SEI.
Un mese dopo. 11-12 Maggio 2013, Washington DC.
-Andremo al mare.
-Cosa? - sbottai, sbattendo le paplebre e cercando di darmi una svegliata; la
mia migliore amica aveva dei modi meravigliosi per svegliarmi dal mio mini
abbiocco serale delle DUE DI NOTTE. Certo, perché dopo aver appena finito
un’estenuante concerto di fronte a migliaia di persone era del tutto normale farsi
venire in mente la geniale idea di fare nottata. Ma lei è Taylor Swift, e con
lei tutto è possibile. E io sono Ed Sheeran, il povero fesso che le andrà
sempre dietro, finché morte non ci separerà.
“Amen.”
“Stai zitta tu, non c’entri niente adesso.”
“Io c’entro sempre Eddyno, sono la tua mente, non ricordi?”
Dio, quanto è fastidiosa.
Comunque, dicevo, prima che quella presenza estranea mi interrompesse, quella
pazza voleva fare nottata. E così adesso eravamo seduti sul B-Stage, io
stravaccato stile Meredith-post-pasto,
lei … boh, probabilmente da qualche parte intorno a me intenta a fare qualsiasi
altra cosa tranne quella ragionevole: ossia prendere le chiavi nascoste nel suo
vestito da Love Story che stava
indossando come se fosse la cosa più naturale del mondo - sì, aveva nascosto le
chiavi perché non voleva che gliele rubassi per scappare all’hotel: lo so, è
matta. Che poi dove le teneva, in quel cavolo di vestito da principessa delle
fate? Aveva forse qualche tasca interna? Magari nel reggiseno -, scendere da
quel dannato palchetto e aprire la porta per farmi tornare in albergo a
DORMIRE.
Volevo dormire. Avevo un disperato, agognato bisogno di dormire.
Ormai il Red Tour era iniziato da due mesi, e non erano stati due mesi facili.
Prove su prove, concerti fino a tardi, ed una Taylor più attiva e svampita che
mai, che amava trattenersi a cantare e a suonare quando lo stadio era ormai
vuoto o che veniva a bussare alla porta della mia stanza d'hotel in piena notte
per chiedermi se volevo vedere Law & Order con lei e Meredith. Tutto
questo, però, sembrava averci avvicinati ancora di più; spesso gli altri membri
della band ci prendevano in giro, perché ci perdevamo nel nostro mondo con
facilità. Non mi ero mai sentito così legato ad una persona, soprattutto ad una
donna. Eppure era come se fosse una parte di me, ormai. Mi ero anche abbassato
a vedere Grey's Anatomy con lei, solo perché sapeva tutte le battute a memoria
e guardarla mentre le recitava nel modo giusto al momento giusto mi faceva
sganasciare dalle risate. Era bello. Era bella questa cosa con Taylor, era
un'amicizia vera e forte. Indistruttibile. Non volevo che finisse, non lo
volevo assolutamente. Ormai mi sentivo come se perdere Taylor fosse stato come
perdere una gamba. Più o meno.
Dicevo, avevo bisogno di dormire. Gliel'avevo fatto presente ma, sapete, lei è
Taylor, quindi qualsiasi cosa vagamente razionale non le appartiene.
Scossi la testa, sentendomi ancora parecchio intontito. Forse avevo sentito
male. Perché voleva andare al mare? Stavamo facendo un tour. Un tour soldout,
ci terrei a specificare. Non potevamo andare al mare.
Molto, ma molto svogliatamente, mi smossi dalla mia posizione da abbiocco e
feci per dar voce ai miei pensieri, quando, aperti gli occhi, me la ritrovai
praticamente in faccia, appostata nella mia stessa, identica posizione, solo a
pancia in giù, e per poco non sbattemmo l’uno contro l’altra. Strano ma vero:
questa volta ero riuscito a tenere a freno i nervi, come, non lo so. I suoi
occhioni blu luccicanti, nel frattempo, mi stavano guardando da sotto la sua
tendina di capelli biondi, ormai non più perfettamente lisci dopo due ore di
spettacolo e il restante tempo passato a cantare canzoni a caso con il
sottoscritto, fin quando non mi ero abbioccato lì, sul B-Stage, mentre lei
suonava una strana versione di quella che poteva essere una cover di Kiss Me. Non so se stava per ridermi in
faccia; probabilmente sì, visto che aveva appena distorto leggermente la bocca
e sbuffato, ma per il resto sembrava seria. Molto seria. Troppo seria. Non
Taylor-seria. Ma esageratamente seria. Cos’aveva intenzione di fare? Annullare
il resto delle date del tour e prendersi una bella vacanza, magari portandomi
con lei in qualche isola sperduta? Non riuscivo a interpretare quel guizzo di
convinzione che le vedevo negli occhi, e questo mi metteva tremendamente a
disagio. Di solito mi bastava un'occhiata, la sua mente era come un libro
aperto per me. Ma adesso no. Era seria e paurosamente chiusa in sé stessa. Che
le passava per la testa?
- Finito il tour. Andremo al mare. O meglio: TU mi porterai al mare. Ho sempre
voluto fare un giro in Gran Bretagna, in maniera normale, non schizofrenica
come succede con i tour. Non toccata e fuga, ma una lunga, e piacevole vacanza.
E ho deciso che la voglio fare. Con te. Mi porti a fare un giro in Gran
Bretagna finito il tour? – mormorò, sorridendo divertita e dandomi una
strizzatina al polso.
Stavo ancora cercando, convulsamente, un segno, una traccia di quello che le
passava per la testa. Mi aveva veramente chiesto di portarla a fare un giro in
Gran Bretagna? Mi stava mettendo in confusione; non c’era traccia di
quell’abituale guizzo di allegria nei suoi occhi, si vedeva che era seria,
nonostante il sorriso. E io non riuscivo a capirla. Come era successo più volte
nell'ultimo mese, mi aveva chiuso fuori dalla sua testa, e non la capivo. Ma
che le succedeva? Voleva scappare? Da cosa? Stava impazientemente aspettando
una risposta, lo vedevo. Si mordeva il labbro, ma per il resto non si era
ancora mossa di un centimetro. Non era in procinto di ammettere che stava
scherzando, per poi buttare lì qualche battuta divertente, sui miei capelli o
sulla mia pellaccia pallida che si brucia anche a novembre. Si aspettava una
risposta seria questa volta, perché lei era seria, al cento per cento.
All'improvviso si mise seduta, con le gambe penzolanti al di là del palchetto,
perciò la imitai, senza smettere di guardarla. Anche lei, nel frattempo non mi
toglieva gli occhi di dosso. Era diventata una statua, ferma e immobile:
l’unica cosa che si muoveva erano gli occhi. Probabilmente stava cercando di
capire se stessi per scappare a gambe levate, ma non ce l'avrei fatta neanche a
volerlo: era come se un macigno mi si fosse piantato alla bocca dello stomaco e
mi impedisse di fare qualsiasi altra cosa se non avvicinarmi più a lei, per
farle capire che non volevo andarmene. Volevo capire cosa le stava succedendo. Perché
le era venuta quell'idea.
Evidentemente, mettersi a sedere era stata un'azione più lunga del previsto, perché
nella frazione di secondo in cui avevo abbassato gli occhi per appoggiare le
mani in modo da non scivolare qualcosa era cambiato; perché lei non mi stava
fissando più. I suoi occhi erano giù, piantati verso terra, e sembrava che
stesse facendo di tutto per non esplodere, lì, davanti a me. E subito un nuovo
macigno si piantò dentro di me, questa volta sul cuore. L'avevo vista solo
un'altra volta così.
-Taylor, che diavolo
succede? – sbottai, dandole una spallata. Ecco, alla fine gliel’avevo chiesto,
buttandolo lì nella maniera più diretta e insensibile possibile. “Complimenti Ed, sei proprio un galantuomo”
osservò Coscienza. Aveva ragione, ma non ce la facevo più a tenermelo dentro.
Odiavo non riuscire a capire quello che stava pensando, mi faceva sentire a
disagio. E poi lei stessa aveva ammesso che sapevo essere “brutalmente onesto”.
Ma in quel momento, quando vidi il suo sguardo scurirsi, avrei dato tutte le
mie amate e preziose chitarre per potermi rimangiare quello sbotto di sincerità
fin troppo diretta. Avrei dovuto cercare di capire da solo, non metterla con le
spalle al muro così. Per tutta risposta lei continuò a fissare per terra.
Perfetto, adesso l’avevo pure fatta sentire attaccata. Stavo per aprire bocca
nuovamente, quando lei si risvegliò all’improvviso dal suo torpore.
- Non riesco proprio a nasconderti niente, eh Sheeran? – affermò, sorridendo
triste.
“Hai visto che non sei un totale idiota,
Eddy testa di carota?” per una volta mi fece piacere avere questa, di
solito irritante, vocina nella testa. Quantomeno non avrebbe avuto da ridire, o
almeno speravo, sulla mia prossima uscita.
- Ma Taylor – dissi, fingendo un tono di offesa. – come potresti mai nascondere
qualcosa A ME, L’UOMO CHE SUSSURRA ALLE CHITARRE? –. E conclusi la performance
con un sorriso smagliante alla Mentadent - con cinquantamila denti e tanto di sparkle alla fine. Per tutta risposta
lei mi guardò come se fossi un completo imbecille - che poi, in effetti, è vero
- e iniziò a ridere scuotendo la testa. Speravo di averle alleggerito un po’ il
cuore con questa piccola perla di figure
alla Ed, ma non sapevo quanto fosse possibile: sembrava meno tesa, ora, ma
la sua risata non era la sua solita risata, anche se era pur sempre contagiosa;
perciò non riuscii a stare lì a fare il riflessivo mentre lei rideva sulle mie
perle filosofiche, quindi mi unii a lei.
“Suonano bene insieme le vostre risate, dovreste
aggiungerle a qualche duetto sai?” Ok, ritiro tutto quello che ho detto in
precedenza: IO LA ODIO. “Puoi smetterla?
Sto cercando di fare un discorso serio.”
“Come shei shuttebile Sheeran.” osservò, acida, per poi sparire così come
era apparsa. Adesso si era messa anche a parlare come Sid, eppure era una vita
che non guardavo l’Era Glaciale! Cominciavo a sospettare che qualcuno del mio
staff mi correggesse il caffè con la polverina
bianca. O forse con del whisky. Era veramente TROPPO inquietante: stava
diventando polimorfica! Tra un po' sarebbe uscita dal mio corpo, avrebbe messo
gambe e braccia e avrebbe cominciato ad andare a giro come un'entità a sé.
- Sei veramente scemo, lo sai? – scherzò Taylor, riportandomi così sulla Terra,
ovvero nel mondo delle persone normali che non parlano con esserini polimorfici
che abitano nella loro testa.
- Guarda che non ti porto in Gran Bretagna. – dissi facendo il finto serio,
sperando di mantenere l’atmosfera leggera ancora per un po’, ma evidentemente
il mio fascino aveva perso la presa, perché lei si era lasciata nuovamente
andare con lo sguardo a terra. Si torturava distrattamente le mani,
scrocchiando le nocche e rigirando l'anellino che teneva all'anulare della mano
destra.
Cercando di non perdere la calma, o di farmi venire qualche stupido senso di
colpa, smisi di giocare e mi misi nella sua stessa posizione, cercando di farle
il verso, ma diventa complicato quando pesi 30 kg di più e hai le mani ciccione
come le mie. Feci un po’ di contorsioni con il collo, cercando di capire dove
diamine stesse tenendo fisso lo sguardo fin quando non la vidi, con la coda
dell'occhio, ridacchiare di nuovo: evidentemente aveva qualche sensore che
riusciva a captare i miei movimenti da anguilla. Per tutta risposta posai una
mano sulla sua testolina bionda ed arruffata, e questo il sensore non l’aveva
captato visto che per poco non la spostò, e la voltai verso di me.
-Taylor, che succede? – le
domandai per la seconda volta, il più dolcemente possibile. Le spostai un
ciuffo dietro l'orecchio, per poterla guardare bene in faccia. Deglutii e mi
feci serio, quando mi accorsi che aveva gli occhi lucidi, e vedevo bene che il
suo sorriso di prima non era divertito. Era strano ma … mi sentivo come se
fosse colpa mia. Forse non avrei dovuto buttare lì così brutalmente quella
domanda, all’inizio. Magari voleva che facessi finta di non aver capito niente,
che tutto fosse normale. Ma io non ci ero riuscito. Non riesco a far finta di
qualcosa, è nella mia natura da barone
Von Edward Christopher Sheeran.
-Io … ho una paura tremenda che finisca tutto quanto, Ed. – dichiarò infine,
mentre la prima lacrima scivolava giù lungo la sua guancia. Ho paura che finisca tutto quanto. In
che senso?
- Che vuoi dire? Non ti seguo.
- Questo, Ed … il mio mondo. Quello che mi sono costruita con una vita di lotte
e sacrifici. Il mio contratto discografico, i miei album, la mia band, il mio
tour, i mei amici, la mia vita … tutto. Che tutto vada a rotoli. Che nessuno
compri più i miei dischi o che nessun sito internet pubblichi qualche notizia
su di me che sia diversa da “Taylor Swift
esce con Tizio?” oppure “Quella
canzone della Swift è per Caio?”. È tutto così … soffocante. – sbottò,
scoppiando a piangere. Ecco, alla fine l’avevo fatta espoldere. Sono un idiota.
Sono un fottuto idiota.
- Tay …
-No, non provare neanche a scusarti. Non è colpa tua. – mi minacciò,
asciugandosi rabbiosamente le lacrime. Allora perché mi sentivo come se tutto
fosse venuto fuori a causa mia?
- Sarei esplosa lo stesso, prima o poi … magari in diretta televisiva in
qualche award show dove qualche stupido sarebbe salito sul palco per rubarmi il
microfono dalle mani e dire a tutti quanti quanto quel premio se lo meriti
qualcun altro al posto mio. – borbottò, cercando invano di smettere di piangere.
Quasi si strozzò con un singhiozzo. Non
succederà Taylor, non succederà mai più, e lo sai. – Perché risuccederà Ed
… sappiamo entrambi che risuccederà. – disse, come se mi avesse letto nel
pensiero. Aveva smesso di tentare di asciugarsi il viso ed io avevo
un'inspiegabile voglia di farlo al posto suo. Non è vero, Taylor. Perché ti fai del male in questo modo?
– Non faccio mai niente di giusto, secondo gli altri adesso. Sono solo una
stronza, un'arpia che usa la gente per scriverci canzoni e guadagnarci sopra.
E' questo che tutti pensano. Lo so io, lo sai tu, lo sa tutto il mondo. Me ne
sto convincendo anche io ormai – si lamentò, interrotta ogni tanto da un
singhiozzo. Mi piantò uno sguardo blu come l'oceano addosso, fissandomi con
un'espressione che mi spaventava. L'avevo vista così solo dopo la rottura con
Harry, e non mi piaceva, non mi piaceva per niente. Che diamine stai dicendo, dannata te? – E sicuramente anche tu
penserai che… - sussurrò. Cosa? Cosa devo
pensare adesso? – Che ti uso per … - non finì la frase, non ce n'era
bisogno. Si tappò la bocca, singhiozzando. Sembrava stesse per mettersi ad
urlare.
- Taylor?! Che cavolo stai dicendo?! Seriamente: CHE. DIAVOLO. STAI. DICENDO.
Tu? Usi la gente? Stronza, arpia? Non ne fai una giusta? Perché?! Perché lo
dici? Sai che non è vero. Io non potrei mai pensare una cosa del genere di te,
neanche sotto tortura - le dissi, quasi sbottando. Sentirle dire quelle cose mi
faceva male. Non si fidava di me, e questo mi feriva.
- No Ed! Non lo so! – mi urlò contro, tirando su col naso. Si alzò in piedi di
scatto, le mani chiuse a pugno, appoggiate contro i fianchi. Il trucco si era
sciolto praticamente tutto ormai, tra la stanchezza, lo show e le lacrime … e
adesso quel viso, di solito così luminoso anche senza nessun make up, sembrava
tanto distrutto e tramortito. Questa non era la ragazza che ero solito
conoscere. Questa era la sua versione spezzata in mille pezzi. Non era Taylor
Swift, non era la mia migliore amica, non era la mia Taylor. Avrei voluto
portarla via da quel limbo nel quale si era infilata, ma pareva volerci entrare
a capo fitto quella sera. Si era infilata quelle idee in testa, ce le aveva
attaccate a forza, e non voleva liberarsene. Lo vedevo dalla luce di
disperazione nei suoi occhi. Alzò le mani al cielo, urlando nel mezzo dello
stadio, vuoto, tutto il dolore che aveva dentro. – Io leggo solo notizie di
gossip su di me! Taylor Swift ha scritto I Knew Were Trouble per Harry Styles. Taylor
Swift in “22” imita l’abbigliamento di Harry Styles. Taylor Swift modifica ai
grammys una parte di We Are Never Ever Getting Back Together per lanciare una
frecciatina a Harry Styles. Taylor Swift
ha dichiarato di aver paura di morire da sola, senza nessuno accanto, tipico
cliché hollywoodiano ma neanche una settimana dopo si sente con John John
Florence … ma non ho mai fatto niente con questo tizio! NIENTE! LORO NON SANNO
NIENTE DI ME, MA TUTTI DANNO PER SCONTATO CHE SIA VERO! – gridò, per poi
tuffare la testa tra le mani. Aveva davvero perso il controllo adesso, si vedeva
che era sconvolta, e io non avevo la più pallida idea di cosa fare. Che devo fare? Mi accorsi che la stavo
guardando con la mia solita faccia a cretino, ma non riuscivo a muovere un
muscolo. Era come se fossi paralizzato … paralizzato dalla potenza delle sue
parole, come se tutte queste bugie e sproloqui avessero colpito anche me,
ferito anche me e affondato anche me. Come facevano male a lei, facevano male
anche a me. E più di tutti mi faceva male vederla in quelle condizioni. E
Taylor aveva ragione. Stavano tutti giocando a battaglia navale col suo cuore
ultimamente, come se il fatto che lei fosse una persona famosa la rendesse
automaticamente immune da ogni sentimento che non sia L’AUTOGLORIFICAZIONE.
Cosa che lei, per altro, non aveva mai fatto, non esisteva persona più umile di
lei. E io sapevo quanto queste accuse fossero false, e patetiche, e meschine, e
ignobili … e anche i suoi fan lo sapevano. CHIUNQUE la conoscesse lo sapeva …
ma la maggior parte si rifiutava di vedere.
I giornalisti che continuavano a scrivere queste cose, a mesi di distanza dalla
rottura con Harry.
I lettori online che continuavano a commentare con violenza, come se lei non
avesse un cuore, un’anima, e queste cose non potessero ferirla. Come se fosse
una bambola.
Harry, che non aveva mosso un dito per fermare questa corrente maligna che
rischiava concretamente di buttarla giù e farla affogare.
E se stessa, che stava finendo per credere a queste bestialità.
E io che cosa ero capace di fare? NIENTE. Ero il suo migliore amico, la conoscevo
meglio del palmo della mia mano, e mi sentivo completamente inutile. Me ne
stavo lì a guardarla come se fosse una matta senza alzare un muscolo, senza
dire una parola, senza cercare di consolarla in qualche modo … niente. La
guardavo e basta. E sentivo che qualcosa stava per venire giù anche dai miei
occhi, perché mi sentivo pizzicare proprio lì, alla coda dell’occhio. Come faceva
a dire che non fosse colpa mia se lei adesso stava esplodendo così? Se io non
le avessi chiesto niente, lei sarebbe stata bene, ancora. Ci avrebbe scritto
una canzone, e tutto sarebbe passato. Invece no. Io l’avevo costretta a tirarlo
fuori. Quando lei non voleva. Quando lei non era pronta. Quando lei sapeva che
questa cosa l’avrebbe affogata, sotterrata e distrutta. Ma adesso basta, non
avrei permesso che si faccia del male ancora.
- Sai che Red non è piaciuto così tanto come sembra? Leggo i commenti dei miei
fans. Sto cominciando a perdere anche loro - aggiunse, mentre facevo queste
riflessioni. - Non hanno più fiducia in me. Dicono che sono cambiata, che non
sono più la stessa. Se perdo anche loro, la mia famiglia, il motivo per cui
sono qui, io...
Adesso era veramente troppo. Mi scossi dalla mia immobilità, che sembrava
perenne, e mi alzai in piedi … lei mi dava le spalle adesso, voltata verso la
tribuna, con le braccia strette intorno al corpo, urlando quanto tutto questo
l'avesse ferita in questi ultimi mesi, quanto avesse tentato di tenersi tutto
dentro perché non ne valeva la pena, perché erano solo capricci da star e sarebbe
passato tutto, quanto lei non fosse più riuscita a vivere bene con la sua
scrittura e come avesse paura che questa sarebbe stata la sua vita da ora in
poi. Non si era accorta minimamente del fatto che mi ero alzato da terra e che
adesso ero lì, dietro di lei.
Mentre ancora stava urlando, nel tentativo di buttare fuori tutto quel male, la
presi per le spalle, la voltai e la abbracciai, come avevo fatto quella sera,
mesi prima, quando da solo ero partito in aereo, in piena notte, per
raggiungerla a casa sua, a Los Angeles. E anche questa volta lei si irrigidì
sotto la mia presa, ma almeno aveva smesso di parlare … di urlare quelle cose,
che la stavano uccidendo. Ma io non mollai. Oh
no, non ti lascerò qui da sola a macerarti l’anima.
- Andrà tutto bene. – le
sussurrai all’orecchio, e questa semplice frase bastò per scuoterla da quella
immobilità disarmante. Ricambiò la mia stretta, forte come quella che provai a
darle cercando di non romperla … sembra così facile farlo quando è in queste
condizioni. Le sue braccia si incrociarono dietro al mio collo e la sentii
piangere, di nuovo, come quella sera a Los Angeles, quando tutto quel veleno
gratuito lanciatole addosso la stava soffocando.
- Sai cosa c’è di bello in Gran Bretagna? – continuai io. Dovevo distrarla,
farla smettere di piangere. Non sopportavo quel suono, mi sentivo come se mi
stesse spezzando il cuore. – Brighton. Non ci sono mai stato, eppure è una vita
che ci vivo. Credo proprio che ti porterò a fare un giro da quelle parti finito
il tour, ti va? – le mormorai, accarezzandole dolcemente i capelli. Le ultime
parole mi si strozzarono in gola, non ce la facevo davvero a vederla così, era
come se mi uccidesse. E poi, non rispondeva. E se avesse cambiato idea?
- E allora Brighton sia, Eddy Rosso. – mi rispose lei, la testa affossata nella
mia spalla destra. Si strinse a me come un bambino al suo giocattolo, come un
marinaio al salvagente che è la sua unica speranza di salvezza.
- Poi potremmo fare un giro per la Amber
Road, che dici? Ti va di girare l’Europa in maniera non schizofrenica?
Magari ci compriamo una casetta in Belgio e ci mettiamo a coltivare
barbabietole! – scherzai, stringendola a mia volta. Ok, forse avevo esagerato.
Lei però sembrava averla presa bene, perché ridacchiò, sempre affossata nella
mia spalla destra.
- Ti dimentichi che sono una donna impegnata, Eddy Rosso, ho un’altra parte del
tour da preparare.
-Vabbeh, puoi sempre farlo dalla nostra casetta in Belgio. – buttai lì. E fu
qui che lei cominciò a ridere veramente, come suo solito. Allora capii che era
passata, che stava meglio, e che il merito era mio. C'ero riuscito un'altra
volta.
- Sei veramente, ma veramente scemo.
- Ehi bellona, sei tu quella con un vestito da principessa, non io!
- Ma io poffo, tu no. – borbottò, allontanandosi per guardarmi in faccia, senza
però smettere di abbracciarmi. Mi sorrise, il viso rigato di trucco e lacrime.
Era strano che mi sembrasse bellissima anche così? Ed ecco, l’aveva fatto di
nuovo: l’ispirazione. C’entrava lei, come sempre.
Everything will brighten up,
if we got to Brighton I’ll take you along the pier.
Everything will lighten up,
If you feel too frightened I'll make it disappear;
darling don't be nervous
I'll understand if you let me go.
Non chiedetemi niente. So
solo che le parole andavano così. In questo esatto ordine. Non sapevo se fosse
un bridge, un ritornello o una semplice strofa, ma solo che c’era, faceva parte
di quella canzone, e andava all’inizio. Stava finalmente cominciando ad
assumere un senso, a diventare qualcosa di più che un'idea malsana e confusa
nella mia testa. Ed ero sicuro di un'altra cosa, anche: era per Taylor. Tutta
quanta, al cento per cento per Taylor. E per quel sorriso che non volevo più
veder sparire in quel modo dalle sue labbra. La strinsi ancora più forte, per
essere sicuro che non sguisciasse via come un’anguilla dopo aver sentito quello
che mi stava per uscire di bocca.
- Ti voglio un bene dell'anima, Taylor. Sei una delle persone più importanti
della mia vita. Lo sai questo vero? Non voglio più sentirti dire quelle cose.
Ok? Mai più - mormorai, allontanandola di nuovo per poterla guardare in faccia.
Volevo che fissasse bene quelle parole nella sua testa. Com'era riuscita a
fissarsi quelle cavolate prima.
- Anche io ti voglio bene, Ed! - esclamò ridendo. Un guizzo, qualcosa di
diverso passò nei suoi occhi. - Più di quanto immagini.
- Bene, questo - affermai, sfiorandole le labbra con l'indice. - Non voglio più
vederlo sparire. Intesi?
Annuì. Eravamo ancora abbracciati. Ultimamente sembrava che non potessimo fare
a meno di toccarci. - Intesi, Eddy Rosso.
Le sorrisi di rimando. Lei non si allontanò, né slacciò le braccia dal mio
collo, e io non osavo muovere le mani dai suoi fianchi. Mi fissava sorridendo,
il viso sporco di trucco e gli occhi luminosi, finalmente. Sembrava quasi
drogata. Mmm, magari lo era. La osservai a mia volta, cercando di imitare il
suo sguardo, e mi ritrovai a soffermarmi sulle sue labbra. Di nuovo. Avevo una
specie di fissa per la sua bocca, a quanto pare. Quando l'avevo sfiorata,
prima, le avevo portato via il suo solito rossetto rosso, e adesso erano del
loro colore naturale, un rosa chiaro ma allo stesso tempo intenso. Mi piaceva
molto di più senza rossetto. Sapevo che lo metteva per richiamare l'attenzione
sul suo album, ma ero convinto che la invecchiasse troppo. Era giovane, aveva solo
ventitré anni. Ed era bellissima anche senza trucco.
Perso com'ero nelle mie riflessioni sulle labbra di Taylor Swift, non mi ero
accorto che lei si era riavvicinata, stringendosi nuovamente a me. Quando alzai
lo sguardo, me la ritrovai a un palmo dal naso, il che mi spaventò e mi fece
venire le palpitazioni allo stesso tempo. Ehi, fermi tutti, un secondo, stop.
Cosa mi ero perso? Qualcuno che mette in rewind, per favore? Taylor mi stava ancora
fissando, ma più seria. Non seria come prima, ma nemmeno Taylor seria. Aveva
una luce strana negli occhi. Arrossii, non eravamo mai stati così vicini. O
forse sì? Quando mi era caduta addosso, un mese prima?
“Ma cosa te ne importa?! Ce l'hai a tre
centimetri, baciala, cretino” esclamò Coscienza dentro di me. No,
aspettate, COSA?! “Ba-cia-la. Sai, quella
cosa in cui si toccano le labbra, e poi succede un sacco di altra roba che
implica saliva, lingua ed altre cose disgustose” continuò lei tranquilla. “Ma che diamine stai dicendo?” le urlai
contro. “Perché, non è quello che vuoi,
Eddy Caso Perso?”
Era quello che volevo? Ma che diamine! Mi stavo davvero facendo condizionare da
una presenza inesistente dentro la mia testa? Evidentemente sì, visto che mi
ritrovai ad inclinare leggermente la testa da una parte e ad avvicinare Taylor
a me. Lei non si irrigidì, come mi aspettavo. Fece un altro passo avanti, con
naturalezza, e adesso i nostri corpi erano praticamente appiccicati. La
osservai per un secondo. Aveva gli occhi chiusi e sembrava addormentata, ma la
sentivo benissimo respirare affannosamente contro di me. Chiusi gli occhi anche
io e mi avvicinai un altro po'. Il mio naso sfiorò il suo, e lei sospirò e
sussultò.
“MA CHE MINCHIA STO FACENDO” gridai a
me stesso, allontanando di scatto la mia migliore amica, rosso come un peperone
e con una voglia assurda di sotterrarmi minimo quattrocento chilometri sotto
terra. “Cosa fai cosa fai cosa fai Ed,
hai completamente perso il cervello?! E' la tua migliore amica! La tua fottuta
migliore amica!” mi rimproverai. Mi scrollai le braccia di Taylor di dosso.
Oddio, dovevo nascondermi. Scappare. Danno asilo politico ai rossi in Siberia?
Taylor, dal canto suo, non era messa meglio di me. Si era irrigidita, come
pensavo avrebbe fatto prima, ed era rossa quasi al pari mio. Continuava a
deglutire e a borbottare qualcosa, mentre si spostava i capelli su una spalla
ed iniziava a giocherellarci.
- Sì, beh, ehm. Sarà meglio tornare in hotel, che dici? - esclamò. Io mi ero
messo nuovamente a sedere sul palchetto, con la testa tra le mani nel vano
tentativo di far rallentare il battito del mio cuore, senza riuscirci. Che
diamine stavo per fare, stavo per baciare la mia migliore amica. L'unica
persona a cui io tenga veramente in questo momento, che non posso permettermi
di perdere.
“E lei ce stava pure, è quello il bello”
aggiunse, simpatica come sempre, la mia cara amica inconsistente. “Naaah, Ed, non ci siamo. Sei arrugginito su
queste cose”.
- Sì, torniamo in hotel. Sono sfinito - sbottai, alzandomi di scatto. Chiusi
Coscienza a chiave in un angolo di me, sperando che non si intromettesse più
nei miei pensieri. Era tutta colpa sua. Avevo rischiato di fare un casino, un
dannato casino, per una voce nella mia testa.
“Eddy Caso Perso, io non esisto, l'hai
dimenticato? Non puoi darmi la colpa” affermò. Prima di sparire, di nuovo.
- Bene, quindi, io andrei
a letto - dissi a Taylor mentre lei apriva la porta della sua stanza ed
entrava. Io mi fermai sulla soglia. Ero davvero sfinito ed avevo paura che, se
fossi entrato, mi avrebbe obbligato a guardare qualche telefilm con lei. E poi
mi sentivo ancora a disagio per quello che era successo allo stadio. O quello
che non era successo.
Lei si voltò verso di me. Si era tolta il vestito da Love Story ed aveva messo su degli shorts ed una camicetta. - Ah,
beh, sì, anche io. E' stato stancante stasera, vero?
- Già. Beh, buonanotte allora - sussurrai, chinandomi in avanti per darle un
bacio sulla guancia. Ommiodio, sembravamo due estranei. Era imbarazzante.
Feci per andarmene, ma mentre pescavo le chiavi della mia stanza di hotel - che
lei mi aveva finalmente riconsegnato - dalla tasca dei jeans, mi sentii
afferrare per un polso. - Ed, posso chiederti una cosa, un po', ecco, strana?
Girai la testa di scatto e la guardai negli occhi. Era di nuovo seria, nello
stesso modo di prima, sul palchetto, prima che succedesse il quasi-patatrack. -
Beh, dipende quanto strana.
Mollò la presa e abbassò lo sguardo. - Beh, tra una settimana ci sono i
Billboard Music Awards. Di solito mi accompagna Austin a queste cose, però lui
quel giorno ha un impegno, e quindi mi chiedevo se... Non lo so...
Smisi di giocherellare con le chiavi - non mi ero accorto nemmeno di aver
iniziato - e la fissai. Lei si stava strusciando un braccio con aria distratta.
- Sì, insomma. Ti andrebbe di essere il mio accompagnatore?