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Autore: Beads and Flowers    12/07/2013    1 recensioni
Una voce chiama Myrlene sulla montagna, durante le giornate di pioggia. A casa, sua sorella Jehanne l'aspetta in silenzio, pregando Dio di essere perdonata per un peccato che ha segnato la sua nascita.
Le due gemelle, tanto belle quanto odiate, passano le loro giornate ignorando il dolore, i colpi che il padre infligge a Jehanne, la violenza e la paura impressa nei sogni di Myrlene. Ignorano. Ignorano le innumerevoli ingiustizie che sconvolgono la loro vita, i segni che sembrano preannunciare una disgrazia, le terribili visioni che riporteranno alla luce antichi segreti.
Ignorano. Promettono. Pregano.
Ma la segreta volontà dell'Ondina le incatena ad un promessa dimenticata.
Genere: Drammatico, Fantasy, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai
Note: Nonsense | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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4. Il Coltello

 ‘Qui est ce diable qui m'appelle père?
Dis moi, qui est-il sur le champ?’
‘C'est ta fille, ta chère fille Jehanne.
Ta fille, morte et enterrée’


Cécile Corbel, ‘La Fille Damnée’

 
 
 
 Da poco le luci dell’alba avevano sfiorato la terra di Francia. Tyerns Izvor, armato di un semplice pugnale e con un rotolo di papiro ingiallito, stava uscendo con circospezione dalla stalla, per dirigersi verso la foresta. L’aria fredda della mattina non sembrava turbarlo, nonostante le infinite giornate di Sole e calura passate nel deserto della sua patria. L’ecumene, come un invisibile filo di morte, era il confine proibito per ogni uomo d’Europa, oltre al quale le rosse sabbie dell’Africa avrebbero incenerito i viandanti temerari. Eppure, lui era la prova che quella folle paura non era altro che leggenda. Il deserto oltre l’ecumene era la sua casa, o almeno così aveva detto ai suoi ospiti.
 Tyerns Izvor sapeva che non era stato creduto da coloro a cui aveva rivelato la sua origine. Chi affermava di poter sfidare i limiti imposti da Dio era un eretico, oppure un folle privo di senno. Ma l’alchimista sapeva che, in fondo, l’opinione che questa gente si sarebbe fatta di lui non aveva davvero alcuna importanza ai fini della sua missione. Non poteva distrarsi, adesso che era molto vicino, così vicino da poter quasi allungare la mano per afferrare ciò che cercava. Ma doveva portare pazienza, senza cadere nella tentazione di compiere azioni avventate. Bastava uno sbaglio per compromettere il suo esperimento. L’essenziale, adesso, consisteva nel raggiungere il luogo delle sue ricerche. Come aveva detto a quella famiglia di contadini da cui era ospitato, infatti, il fiore della troisaube cresceva facilmente vicino alle fonti d’acqua. Doveva essere vicino, ormai. Sapeva che, dopo molto camminare, avrebbe raggiunto una sorgente nascosta nel bosco, nelle altitudini della montagna.
 Quello che non sapeva era che qualcuno lo stava inseguendo. Una figura esile e minuta, avvolta in un mantello scuro, che avanzava in silenzio dietro ai passi dell’uomo. Era protetta dalle ombre degli alberi, nascosta dalla quiete dei suoi passi e dalla profonda conoscenza di quella foresta. I suoi graziosi piedi nudi calpestavano un tappeto di foglie secche, lasciando impronte leggere ma visibili. Erano la prova di una natura umana e mortale. Ma nei suoi occhi la paura era quelle di un cerbiatto inesperto, il battito del suo cuore seguiva lo scorrere agitato del ruscello. Ignara, silenziosa, impaurita. Myrlene inseguiva quell’uomo dal nome promesso.
 Dopo molto camminare, i due ignari compagni raggiunsero finalmente il luogo cercato. L’alchimista si fermò accanto alla riva del ruscello, chinandosi accanto alle acque carezzata del vento. Sembrava scrutare quell’elemento incolore con un’intensità sconosciuta. Ma la ragazza, nascosta poco lontano, dopo un poco capì che in realtà stava frugando tra le erbette che lì crescevano rigogliose. Myrlene si avvicinò ancora di più ad Izvor, procedendo cautamente per non farsi scorgere. Temeva di essere intravista dall’abile mago. Si nascose velocemente tra alcuni cespugli vicini alla sorgente, trattenendo il fiato, ma poco dopo si accorse con sollievo che l’alchimista non l’aveva notata. Sollevata dalle sue paure, prese ad osservare intensamente Tyerns Izvor. Il giovane era ancora inginocchiato per terra, lo sguardo basso, le braccia incrociate sul petto, come se il riflesso di un angelo fosse comparso nelle acque. Non si muoveva. Era come se un incantesimo l’avesse colpito, tramutandolo in pietra prima di alzare gli occhi dal suo specchio di cristallo liquido.
 Il vento stava crescendo d’intensità, il freddo era pungente. Myrlene cercò con la mano una croce che portava legata al collo, adagiata sul seno, e la strinse. Quel luogo non le piaceva. Era una parte del bosco che aveva raramente visitato, situata sulla parte più alta della montagna. Era quasi paradossale che, pur essendo così vicina al cielo, più vicina a Dio, lei qui si sentisse sempre trasportata in un mondo diverso da quello mortale. Era irreale, oscuro e pericoloso. Aveva la sensazione di avvertire delle creature, degli spiriti dannati, che chiamavano il suo nome, per portarla tra le braccia di un demone.
 Un demone. Un demone sognato.
 Improvvisamente, Myrlene si accorse di qualcosa di orribile. Qualcosa che avrebbe dovuto attrarre la sua attenzione molti anni prima.
 Tutte le voci venivano da qui.
 In quel momento, Myrlene si accorse con orrore di riconoscere quel luogo, quella fonte, quei cespugli. I rami che sfiorava, che la toccavano, in realtà non erano che rovi dimenticati, e quella sorgente era un frammento del suo sogno passato.
 Un sogno, un ricordo. Suo padre aveva condotto qui Jehanne, una bimba con due mani sane e forti, per gettarla nel ghiaccio mortale dell’acqua. Non appena il suo corpo aveva sfiorato la fonte, da essa era sorta la figura di un mostro. Un mostro la cui voce ancora risuonava nella mente della ragazza. Avent, l’Ondina. Perché Tyerns Izvor l’aveva condotta proprio in questa parte della foresta, perché stava fissando l’acqua con tutta la sua forza?
 Fu allora che Myrlene vide le labbra dell’alchimista, agili e silenziose. Si muovevano. Emettevano fiochi sussurri. Pronunciavano parole, recitavano formule. Una lingua indistinguibile, quasi irreale, aleggiava nel vento, entrava nello spirito di Myrlene, portava alla mente la figura dell’Ondina. E tornarono le voci. Le voci senza pietà, comprensione o dolcezza, che con furia inaudita urlavano il suo nome.
 Myrlene.
 Anni. Erano stati anni di nenie e canzoni apprese da voci materne. L’avevano sempre accolta, giocato con lei, divertita con il ritmo musicale della pioggia. Erano voci di madri e sorelle, di acqua e spirito. Per la prima volta, Myrlene provava terrore nell’udirle. Chi erano? Non l’aveva mai saputo.
 Myrlene, vieni a noi.
 Vieni a noi.
 Myrlene.
 No. Non dovevano avvicinarsi. Avrebbe ucciso chiunque si sarebbe avvicinato.
 Myrlene.
 Odiava quelle voci. Quelle voci avevano ucciso Jehanne. Le avrebbe uccise a sua volta. Era giusto così. Le odiava. Le avrebbe uccise. Nessuno doveva avvicinarsi. Nessuno doveva toccare sua sorella.
 Myrlene.
 Il tuo nome non è umano. Le voci che senti non sono umane.
 Ti chiamavamo nei giorni di pioggia.
Le nostre voci.
 Il tuo nome.
 Myrlene.
 Voci amate, sognate, dimenticate.
 La aspettavano nei giorni di pioggia.
 
 
 “No. Non uccidermi. Non ancora.”
“Chi ti ha dato il permesso di parlare? Mi fai schifo. Perché non muori e non te ne vai all’Inferno? Muori!”
 Non mi piace quando il papà mi sgrida così. Non mi piace quando mi stringe e mi sporca con il suo vecchio corpo. Stringe, stringe forte, vuole farmi perdere il fiato. Vuole uccidermi.
 “Stai zitta, Jehanne! Perché non muori?"
 Un altro colpo. Papà mi fa cadere a terra, le spalle contro il muro. Io gemo appena. Non deve sentirmi. Se faccio rumore mi picchierà ancora più forte, ed io non voglio. Devo essere forte. Devo pregare. Unire le mani in segno di preghiera, senza dire nulla, neanche in un sussurro. Non gli piace quando le mie parole sono intrise di rassegnazione. Lo odia. Papà vuole il silenzio. Vuole il silenzio mentre mi stringe a lui.
 Vuole uccidermi, lo so.
 No, papà, non muoverti così. Sei brusco. Farai tanto male al bambino. Il nostro bambino, papà. Non ricordi? Sei stato tu a regalarmelo. In quella notte d’Inverno, quando mi hai rinchiuso nella stalla. Hai urlato il mio nome, e mi hai ucciso. Il dolore è stato atroce. Morire fa male. Ma io sono un demone, e risorgo sempre tra le tue vecchie braccia. Mi hai donato un figlio, padre. Vorrei urlare questo segreto a gran voce, gridarlo nella notte. Ma Myrlene non vuole. La tua Myrlene, che tu hai sempre amato più di me. Perché lei è bella. La tua bella bambina. Non le faresti mai del male.
 Ma per me va bene. Io non sono tua figlia.
 Sono un mostro, e tu sei tanto buono da punirmi quando lo merito. Myrlene non capisce. Non conosce i miei peccati quanto te. Sì, tu mi conosci, perché mi odi. Neanche in questi momenti sono la tua preferita. Il tuo sdegno è la mia benedizione. Lo sai, non è vero? Per questo mi hai donato un bimbo, urlando a gran voce il mio nome. Hai sempre disprezzato la mia persona, ma ami il mio nome. Era il nome della mamma. La mamma era bellissima, e tu l’amavi. Io non sono bella, e mi odi.
 Ma va bene così.
 Va bene se mi uccidi.
 Sono felice quando accade.
 Ma tu non sai cosa cresce dentro me. Myrlene mi ha detto di tacere. Non devo rivelare a nessuno questo segreto tra me e lei. E’ pericoloso. E’ pericoloso, dice lei. Una creatura minuscola, immobile, che vive nel segreto del mio ventre. Piccola, piccola. Più piccola di un fiocco di polvere. Come può essere pericolosa? E’ mia, solo mia, e Myrlene vuole togliermela per sempre. Lo fa per me, dice lei. Dice che mi ama. Anche io la amo, ma come può chiedermi di uccidere mio figlio? Non è giusto.
 Myrlene! Myrlene, come puoi chiedermi questo?
 "Che razza di sciagurata sei? Mi disgusti. Non sai neanche scopare decentemente.”
 No, non muoverti così. Farai male al bambino.
 Il nostro bambino, papà.
 Non deve nascere.
 
 
 Suo padre si alzò con un sospiro. Jehanne invece rimase a terra, il corpo coperto di lividi, la bocca aperta nel tentativo di respirare. I colpi del Vecchio Amis avevano reso difficile anche qualcosa di così naturale. La ragazza si portò una mano tremante sul ventre. Una preghiera si levò al Cielo, silenziosa come le lacrime sul suo volto. Che il suo bambino potesse vivere. Che i colpi del padre non l’avessero ucciso.
 Il Vecchio Amis era alle porte della stalla. Si era fermato a guardare il giardino illuminato dall’alba, un filo di paglia tra le vecchie mani. La montagna si stagliava come una muraglia tra lui e le pallide luci del mattino. Tutto era silenzio. La calma adombrava il volto dell’anziano pastore. Era tranquillo come un bimbo innocente tra le braccia della madre.
 “Sai perché Myrlene ha seguito quel maledetto stregone?”
 Non ci fu risposta.
 “Perché ti frequenta. Non ha mai avuto altra compagnia che quella lurida puttana di sua sorella. E’ naturale che abbia preso il cattivo esempio. Ed ora dovrei andare a cercarla? Arriverò mai in tempo per salvarla da quell’uomo?”
 Jehanne strinse i denti, ma non disse nulla. Avrebbe tanto voluto dire a suo padre delle intenzioni di Myrlene. Non poteva sopportare il pensiero di sua sorella al fianco di quell’uomo. Era possibilmente il simbolo stesso del male, un inviato dalle profondità della Terra più oscura, un diavolo dal sorriso malefico. Come poteva Myrlene accettare la sua compagnia, sapendo che sarebbe stata infelice, sapendo che avrebbe ferito persino se stessa? Non era normale. Nulla in quei giorni era stato normale. Se non avesse fatto qualcosa, avrebbe condotto sua sorella ad una tomba di fuoco.
 ‘Sarà tutta colpa mia.’
 Quel pensiero era intollerabile, Aveva già ucciso sua madre. Come poteva rovinare anche la vita di sua sorella? Dio la stava punendo in maniera troppo dolorosa. No, non era per niente giusto. Forse in questo Myrlene aveva avuto ragione. Forse Dio non aveva fatto davvero nulla per loro, in tutti quegli anni. Forse erano davvero tutti maledetti dal Cielo.
 Doveva trovare una soluzione. Ma quale?
 Fu allora che vide qualcosa appeso ai muri della stalla. Qualcosa di cui non si era mai accorta, prima di allora. Era nero, lucido, appuntito. Era bello, splendeva nel buio, traendo forza dalle luci dell’alba. I neri occhi di Jehanne erano come incantati da tanta bellezza. Era meravigliosa, pericolosa. Ma sarebbe servita allo scopo?
 “Puoi uccidere per me?” sussurrò appena.
 “Che diavolo hai detto?”
 “No… nulla, papà.”
 “Stai zitta, la tua voce gracchiante mi da’ il voltastomaco. Oh, Cristo. Dove si troverà adesso la mia bambina? Se quel porco di un mago l’ha anche soltanto toccata, giuro che gli spacco la faccia.”
 “Non aver paura, papà” ridacchiò piano Jehanne, senza farsi sentire. Si carezzava dolcemente il ventre. Era felice della sua trovata. In questo modo non avrebbe dovuto uccidere il bambino. Così Myrlene non avrebbe dovuto sposare quell’uomo oscuro e pericoloso. Così il papà non avrebbe più avuto paura. Ci avrebbe pensato lei. Lei avrebbe risolto ogni cosa.
 “No, non aver paura. Presto non dovremo più preoccuparci dell’alchimista.”
 Jehanne era felice.
 Era tutto perfetto. Aveva trovato la soluzione.
 Appeso sulla parete della stalla, il coltello sembrava quasi sorriderle.
 
 
 “BASTA! Andate via! Andate via, tutte voi! Io non vi conosco. Non sono vostra. Andate via!”
 “Vi prego, signorina… non fate così…”
 “No! No! Andate via! Ho paura!”
 “Signorina… svegliatevi, signorina… è tutto finito…”
 Myrlene aprì gli occhi di scatto, un urlo ancora impresso sulle labbra esangui. Era distesa a terra, foglie morte e fiori appassiti tra i capelli biondi, il Sole che sorrideva oltre le foglie dei rami. La foresta la circondava. Calma, silenziosa, reale. Le voci erano scomparse. Accanto al corpo della ragazza, Tyerns Izvor le teneva con dolcezza una mano. I suoi cari occhi neri erano il riflesso della preoccupazione e dell’affetto.
 “Vi siete svegliata. Ne sono davvero contento. Ho avuto molta paura per voi, signorina.”
 “Voi… che cosa è successo?”
 “Parola mia, temo di non saperlo. Stavo cercando la pianta che mi occorre accanto a questa riva, quando vi ho udito gridare tra questi cespugli di rovi. Sembravate impaurita. Quando ho scostato i rovi per trovarvi lì, annidata tra le spine, gli occhi chiusi, era come se foste stata in preda ad un incubo. La visione di un demone si nascondeva nei vostri occhi, e voi tremavate di paura. Vi agitavate tra quei cespugli. Urlavate e gridavate senza controllo, lasciando che le spine vi ferissero.”
 Le mostrò la mano che reggeva tra le sue, pallida e rovinata da graffi sanguinanti. Myrlene non capiva. Nel momento stesso in cui aveva riconosciuto quel luogo come quello nel suo sogno, aveva udito delle voci tra quei rovi. Voci familiari, che l’avevano accudita dalla più tenera infanzia, nei giorni di pioggia. Voci tenere, materne. Ma ora non c’era la pioggia, e le voci l’avevano aggredita, attaccata. L’avevano sopraffatta a tal punto da farle avere degli incubi. Erano state visioni degne dell’Inferno.  Quelle voci maledette, una droga amata per distoglierla dal male del mondo. Perché si erano accanite contro lei? Erano state violente. Come se avessero voluto trascinarla via, in un passato oscuro, terribile.
 Senza uscita.
 Ma era stata stupida e debole. Si era lasciata spaventare da quelle apparizioni, come una sciocca bambina.
Doveva aver spaventato terribilmente l’alchimista. Questo poteva compromettere il suo piano, senza via di ritorno. Cosa avrebbe mai pensato di lei? Si era lasciata travolgere da un semplice sogno, scoprendosi nell’atto di spiare l’uomo che avrebbe dovuto essere suo marito.
 “Che cosa stavate facendo qui, signorina?”
 “Io… io non sapevo… che voi foste qui…”
 “Va bene. Ma non vi ho chiesto questo. Perché siete qui?”
 “Io… ecco… volevo vedervi. Lo volevo, dico davvero. Volevo chiedervi cosa… se io… io… se ci fosse qualcosa che avrei fare per voi, durante la giornata. Portarvi del cibo, una coperta, un po’ di compagnia. Avrei anche voluto sapere quando sareste tornato a casa.”
 “Oh, capisco. Siete davvero molto gentile, signorina.”
 “Non è nulla. E non dovete preoccuparvi per me, sto bene. Devo essere caduta, sbattendo la testa. Dovete sapere che sono terribilmente sbadata. Perdonatemi.”
 “Non c’è nulla da perdonare. Ma spero sinceramente che stiate bene. Ho avuto molta paura per voi.”
 “Vi ringrazio. Siete davvero molto gentile.”
 Rimasero in silenzio per un poco, entrambi ammaliati dalla stranezza di quella situazione. Myrlene abbassò lo sguardo, intimidita dagli occhi intenti dell’uomo. Si rese conto che l’alchimista non aveva ancora lasciato andare la sua mano. La stringeva delicatamente, con dolcezza, in modo protettivo. Era così grande ed abbronzata attorno alla sua. Quella di Myrlene, fragile e bianca come una colomba in Inverno, tremava dall’emozione.
 “Se non sono indiscreta, signore… mi piacerebbe… ecco, vorrei tanto assistere a qualcuno dei vostri esperimenti. Potrei rendermi utile nel lavoro. Conosco questa foresta da cima a fondo, so dove trovare le più grandi distese di fiori. Anche se devo ammettere di non aver mai  visto il fiore che cercate. Ad essere sincera, non ne avevo mai sentito parlare prima del vostro arrivo.”
 “La cosa non mi stupisce. Il libro in cui ho trovato il nome della troisaube è estremamente antico, ed anche tra le sue pagine ingiallite era menzionata la rarità della pianta. Temo che la sua esistenza sia stato il regalo di un tempo lontano. I miei esperimenti non possono richiamare alla vita le creature nascoste nella cenere, e forse il raro fiore resterà il segreto di un’era passata.”
 “Non perdiamoci d’animo ancor prima di avere incominciato. Vi aiuterò io, signore. Sarei estremamente felice di rendermi utile.”
 “Non credo che vostro padre approverebbe nel vedervi con me. Ci ha persino proibito di dormire sotto lo stesso tetto.”
 Le rivolse un sorriso adombrato da malcelata malinconia. Doveva sentirsi molto solo, pensò Myrlene, in quell’oscura dimora di gente strana e diversa. Sapeva che il sacerdote nella chiesa non era l’unico a vedere con sospetto l’alchimista. Sarebbe bastato un niente per scatenare la furia della gente al villaggio. La morte di qualcuno, un incendio, un contratto violato. La colpa sarebbe ricaduta su di lui.
 “No. Non ascoltate le parole di mio padre. Lui non capisce. Lui non sa quanto io… tenga a voi.”
 Mentire era così semplice, pensava Myrlene. Bastava tenere impressa nella mente un’immagine diversa. Il volto di Jehanne, le sue lacrime, il suo sorriso. Quando rivedeva la paura nei suoi occhi alla vista del Vecchio Amis, un’energia sconosciuta si accendeva nella ragazza. E così tutto diventava un gioco per salvare la sorella. Sì, anche il mentire. Affrontare il peccato. Era tutto un bellissimo gioco.
 “Vi prego, tenetemi al vostro fianco.”
 Strinse la mano che l’uomo l’aveva sfiorata. Era davvero molto grande. L’uomo ricambiò il sorriso con tenera simpatia, e l’aiutò ad alzarsi. Myrlene conosceva bene la foresta, e sapeva dove trovare le più vaste distese di fiori. Propose di andare un poco più a valle. S’incamminarono così lungo i sentieri invisibili della foresta, ascoltando i gemiti delle foglie morte sotto i loro passi, udendo i canti degli uccelli pronti a spiccare il volo nelle ore del giorno.
 Myrlene si accorse con immensa soddisfazione che l’uomo non aveva ancora lasciato andare la sua mano. La teneva con tanta delicatezza che lei non l’aveva neanche avvertita. Nonostante la sua forza, possedeva la leggerezza di una farfalla. Lei la strinse con ben simulato affetto, ed avvertì il piacere nascosto nell’animo dell’alchimista. Scorreva nelle vene dell’uomo, come il sangue vivo di un cerbiatto sotto la mira del cacciatore. E lei ne era incantata.
 Arrivarono alla prima distesa di fiori. Ce n’erano moltissimi, nonostante la stagione autunnale. Centinaia di colori sbiaditi dal tempo nascevano in un morente tappeto di foglie autunnali. Le fresie profumate, i convolvoli bianchi, le innumerevoli margherite sorridenti sembravano voler sfidare i due cercatori con il loro labirinto di colori. Subito si chinarono alla ricerca  della troisaube,mentre Tyerns Izvor ricordò alla compagna la forma dalla pianta e la sua principale caratteristica.
 “Ricordatevi, signorina, che stiamo cercando un fiore simile alla margherita. Ma il gambo sarà violaceo, quasi azzurro. Nel mio libro c’era uno schizzo del fiore, ma era talmente rovinato e scolorito che ho preferito lasciarlo nella mia terra. Non mi sarebbe stato comunque di grande aiuto. Era praticamente distrutto dal tempo.”
 “Può cambiare davvero molto, non trovate?”
 “Parlate del tempo? Certamente. Soprattutto per quanto riguarda le persone.”
 “Non mi dispiacerebbe venire trasformata dal tempo.”
 “Perché dite questo? Siete una giovane incantevole… anche se un po’sbadata.”
 “Oh, che vergogna!” Myrlene rise “Avete ragione ad rimproverarmi, sapete? Solo in questo modo potrò migliorarmi.”
 “Voi non dovete migliorare nulla di voi stessa. Siete perfetta così come siete.”
 “Lo credete davvero?”
 “Ne sono sicuro.”
 “Mi lusingate. Non merito simili complimenti.”
 Myrlene sorrise, ed alzò lo sguardo in quello dell’alchimista. Subito notò che c’era qualcosa di strano nella sua espressione. Si era fatta improvvisamente seria, assorta in quello specchio di sguardi. L’uomo indossava una maschera di stupore.
 “Conosco i vostri occhi.” mormorò Tyerns “Sono familiari.”
 “Come dite? In che senso?”
 “Sono bellissimi… come quelli di una fata.”
 “Sono semplicemente molto scuri.”
 “Sì. Nascondono un segreto.”
 La ragazza lo guardò divertita. Le sue parole erano davvero molto strane.
 “Un segreto, voi dite. Forse. Ma quale?”
 “Cosa avete visto tra i rovi?”
 “Come?” Myrlene era sorpresa. Quello che aveva avuto l’aria di un delicato corteggiamento si era dissolto come la nebbia sul mare, lasciando solo una distesa di pericolose acque nere. Ora l’alchimista si stava riavvicinando avventatamente a quei momenti di confusione, di terrore, di incubi senza significato. Quelle che erano state delizie nascoste ora dovevano rimanere segreti letali. Non poteva certo confessarsi con tanta libertà a quell’uomo. Cercò di cambiare discorso, ma era difficile. Gli occhi dell’alchimista la fissavano con tanta insistenza.
 “Vi prego di non parlarne più. Non era nulla, solo un mio momento di debolezza.”
 “Cosa avete visto? Voi dovete dirmelo.”
 “Non ho visto nulla. Sono caduta e ho perso i sensi.”
 “Mentite.”
 “Lasciatemi la mano. Mi state facendo male.”
 “Potresti essere tu. Sapevo che ti avrei trovato. Sei davvero tu?”
 “Non capisco cosa state dicendo. Lasciatemi, vi prego!”
 “Cosa hai visto? Devi dirmelo. Sei davvero tu?”
 “Ho male! Vi prego!”
 Solo allora l’alchimista liberò la ragazza dalla stretta dolorosa. Myrlene si alzò in piedi di scatto, guardandolo con orrore. Che cosa era successo? Perché Tyerns Izvor le aveva fatto tanto male, perché voleva conoscere la natura delle sue visioni? Ora l’uomo aveva distolto lo sguardo. Fissava le acque del ruscello. Sembrava volerle rimproverare di qualcosa, come se gli avessero suggerito una bugia dolorosa da giocare. Myrlene si accorse di avere paura.
 Aveva davvero paura di quell’uomo.
 Indietreggiò di qualche passo, finché non incontrò la corteccia ruvida di un albero. Ancora prima di accorgersene, stava obbedendo al suo primo istinto. Fuggire. Corse via, lontano da quel luogo, mentre l’alchimista si alzava improvvisamente in piedi per richiamarla a sé. Ma Myrlene non si fermò, non si voltò nemmeno. Quella sua stupida, odiosa idea. No, non poteva farlo. Non avrebbe mai potuto sposare quell’uomo. Voleva morire per aver abbandonato in quel modo codardo i suoi piani, dopo aver lasciato Jehanne al suo destino, ma quale scelta aveva? Quel momento in cui Tyerns Izvor le aveva stretto la mano, e le aveva fatto male, il modo in cui l’aveva guardata, tutto l’aveva confusa al punto da spingerla alle lacrime.
 Corse via, in silenzio. Corse finché non fu esausta al punto da accasciarsi a terra, tremando e singhiozzando di dolore. Allora il volto sofferente di Jehanne le ritornò alla mente. Ricordò quando, pochi giorni prima, era entrata nella sua stanza per consolarla, per mandare via la verità con un semplice bacio. Lei avrebbe fatto davvero qualsiasi cosa per lei. E lei, come la stava ripagando?
 Stava fuggendo. Non era che una codarda.
 Stupida, stupida piccola Myrlene. Non faceva altro che sbagliare, mandando tutto il suo piano in fumo. Senza dubbio si era sbagliata, doveva aver frainteso le parole dell’alchimista. Per questo non avevano avuto senso, per questo si era spaventata quando la sua stretta si era fatta così dolorosa. L’aveva lasciata andare, con quell’espressione desolata, pentendosi del suo sbaglio.
 Lei l’aveva abbandonato.
 ‘Devo tornare’ pensò ‘Tornare da lui, chiedergli perdono. Devo cercare di riparare al mio errore’.
 Si alzò lentamente in piedi, cercando di calmare il tremito che l’aveva invasa. Ma dovette fermarsi subito sui suoi passi. Tesa davanti a lei, nera come la morte, c’era la lama di un coltello da macellaio. A tenerla era una mano che Myrlene conosceva.
 La conosceva anche troppo bene.
 “Ho sentito qualcuno che urlava nella foresta. Per caso eri tu, Myrlene?”
 “… Estienne, sei tu.”
 
 
 

 
 
Angolo dell’Autrice:
 
Giustificazione suggerita: blocco dello scrittore, per tantissimo tempo. Se sono riuscita a ‘sbloccarmi’ lo devo unicamente a DreamNini, alla Toscana (vorrei tanto viverci, quella regione non fa che bene alla salute) ed alla bellissima, unica Katherine Mansfield. Grazie a tutti voi!
 La canzone ad inizio capitolo è di Cécile Corbel, in assoluto la mia cantante preferita da circa cinque anni. Chi di voi ama lo Studio Ghibli la riconoscerà come la compositrice del Soundtrack per il film ‘Arrietty’. Ad essere sincera, io la conoscevo da un bel po’ di tempo prima dell’uscita del film, perché i miei cari genitori mi hanno da sempre cresciuta a pan di musica celtica, irlandese, bretone e scandinava. Potete immaginare la mia gioia quando ho scoperto che la mia cantante preferita avrebbe cantato in uno dei miei film preferiti! ;D Ma sto divagando.
 Questo è il link della canzone:
 
http://www.youtube.com/watch?v=oPCXFC1pmnc
 
Ed ora cerchiamo di darci da fare per il prossimo capitolo. Vedrò di consegnarvelo il prima possibile, senza questi due mesi di ritardo.
 A presto, a tutti voi!
   
 
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