiti. Si sentiva male, odiava sentire i giudizi della gente su di lui, perché erano sempre negativi e soprattutto non apprezzava molto il modo in cui il suo ragazzo non lo difendeva. “Deve stare al gioco, lo sai.”
«Allora, sta attento al tuo culo Harry, quello è una checca in astinenza, te lo dico io che so tutto di questa scuola!» lo avvertì, senza sapere che Harry non riusciva nemmeno a contare tutte le volte in cui Louis è venuto dentro di lui.
«Ma ti pare che mi faccia mettere sotto da uno frocio del genere?»
Chi subì più quelle parole? Non si sa. Se Harry a dirle e sentirle o Louis ad ascoltarle.
Le lacrime iniziarono a scendere abbondati e irrefrenabili. Un conto era nascondere tutta la loro storia, un altro è sentirsi preso per culo dalla persona che più si ama. Sentire una critica così brutale dal suo Harry era troppo struggente e per un attimo ebbe l’istinto di uscire fuori e prendere a sberle il ragazzo, ma non gli serviva un’altra umiliazione davanti a quei due.
«Harry ha ragione. Se proprio deve fare il finocchio, lo faccia con un tipo apposto, quello oltre ad essere uno sfigato cronico, asociale e checca in astinenza, è un cesso della madonna!» dichiarò Nathan ispirando un altro po’ di nicotina e buttare sotto i piedi la cicca.
Le nocche di Harry divennero bianche e il respiro affannato.
“Lurida testa di minchia, come cazzo ti permetti? Il mio ragazzo è bellissimo, stupendo, perfetto. Ma tu che ne sai, che ti basta che abbia un buco tra le gambe per definirla miss universo. Coglione.”
«Già…» abbozzò con una risatina quasi isterica, poco convincente.
«E poi Harry preferisce essere tra le gambe di Janet» continuò Nathan, che si beccò un buffetto da Jonathan.
«Porta rispetto a mia cugina, stronzo» lo riprese autoritario.
«Certo Jon, ma sai anche tu quello che fanno. Proprio ieri ne stava parlando con Tom, recensione molto positiva, devo dire» scoppiò in una risata Nathan, mentre i due si buttavano occhiate sconsolate.
«Sappiamo quanto Jan ami parlare delle sue scopate, ma evita davanti al cugino e al ragazzo, per favore» lo pregò Harry esasperato dal discorso e dalle brutte maniere dell’amico.
«Va bene, va bene. Come sei suscettibile Styles. Andiamo? Non voglio arrivare tardi a spagnolo, di nuovo» e così uscirono dal bagno, lasciando Louis tra i suoi singhiozzi e  le sue lacrime.
Si sentiva umiliato, ferito, deluso, amareggiato e non poteva davvero credere che mentre lui studiava Harry si scopava felicemente quella Janet. Non faceva parte dei piani il sesso, giusto? Perché Harry sarebbe dovuto essere solo di Louis.
Non era abbastanza, era brutto, era un idiota. Lo avevano detto gli amici del suo ragazzo e lui era anche d’accordo con loro. Era uno schifo, un cesso ed era ovvio che uno bello come Harry si potesse solo approfittare di uno sfigato come lui. Che si aspettava? Che lo difendesse davanti alla verità? Perché era tutto vero, anche Louis dava loro ragione, lui era un brutto asociale del cazzo, inutile e se non fosse esistito non sarebbe cambiato niente, anzi, ci sarebbe solo più ossigeno.
Che schifo! Lui, la sua vita, il suo carattere, il suo fisico… Il suo fisico! Dio che imbarazzo, Harry lo aveva anche visto nudo. Avrà sicuramente pensato a quanto facesse schifo, a quanto quello di “Jan” fosse migliore. Dio, che figura di merda, che imbarazzo! Come poteva essere successo? Come aveva fatto a fidarsi? Liam aveva ragione, lui aveva sempre ragione. Faceva bene quando gli diceva di stare attento, perché le persone sono cattive, soprattutto con chi è sfigato come lui. Povero idiota, povero scemo, poteva starsene al tuo posto. Era stato tutto un’illusione, l’anno più bello della sua vita, era stata tutta un’illusione. Aveva perso la persona più importante, l’unica che abbia mai amato. Non era nemmeno sicuro che Harry fosse mai stato suo.
Era tardi, doveva rientrare in classe, doveva finire l’anno e scappare da lì. Via da quel dolore e da tutte quelle persone che lo hanno ferito, ma forse se la meritava tutta quella sofferenza. Lui era sbagliato, era nato male, era… Era uno sfigato idiota.
Si asciugò tutte guance e il naso e si sciacquò il volto, mancava solo un’ora, poi si sarebbe potuto rifugiare tra le quattro mura sicure e i suoi mille libri. Protetto da tutte le malelingue e gli insulti che non facevano altro che rimbombargli nella testa.

“Lee, non aspettarmi all’uscita. Devo andare direttamente a casa, ho da fare.”

“Questione Harry?”

“Già, questione Harry.”


Ripose il telefono in tasca e si diresse in classe, dove non riuscì a passare nemmeno un minuto a pensare alla prof. E per la prima volta in cinque anni, fu il primo ad uscire dalla classe.
Harry, invece, cercava di non pensare al senso di colpa, alle brutte parole che ha dovuto subire il suo ragazzo alle spalle. Non era giusto che lo prendessero così in giro, lui era perfetto e loro non lo capivano. Forse è per questo che lo canzonavano, perché era troppo per loro. Che odio, che odio!
Prese il cellulare dalla tasca e digitò un messaggio che incitava Louis ad aspettarlo all’uscita, ma non ricevette risposta. Così riprese a prendere appunti, che risultarono tutti insensati, visto che si perdeva con una facilità inaudita tra i paroloni dell’insegnante e i suoi pensieri.
Fortunatamente Louis era sempre uno degli ultimi ad uscire: doveva finire gli appunti, chiedere spiegazioni extra e riordinare l’armadietto. Era davvero un tipo preciso, non si lasciava sfuggire nulla.
Ma non quel giorno. Harry lo aspettò per tre buoni quarti d’ora, che sia stato messo in punizione? Anche se l’unica volta che ci è finito, non era nemmeno colpa sua, e di fatto nemmeno lì c’era.
Incontrò per puro caso –o fortuna- Liam, al quale chiese dove fosse il suo ragazzo, ma l’amico gli rispose: «Pensavo fosse con te. Mi ha scritto “Questione Harry” prima, in un messaggio».
Che diavolo stava succedendo? Non aveva nemmeno risposto al messaggio, ma il fatto che ne avesse scritto uno a Liam tre minuti dopo, stava a significare che lo aveva letto.
«Non è successo niente tra voi, vero Harry?» domandò sull’orlo di una crisi, preoccupato com’era.
«No! Fino a stamattina era tutto okay, non ci siamo visti per tutta la giornata. Lo vado a cercare a casa e ti faccio sapere, okay?» detto ciò si avviò verso casa Tomlinson.
Nel frattempo, Louis era tornato a casa, tentando più naturalezza possibile aveva spiegato alla mamma che aveva molto da studiare, aveva perfino sorriso, ma Jay sembrava davvero poca sicura. Al ragazzo però, poco importava; si chiuse a chiave in camera e corse in bagno. Cercà disperato il rasoio nel cassetto, spense la luce e oscurò la stanza, si accasciò a terra con il fiatone e le lacrime che ricominciavano a bagnare le guancie, si incise il braccio. Segno su segno, taglio su taglio, finché non sentiva l’avambraccio dolorante e il sangue scorrergli fino alla mano e cadere da essa.
Ricordava l’ultima volta che lo aveva fatto era in secondo, l’ultima volta che Luke lo aveva chiuso con Dan in uno sgabuzzino dove le aveva prese di santa ragione.  Erano passati più di tre anni e lui sperava di aver smesso, ma non si esce mai da un tunnel del genere. Basta la prima occasione per ripiombarci dentro e sei debole come Louis, allora non ti sarà difficile trovare una giustificazione ad un gesto tanto esagerato. Non si preoccupò di disinfettare, uscì con il braccio rosso e dolorante che gocciolava e sporcava tutto il pavimento e il lenzuolo. Voleva piangere, vomitare, urlare, ma si accucciò sul letto e fissò un punto non preciso della stanza in perfetto ordine. Aveva la gola secca e non aver mangiato a pranzo, non lo aiutava. Questo finché non sentì qualcuno bussare. Si schiarì la voce ed ingoiò il groppo che aveva in gola.
«Va’ via mamma, ho da fare!» pretese con tono che tremava.
«Sono Harry, Boo» quella voce, quel soprannome: lui era dietro quella maledettissima porta. Davvero molto vicino per essere preso a sberle, ma non rispose. Non aveva voglia di avere la minima conversazione con quel ragazzo. Non ne voleva più sapere, né di lui, né dei suoi amici, né della scuola.
«Lou che succede? Stai bene? Apri per favore, non farmi preoccupare!» bussò altre tre volte, ma senza risultati. Louis non aveva intenzione di muoversi da lì, soprattutto se significava andare a parlare e dare spiegazioni a colui che poche ore prima lo ha fatto sentire una nullità.
«Louis! Aprimi subito!» urlò da dietro la porta.
«Va’ via!» sbottò nel più completo silenzio.
«Louis, mi spieghi che succede?!» domandò snervato.
«Va’ via Harry, va’ via e non tornare. Non tornare, va’ via…» implorò mentre aveva il secondo attacco di pianto nell’arco della giornata.
«Non ti lascio Louis, non in quello stato. Non me ne vado finché non mi spieghi» ma Louis soffocò la testa nel cuscino e lasciò che il tempo scorresse, fino a sentire un sospiro «Non so cosa sia successo, se è colpa mia scusami. Ti prego, apri e parliamone… Louis» ma Harry fu costretto ad andare via, come gli era stato chiesto, solo con mille dubbi in più e una preoccupazione che lo divorava vivo.
Chiamò velocemente Liam, l’unico che poteva aiutarlo e capirlo.
«Louis! Ero così preoccupato! Sta-» si dovette interrompere quando sentì un singhiozzo.
«Non permettergli di venire più qui, tienilo lontano da me Liam!» piangeva al telefono con le gambe strette al petto.
«Che ha fatto? No, fa niente. Non dirmelo, sto già venendo» chiuse la chiamata e prese velocemente le chiavi e la giacca. Giudò come uno spericolato e se non si beccò una bella multa, fu solo per opera divina.
Quando entro in camera del suo migliore amico, la prima volta che notò furono le goccioline di sangue che macchiavano il pavimento e il letto.
«No, no, no! Giuro che Styles è morto» digrignò i denti, corse ad abbracciare l’amico, uno di quegli abbracci fraterni che dedicava solo a lui.
«Che ha fatto?» chiese incazzato nero, mentre disinfettava le ferite, come faceva sempre tre anni prima.
«Non voglio dirlo Liam, è troppo imbarazzante» gli rispose prima di lamentarsi per il dolore dell’acqua ossigenata.
«Gli spacco la faccia, te lo giuro» garantì con la vena che pulsava.
Liam non era un tipo aggressivo, ma da quando Louis aveva avuto a che fare con quei fottutissimi bulli, aveva sviluppato un alto senso di protezione nei confronti del ragazzo, tendeva ad tenerlo sotto la sua ala e nessuno poteva fargli ancora del male, nessuno doveva azzardarsi. Perché Louis ne aveva davvero passate troppe, gli altri non sapevano, non capivano, ma lui conosceva tutte le sofferenze del suo amico e si sentiva in dovere di difenderlo da tutti, anche se significava prendere a pugni una persona.
«Non ne vale la pena, Lee».
«Ridotto come sei, direi proprio di sì. Ci penserà due volte prima di ferirti ancora» e tutto risuonò a Louis come un dejà vu, come tornare indietro nel tempo, solo che questa volta lo avrebbe fatto davvero e nulla poteva fermarlo. Non gliene importava se avrebbe preso a pugni Harry, non gli importava più di niente. Tradito ed umiliato dal ragazzo che amava da più di un anno, che senso aveva il resto? Aveva imparato a far girare la sua vita intorno ad Harry e si era invece trovato a girare a vuoto e cascare per terra.
Si addormentò tra le braccia di Liam, il quale sgattaiolò via per andare a casa di Styles. L’avrebbe pagata, oh sì. Nessuno deve ferire Louis, nessuno.
Suonò il citofono e fu proprio Harry che andò ad aprire e lo fece entrare. A quanto pare la casa era vuota, sarebbe stato più facile farlo a pezzi.
«Liam? Sai qualcosa di Louis? Dimmi di sì, ti prego. Non mi risponde al telefono…»
«Tu non sai niente di lui, Styles! Non hai capito un cazzo di Louis! –sbraitò preso da un attacco di rabbia- Devi stare alla larga da lui, ti è chiaro?» lo minacciò con uno sguardo che avrebbe potuto uccidere chiunque.
«Cosa? Perché dovrei?»
«Io non so esattamente cosa tu abbia fatto, ma so che il mio migliore amico non merita di soffrire. Tu non sai un cazzo di lui, Harry. Lascialo in pace, ha bisogno di qualcuno che lo meriti, no di un ragazzino montato che si vergogna perfino di farsi vedere con lui» il suo tono era tanto calmo quanto inquietante, ma Harry non lo avrebbe lasciato. Lui aveva bisogno del suo Louis, terribilmente bisogno.
«Non è vero! Io lo conosco e non lo lascio!» urlò quasi come se fosse un capriccio.
Liam allora colse l’occasione e in un attimo Harry si ritrovò per terra con il labbro gonfio e rotto.
«Stagli lontano, Harry. Non lo ripeterò e se per colpa tua rifarà qualche altra stronzata, non mi accontenterò di un misero pugno» concluse uscendo da quella casa.
Harry corse in camera e tentò di chiamare Louis, ma come previsto riattaccava subito. Così si accasciò ai piedi del letto stanco ed rammaricato, senza sapere cosa fare, se non piangere.
Che aveva fatto? Perché Louis non gli rispondeva? Che stava succedendo?!
Non poteva perderlo. Era l’unica cosa importante della sua vita, l’unico per cui valesse lottare e lo stava facendo. Contro sé stesso, contro il suo disprezzare per quella sua parte così contorta, per amarlo. Solo per ricevere amore da lui e farlo sentire bene, perché ci stava riuscendo. Lo rendeva felice e se ne accorgeva quando si svegliava con il sorriso sul volto, quando riusciva a farlo ridere per poco, quando vedeva i suoi bellissimi occhi brillare. E allora? Perché stava volutamente distruggendo tutto questo?

Il mattino arrivò fin troppo presto per i due che si erano addormentati solo verso le prime luci dell’alba, ma tutto sommato non avevano nemmeno sonno. Harry non aveva pensato a nient’altro tutta la notte –come ogni notte-, voleva almeno sapere il motivo per cui non si trovava nel suo letto –come ogni sera- e da lì avrebbe cercato una soluzione, ma lui non sapeva niente di niente! Stava scivolando via senza una ragione, o meglio,  forse la ragione c’era, ma Harry non la sapeva. Odiava questa situazione e l’unica cosa che voleva era parlare con Louis, anche perché non sentiva la sua voce da talmente tanto tempo che non sapeva nemmeno più che rumore facesse. Ma Louis non voleva rivolgergli la parola, andava avanti così da una settimana. O non si presentava sul pullman, o non riusciva a trovarlo per tutta la giornata. Lo aveva visto sì e no tre volte, in mezzo alla folla e perennemente accompagnato da Liam, che comunque non gli avrebbe permesso di avvicinarsi. Che situazione di merda.
Louis passava la mattina a nascondersi in classe, non pranzava –perché la fame era davvero l’ultima cosa a cui pensava-, quindi si nascondeva negli infiniti posti segreti della scuola, poi tornava a casa e piangeva, era perfino difficile studiare. Era la prima volta che trovava difficile stare sui libri, forse perché studiava ogni pomeriggio con lui, quindi era davvero deprimente farlo da solo. Poi smetteva di piangere e correva in bagno, dove i segni sul braccio aumentavano, senza far notare niente a Liam, perché avrebbe ucciso Harry. Ma la colpa non era solo del riccio, il problema è che avevano ragione. Tutte quelle parole, critiche e giudizi sentiti in quel bagno non erano altro che lo specchio di Louis: lui si vedeva così. Lui era così. Brutto, idiota, sfigato. Avevano ragione. Era così sbagliato, era poco per un ragazzo bello come Harry. Poteva avere chiunque volesse ed era ovvio che lo tradisse per la tipica ragazza dal fisico perfetto. Nulla di nuovo. Aveva ricominciato a tagliarsi ogni volta che quei ricordi ritornavano più vivi del giorno precedente ed era strano: più il tempo passava, più sembravano torturarlo. Era troppo difficile ed andare avanti sembrava sempre più inutile. La parte più brutta di tutto questo, era vedere sua madre sempre più preoccupata e appiccicosa. “Che hai?” “Perché non vuoi parlarmi?” “Ti prego Louis, parlami.” “Che fine ha fatto Harry?” “Avete litigato?” “Louis…” Ma la soluzione era sempre la stessa “Voglio stare solo mamma.”
Era consapevole che lei sapeva. Una mamma non aveva bisogno di vedere i polsi del figlio per captare il suo dolore.
«Louis, tesoro, alzati» lo svegliò Jay, entrando in stanza e togliendogli le coperte, facendo sì che il freddo pizzicasse i lembi di pelle nuda.
«Sono sveglio, sono sveglio» si lamentò il figlio. Se era difficile svegliarsi normalmente, lo era il doppio se aveva passato la notte a piangere.
«Io devo scappare, ho lasciato la colazione sul tavolo, mangia per favore» gli baciò la fronte e scivolò via.
Louis non aveva voglia di alzarsi, né tanto meno di andare a scuola e starsene in mezzo a tutta quelle persone perfette, con la loro vita perfetta, la loro alta autostima, ma non aveva scelta. Sicuramente Liam sarebbe venuto ad assicurarsi che salisse sul pullman, o almeno che andasse a scuola. Gli voleva bene, ma a volte era opprimente.
Difatti «Sto bene Liam» gli ripeté mentre si infilava la maglietta.
«Bene, perché ho visto che di sotto c’è un piatto enorme di frittelle» disse mentre gli controllava la sacca. 
«Apprezzo tutto questo interesse Leeyum, ma non ho né fame, né ho quattro anni. So prepararmi i libri» gli tolse la cartella dalle mani e scesero giù.  Purtroppo avrebbero preso il pullman, visto che la macchina di Liam aveva un guasto. Questo avrebbe implicato vedere Harry e la sua banda e non ne aveva la minima voglia. Da quanto non lo vedeva? Una settimana? Dio, quanto gli mancava. Più dell’ossigeno in mare, più dell’acqua nel deserto.
«Non guardare l’entrata» lo avvisò Liam con la mascella rigida, ma per un effetto psicologico fece l’esatto apposto, alzando gli occhi.
Incontrò quel smeraldo che tanto amava. Quegli occhi da cerbiatto.
E il suo sorriso, le sue fossette, i suoi denti bianchi e perfetti che potrebbero illuminare le sue giornate più scure. Già, mentre Louis piangeva ogni pomeriggio e notte, mentre si tagliava disperato, Harry sorrideva e rideva con i suoi stupidissimi amici, riusciva ad essere felice. Che diavolo aveva di sbagliato quel ragazzo? Forse Louis non era poi così intelligente, forse oltre ad essere uno sfigato, era anche uno stupido ragazzino ingenuo, che credeva nell’amore o peggio, che qualcuno davvero potesse amarlo.
Gli occhi si scontrarono e fu per entrambi come rinascere e morire nell’arco di una manciata di secondi. Louis lo fulminò con uno sguardo carico di risentimento e rabbia, ma velato di quell’impellente bisogno di riabbracciarsi, perché non gli importava più, aveva solo bisogno di stare un po’ tra le sue braccia e rivederlo andare via; essere preso di nuovo in giro per pochi minuti di felicità.
Harry sussultò nell’incontrarlo. Era diverso, era più sciupato. Più magro, più sofferente. Era triste, lo leggeva negli occhi e lui voleva ardentemente salvarlo, ma come poteva se nemmeno gli permetteva di rivolgergli la parola? Rispose al suo sguardo con uno pieno d’amore, perché non poteva davvero essere arrabbiato con lui, qualunque cosa fosse successa. Era troppo fragile e se ne rese conto quando distrattamente Louis abbassò lo sguardo verso i suoi polsi. Erano forse tagli quelli? Ma che cazzo stava succedendo? Come poteva il suo Louis fare quelle stronzate? Eccole le stronzate di cui parlava Liam, il quale aveva ragione, lui non lo conosceva come credeva. Questa situazione faceva troppo male e avrebbe smesso di aspettare che fosse Louis a cercarlo –anche perché non lo avrebbe mai fatto. Avrebbe risolto tutto e sarebbero tornati come prima, avrebbe ricominciato a dormire insieme, a passare i pomeriggio a studiare per poi finire a baciarsi stesi sul letto con Styles e le sue frasette romantiche diabetiche, che Louis trovava patetiche e allo stesso tempo non riusciva a non amarle. Ce l’avrebbe fatta, lui aveva bisogno di Louis, del suo Boo. Non poteva lasciarselo sfuggire, lui era il primo e l’unico.
Decise di non mangiare, evitare di andare in mensa e cercare Louis, non sapendo quanto male gli avrebbe fatto. Lo cercò ovunque, ma la grandezza della scuola non aiutava di certo. Se non era nella sala computer, in bagno, in biblioteca, poteva essere in un solo posto. Così salì velocemente le scale fino ad arrivare all’ultimo piano, il quale disponeva di una stanza che nessuno usava, se non i bidelli per le loro attrezzature. Era tutta rovinata, con i muri sporchi, piena di polvere e scura a causa delle tapparelle rotte. Appena vi entrò, lo vide. Girato e chino su sé stesso, sentì un lamento soffocato e un gemito che lo seguiva a ruota.
«Lou…» pronunciò il suo nome con tono basso, ma udibile.
Il ragazzo si girò di scatto preso alla sprovvista, si asciugò velocemente le guance e nascose il braccio dietro le schiena. A passo veloce superò Harry e andò verso l’uscita, pronto ad andare via, ma Harry lo afferrò per il polso sbagliato. Allora Louis soffocò un altro lamento, stringendo tra i denti il labbro inferiore. Harry si guardò la mano per scoprire con disgusto che fosse sporca di sangue. Prese con brutalità il polso del ragazzo e lo rigirò per guardarlo; ne rimase scioccato.
«Che cazzo ti salta in mente?!» sbraitò fissando arrabbiato il volto bagnato del ragazzo.
Come aveva potuto lasciare che accadesse? Come aveva fatto a non combattere di più? Non se lo meritava, perché si faceva questo? Harry proprio non lo concepiva. Non poteva il suo ragazzo –o ex- ridursi a questo, no.
«Lasciami!» urlò Louis con il polso che gli pulsava per il dolore provocato da quell’atto rude. Eseguì l’ordine e mollò la presa sul polso, guardandosi nuovamente il palmo.
«Che diavolo fai Louis? Mi spieghi che sta succedendo? Una mattina va tutto bene e lo stesso pomeriggio mi cacci da casa tua e adesso questo» parlò con tono calmo, anche se avrebbe voluto urlare tutta quella rabbia, no verso il ragazzo, ma verso sé stesso.
«Non sono affari che ti riguardano!» rispose con un tono di voce alto.
«Il mio ragazzo si taglia e mi dici che non è affar mio?»
«Il tuo ragazzo? Il tuo ragazzo?! Non sei più niente per me. Niente di niente!» strillò, facendo spalancare gli occhi all'altro.
Harry sentì le gambe tremare e il mondo iniziava a fermarsi pian piano. Si sentiva come su una piattaforma altissima, nessuno poteva sentirlo urlare. C’era solo Louis di fronte a lui e una luce proveniente da un faro era l’unica fonte di luminosità. Harry andava sempre più verso il buio, lontano dalla calda luce, lontano dall’amore di Louis.
«Che-che cazzo- che cazzo stai dicendo?» chiese con affanno e le lacrime che minacciavano di uscire.
Louis tirò su il naso e si asciugò le lacrime con il dorso della mano, inutilmente, tanto da lì a poco avrebbe ricominciato a piangere, soprattutto perché Harry era lì ad osservarlo con volto preoccupato.
«Non mi va di parlarne anzi, non mi va di parlarti» scosse il capo.
«Non mi importa, okay? –bloccò la porta mettendosi davanti e strattonando il ragazzo per le spalle- Mi devi spiegare paio di cose Boo» si impose con tono autorevole.
«Non devo spiegarti proprio un cazzo! –Si liberò dalla presa- Va’ da “Jan”, qualcuno potrebbe vederti parlare con un patetico sfigato, sarebbe un disastro per la tua reputazione!» e riecco le lacrime che ricominciavano a pizzicare, le meningi a pulsare e odiava essere così debole.
«Ma di che stai parlando?» domandò con la fronte corrugata in un’espressione stranita, Louis scosse nuovamente il capo.
«Davvero? Forse sei troppo impegnato ad ascoltare i tuoi amici parlare male di me, o magari le gambe di quella ti hanno fatto rincoglionire!» gli urlò contro aggressivo.
Harry vide alcuni flashback passargli davanti agli occhi.
Jonathan.
Nathan.
Il bagno.
La cicca dell’amico calpestata.

Impallidì visibilmente, diventando bianco in viso. Lui aveva sentito, non sapeva come, ma lo aveva sentito. Ecco perché era così arrabbiato, ecco perché piangeva ed ecco perché lo stava lasciando. Aveva tutte le ragioni del mondo per farlo, ma non poteva. Non doveva lasciarlo, Louis non… No, era così che doveva andare. Loro, loro dovevano stare insieme. Sì, erano fatti per stare insieme, erano pezzi di puzzle. Un puzzle perfetto. Dio, si sentiva una merda. Uno schifo di persona. Sia maledetto lui, la sua linguaccia e Nathan.
«Tu-tu ci hai sentiti? Come hai-come-come hai fatto?» balbettò torturandosi le mani.
«Ha importanza, Harry?»
«Io-io non volevo. Io non le penso davvero quelle cose, era solo per stare al loro gioco. Louis, io ti amo lo sai…» tentò parlando velocemente e con voce strozzata. 
«Una sola domanda, è vero quello che ha detto il tuo amico? Sei andato a letto con quella?» domandò seco, freddo ed impassibile, come se non gli importasse, nonostante le lacrime provassero il contrario.
«Louis, io…» ma la voce gli si bloccò in gola e anche lui iniziò a piangere.
Lo aveva tradito e sentiva che Louis lo stava abbandonando. È davvero una colpa andare a letto con una ragazza, solo per non farle sospettare nulla sua omosessualità? Dio, iniziava anche a divagare.
«Sapevo che avevamo ben poco da dirci» affermò con un sorriso triste, guardando il ragazzo piangere, «Grazie per avermi ricordato perché non piaccio alle persone, Harry e perché non mi fido di nessuno» il suo tono era stanco, distrutto. Il dolore ai polsi era la cosa che faceva meno male. Sentiva il cuore spezzarsi in due, il cervello sgretolarsi.
Scansò Harry ed uscì dalla stanza, per trovare un posto vuoto dove disinfettare le ferite, che durante la discussione aveva continuato a sanguinare. Sospirò mentre si asciugava il sangue e si guardò allo specchio: quando piangeva si vedeva ancora più brutto del solito. Quelle lacrime avevano un sapore diverso, mai provato. Erano più buone eppure più dolorose. Sembravano voler scalfire il volto di Louis, graffiarlo, far sanguinare anche quello.
Per la prima volta in tutta la sua intera vita, saltò l’ultima ora.
Per la prima volta in tutta la sua intera vita, capì cosa significava amare.
Per la prima volta in tutta la sua intera vita, si rese conto di quanto l’amore facesse male.
Harry era l’amore ed Harry era dolore. Il dolore più dolce e bello mai provato.
Harry lo stesso ragazzo che se ne stava accucciato per terra in quell’aula sporca con le mani tra i capelli e le lacrime che sgorgavano violente dai suoi occhi. Aveva perso tutto ciò che era importante nella sua vita, con Louis era andata via la sua parte migliore. Perché non poteva semplicemente accettarsi? Essere sé stesso alla luce del sole, come faceva Louis? Era un codardo, un voltafaccia, un traditore. Era tutto ciò che non voleva essere. La fama gli era costato l’amore; l’insicurezza la liberta.
Era tutto un completo disastro. Lui lo era.
“Non tornare, non perdonarmi, ma non farti del male. Non ne vale la pena.” inviò e si richiuse nuovamente su se stesso.

«Passa Harry, passa! Passa, dannazione!» continuava ad urlare il coach, ma Harry era in un altro mondo. In campo si sentiva spaesato e fuori luogo. Un pesce fuor d’acqua, che aveva però la capacità di respirare. Non riusciva proprio a pensare al basket e non era una cosa che si limitava a quel giorno, ormai era un mese che andava avanti. Non riusciva a studiare, a mangiare più di un pasto, a giocare, a concentrarsi su qualsiasi cosa che non fosse Louis Tomlinson.
«Amico, si può sapere che ti prende? Stai facendo pena!» commentò Jonathan.
«Niente Jon, problemi a casa. È difficile concentrarsi» si giustificò improvvisando al momento.
«Mi dispiace, però vedi di lasciare i tuoi problemi fuori dal campo. Tra poco abbiamo la finale» gli ricordò con tono autoritario. Appena se ne andò ed Harry buttò un sospiro, Zayn apparve davanti al ragazzo, appoggiato all’armadietto, braccia incrociate ed un’espressione perplessa sul volto.
«Ti va una fumata in compagnia, Hazza?» gli propose il ragazzo. 
Zayn usava sempre quella scusa per appartarsi con Harry, quando capiva che quest’ultimo aveva qualcosa che non andava. Era il suo migliore amico,  fratello da circa… Sempre? Lo conosceva alla perfezione. Era un fratello minore, di cui prendersi cura.
Il più piccolo annuì e se ne andarono in cortile, il quale era deserto, se non per qualche ragazzino che ripeteva. Zayn espirò un po’ di fumo, per poi respirarlo ancora e sentire i polmoni riempirsene.
«Allora, che succede?» domandò diretto.
«Non posso dirtelo…» rispose buttando un po’ di cenere per terra.
«Puoi dirmi tutto, solo che non vuoi» risolse guardandolo negli occhi.
A quella frase seguì un silenzio, interrotto dal debole rumore del fumo che usciva dalle loro bocche.
«Problemi di cuore? Una ragazza? Un… Ragazzo?»
«Cosa?» Harry impallidì improvvisamente e sentiva il cuore pulsargli in gola.
«Non mi hai risposto» gli fece notare argutamente.
«Come fai a saperlo?»
«Sono tuo amico da quando siamo piccoli, se non ti capisco io, chi lo fa? Allora, lui chi è?»
Harry rise, no perché trovasse la situazione divertente, ma perché si sentiva più leggero e idiota che mai. Era ovvio che lui se ne fosse accorto, forse avrebbe dovuto dirglielo prima, ma era ovvio.
Tossicchiò tutto rosso e poi pronunciò «Louis Tomlinson» come se fosse la poesia più bella, la melodia più dolce.
«Oh, davvero? Mi aspettavo dicessi il mio nome» scherzò lui con la sigaretta tra le labbra e si sistemava la maglietta, «E perché sei così abbattuto e distratto?»
«Perché ci siamo lasciati» sospirò triste.
«Fermati, fermati. Stavate insieme?» e quella domanda scaturì un racconto pieno zeppo di ricordi, sentimenti, sensazioni talmente vive –nonostante fosse passato un intero mese- che sembrano essere state vissute solo pochi minuti prima. Ad Harry sfuggì qualche lacrima che, maledetta! Non voleva starsene proprio al suo posto.
«E ora?»
«Ora niente, subisco le conseguenze di essere una testa di cazzo» rispose scrollando le spalle.
«Perché non provi con qualcosa di romantico? Potresti invitarlo al ballo di metà anno, davanti a tutti, fargli capire che ti importa» propose saggio Zayn, ma Harry scosse il capo.
«A lui non piacciono questi eventi pieni di gente e poi, anche se accettasse, è stasera. Devo anche andarci con Melissa, o Meg. Non ricordo» disse stringendo le spalle.
«Ancora il verbo dovere. Harry, tu non vuoi, perché potresti fare tutto, ma hai questa paura nel sangue. Loro sanno della mia sessualità e ti sembrano così cattivi nei miei confronti? Se ci tieni così tanto a Louis, allora fa’ qualcosa per riprendertelo, altrimenti smettila di piangerti addosso perché non ha senso farlo» lo rimproverò –come al suo solito- per poi lasciare Harry solo con tutta quella marea di pensieri che gli frullavano nella testa.
Fissò il cielo incantato, non aveva ancora pensato a che fare, ma prendere la sua dama per il ballo, non gli sembrava un buon passo verso Louis. C’era il tramonto e tutto il paesaggio che si apriva davanti agli occhi di Harry era sporco di quell’arancione che il sole donava. Così romantico e così sprecato senza Louis. Non sarebbe venuto, ne era certo, quindi cosa avrebbe fatto quella sera? Avrebbe letto, sicuramente. O si sarebbe anticipato qualche ricerca. Harry sorrise. Il suo amore era un nerd, secchione. Ed era perfetto così.
La ragazza uscì dalla porta ed Harry si sforzò di fingere meraviglia per la sua bellezza.
«Sei stupenda, cavolo» affermò con un tono estasiato, il più falso che avesse nel repertorio.
«Grazie, anche tu sei uno schianto» si complimentò la ragazza, dal vestitino davvero troppo corto.
Si diressero verso la scuola e in macchina la ragazza si era già appiccicata alle labbra di Harry come un polipo, ma Harry ricambiava il bacio, perché sapeva com’erano quelle ragazzine facili, conosceva la loro malizia e la facilità con cui pensavano male.
Nemmeno due ore che erano lì e già la ragazza si strusciava contro un Harry ubriaco da far schifo, che si scolava un cicchetto dietro l’altro. E la baciava con foga, senza pudore, in mezzo alla pista, toccandola ovunque, prendendole le mani e facendole toccare il suo basso ventre. La ragazza ridacchiava divertita, in uno stato di coscienza davvero basso: non ricordava nemmeno il suo nome!
Zayn disgustato da quello spettacolo davvero riluttante, salvò  l’amico dal fare un’ennesima stronzata nei confronti di Louis. Così se lo portò via, da tutto quel fracasso.
«Sei un guastafeste!» si lamentò atono Harry con una fiasca di vodka in mano.
«Mi ringrazierai da sobrio, credimi» inutile risposta, tanto nemmeno se ne sarebbe ricordato.
Lo portò a casa sua, dove lo sciacquò e gli fece passare un po’ la sbornia.
«Ti sei ridotto davvero una merda, eh Hazz?» mentre il riccio si sedeva con la testa tra le mani.
«È rilevante?» chiese retorico ancora mezzo sbronzato.
«Direi di no, era solo un ballo, infondo» rispose a spalle strette.
«Esatto…»
Passarono alcuni minuti il silenzio, Zayn fumava mentre Harry fissava il soffitto bianco come stregato.
«Chissà come sarebbe andata se non fossi entrato nella squadra di  basket, se fossi stato solo Harry Styles, non Harry Styles la migliore guardia tiratrice» disse riflettendo a voce alta.
«Non sarebbe cambiato molto, non avresti comunque trovato il coraggio» gli rispose Zayn, spegnendo la sigaretta nel posacenere.
«Forse, o forse avrei avuto meno pressione e ci sarei riuscito» sospirò pensieroso, «Mi manca davvero tanto, sai Zay?» si accorse di piangere solo quando una gocciolina gli stava  sfiorando il collo.
«Allora, va’ a riprendertelo. Inutile stare qui a piangersi addosso, fa’ qualcosa, dannazione!» lo spronò con un tono da lottatore, come se fosse la sua guerra, perché era stanco di vedere l’amico in quello stato. Ormai era un mese che stava così: triste, svogliato, distratto. Non ne poteva più e adesso che sapeva che aveva, doveva convincerlo a sistemare le cose. Era sicuro che i ragazzi non avrebbe più guardato Harry con gli stessi occhi, paurosi per il loro fondoschiena, ma era sempre meglio di un amico depresso. Quel giorno aveva anche collegato il perché di quella felicità perenne del suo amico, settimane prima. Era per Louis. Louis gli regalava tanta felicità e come poteva quell’amore essere una cosa sbagliata o contorta? Se Louis lo rendeva così felice, allora al diavolo tutto, lui accettava le sue scelte e lo invidiava. Anche Zayn –apparentemente un tipetto  duro ed indifferente al mondo- avrebbe tanto voluto una persona che lo rendesse felice al suo fianco.
«Non mi ascolterebbe nemmeno» dichiarò convinto scuotendo i ricci.
«Se non vuoi provarci, allora non ti manca davvero come dici. Quindi puoi anche smetterla di piangere come un bambino e tornare l’Harry incompleto di prima» disse con tono duro.
«Tu-Tu non capisci» fece con voce strozzata e lacrime che aumentavano ad ogni respiro. Ormai era rannicchiato su se stesso, con le spalle contro il muro e il volto nascosto tra le gambe. Parecchio patetico, soprattutto se si calcola che aveva ancora dei sintomi da sbornia.
«Capisco invece, capisco davvero troppo Harry. Io non ti ho mai visto così felice come i mesi passati e se non vuoi lottare per la tua stessa felicità e ti limiti a dire “Non mi ascolterebbe”, significa che non lo rivuoi davvero con tutto il tuo cuore» rispose zittendo il riccio. Rimasero un attimo in silenzio, fissandosi intensamente, finché Harry non si alzò.
«Io credo di dover andare, a domani Zay» lo salutò frettoloso con un cenno di mano.
«Sono fiero di te, Haz!» gli gridò mentre Harry scendeva veloce le scale.
Harry lo voleva, lo voleva davvero. Voleva davvero ritornare tra le braccia di Louis. Riprendere la solita routine, svegliarsi nello stesso letto del ragazzo, passare interi pomeriggi –se non giornate- a casa sua.
Lui lo amava davvero, con tutto il suo cuore, anzi, con tutti i suoi organi, muscoli, ossa. Louis gli era entrato nel profondo –e non solo fisicamente- lo aveva conquistato in poche mosse. Pochi giorni ed era totalmente suo.
Lui lo amava e sì, stava correndo verso casa sua, con una sbornia ancora da smaltire, le lacrime che uscivano senza controllo, le gambe che tremavano, il cuore che accelerava sempre più e la gente che lo guardava curiosa. Correva dal suo amato, correva verso la sua felicità, verso l’amore. Non importava se l’indomani sarebbe entrato a scuola mano nella mano con il suo ragazzo o se avrebbe dovuto chiedere scusa alla ragazza. Poteva anche lasciarla e forse era esattamente ciò che avrebbe fatto. No, non importava nulla del domani, in quel momento doveva farsi perdonare, non sapeva come, ma ce l’avrebbe fatta. Perché aveva l’amore dalla sua pare. Loro dovevano stare insieme, era destinati. Semplicemente perché Harry Styles e Louis Tomlinson erano anime gemelle, destinate ad amarsi fino alla fine delle loro vite e –se esiste un paradiso- anche oltre.
Suonò frettoloso il campanello, una, due, tre, quattro volte. Le luci erano spente e non riusciva a vedere quelle della stanza di Louis, perché era dietro. Ma confidava e sperava.
«Avanti Loulou, avanti!» pregava mentre suonava insistentemente, ma sembrava non ci fosse nessuno. Forse non era ancora il momento o forse Louis si era semplicemente addormentato. Infatti, proprio mentre Harry stava per andarsene, una voce acuta urlò da dentro casa: «Arrivo!»
Il cuore di Harry perse battiti ad ogni passo che sentiva, le mani sudavano e le lacrime erano ricominciate ad uscire veloci e paurose.
«Chi diavolo è a que- Harry?»  un gruppo in gola, delle farfalle allo stomaco, la mano che stringeva sempre più forte la maniglia.
Il più piccolo si passò una mano tra i capelli, come un disperato. Stette un tempo indeterminato a fissarlo in tutta la sua bellezza da appena sveglio. Pantaloni del pigiama a quadri, una t-shirt bianca, piedi nudi, capelli in disordine e occhi gonfi e semichiusi. Si morse forte le labbra, finché non sentì il sapore del sangue.
Louis, invece, era sorpreso di vederlo e scioccato per il suo stato penoso. Eppure rimaneva sempre bellissimo ai suoi occhi. Stava piangendo a dirotto con uno smoking nero –come il papillon- e i capelli tirati dietro, che sembravano reggersi per magia.
«Che ci fai-» non finì la frase perché si ritrovò le labbra del riccio premute su di lui.
Harry si stacco un attimo e con voce tremante e implorante supplicò «Non dire nulla, ti prego. Lasciati semplicemente baciare» e riprese a giocare con le sue labbra, mordendole, baciandole, leccandole. Si porse in avanti per entrare e notò con piacere –e un po’ di sorpresa- che la casa più affollata e incasinata che conosceva, era vuota. Si chiuse la porta alle spalle e avvicinò di più a sé Louis dal collo, sentendo la sua lingua calda e dolce, come se la ricordava. Louis, preso alla sprovvista, mezzo addormentato, ricambiò il bacio, con lo stesso bisogno di naufrago di essere salvato. Cinse in fianchi di Harry con le braccia e lo attirò in un abbraccio caloroso. Nessuno dei due si preoccupava del passato, di ciò che era successo, non in quell’istante almeno. Avevano solo bisogno di risentirsi vivi ed amati. Avevano solo bisogno l’uno dell’altro. Salirono in camera di Louis, chiudendosi a chiave dentro, distendendosi sul letto e solo lì si staccarono e presero fiato. Harry bloccava Louis con le sue possenti braccia ai lati della sua testa. Louis sembrava ancora più piccolo sotto quel corpo vigoroso ed allenato. Fronte contro fronte, respiri che s’infrangevano, mani sempre più desiderose.
«Ti amo, ti amo, ti amo, ti amo Louis Tomlinson! -ripeté il riccio sulle sue labbra.- Mi dispiace, mi dispiace. Ti prego, non mandarmi via. Almeno per stanotte, non mandarmi via» lo pregò mentre gli sfilava via la maglietta e gli baciava il petto nudo.
«Non ti lascio andare mai più via, Harry. Mai» promise. Gli prese il volto tra le mani e dopo essersi perso in quelle irridi verdi, più brillanti di un diamante al sole, lo baciò con foga e passione, facendo scontrare le lingue. Il più piccolo si abbassò verso l’altro, facendo sfiorare i bacini.
«Mi dispiace, Lou. Mi dispiace per tutto» gemette mentre il ragazzo gli lasciava succhiotti per tutto il collo e vagava con le mani tra i suoi pantaloni sbottonati.
«Sta’ zitto» gli ordinò ributtandosi sulle sue labbra. 
Si ritrovarono nudi, sotto le coperte, mentre si baciavano, strusciavano e gemevano la mancanza di un amore un po’ complicato. Petto contro petto, i due cuori sembravano volersi abbracciare. Le fronti sudate scivolavano lungo i loro petti e le labbra baciavano ogni lembo di pelle nuda.
Stanco, Louis si accasciò sul torace di Harry, il quale gli circondò le spalle con il braccio. Posò le labbra sul suo capo ed espirò forte. Era così paradisiaco ritrovarsi a stringere quel corpo, che Harry temeva che il suo cuore potesse davvero cedere. Il calore di Louis era ancora più rassicurante di quanto ricordasse. Le sue labbra ancor più gustose. La sua bellezza era rimasta immutata, eppure lo trovò più bello che mai. Più bello di qualsiasi meraviglia del mondo. Qualcuno avrebbe dovuto fermare il tempo e lasciarli in quella posizione per sempre e loro non si sarebbero mai stancati. Anzi, forse l’eternità appariva un lasso di tempo troppo corto per i loro gusti.
«Amo il tuo profumo, Boo» gli sussurrò tra le ciocche.
“Boo” odiava la facilità con cui Harry riusciva a farlo arrossire, così si accucciò ancora di più su di lui, nascondendo il volto nell’incavo del suo volto.
«Non farmi soffrire Harry» mugugnò contro la sua pelle, in modo tenero ed irresistibile.
«Mai più, lo giuro... uhm… Lo giuro su i miei ricci»  e gli sorrise dolce, mentre una mezza risatina usciva dalla bocca. Harry prese la sua mano e l’alzò all’altezza dei suoi occhi. Guardo con attenzione tutti i tagli, sotto lo sguardo imbarazzato e preoccupato di Louis. Baciò i polpastrelli, per poi scendere sul polso. Tutto in modo delicato e quasi impercettibile.
«Ti amo tantissimo, lo sai vero?» domandò Louis prendendogli la mano ed intrecciando le loro dita.
«Ti amo anch’io, piccolo. Dalla prima volta in cui ti ho visto» gli disse baciandolo ancora una volta quella notte.


*************
MA PERCHE' PUBBLICO SEMPRE DI NOTTE? E SOPRATTUTTO, PERCHE' FINISCO SEMPRE CON I LARRY CHE FANNO L'AMORE? idk. :c 
Allora...questa è...un'os? JA, LUNGAA QUANTO UNA LONG. lol
sorratemi, ma non la volevo dividere. 22 pagine. se sei arrivato fin qui,  sei un genio e ti amo, sappilo. lol
mi è venuta in mente guardanto pll (che c'entra, idk), leggendo tremila  os ambientate a scuola (le amo) e una foto che ho trovato frugando nell'hastag #3yeatsagoLouismetHarry (L'A M O R E).
E bho è uscita sta roba.. bho.
idkche dire... bho, spero vi sia piaciuta e non vi abbia annoiato. :)
Recensite. (PER FAVORE, VI PREGO, VI SCONGIURO, C-MOOON)

notte a tutte. lol
ciaociaociaociaobelle.  :) x
   
 
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