“Echo”
(Stefan)
“Stefan”
E' talmente dolce quel
richiamo, così piacevole e confortante dopo tanto dolore,
che per un lungo momento
scegli di assecondare quell'illusione.
Perchè di illusione si
tratta.
Sperare che sia reale
sarebbe da sciocchi e, in ogni caso, non ti è più consentito.
L'unico modo per non
impazzire non è sperare, ma illudersi.
E' solo un sogno.Un
bellissimo sogno.
Quella voce è solo
nella tua testa. Non può essere lì.
LEI non può essere
lì.
“Stefan...”
Non più un semplice
richiamo adessso, ma una supplica.
Senti la sua sofferenza e la
rendi tua.
La sua delusione diventa
l'arma con cui procurarsi altro dolore.
Il sogno si fa incubo.
L'illusione diventa più
dura della realtà.
Non vuoi che lei ti veda
così, nemmeno nei tuoi incubi deve accadere.
“Stefan!”
Non è più la sua voce
dolce e rassicurante a chiamarti, adesso.
Apri gli occhi e ti
trovi a fissare quelli di qualcun'altro.
Klaus non è
un'illusione. E' lì di fronte a te e appare divertito dalle tue
condizione pietose.
I cadaveri delle due
donne che hai appena dissanguato sono lì ai suoi piedi.
I loro occhi vitrei e
senza vita sembrano perforarti l'anima.
“Guardami!”
L'ordine
di Klaus non ammette repliche e tu, troppo debole per lottare,
obbedisci.
“Dimmi la verità. Lei
è ancora viva, non è vero?”
E' un attimo. La sua
voce è seria, le sue pupille si dilatano giusto per un momento,
abbastanza per farti
desiderare di morire in quel preciso istante.
Vuoi mentire, come hai
sempre fatto per proteggere lei, ma stavolta non ce la fai.
La tua mente è in mano
sua adesso. Ti ha soggiogato e non puoi ribellarti.
“... Si.”
Quell'unica sillaba,
suona tanto come una condanna a morte per la ragazza che ami.
Quell'unica confessione,
suona tanto come una condanna a morte anche per te.
Una morte che implori,
ma che sai non ti raggiungerà.
“Per
favore, Damon. Ti prego!”
“Non
obbligarmi ad usare le maniere forti. Torna a casa!”
Damon
ed Elena stavano litigando da circa un quarto d'ora. Erano state le
loro voci concitate a ridestarmi. Non era stato necessario aprire gli
occhi per capire dove mi trovassi. Riconoscevo l'odore di umido e
muffa della cantina di casa mia.
Fastidioso,
nauseante, eppure in quel momento mi sembrava la fragranza più buona
al mondo. Allo stesso modo, le urla di mio fratello e di Elena, le
loro voci che si accavallavano le une sulle altre lasciandomi
comprendere solo stralci di frasi, erano il suono più rilassante e
confortante che avessi udito in quegl'ultimi mesi.
Non
più urla di ragazze innocenti che scappavano terrorizzate da me.
No... solo mio fratello e Elena che litigavano. Una ormai dimenticata
sensazione di familiarità e sicurezza mi scaldò l'anima.
Ero a
casa.
La
mia stanza era ad una manciata di metri sopra di me. Il mio letto era
lassù ad aspettarmi, i miei diari, tutta la mia vita... mentre io
ero bloccato in quella cella umida e buia, con la gola già riarsa
dalla sete. E nemmeno ero certo che avrei mai avuto la forza necessaria
per uscire.
“Pechè non lo posso vedere? Perchè?”
La
voce di Elena si era incrinata dietro un singhiozzo mal celato. Mi
parve quasi di vedere il suo volto rigato da qualche solitaria
lacrima che lei molto tenacemente tentava di controllare. Mi sembrò
persino di sentire l'odore di quelle lacrime, percepire il loro
retrogusto salato. Poi, senza volere, la mia attenzione si focalizzò
su qualcos'altro. Un cuore che batteva impazzito. Il suo.
Il
sangue che scorreva caldo e veloce nel suo esile e fragile corpo. La
belva che viveva dentro di me si ridestò in un attimo.
Con
uno scatto ero già davanti alla porta della cella dove Damon mi
aveva rinchiuso, pronto a scardinarla se necessario. Per quanto mi
potessi ribellare, ero impotente contro l'altro me.
Contro il
suo desiderio di uccidere e dilaniare, contro la sua brama di sangue.
A lui non importava che la vittima designata fosse Elena. Lui nemmeno
sapeva chi fosse Elena.
Non
l'aveva mai sfiorata, o baciata. Non si era mai risvegliato trovando
il suo viso tanto vicino da sentire il sapore del suo respiro. Non
aveva mai riso con lei, non si era mai sentito umano grazie a lei.
Lui non aveva mai saputo cosa significasse amare qualcuno così
tanto.
Lui
sapeva solo che il suo sangue era quanto di più dolce avesse mai
sentito...
No!
Non
so con quale forza, con che briciolo di volontà ci riuscii, ma mi
trovai con la schiena premuta contro la parete opposta alla porta. E
lì rimasi, schiacciato contro quel muro freddo e ruvido.
Scivolai
fino a terra e lottai contro il mostro che albergava dentro di me. Lo
sentivo dibattersi e provare a prendere il sopravvento sulla mia
coscienza, ma in qualche modo riuscii ad impedirglielo.
Mi
rannicchiai, apparendo esattamente come un animale spaventato, e mi
presi la testa fra le mani. Urlai dentro di me. Gli intimai di
tacere, di rinunciare perchè non l'avrei mai fatto vincere... almeno
finchè Elena fosse stata nelle vicinanze. Lui non bramava solo il
suo sangue. Aveva ricevuto altri ordini ben precisi da Klaus e ora
desiderava solo ubbidire.
Dei
passi che scendevano verso la cantina mi distrassero dalla lotta, e
per qualche ragione, il mostro si placò.
Il
volto di Damon comparve oltre le inferriate della porta. Mesi che non
scorgevo un volti familiare, eppure non lo
guardai per più di due secondi. Provavo una gran vergogna verso me
stesso. Odiavo che lui mi vedesse in quelle condizioni.
Non
vidi pietà nei suoi occhi però... Ecco una delle poche cose che
apprezzavo di mio fratello. Lui difficilmente s'impietosiva e ti
guardava come fossi qualcosa di irrecuperabile.
“Se
n'è andata.” esordì, tranquillo e pacato come se stesse parlando
del tempo. Come se non fosse cambiato nulla in quegli ultimi mesi di
lontananza. “Dio, è insopportabile quando si mette in testa
qualcosa!”
Benchè
il momento fosse tra i più sbagliati, l'ombra di un sorriso si
delineò sulle mie labbra.
Oh,
Damon non poteva nemmeno immaginare quanto Elena potesse essere
testarda a volte...
“Ti
ho portato una cosa.” continuò Damon “Non è ciò che tanto
brami, ma ti sarà di grande aiuto, te l'assicuro.”
La
serratura del lucchetto scattò e io ebbi di nuovo paura di me
stesso. Mi spinsi ancora di più contro quel maledetto muro,
desiderando quasi venirne inghiottito, e le mie dita si conficcarono
sul legno vecchio e consunto del pavimento.
“Damon...”
lo misi subito in guardia nel momento in cui lo vidi entrare.
Il
fatto che si fosse chiuso la porta alle sue spalle non avrebbe
fermato l'altro me, lui avrebbe fatto di tutto per evadere, e ci
sarebbe riuscito, avrebbe anche fatto del male a Damon... lo sapevo fin
troppo bene. Però adesso non
percepivo la sua presenza. Elena era andata via... e lui si era
tranquillizzato.
“Oh,
ma allora sai ancora parlare! Davvero notevole!”
Damon
si sedette per terra al mio fianco, tra le mani reggeva ciò che lui
considerava la cura ad ogni male, la soluzione ad ogni problema,
anche il più insormontabile.
“Bourbon.
Una delle annate migliori.” esclamò orgoglioso e soddisfatto,
brandendo la bottiglia scura come fosse stato un trofeo. “Volevo
aprirla per un'occasione speciale, qualcosa di più emozionante di te
che ti autocompatisci dentro questa cantina... di nuovo. Magari per
il giorno in cui avresti cambiato taglio di capelli, ma pazienza. Mi
accontenterò.”
Lo
guardai un po' risentito da quel suo solito atteggiamento
superficiale. Sapeva bene quanto grave fosse la situazione in cui
tutti ci trovavamo, eppure non mostrava la minima preoccupazione.
Però non dissi nulla. Perchè per quanto opposti fossimo, per quanto
ci trovassimo sempre in disaccordo su tutto, io conoscevo Damon. E
vedevo il sollievo trasparire dai suoi occhi, così come sapevo
cogliere il significato dietro quel gesto del voler bere con me.
Non
ero io il suo compagno di bevute, non era con me che lui soleva
divertirsi o distrarsi... se ora lo stava facendo era soltanto perchè
voleva darmi il bentornato a casa. Damon era felice che io fossi di
nuovo lì, che stessi più o meno bene e fossi vivo, sebbene in
condizioni disastrate. Non lo avrebbe mai ammesso, ma nemmeno ce
n'era il bisogno.
Attesi
che aprisse la bottiglia. Contrariamente a quanto mi aspettavo, il
primo sorso fu suo. Trattenni a stento la più infantile delle
proteste davanti alla sua supremazia di fratello maggiore e un altro
inaspettato sorriso si fece largo sul mio volto.
Possibile che avessi sentito così tanto la mancanza di Damon? …
solo ora me ne rendevo davvero conto. Non che con Klaus avessi
trovato molto tempo per lasciarmi andare alla nostalgia di casa.,
comunque...
Afferrai
la bottiglia e bevvi avidamente. Il sapore forte dell'alcol mi bruciò
la gola, placando leggermente il desiderio di sangue. Sospirai
sollevato quando ripassai la bottiglia a mio fratello.
“Hai un
aspetto orribile.” mi fece notare. Forse per la prima volta,
accolsi quel suo tentativo di sdrammatizzare.
“Beh,
io sono stato in balia del vampiro più antico e forte al mondo per
mesi. Tu che scusa hai invece?”
Damon
sbuffò, nascondendo malamente un lieve sorriso. “Ho badato alla
tua ragazza. E credimi, badare a Klaus sarebbe stato più semplice.”
Elena.
Ogni mio pensiero si catalizzò su di lei facendomi dimenticare tutto
il resto. Morivo dalla voglia di vederla, di parlarle, di chiederle
perdono per ciò che avevo fatto la notte prima... Il ricordo di ciò
che era accaduto, ne ero certo, mi avrebbe perseguitato per sempre.
Volevo vederla, però non volevo rischiare di farle del male. Non
dovevo incontrarla... non dopo che Klaus mi aveva obbligato ad
assencondare quella sua atroce richiesta.
Damon
doveva aver intuito i miei pensieri. Mi stava fissando, stavolta
seriamente, si concesse qualche istante per bere ancora prima di
parlare. “E' come immagino che sia?” domandò. “Klaus ti ha
soggiogato a fare del male ad Elena?”
Una
bizzarra sensazione di nausea mi prese lo stomaco. Assurdo... un
vampiro con la nausea non si era davvero mai sentito. Una rabbia
cieca m'invase, tutta quella che provavo per Klaus e che per tutti
quei mesi avevo trattenuto dentro di me fino a permetterle di
consumarmi. Le mie mani presero a tremare, strinsi i pugni fino a
sentire le unghie incidere la pelle.
“Mi
ha detto di venire qui e ucciderla... non appena l'avessi vista.”
ammisi infine,
sentendomi di colpo più leggero, come liberatomi di un peso che non
ero più in grado di reggere da solo. “Ci ho provato a combatterlo,
Damon. Ci ho provato davvero, ma... “
“Finiscila!”
mi fermò subito. “Giuro che se provi a dire E' tutta colpa
mia... “ non concluse quella minaccia. La lasciò in sospeso,
rendendola persino più temibile. “Sei stato soggiogato, Stefan.
Nessuno può fronteggiare una cosa simile. Avresti potuto farlo solo
se avessi avuto della verbena addosso, ma come potevi prevedere
quello che sarebbe accaduto ?”
Damon
sembrava arrabbiato e davvero non seppi spiegarmi il motivo. Non
avevo l'impressione che la sua rabbia fosse indirizzata unicamente a
me o a Klaus. “Sappiamo perfettamente entrambi perchè ti sei trovato in
quella situazione.” continuò, stringendo la bottiglia di bourbon
così forte che per un momento temetti sarebbe andata in mille pezzi
fra le sue dita. “... Sappiamo bene per quale motivo ti sei trovato
a diventare il cagnolino di Klaus, quindi non prenderti tutti i
meriti, fratellino!”
Si
attaccò di nuovo alla bottiglia, stavolta con nervosismo, evitando
anche di guardarmi. Ciò che non trovò la forza di dire, io lo
sentii comunque. Mi parve di udire la sua voce mentre si accusava di
essere stato un dannatissimo idiota ad essersi fatto mordere da
Tyler, ad aver rischiato di morire per il maledetto morso di un
licantropo e aver quindi obbligato me ad implorare l'aiuto di Klaus.
Damon
si sentiva in colpa...
La
consapevolezza di ciò mi colse del tutto impreparato, tramortendomi.
Ero sul punto di negare tutto, di dirgli che ero sicuro che lui
avrebbe fatto lo stesso per me, che non era certo colpa sua se era
stato morso da un licantropo. Pero, alla fine, decisi di non dire
nulla, perchè sapevo che quelle parole l'vrebbero solamente fatto
innervosire ancora di più.
E
poi, c'era anche un'altra cosa... Quando mi chiamava “fratellino”
sapevo che lui non era davvero arrabbiato. Era una cosa sciocca
forse, ma quando si rivolgeva a me così, sapevo che tutto era
perdonato. Damon aveva compreso il mio gesto di vendermi a Klaus per
salvarlo. Probabilmente mi aveva odiato per tutti quei mesi di
assenza, ma ora non gli importava più.
Sempre a fare l'eroe... Ero certo che lo stesse pensando.
Feci
un cenno verso la bottiglia fra le sue mani. “Hai intenzione di
berlo tutto da solo?” .
Damon
accennò un sorrisetto nervoso e mi passò il suo prezioso bourbon.
Bevvi quel che ne rimaneva per poi abbandonare la bottiglia vuota a
terra.
“Non
è sicuro che io rimanga qui, lo sai vero?” gli feci notare.
“Quando
mai vivere a Mystic Falls è stato sicuro?”
“Damon
perfavore, puoi essere serio solo per un attimo!?”
“No!”
esclamò lui, voltandosi di colpo verso di me. I suoi occhi glaciali
mi fissavano severi. “So già quale piano idiota stai per
rifilarmi. Tu e il tuo maledetto vittimismo, Stefan... Non tornerai
da quello psicopatico, fine della storia.”
Ora
sì che era davvero arrabbiato. Mi aveva chiamato per nome.
“E
cosa pensi di fare? Di tenermi per sempre qui dentro per evitare che
io veda Elena e la uccida?”
Dio...
pronunciare quelle parole mi fece rabbrividire.
“Forse...
si tratterebbe di aspettare solo qualche decennio, in fondo. La vita
umana è breve, lo sai.”
L'avrei
preso volentieri a pugni se solo ne avessi avuta la forza. Tentare di
farlo ragionare era inutile, lo conoscevo fin troppo bene. Nemmeno io
volevo tornare da Klaus, avrei preferito morire piuttosto, ma non
volevo assolutamente far correre pericoli ad Elena... e la mia
presenza lì era un enorme pericolo per lei.
“Ti
benderemo.” disse Damon ad un certo punto, facendomi corrucciare
dalla confusione.
“Scusa?”
“Hai
detto che Klaus ti ha soggiogato ad ucciderla SE l'avessi vista. Ti
basterà non guardarla e il gioco è fatto.”
La
sua tolleranza all'alcol doveva essersi indebolita parecchio se già
vaneggiava dopo solo mezza bottiglia di bourbon. Il suo discorso
però, per quanto assurdo, poteva avere un senso. Ma era comunque
troppo rischioso... non me la sentivo.
“Non
sono solo io il problema. Klaus verrà qui se non torno da lui. E a
quel punto sarà lui ad uccidere Elena... e credo che ucciderebbe
volentieri anche te.”
Damon
rise. Una risata dapprima contenuta, poi sempre più intensa. “Che
venga allora! Regalerò ad Elena un soggiorno di tre mesi alle Hawaii
così sarà al sicuro. Magari lo regalo anche a Katherine così la
terrà d'occhio … o si farà sbranare da qualche squalo, con un po'
di fortuna. Oppure finirà col rotolarsi sulla sabbia bianca con
qualche surfista del posto.”
Mi
passai le mani sul viso e poi fra i capelli, esasperato dalla totale
mancanza di serietà di mio fratello.
“Devo
ricordarti che Katherine è scappata da Klaus per secoli? Credi che
spedire Elena alle Hawaii o in qualsiasi altro posto possa servire a
qualcosa? Lui la troverà!... “
“Il
problema è un altro!” fece Damon, un lampo di improvvisa serietà
nel suo sguardo “Lui andrà a cercare Elena in ogni caso, sia che
tu tornerai da lui o rimarrai qui. Elena è in pericolo comunque. Se
tu sarai qui potremo collaborare e tirare fuori qualcosa di buono...
forse. Se invece andrai da lui, sicuramente combinerò uno dei miei
casini! E sai benissimo che sarà così!”
Lo
fissai impressionato, chiedendomi per un istante se non mi stessi
sognando tutto. “Da quando sei così maturo e autocritico?”
“Da
quando mi sono trovato un fratello nelle mani di uno psicopatico, una
ragazzina umana piagnucolosa e depressa fra i piedi, e la sua copia
vampiresca appollaiata come un dannato gufo nel mio giardino a fare
stalking!”
“Ehi,
il pennuto del gruppo sei tu, non io!”
La
voce di Katherine giunse inaspettata, portandoci a volgere la nostra
attenzione a lei che si trovava esattamente oltre la porta. Mise in
mostra il suo consueto sorrisino malizioso e straffottente e poi
entrò con una tranquillità spiazzante. Senza dire una parola mi
lanciò una sacca color pelle che per qualche miracolo riuscii ad
afferrare al volo.
“La
colazione.” mi disse, incrociando le braccia sul petto e studiando
con aria schifata le condizioni della cella ove ero rinchiuso.
Aprii
la borsa e trovai una bottiglietta di plastica piena di sangue.
Immaginai anche senza chiedere da dove provenisse. Di certo nessuno
era morto per quella... o meglio, nessuno umano. Oltre alla bottiglia
vi erano anche un paio di sacche dell'ospedale.
“Ho
pensato che tornare così di colpo al sangue di coniglio sarebbe
stato peggio. Almeno così puoi dosarlo un po' con quello umano.”
Sia
io che Damon non le risparmiammo un'occhiata titubante. Da quando
Katherine era così premurosa? La farsa non durò molto a lungo.
“Oh,
va bene!” sbuffò “E' stata una trovata di Elena.”
Osservai
nuovamente la borsa, facendo più attenzione e mi accorsi solo in
quel momento che apparteneva ad Elena. L'avevo vista appesa nella sua
stanza e, qualche volta, anche addosso a lei...
Mi
venne naturale sorridere e far caso alla fragranza che impregnava
quell'oggetto. Era quella di Elena... Mi si strinse il cuore solo
nell'immaginarmi il suo viso che bramavo di rivedere anche più del
sangue, ma che ora più che mai mi era negato.
“Il
piano delle Hawaii comunque mi piace un sacco, Damon!” esclamò
Katherine, probabilmente immaginandosi già laggiù circondata da
umani soggiogati a servirla e riverirla come una regina. “Elena non
mi darà alcun fastidio. Resterà chiusa nella camera d'albergo a
frignare tutto il giorno, già lo so.”
Era
sorprendente il modo in cui Katherine aveva accettato quel ruolo.
Tenere d'occhio Elena... glielo avevo chiesto solo perchè spinto
dalla più totale disperazione. Ero solo, in mano nemica e Katherine
era stata l'unica persona che conoscevo con cui ero entrato in
contatto. L'unica a cui potevo appellarmi e osare fidarmi. Una buova
parte di me aveva creduto che quella promessa che mi aveva fatto
fosse solo l'ennesima bugia, invece lei la stava mantenendo. Non mi
sarei mai aspettato nulla di simile e ne ero piacevolmente sorpreso.
“Grazie,
Katherine.” Non era solo per avermi portato la colazione, ma per
essere ancora lì a proteggere qualcuno che detestava solo per fare
un favore a me. Forse aveva il suo tornaconto personale, ma al
momento non m'interessava saperlo.
Davanti
a quel ringraziamento così improvviso, Katherine per un istante
sembrò presa in contropiede. Si riprese piuttosto in fretta, in ogni
caso. “Almeno uno dei due fratelli si spreca a ringraziarmi di
tanto in tanto.” Lanciò uno sguardo torvo a Damon che non si
scompose nemmeno.Se lui era ancora vivo, non era principalmente
grazie a me, ma a lei che invece di svignarsela, era andata a
portargli la cura.
“Ti
manderò un mazzo di fuori.” le disse, seccato “Dei crisantemi
vanno bene?”
“Oh
si, li riciclerò per il tuo funerale. Sarebbe anche l'ora che ne
avessi uno!
Li
lasciai a battibeccare fra loro, senza ascoltarli per davvero. Puntai
lo sguardo all'interno della borsa di Elena e una morsa dolorosa mi
prese la bocca dello stomaco quando notai un foglietto spiegazzato
sul fondo. Un messaggio di Elena... non avevo dubbi.
Il
primo istinto fu quello di cacciare via sia Damon e Katherine e
leggerlo, assaporando ogni sua parola, immaginando lei intenta a
scriverlo... Feci un rapido calcolo mentale, adesso Elena doveva
essere a scuola. Avendo come migliori amiche una vampira e una
strega, oltre ad un amico licantropo, sapevo che era più al sicuro
in quell'edificio che in qualsiasi altro posto, eppure quella
sensazione di ansia ogni volta che lei era distante da me, non
riusciva proprio a lasciarmi.
M'imposi
di smetterla di pensarci. Ogni volta che lo facevo, sentivo l'altro
me agitarsi...
“Io
avrei un piano per uscire da questa situazione con Klaus.”
Sia
io che Damon alzammo contemporaneamente lo sguardo su Katherine.
“Anche
io ce l'ho!” ribattè Damon. “Regola numero uno: mai seguire i
tuoi piani!”
Katherine
soffocò una risata nervosa. “Sentiamo, genio. Illustraci prima il
tuo!”
“Io
non espongo i miei piani con te nelle vicinanze.”
Lei
sbuffò esasperata “Tu non esponi i tuoi piani perchè non ne hai.
E se ne hai, fanno schifo e sei il primo ad esserne consapevole.”
Mi
dedicai ad una delle sacche di sangue, lasciando loro due a litigare.
Non riuscivo a ragionare con la gola così riarsa e le energie
ridotte al minimo. Feci una leggera smorfia disgustata quando il
sangue raggiunse la mia lingua. Ero abituato a ben altro ormai.
Quello, sapeva di vecchio... in ogni caso, m'imposi di accettarlo e
farmelo piacere, perchè non avevo intenzione di nutrirmi di nessuno
finchè fossi rimasto lì. O almeno, ci speravo...
“Vieni
con me!” Damon si era alzato in piedi e aveva afferrato Katherine
per un braccio. Lei si divincolò in fretta dalla sua presa,
fissandolo piena d'irritazione.
“Scusaci
fratellino, ma gli adulti devono discutere di cose serie e tu non sei
nella tua forma migliore per esserci d'aiuto. Inoltre non ho
intenzione di sentirti proporre piani che includano il tuo martirio,
ergo... verrò ad aggiornarti.”
Avrei
voluto fermarli, obbligarli a rendermi partecipe dei loro complotti,
dei loro folli piani, dato che ero certo sarebbero stati folli, ma
quando provai a protestare loro due erano già spariti oltre la
porta. Mi trovai di nuovo solo in quella cantina buia e umida...
Immediatamente
afferrai il biglietto che Elena aveva lasciato dentro la borsa, anche
lui era impregnato del suo profumo. Inspirai a fondo prima di
aprirlo.
Una
sola frase spiccava sul bianco della carta.
Una
frase che ferì brutalmente la bestia che dimorava al mio interno.
"Tu sei più forte."
Quel giorno, dopo mesi di sconfitte, vinsi io.
***Grazie mille ai lettori silenziosi, a chi mi segue e a chi recensisce :3
La canzone è "ECHO" di Jason Walker, presente anche in uno dei primi episodi della terza stagione di TVD (non ricordo quale T.T )
A presto,
DearDiary