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Autore: ToraStrife    11/07/2013    1 recensioni
"Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte...."
Canticchiare non le stava servendo a molto.
Lei, che era madre, avrebbe volentieri mandato qualcun altro a prendere quel maledetto latte, a quell'ancora più maledetta ora della notte.
Seconda Classificata al contest "Una questione di latte" indetto
da Phoenix_Esmeralda
Genere: Fantasy, Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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MilkShades

MILKSHADE






- Fatti mandare dalla mamma a prendere il latte....

Canticchiare non le stava servendo a molto.
Lei, che era madre, avrebbe volentieri mandato qualcun altro a prendere quel maledetto latte, a quell'ancora più maledetta ora della notte.

Ma in fondo, una simile levataccia Linda se l'era meritata.
Il suono del registratore di cassa la riportò alla realtà.
Tirò fuori di tasca due banconote di piccolo taglio e le poggiò sul banco, davanti allo sguardo divertito del commesso.
Sentendosi avvampare in volto, Linda afferrò i cordoni della borsa di nylon e ringraziò.
Rimuginando sull'espressione dell'inserviente, la donna si convinse, con grande imbarazzo, di essere stata notata durante la sua esibizione canora.
"Perfetto, un'altra figuraccia", pensò.
Ma d'altra parte sapeva di non poterci far nulla, a proposito di quei momenti di incanto che la sorprendevano, al pari di uno screensaver che si attiva quando un PC rimane inattivo per un po' di tempo.
In genere la definivano un'inguaribile distrattona, una testa tra le nuvole, qualcuno le aveva persino coniato il termine di "sognatrice spontanea ad occhi aperti".
Ma non solo.
Quella canzoncina le era 'sfuggita' di bocca in un momento di sovrappensiero.
Più volte si lasciava sfuggire una frase, una citazione, un gioco di parole, anche in circostanze inopportune.
La sua bocca era come un rubinetto difettoso che gocciola, e l'acqua, i suoi pensieri.
Questo, ovviamente, era da sempre stato causa di figure barbine.
"Ben ti sta." Si rimproverò. "Colpa tua che ti sei dimenticata il latte nella spesa di ieri".
Già, la sua solita testa per aria.
Era stata svegliata in piena notte dal pianto della sua bambina: fame notturna.
Alzatasi di  malavoglia si era messa a preparare il biberon, per poi aprire il frigo e scoprire la mancanza dell'ingrediente fondamentale.
Quel Convenience Store, aperto anche di notte, si era rivelato una vera fortuna, e quella piccola 'gaffe' era tutto sommato uno scotto ancora sopportabile.
E poi non c'era tempo da perdere, la bambina attendeva affamata a casa, senza contare l'azzardo obbligato di averla lasciata da sola a casa.
Linda affrettò il passo e imboccò la prima via a destra... arrestandosi, sconcertata, dopo qualche passo.

- Non ricordavo tutta questa nebbia.

Il paesaggio attorno a lei, già poco visibile per via dell'orario, era stato avviluppato da un banco grigiastro, uniforme e monotono, in mezzo al quale si distinguevano a malapena le sagome scure dei muri e le luci fioche dei lampioni.
Tanto grigiore rendeva le strade tutte uguali, e Linda, che nella sua sbadataggine non brillava neppure di senso dell'orientamento, fu sfiorata dal timore di essersi persa.
Cercò di non farsi prendere dal panico.

- Prima di tutto mi ci vuole un punto di riferimento: le luci del Convenience Store.

Ma altri mille dubbi la assalirono.
Tornando indietro al negozio avrebbe dovuto riaffrontare lo sguardo ilare del commesso. Sicuramente  era ancora lì, ridacchiante, con gli occhi sulla strada, visibile direttamente dalla cassa vicino all'uscita.
In preda all'imbarazzo, esitò.

- Che faccio se mi nota, gli mostro che oltre che cantare da sola, sbaglio anche il tragitto per casa?

D'altra parte, anche restare lì non sarebbe servito a nulla. Senza dimenticare la bambina che stava aspettando.
E - questo lo sottolineò con un piccolo sbadiglio - anche il letto attendeva.
Facendosi coraggio, Linda tornò sui suoi passi, pronta ad affrontare la seconda umiliazione di quella notte. Girò l'angolo precedentemente svoltato, e una grossa sensazione di disagio l'assalì.

- Il negozio era lì! - Disse indicando una via grigia e indistinta, simile a tutte le altre.

Nessun commesso ridacchiante. Nessuna luce del negozio. Nulla di nulla.

- Oddio, no. Non ditemi che mi sono già persa! - Piagnucolò, con un'immensa voglia di lasciarsi andare a strepiti e lamenti.

Inquieta, affrettò il passo, mentre la borsa con il latte oscillava sempre di più. Controllò ogni vicolo, tornò sui suoi passi più e più volte, ma da nessuna parte incappò nella familiare luce del negozio, o nel portone di casa.
A un certo punto si mise anche a correre, con la borsa che gli batteva regolarmente sul fianco, ma invano. Sì fermò un attimo, e tirò fuori dalla tasca dei pantaloni il cellulare.

- Già, e chi chiamo? La polizia? Aiuto, mi sono persa, salvatemi! O magari quel mentecatto del mio ex che mi ha abbandonata con...

Si fermò, quando si rese conto di aver tirato in ballo una persona scomparsa dalla sua vita ormai da un anno.
Stava divagando, rinvangando, e sproloquiando. Nulla di questo le era utile in quel momento.
Rimise il cellulare in tasca, e cercò di raccogliere le idee.
Sì guardò attorno. Tutta quella nebbia, così repentina. Neppure normale, dovendo guardare il periodo dell'anno.
Grigia, fredda, monotona: quella nebbia le stava opprimendo la mente.

- O forse è la mia mente ad essere annebbiata?

Le era sfuggito di nuovo di bocca. Non era una battuta per rallegrarsi. Forse non l'aveva neppure pensato.
Era quella solita, odiata 'goccia di pensiero'.
Scosse la testa e tentò una strada a caso.
Quasi non credette a quell'insperato colpo di fortuna: la strada di casa sua!
Il familiare portone, in mezzo ai fumi biancastri, accese gli occhi di Linda dissipando tutte le preoccupazioni.
Per la prima volta quasi apprezzò la vista di quel legno consumato dagli anni, il numero civico quasi illeggibile, le maniglie arrugginite.
A ben vederlo, non era mai stato un granché. Anzi, aveva sempre disprezzato quell'ingresso così desolato e fatiscente: rifletteva lo squallore dell'androne e del suo appartamento. Ma era pur sempre un luogo che si poteva chiamare casa.
La rotazione della chiave fece scattare la vecchia serratura, e il battente, spinto da una mano, si trascinò lentamente verso l'interno.
Uno stridio insopportabile da parte dei cardini provocò a Linda un brivido lungo la schiena: era abituata a quel rumore, ma il buio nell'atrio, la nebbia opprimente di fuori e un silenzio innaturale, sia pur giustificato dall'orario, amplificavano quel rumore come una lama seghettata che, dente dopo dente, le irritava i timpani.
Infastidita, decise di abbreviare il cigolio di chiusura con un gesto deciso. Il rumore del battente chiuso riecheggiò tra le grosse pareti, poi il silenzio.
Istintivamente Linda cercò l'interruttore della luce, quando si accorse di non averne bisogno.
Il buio non le sembrava più così impenetrabile: era stato sostituito da una lieve penombra, probabilmente alimentata dalla finestra di un pianerottolo.
Cosa strana, la semioscurità aveva un'insolita colorazione rossiccia.
Le pareti e il soffitto scarlatti le diedero l'impressione, mentre saliva le scale, di trovarsi dentro un'arteria.
La sensazione era così vivida che poteva quasi sentire i muri pulsare.
E lei era come un misero globulo rosso che doveva percorrerla.
Anzi, globulo bianco, si corresse, guardando distrattamente il cartone del latte nella borsa, straordinariamente bianco rispetto al resto.
Un contrasto che le fece sfuggire una nuova goccia di pensiero.

- Bianca come il latte, rossa come il sangue.

Il commento le sembrò particolarmente macabro e infelice. In quelle occasioni aveva la sensazione che non fosse neppure lei a parlare, ma qualche marionettista  che si divertisse alle sue spalle.
Un pianto familiare la ridestò dalle sue considerazioni. La bambina! Bisognava sbrigarsi, altrimenti tutto il vicinato si sarebbe svegliato!
Sulla soglia di casa, Linda frugò nella tasca per trovare le chiavi e si guardò attorno.
Nessuna luce che si accendeva, nessun lamento.
Linda non sapeva se esserne sollevata o preoccupata: il sonno dei suoi vicini era così pesante?
Girò velocemente la chiave e si chiuse la porta alle spalle, lasciando tutte quelle stranezze fuori.
Accese immediatamente la luce e si abbandonò ad un sospirò di sollievo.
Il pianto la richiamò ai suoi doveri di madre. Entrò immediatamente nella camera per controllare la bambina.
Gli occhi si spalancarono, mentre una maschera di terrore gelò il volto della donna.
La borsa con il latte cadde a terra, producendo un suono sommesso, ma Linda non ci fece caso.
Davanti a lei qualcuno che in effetti strillava. La voce, indubbiamente, era di sua figlia.
Quella che però le pupille tremanti di Linda stavano fissando non la riconobbero come sua figlia. Nessuna madre avrebbe potuto.
L'aveva lasciata solo...quanti saranno stati? Venti minuti al massimo, forse. Come poteva la sua pelle... così morbida, così giovane, così viva... come poteva essere diventata così incartapecorita, stropicciata...secca?
Quegli occhi, di un bel castano chiaro... li aveva sempre adorati, anche se li aveva presi evidentemente da quel vigliacco del padre.
Ma ora non c'erano più, sostituiti da due orbite vuote e profonde, due abissi dentro i quali guardarci dentro avrebbe significato lasciarci precipitare la sanità mentale.
La bocca aperta, dalla quale proveniva lo strillo, era l'eco della desolazione e della morte, camuffate da pianto e vita.
Una mummia.
Una mummia inespressiva, come quelle che da piccola aveva visto al museo egizio, e le avevano sempre fatto paura.
Era come se una di loro avesse sostituito sua figlia.
Davanti a quello spettacolo, Linda non sapeva che fare. Tirò fuori il telefono, ma le mani tremavano troppo, e le sfuggì di mano, spaccandosi sul pavimento, in mille pezzi. Maledetti modelli delicati.
Cosa fare? Avvicinarsi alla bambina?
Un moto di ribrezzo la fece esitare.
"Linda, dannata inetta", Rimproverò una parte di sé. "Quella è pur sempre tua figlia".
Con le lacrime agli occhi ed esitante, Linda si rimproverò ancora di più.
Non era neppure in grado di fare la cosa più logica: urlare e chiedere aiuto. Si sentì una vigliacca. Persino più vigliacca del suo ex.
Tenne lo sguardo fisso sul pavimento, per paura di incrociare la raccapricciante visione di sua figlia, mentre il pianto di quest'ultima continuava.
Pregò che qualcuno da fuori sentisse il pianto e venisse a bussare, a strepitare, a lamentarsi. Sarebbe stato uno shock sufficiente a destarla da quello stato di catatonia.
Passarono diversi minuti, dove Linda continuò ad ascoltare il lamento di sua figlia.
Se da una parte le dava i brividi, dall'altra quella voce era rimasta quella di sempre. Era forse l'unica cosa, della sua bambina, rimasta in quel fagotto rinsecchito.

- E' normale che pianga, poverina. - Mormorò - Piange così perché ha fame.

Scosse la testa. "Normale?" Si rimproverò.
"Linda, ti sta partendo anche quel poco di testa che ti ritrovi? Che pensieri sono? E' il tuo istinto materno che vuole spodestare la razionalità? Magari adesso prenderai il latte e glielo darai, vero? Ti troveranno sorridente e con lo sguardo perso nel vuoto con un cadavere tra le braccia? Una vita in mezzo alle pareti imbottite, è questo che vuoi, Linda?".
Tutto questo le stava urlando la ragione, nel tentativo di scuotersi, ma un senso di rassegnazione vanificò ogni sforzo.
"Sono davanti a mia figlia, mummificata, che piange. Non è evidente che io sia già impazzita?" Si rispose la donna. "Tanto vale che gli dia questo benedetto latte..."

Linda si chinò e raccolse direttamente il cartone lasciando a terra la borsa. La donna avvertì una sensazione di bagnato alla mano, mentre il cartone risultava insolitamente leggero. Guardando la confezione, notò che la confezione cadendo si era bucata, e il contenuto sparso dappertutto.
La pozza bianca, insieme alla borsa appiccicaticcia, giacevano ai piedi della donna.
Linda osservò a lungo a confezione vuota. Tanta fatica sprecata. Ma ormai, che importava?

- Non si piange sul latte scaduto.

Un'altra "goccia di pensiero". Ma stranamente, era storpiata.
"Avrei dovuto dire latte versato. Come mai...?"
Trovò la soluzione sul fondo della confezione. I suoi occhi avevano registrato l'informazione, ma il suo cervello non l'aveva elaborata.

- Questa data è di tanto tempo fa! - Si chiese incredula. - Io ho comprato del latte scaduto? - Si rimproverò. - Stavo per dare a mia figlia questo latte?

Non sapeva neppure lei perché se la stava prendendo, date le circostanze. Perché rassegnarsi a una figlia mummificata, e prendersela per un latte scaduto? Che senso aveva oramai?

- Finalmente te ne accorta.

Era un' altra goccia di pensiero, indubbiamente, ma c'era qualcosa di diverso.
Le parole erano indubbiamente uscite dalle sue labbra, ma questa volta aveva la vivida impressione che fossero state pensate da qualcun altro.
Guardandosi attorno, Linda si accorse che si era fatto tutto buio e silenzioso. Il pianto era cessato, ma non poteva dire se la mummia fosse ancora lì.

- Non temere.

Linda si guardò attorno. Una "goccia di pensiero"? Assolutamente no, ne era certa.
Aveva riconosciuto il suo stesso timbro di voce, ma lei non aveva aperto bocca. E non aveva neppure pensato quelle parole.

- Questo perché finalmente ci incontriamo. - Le rispose la voce, come ad averle letto nella testa.

Linda guardò in avanti e pensò che le fosse apparso davanti uno specchio: poteva perfettamente vedere la sua immagine riflessa.
Senonché quest'ultima aprì bocca.

- Ho scelto questa forma  perché fino ad ora sono stata parte di te. Addormentata dentro di te. E quindi, mi sento un po' uguale a te.

Linda guardò il suo riflesso, ma non riuscì a parlare. Quest'ultimo continuò.

- Ho vissuto nella tua mente, quindi so cosa stai pensando. Ti stai chiedendo Chi o Cosa io sia.

Linda continuò il suo silenzio, ma annuì.

- Sono una di quegli esseri che chiamate Fate.

Linda corrucciò lo sguardo. Tutto avrebbe immaginato, tranne quella parola.

- Più precisamente, - Continuò il riflesso senza attendere risposta. - Sono una Fata della Nebbia.

- Una... fata? - Chiese finalmente Linda, indecisa se crederci o meno.
In realtà il vero scetticismo non era sull'identità della fata, ma sui suoi stessi sensi.
L'esperienza di prima, e adesso vedere una sé stessa dialogare con lei. Ormai era chiaro  di come il suo cervello  fosse andato, si disse.  Anche se in tutta questa follia si sentiva paradossalmente lucida.

- Te lo ripeto... Linda. - La copia si fermò per un attimo, forse per lo stupore di averla chiamata per la prima volta per nome. - Io ho vissuto nella tua mente, e so cosa passa per la tua testa. No, sei perfettamente sana di mente, e per quanto tu possa non crederci, io sono davvero una fata.

Lunghi attimi passarono senza che nessuna della due parlò.
Lo sguardo di Linda si posò a lungo sulla sua immagine speculare.
Per la prima volta, si rese conto di quanto si fosse trascurata.
Biondi capelli che cascavano disordinatamente sulle spalle, stropicciati come stoppa; profonde occhiaie che sottolineavano lo sguardo spento e a tratti lugubre; la bocca, i cui angoli non si alzavano da fin troppo tempo. Da un anno.
L'ultima volta che aveva sorriso era stata alla nascita di sua figlia, prima di venire abbandonata dalla persona di cui si fidava di più, così, senza una parola...
Linda scosse la testa per scacciare quel fastidioso ricordo, e con un'altra occhiata alla sua immagine, sospirò. Si era davvero sciupata così? Magari era solo uno scherzo della Fata, che si era imbruttita di proposito.

- Il mio nome... - La fata spezzò il silenzio. - Non ho un vero nome. Ma mi piacerebbe che mi chiamassi Alessia.

Quel nome provocò uno scossone nei confronti di Linda, che subito lo ripeté con agitazione. Era il nome di sua figlia, dopotutto.

- A tale proposito, - Aggiunse la Fata. - Voglio tranquillizzarti. Ciò che hai visto prima non era reale. Tua figlia è viva e non corre alcun pericolo...adesso.

Linda accolse la notizia con un misto di emozioni che non riusciva a descrivere. Una lacrima le scivolò involontariamente dall'occhio sinistro.
L'immagine di quella mummia infestava ancora la sua mente. La notizia che quello fosse solo un brutto sogno...
Sogno? Per quello che era possibile, anche quella "fata" poteva essere un'illusione, o peggio, il fantasma di una mente ormai folle.

- Insomma. Cosa sta succedendo? - Chiese infine la povera donna, stanca di tutte quelle rimuginazioni.

- Quando nasce un bambino, la sua prima risata dà origine a una fata. Fu con la prima risata di Alessia, tua figlia, che venni al mondo anch'io.

- Mi stai dicendo che quella leggenda è vera? Tu sei una fata e sei reale? Non un parto della mia fantasia?

- Sì e no. Io in effetti vivo nella tua fantasia. O meglio, tua e di tua figlia.

Linda scosse la testa, confusa. - Insomma, sei reale, oppure no?

- Se vogliamo spiegarla in termini pratici, più facili per voi umani da comprendere, noi fate, così come tutti gli esseri immaginati dall'uomo, non siamo altro che emanazioni psichiche. Letteralmente, parti della vostra fantasia.

- Insomma, non esisti. Mi sto immaginando tutto.

- Al contrario. Noi esistiamo dal momento in cui ci avete creato voi.  Se in tanti credono in qualcosa, questo alla fine diventa vero.  E allo stesso modo, cessiamo di esistere nel momento in cui nessuno crede più in noi.

Linda rifletté. Doveva averlo letto o sentito da qualche parte in Peter Pan.
Ogni volta che un bambino smette di credere nella fate, una fata muore. Ma anche senza dare retta a un libro di narrativa, ricordava di qualche documentario sui Tulpa, esseri incorporei che venivano creati dai monaci buddisti attraverso la concentrazione della mente.
Era dunque così potente la forza della psiche. O forse era quella dei sentimenti?

- Come mai ci incontriamo solo adesso? - Chiese Linda.

- Ho dormito in un angolino della tua mente, semplicemente. - Rispose la Fata. - Ed ero io, forse in dormiveglia, che ti faceva dire quelle strane cose. Quelle che tu chiami 'gocce di pensiero'.

Linda annuì: assurdo per assurdo, questo spiegava molte cose.

- Ma che è successo oggi? Perché ti sei svegliata? Perché ho visto quelle cose orribili?

- Quel latte scaduto.

La risposta parve così grottesca che Linda si lasciò sfuggire un'involontaria risatina.

- Un latte scaduto ha svegliato una fata nella mia mente? -

- Quel latte scaduto, somministrarlo alla bambina avrebbe significato...

- Andiamo, non era mica veleno! - Si difese bruscamente Linda, sentendosi avvampare. Si sentiva come se fosse stata lei a far scadere il latte, di proposito.

- Ammetto che forse è stata un'esagerazione, ma...

- A proposito. Cosa mi è successo?

-  Sono una  Fata  della  Nebbia. La mia specialità è creare illusioni. Appena mi sono accorta del latte scaduto, ho cercato di mandarti degli avvertimenti.

- Avvertimenti? Ho visto il cadavere piangente di mia figlia! Lo chiami un avvertimento? A me è sembrato un tentativo di farmi impazzire!

Quest'ultima frase Linda la sputò con risentimento.
"Sempre che pazza non lo sia già!" Si disse mentalmente subito dopo.

A quell'attacco la fata fece una piccola pausa, mortificata.

- Di questo chiedo scusa. Ma io non creo illusioni a piacimento. Non decido a priori cosa far vedere. Quelle immagini le ho tirate fuori da te.

- Da me?

- Quello che hai fatto è stato un viaggio dentro te stessa. E' cominciato da quando sei uscita con quel latte scaduto. Da lì ti sei letteralmente persa nella nebbia delle tue preoccupazioni.
Quando ti ho 'parlato' della mente annebbiata, hai finalmente trovato la via che portasse al tuo cuore. Cuore che hai materializzato come il portone di casa tua, il tuo rifugio personale, il quale, nonostante  sia stato martoriato dalle intemperie della vita, è ancora un luogo sicuro dove custodire i tuoi affetti più preziosi. Un cuore rosso che palpita. Rosso come il sangue.

- A me è sembrato solo un incubo! - Protestò Linda. - Che mi dici allora di mia figlia? Nel mio cuore Alessia è un qualcosa di morto e sofferente?

- E' l'esatto contario. E tu lo hai scoperto quando ti sei accorta del latte scaduto.

- Non capisco!

- Non c'è tempo per spiegare. Il tempo concessomi per parlarti è giunto al termine. Quando ti risveglierai sarai appena uscita dal negozio. Mi raccomando, fai il possibile affinché nulla di male accada ad Alessia. Addio!

Linda voleva parlare, capire, cercare ulteriori spiegazioni, ma non poté fare nulla per via dell'improvviso assopimento che l'assalì, facendole perdere i sensi.

Aprì gli occhi quasi subito. Di fronte a lui lo sguardo preoccupato del commesso del negozio. Si guardò attorno. Era seduta su una sedia.

- Si sente bene, signora?

Linda ricambiò confusa lo sguardo del commesso. Non sapendo che dire, annuì semplicemente.

- Le serve qualcosa, un bicchier d'acqua? Un caffé?

- No, grazie. - Rispose con un filo di voce.

- Che spavento mi ha fatto prendere - Commentò l'inserviente con una mano sul cuore, tirando un sospiro di sollievo. - Appena ha varcato la soglia del negozio è improvvisamente svenuta.

- Quanto... quanto tempo è passato?

- Oh, solo qualche minuto. Le ho raccolto la borsa con il latt...

- Il latte! - Linda balzò in piedi, e si rimise a sedere in preda a un capogiro.

- Non si muova bruscamente, è ancora debole, signora. -

- Il latte... il latte è scaduto... - Mormorò la donna.

- Me ne sono accorto solo quando ho preso in mano la busta. - Confessò imbarazzato il ragazzo. - Sono desolato! Ho provveduto a sostituire la confezione e a dargliene una omaggio per scusarmi.

- Ah, meno male. Proprio come mi aveva detto... - Linda si fermò.

"Come mi aveva detto chi?".
 
Aveva l'impressione di aver dimenticato qualcosa, anzi, qualcuno. Impossibile, si disse, era uscita dal negozio ed era svenuta, semplicemente.
Che cosa avrebbe dovuto dimenticare?
Un nome le tornò in mente.
"Alessia".

- Alessia. A quest'ora avrà una fame...!

Il pensiero della figlia le fece tornare le energie. Era venuto il momento di fare il suo dovere di madre.

--------------


- Ti va bene così? - Le chiese una voce femminile.

- Sì, mi sta bene. - Rispose la fata.

- Dopo tutto questo tempo riesci a incontarla, e poi...

- Va tutto bene. - Ripeté la fata, con un mezzo sorriso.


- Hai perso la tua occasione. Noi creature fantastiche possiamo vivere solo nella fantasia delle persone. Ormai si sarà già dimenticata di te: lo sai questo, vero?


- Lo so benissimo. Ma sono felice lo stesso.


- Perché non le hai detto tutta la verità?


- A cosa ti riferisci?

- Le hai detto che le fate nascono dal sorriso di un bambino. Ma tu sei nata dal sorriso di...

- Sì, è vero. Sono nata dal sorriso di Linda. Quell'ultimo, sincero e gioioso sorriso di quando nacque Alessia.

- Anche tu, quindi, sei una sua figlia. Non era il tuo più grande desiderio poterla chiamare mamma e farti abbracciare?

- Sarebbe stato egoistico. Alessia...l'altra Alessia, l'umana, è tutto il suo mondo.

- Nella tua spiegazione hai tralasciato molte cose. Per esempio, quella mummia piangente non era sua figlia, ma...

- Nel mio vero aspetto non sono un bello spettacolo, dai. - Sì schernì la fata.

- Ma non è colpa tua. Tu incarni l'affetto di Linda verso Alessia.

- Stai dicendo che l'affetto di Linda non sia sincero? Che sia morto? - Obiettò la donna.

- Lo sai che non è così. Linda tiene quell'affetto sepolto nel suo cuore. Ma se non viene nutrito con amore e costanza, anche un sentimento può appassire e morire. Ma anche così un sentimento urla comunque tutta la sua sofferenza.

- Bella metafora, complimenti. - Commentò la fata. - E il latte cosa rappresenterebbe?

- Dipende dal sentimento che vuoi nutrire. Il latte scaduto è il nutrimento dei rimpianti. Equivale a "Ormai" e "Troppo tardi". Accorgendosene ha scoperto di dover concentarsi sul latte fresco. Nutre la speranza. Nutre sentimenti come te. Si può ben dire che hai salvato la tua esistenza.

- Differentemente da te, di cui sento solo la voce.

- Io incarno il rimpianto di Linda per l'uomo che l'ha abbandonata. Senza latte scaduto, sono destinata, col tempo, a scomparire.

- Hai...scusa il gioco di parole: ..."rimpianti?"

- Ero un sentimento morto anche da... viva. Non farà una grande differenza quando me ne andrò. E poi, tipi come me sono abbastanza duri a scomparire. Cosa farai ora?

- Credo che tornerò a dormire nella mente di mia madre. E' la più dolce sensazione del mondo, sai? Riesco a sentirmi inondata dal suo calore anche senza che le sue braccia mi sfiorino. E mi dona l'illusione, in qualche modo, di stare sempre tra i suoi pensieri.
E dimmi, tu cosa farai, invece?

La fata ascoltò, ma questa volta non ottenne risposta.  Abbozzò un sorriso.

- Anche tu però non hai detto tutta la verità, cara la mia vocina. E' vero che mamma Linda in quel frangente mi ha vista in forma di bambina mummificata. Io, però, ero perfettamente silenziosa. Piuttosto, il pianto che la chiamava, quella voce che aveva fame di latte scaduto...

Le parole si persero nel vuoto, mentre l'orecchio della fata continuò a non ricevere risposta.
La fata allora si voltò e si allontanò.
Si guardò indietro solo una volta, con lo sguardo indirizzato al nulla, per un ultimo saluto.


- Sogni d'oro, sorella mia.

  
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