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Autore: Esperanza97    11/07/2013    5 recensioni
Elena e Caroline, sono due ragazze normali, di giorno... Ma di notte, tutto cambia. Vengono costrette a fare cose che non vogliono e non possono ribellarsi, né fare nulla... Solo obbedire...
Ma può una notte cambiare il corso degli avvenimenti? Può cominciare una nuova vita, grazie a un semplice ragazzo? Ma sarà davvero così "semplice"?
N.B.Tutti Umani
Dal primo capitolo:
-Ve ne do tremila se la tua amichetta castana passa la notte con me e se tu la passi con il mio amico-
Caroline mi guardò sorridendo e strinse la mano al conducente dell'auto.

(Storia revisionata)
Genere: Drammatico, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Caroline Forbes, Damon Salvatore, Elena Gilbert, Klaus | Coppie: Damon/Elena
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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-Today My Life Begins.-
-The end of the games. Capitolo n.14-
Pov.Damon

“Proseguire dritto per altri cinquecento metri”

La pioggia scendeva incessante dal cielo coperto di nuvole scure da circa una mezz’ora. Era l’inizio di un temporale e finché non sarei arrivato a Philadelphia non mi sarei fermato.

“Appena arrivati al bivio prendere l’uscita situata sulla destra”

Avevo installato il navigatore a causa della pioggia che non mi permetteva di leggere per bene i cartelli stradali. Speravo solo che quell’inutile aggeggio servisse a qualcosa una volta ogni tanto.
‘Per fortuna che il motel distava dieci minuti dal centro di Philadelphia’, pensai mentre controllavo per la decima volta il cellulare nell’attesa di una chiamata da parte di Elena.
Ero più che preoccupato. L’avevo lasciata sola, nelle mani di quell’idiota.

“Prendere l’uscita alla vostra destra”

Feci come detto dal navigatore e mi ritrovai su una strada a senso unico. La pioggia aumentò offuscando ancora di più i vetri della mia auto. Fermai la macchina in mezzo alla strada e, senza prendere neanche un ombrello, uscii fuori dall’abitacolo. Si susseguivano violenti tuoni e gelide folate di vento.
Avanzai di qualche passo e per fortuna o forse sfortuna, un lampo illuminò la strada. Vi erano alberi su entrambi lati e si intravedeva una casa a circa qualche chilometro di distanza.
Rientrai in macchina tutto bagnato e consultai nuovamente il navigatore. Il pallino verde indicava dove mi trovavo io e la strada colorata di giallo indicava il percorso che avrei dovuto fare. Dopo qualche tocco vidi dov’era situata la destinazione: mancavano circa tre chilometri e mezzo e poi sarei, finalmente, arrivato.

Partii nuovamente e seguii le indicazioni datemi dal GPS.

“Siete giunti a destinazione”

Fantastico, pensai quando vidi che davanti a me c’era un sentiero strettissimo da percorrere a piedi.
Uscii, nuovamente, dalla macchina, presi le chiavi e cominciai a camminare.

Pov.Caroline

Aprii gli occhi disturbata dal fascio di luce entrato nella stanza. Mi ero addormentata dopo aver ricevuto le ultime notizie dal dottore. Ero andata nella camera data a Klaus e mi ero appisolata sulla poltrona accanto al suo letto.
Mi alzai stiracchiandomi: quelle poltrone erano davvero scomode!
Attenta a non svegliarlo andai nel bagno, mi diedi una rinfrescata e ritornai nella stanza.
Presi una sedia e mi sedetti accanto a lui. Un monitor segnava il battito del suo cuore che sembrava normale. Due tubicini erano collegati nelle sue narici. La bocca era chiusa così come gli occhi. I capelli biondi erano spettinati e risaltavano sul cuscino bianco. Affondai le mie dita nei suoi capelli mentre con l’altra mano gli accarezzai il viso.

Vidi qualcuno girare la maniglia della porta e mi staccai subito.
Una giovane dottoressa entrò nella stanza e mi sorrise. Controllò il monitor e tocco la fronte  di Klaus. Segnò qualcosa su una cartella e poi la posò.
-Lei è la fidanzata?- Domandò dolcemente.
-Si. Il mio ragazzo sta bene?- Chiesi timorosa.
-È in condizioni stabili, appena si sveglierà sapremo qualcosa in più.- Sorrise e riprese la cartellina. –A più tardi.-

La salutai sorridendo e mi sedetti di nuovo accanto a Klaus. Scostai un po’ la coperta e vidi che aveva tutto l’addome fasciato. Lo stomaco si contorse nel vedere l’immagine della persona che amavo distesa su un letto in stato incosciente.
Inoltre, ero preoccupata per lo stato degli altri due miei amici e queste preoccupazioni mi rendevano terribilmente vulnerabile. Mi sentivo il nulla, sentivo che ero inutile. Tutti si erano dati da fare e continuavano a dimostrare quanto valessero: Klaus si era quasi sacrificato, Elena stava andando in contro alla morte e Damon era andato a cercare un aiuto più forte in un'altra città ed io, invece, mi ritrovavo ferma, senza sapere cosa fare. Ognuno di loro stava tentando di salvare l’altro, inclusa me. Ormai, eravamo uniti, dall’amicizia, dall’affetto e da qualche altro sentimento.

La verità era che io ero forte, ma non abbastanza per sostenere tutto questo. Lo ero stata quando mi ero ritrovata in un mondo completamente diverso, quando ero diventata la puttana del mio ex-ragazzo o quando mi mostravo indifferente camminando per strada nel buio della notte; ma erano solo maschere. Dietro a tutta quell’indifferenza, quella forza e quell’innaturale sicurezza si mostrava una ragazza fragile che stava crollando sotto il peso di tutti i suoi sentimenti e di tutte le sue paure. La realtà era questa: non potevo più fingere. Stavo morendo.

Portai una mano al petto e strinsi il tessuto leggero della maglia. Una lacrima scese sulla mia guancia andando a finire sul candido lenzuolo. Altre lacrime percorsero il mio viso mentre lentamente mi toglievo le scarpe, salivo sul letto e poggiavo la testa sul petto di Klaus, addormentandomi, nuovamente, grazie al battito del suo cuore.

Pov.Damon

Continuavo a camminare sotto l’imperterrita pioggia da circa cinque minuti. Ero terribilmente stanco, inoltre se non mi fosse venuto il raffreddore sarei stato davvero fortunato.

Proseguii per altri venti metri e arrivai dinnanzi ad un cancello. Gli alberi contornavano quella che sembrava una villa imponente e maestosa. Sicuramente con il sole e con una temperatura nella media era migliore ma con il temporale e i lampi sembrava una casa dell’orrore. 

Dovevo essere arrivato. Per forza. Era l’unica casa nel raggio di tre chilometri da dove avevo lasciato la mia macchina. Sperai con tutto il cuore che nessuno fosse passato di lì e l’avesse spostata o peggio, rubata.
Vidi una telecamera al di sopra del cancello e poi, quest’ultimo si aprì.
Percorsi un altro sentiero dove alla mia destra vi era un enorme fontana, mentre alla mia sinistra vi erano immense distese d’erba.

Arrivai davanti alla porta d’ingresso, dove una ragazza abbastanza giovane dai capelli castani mi attendeva.
La scrutai attentamente: alta, lunghi capelli mossi, occhi castani e un sorriso a trentadue denti.
Entrai, leggermente perplesso, nella maestosa villa.
-Il signorino scenderà a momenti, intanto vuole darmi la giacca? Posso portarle qualcosa?- La castana continuava ad inseguirmi e mi stava leggermente seccando.
-La giacca me la tengo e se vuoi fare qualcosa di buono portami del bourbon.- Risposi arrogantemente. Sembrava una bambolina telecomandata e queste cose non le sopportavo per niente. –Ah e dì al “signorino” che si muovesse perché non ho tutto il giorno.-
La mora abbassò lo sguardo e dispiaciuta se ne andò.
Probabilmente mi trovavo io in difetto essendomi presentato a casa loro alle otto e mezza del mattino, ma non avevo tempo da perdere.

Aspettai nell’ingresso e bevvi velocemente il bourbon portatomi dalla cameriera la quale dopo un attimo dopo se ne andò di corsa con il bicchiere.
Mi voltai verso la finestra e osservai l’ormai, interminabile, temporale che si era abbattuto sulla città.
La pioggia portava consiglio, aiuto, ispirazione per gli scrittori; a me trasmetteva solo preoccupazione. Dopo la morte di Rose e la “finta” morte di Celine, non pensavo di potermi preoccupare più per nessuna persona. Era finita. In tutti i sensi. Due delle persone che amavo non c’erano più, dovevo andare avanti… invece no. Ero stato sopraffatto dall’odio verso quell’essere di nome Tyler. Avevo scovato più informazioni per poterlo fermare una volta e per sempre e cercando, avevo incontrato Elena e da quel momento avevo capito di essere responsabile di un’altra vita, la sua. Ci tenevo a lei, forse come amico o magari qualcosa di più. Sarebbe stata un ottima madre per Celine. Quella madre che alla mia povera piccola gli era stata negata, quella madre che avrebbe dovuto insegnarle a camminare, quella madre che avrebbe dovuto giocare con lei, esserci per lei.

Lasciai che le immagini apparissero nella mia mente riportandomi a qualche anno prima. Ricordai il sorriso di Rose, capace di contagiarti anche nei momenti più bui. Ricordai la notizia della nascita di una bambina. Gli abbracci di quella giovane donna di cui mi ero innamorato. Gli occhi si inumidirono e una lacrima scese silenziosamente sulla mia guancia. Era troppo tempo che non piangevo, che non mi sfogavo. Ma non potevo diventare fragile adesso, non ora che Elena era in pericolo.

-Ehilà, Damon.- Riconobbi la voce. La sua. Sorrisi e mi voltai verso il giovane ragazzo che scendeva dalle scale.

Capelli scuri. Occhi castani. Abbastanza alto.
Jeremy Gilbert era l’esatta copia al maschile di Elena.

-Gilbert, come stai?- Mi avvicinai a Jeremy e gli strinsi una mano. Avevo conosciuto Jeremy poco dopo la morte dei suoi genitori. Era in Canada ed io ero in vacanza lì. Ci eravamo conosciuti sulla spiaggia: tra una chiacchierata e bottiglie di birra eravamo diventati amici. All’inizio mi parlava di sua sorella, Elena. Quando la conobbi riuscii a mettere insieme quei pochi pezzi che mancavano per completare il puzzle.

Avevo mantenuto i contatti con Jeremy anche quando ero tornato ad Atlantic City. Lui, intanto, si era di nuovo trasferito, questa volta a Philadelphia. Mi aveva parlato della sua famiglia, di suo zio, del lavoro che faceva ma mai gli avevo chiesto una mano. Orgoglio? Probabile. Sapevo solo che in questo momento lui era la mia ultima possibilità.
Jeremy mi aveva dato l’indirizzo della sua casa a Philadelphia, aveva detto “nel caso ne avessi bisogno” e beh, si, ne avevo bisogno. Per la prima volta, Damon Salvatore, chiedeva aiuto a qualcuno.

 -Abbastanza bene. Qual buon vento ti porta qui?- Scherzò e mi condusse all’interno del salone.
-Purtroppo nessuna buona notizia.- Lo guardai negli occhi. ‘Chissà se era a conoscenza della vita della sorella’, pensai. –Devo chiederti un favore.- Parlai in tono serio.
-Ehi, dimmi tutto. È successo qualcosa?- Domandò preoccupato.
-Avrei bisogno di parlare con tuo zio, è davvero importante.- Jeremy mi guardò in modo perplesso. Lui ed io eravamo gli unici a sapere, in quella casa, il lavoro dello zio: faceva parte di un’associazione segreta contro la mafia Americana.*
-In quale guaio ti sei cacciato ora?- Chiese sempre più preoccupato.
-Jer, purtroppo questa volta io c’entro in parte. Sto cercando di aiutare una persona. E quella persona, è tua sorella, Elena.- Vidi il volto del moro divenire pallido.
-Che… che intendi dire?- Iniziò a balbettare e si sedette sul divano con lo sguardo fisso nel vuoto.
-Ehi, non voglio farti preoccupare ma tua sorella purtroppo è entrata in contatto con uno dei più potenti mafiosi ad Atlantic City.- Mi avvicinai a lui inginocchiandomi sulle punte.
-Stai parlando di Lockwood, non è così?- I suoi occhi erano diventati umidi.
Annuii. –Jer, la questione è seria. Sono successe un po’ di cose che hanno portato Elena sempre più in un vortice nero dentro al quale non riesce a uscire da sola. Tyler le farà del male, o peggio la ucciderà.- Lo guardai tristemente. Sapevo cosa stava provando. Aveva vissuto l’esperienza più orribile della sua vita già con la morte dei suoi genitori ed ora, la sorella, stava per morire.
Vidi Jeremy versare una lacrima e poi asciugarsela velocemente.
-Vedrò cosa posso fare.- Stava per alzarsi ma lo fermai.
-Jer, non hai capito… La questione è molto più complicata delle altre. Ho bisogno di tuo zio ora, altrimenti non vedo nessuna chance di vittoria. Per favore, chiamalo.- Lo guardai negli occhi e lui guardò nei miei. Sostenemmo lo sguardo per qualche minuto.
-Vicki!- Quasi urlò.
La mora che prima mi seguiva entrò immediatamente nel salone.
-Signorino Gilbert le serve qualcosa?- Domandò gentilmente.
-Si, rintracciate mio zio e fatelo tornare immediatamente qui, ditegli che una questione urgente ma soprattutto fate il nome di Elena Gilbert.- Pronunciò seriamente.
La cameriera sbiancò nel sentire quel nome e si diresse a grandi passi fuori.
-Però, sembra leggermente sfigata.- Commentai in modo sarcastico.
-Si, sfigata ma carina… Posso offrirti qualcosa da bere?- Mi chiese sorridendo, lasciando un po’ da parte la preoccupazione che ora attanagliava il cuore di entrambi.

Pov.Elena

Aprii gli occhi lentamente per paura di ciò che mi sarei potuta ritrovare davanti a me appena sveglia. Fortunatamente non c’era nessuno. Mi concessi un secondo per respirare e strinsi ancora di più il cuscino.

Le mie gote erano bollenti così come la fronte. Il piumone bianco mi copriva fin sopra la bocca e tentava di proteggermi dal mondo esterno.
Sentii il traffico delle auto e mi resi conto che eravamo ritornati ad Atlantic City. Scostai di poco il piumone e vidi quella che era una stanza di un albergo.

‘Perché non siamo nel monolocale?’, mi chiesi, non capendo il motivo per cui ci trovassimo in un hotel.
Appena spostai un altro angolo di piumone sentii un freddo gelido invadere le mie ossa. Ero stata per tutta la notte sotto le coperte, era naturale che sentissi freddo. La temperatura esterna, inoltre, era sotto i cinque gradi.

Posai un piede per terra e mille brividi percorsero il mio corpo. Guardandomi vidi che indossavo solamente l’intimo, ma non avevo graffi o lividi, quindi quell’idiota non mi aveva toccata fortunatamente.

Mi alzai lentamente sentendo la testa girare ad ogni mio minimo movimento. Presi i vestiti che si trovavano sulla sedia e li indossai il più in fretta possibile.

L’arredamento della camera era molto carino. I colori dominanti erano il beige e il bianco. Un grande letto matrimoniale era sistemato al centro della stanza e vi erano poi due comodini in legno chiaro. Alla mia destra c’era una porta che conduceva al bagno e poi un piccolo corridoio nel quale vi era un armadio incastrato nel muro e la porta d’ingresso. Alla mia sinistra invece c’era un tavolino con due sedie, due poltrone, un vaso di fiori e una scrivania.

Aprii un cassetto della scrivania e trovai un foglio e un coltello da taschino, forse, l’ultimo oggetto mi sarebbe tornato utile. Lo presi e lo infilai nella tasca posteriore dei miei jeans. Mi affacciai alla finestra e vidi che mi trovavo circa al decimo piano dell’albergo. Come avrei fatto a scappare?
Tyler sarebbe arrivato a momenti, mi avrebbe portato in ospedale e mi avrebbe fatto abortire ma la verità era che non volevo. Non potevo uccidere questo bambino. Non c’entrava nulla con tutto questo, non era colpa sua e io non potevo fare una cosa del genere. Volevo che vivesse.

Ansiosa per il ritorno di Tyler escogitai una via di fuga. Le uscite erano due: la finestra o la porta. Con la porta avrei corso più rischi, poiché Tyler sarebbe potuto arrivare da un momento all’altro. La finestra era la soluzione più ovvia, l’unico problema era l’altezza. Mi affacciai e vidi che al lato destro della finestra c’era la scala antincendio che portava o all’enorme terrazzo dell’hotel o al piano terra.
Scavalcai la finestra, attenta a non guardare in basso, e mi aggrappai alla scala. Mi voltai verso l’interno della stanza e vidi che la porta si stava aprendo. Cazzo! 
-Dove diamine stai scappando?- Riuscii a sentire la voce di Tyler sempre più vicina. Si affacciò alla finestra e per un breve istante i nostri occhi si incontrarono prima che io cominciassi a scendere velocemente le scale.
Lo vidi di sfuggita scavalcare la finestra e iniziare a seguirmi.

Corsi più che potetti. Le gambe mosse dall’adrenalina quasi volavano, così anche il mio cuore che non la smetteva di battere.
Arrivai al piano terra e mi voltai sia a destra che a sinistra per decidere se entrare o meno nell’hotel. Lì avrei trovato aiuto, ne ero certa.
Stavo per entrare quando sentii due mani afferrarmi i fianchi e stringermi.
-Dove credevi di andare, né?- Tyler parlò a pochi centimetri dal mio orecchio.
Non sapevo cosa fare.
Con il piede destro calpestai il suo. Sobbalzò e si scansò di qualche millimetro e approfittandone di quella distanza cominciai di nuovo a correre.

Entrai nell’hotel e con un urlo richiamai l’attenzione su di me.
Una famiglia che stava facendo il check-in si voltò. Le addette alla reception smisero immediatamente di svolgere le cose che stavano facendo.
Due vecchiette che stavano parlando, sedute sul divano, si girarono di scatto.
Una delle addette mi  guardò sconvolta.
-Che succede, signorina?- Domandò preoccupata.
Non riuscii a risponderle perché uno sparo fece scattare tutti.
L’addetta che stava parlando con me, sbiancò e svenne. Sul petto si stava formando una chiazza rossa.
Tutte le persone presenti nella hall iniziarono ad urlare e a scappare. Sentii una delle vecchiette urlare: “Chiamate la polizia!”.
Peccato che non avrebbero potuto fare nulla.

Mi voltai con le lacrime che avevano iniziato a scendere sulle mie guance e vidi Tyler con la pistola tra le mani.
-Forza!- Urlai. L’adrenalina stava cominciando a scemare e tutto ciò che sentivo erano le mie gambe che diventavano gelatina, le mie mani che tremavano, il mio corpo scosso da brividi. –Uccidimi! È questo che volevi fare sin dal primo momento che mi hai conosciuto. Hai avuto mille occasioni per uccidermi e non l’hai fatto, volevi continuare a vedermi soffrire, volevi che pian piano mi uccidessi da sola, giusto per non portare nel petto il peso di un’altra vittima, ammesso che tu abbia un cuore!- Parlai in tono sprezzante. Ero stanca, le tempie pulsavano e non riuscivo più a stare in piedi. Avevo bisogno di riposo, volevo solo sdraiarmi e addormentarmi piangendo. Non c’è la facevo più, avevo resistito fino alla fine, avevo lottato per me, per questo bambino, per Caroline, per i miei genitori e per mio fratello. -Ora hai la possibilità, non c’è nessuno che possa salvarmi, quindi fallo. Premi quel cazzo di grilletto e uccidimi!- Le lacrime continuavano a percorrere il mio viso. Le mani erano serrate in un pugno. Rivolsi il mio ultimo pensiero a Damon, quel ragazzo che era stato accanto a me durante il periodo più orribile della mia vita, che mi aveva fatto ridere, che continuava a dirmi che non dovevo arrendermi, quel ragazzo che mi incoraggiava a svegliarmi al mattino, che mi aveva portato via dalla città per tenermi al sicuro, che mi aveva abbracciato, che mi aveva baciato… Quel ragazzo che in poco tempo era diventato parte di me e della mia vita: “Scusa, se ho smesso di lottare.”
 


*Mafia Americana: Dunque, su wikipedia mi sono informata del tipo di “mafia” che appunto gira negli Stati Uniti. Anche lì viene chiamata “Mafia” come in Sicilia. Oppure, può essere definita “Cosa nostra Americana” ed è appunto un organizzazione criminale di stampo mafioso italo-americana. Italo perché è nata come un’associazione di mafiosi siciliani emigrati negli Stati Uniti alla fine del XIX secolo.  È attiva soprattutto a New York, New Jersey, Philadelphia, New England, Detroit e Chicago. Fonte: Wikipedia




Angolino Autrice:
Ehilà,
non so davvero come scusarmi per questo enorme ritardo, davvero. Ma ho avuto alcuni problemi che mi hanno impedito di pubblicarlo prima. Spero che mi perdoniate ed apprezziate il capitolo. 
Comunque, veniamo al quattordicesimo capitolo di questa storia: l'aiuto che riceverà Damon è da parte dello zio John, okay, non so perché ho deciso proprio lui ma credo che nella serie, contro i vampiri, se l'è cavata abbastanza quindi mi son detta: potrebbe essere l'ideale per sconfiggere un mafioso. 
Spero che abbiate capito come Damon e Jeremy si sono conosciuti. Ho sempre apprezzato Jeremy, volevo che avesse un piccolo spazio anche in questa storia. 
E mentre Klaus è incosciente, Caroline ha una specie di "crisi" in cui si rende conto che non è forte come spesso mostrava, ma che, in questa situazione complicata, lei sta crollando. 
Elena sta andando in contro alla morte. Tyler sarà così "buono" da tenerla ancora in vita oppure la ucciderà? Intanto lei è distrutta psicologicamente. 
Ho da comunicarvi che ho riorganizzato un po' le idee nella mia mente e facendo un piccolo calcolo: il prossimo sarà l'ultimo capitolo ed infine ci sarà l'epilogo. Avrei dovuto avvisarvi qualche capitolo fa, ma solo in questo periodo sto trovando un po' di tempo per "ragionare". Non posso dirvi se ci sarà un Happy Ending o meno, vi dico solo che sarà un po' sconvolgente.
Un'altra notizia è che: dopo aver concluso questa storia e "All I Need", comincerò a lavorare su ben due storie che già avevo in mente ;) Credo che le pubblicherò verso settembre. 
Grazie ancora per il vostro supporto e per le belle recensioni! 
Al prossimo capitolo, 
Un bacione,
Esperanza97
  
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