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Autore: miss dark    25/01/2008    5 recensioni
Una ragazza innamorata del suo migliore amico.
Lui non ricambia, non subito.
Potranno mai avere una storia, o entrerà qualcun altro nella loro vita?
Genere: Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mai Più Noi- Capitolo 2

CAPITOLO 2

Il sole. Entrava prepotente di spazio all’interno della stanza.

I raggi si spandevano lentamente sopra i mobili. Uno, un po’ più temerario, iniziò la conquista del letto. Dal copriletto salì alle lenzuola e da lì, al cuscino.

Lei strizzò gli occhi, infastidita da quell’arrivo indesiderato.

Si voltò dall’altra parte. Socchiuse gli occhi e incrociò quelli di sua madre.

Era lì, sull’uscio e la guardava. L’aveva sentita rientrare tardi, la sera prima, ed ora la osservava preoccupata.

Cos’aveva da un po’ di tempo la sua bambina? Cosa le passava per la testa?

Non aveva mai trovato il coraggio di chiederglielo e, la figlia, di dirglielo.

Non si parlavano, non l’aveva mai fatto.

Richiuse gli occhi. Mise la testa sotto il cuscino e, protetta da quel fedele alleato disse

- Oggi non vado a scuola.

- Perché?

- Perché non ne ho voglia, non me la sento.

- Certo, è una settimana che non te la senti. Cosa scriverai sulla giustifica “Non me la sentivo e non sono venuta”

- Potrebbe essere un’idea, grazie. Ora esci.

La madre non uscì. Non voleva che la figlia saltasse un altro giorno di scuola. Voleva sapere perché non se la sentiva di andare. Voleva sentirsi partecipe di quel mondo che lei stessa aveva creato sedici anni prima.

- Spiegami perché non te la senti, altrimenti ti alzi e vai a scuola.

Una guerra. Una guerra continua. Una guerra fatta di sguardi, di gesti, di parole crudeli.

Ecco perché non se la sentiva. Ma come poteva spiegarglielo?

- Non me la sento, non sto molto bene.

- Non stai molto bene per andare a scuola, ma per tornare tardi la sera stai benissimo, vero?

- Ieri sera....

Era quello il motivo percui aveva sempre trovato insopportabile sua madre. Si ficcava negli affari di tutti, pretendeva di sapere tutto, ma non sapeva niente.

- Ieri sera mi sentivo bene, volevo andare a scuola, ma mentre ero fuori ha cominciato a piovere e ho preso freddo.

Bomba sganciata, aveva raccontato una mezza bugia. Una mezza verità.

- Certo. Perché tu non esci mai col cappotto, non fai mai niente di quello che ti dico.

Quanto aveva ragione. Quanto sapeva di aver ragione.

Quanto sbagliava ad imporle di fare tutto quello che le si diceva di fare.

- Oggi tu andrai a scuola.

Detto questo usci dalla stanza.

Non aveva ribattuto. Sapeva di aver torto.

Si alzò. Diede un’occhiata alla sveglia, mai caricata da quando era su quel comodino, in quella stanza.

Mise un piede per terra. Toccò il pavimento gelido e rabbrividì.

Velocemente rimise il piede sotto le coperte e si coricò nel letto.

Chiuse gli occhi. Non poteva, non ce la faceva, solo all’idea aveva paura.

Rivederlo. Averlo davanti agli occhi e non parlargli, non potergli dire tutto e niente.

Con un balzò veloce scese definitivamente dal letto.

Doveva farcela, non per lui, non per sua madre, non per Sara, che ogni giorno le diceva di lasciarlo perdere. Per nessuno di tutti quelli che conosceva, solo per la persona che conosceva di meno e di cui aveva più paura: se stessa.

Solo per se stessa si vestì velocemente, non fece colazione, scese in strada e corse come la sera prima. Cartella in spalle, jeans e maglietta a maniche lunghe addosso e tristezza nel cuore.

I gradini di pietra della scuola si facevano sempre più vicini e il suo letto caldo sempre più lontano.

Li salì fino all’ultimo, si mise in piedi davanti all’entrata e fissò a lungo il suo gruppo di amici.

Lui non c’era. Non era arrivato puntuale, come poche volte. Forse non sarebbe neanche arrivato. Con quell’ultimo pensiero in mente entrò nel lungo corridoio della scuola, salì le scale e varcò la porta della propria classe.

La professoressa non era ancora arrivata. Meno male. Prese posto nell’ultimo banco a destra, quello vicino alla porta e aspettò. Aspettò con ansia che tutti i ragazzi della classe fossero entrati, per poter tirare un sospiro di sollievo nel non vederlo varcare quella porta verde.

Erano le otto e cinque quando la prof. si sedette alla cattedra. Tirò fuori dalla borsa nera e logora il registro e iniziò l’appello.

- Di Mari Cristina?

- Presente

- Donterre Francesco?

- Assente.

- Farletti Giulia?

- Presente.

- Finalmente abbiamo l’onore di riaverla tra noi, signorina Farletti.

- Non mi sono sentita molto bene in questi ultimi giorni.

- Vediamo la giustifica.

Merda! La giustifica! Quella benedetta giustifica. L’aveva lasciata sul comodino, accanto alla sveglia, e se l’era dimenticata.

- Veramente l’ho dimenticata a casa.

- Bene. Vuole una bella nota dopo ben quattro giorni di assenza?

- Non la vorrei ma visto che non ho la giustifica...

- Sarò buona Farletti. Chiamerò sua madre per accertarmi che lei non mi stia dicendo sciocchezze.

- Va bene, grazie professoressa.

La porta si aprì lentamente. Tutti si voltarono, compresa Giulia, che avrebbe voluto non arrivasse mai quel momento.

Sara le mise una mano sulla spalla. Lei sapeva.

Era lì sulla porta che guardava la classe in cerca di lei. La trovò, incrociò il suo sguardo per un attimo poi fu distratto dalla voce della prof.

- Signor Panasti, qual buon vento la porta qui in classe con noi?

Lui non rispose, la stava ancora fissando, come per chiederle se con quell’”addio” lei aveva inteso veramente addio.

Lo scansò, gli rispose con quel gesto. Lei non aveva scherzato, aveva inteso addio, e per sempre.

Si diresse trafelato e tristissimo verso il proprio banco. Aveva corso per avere quella risposta e ora preferiva non averlo fatto.

- Domani voglio un colloquio con sua madre.

Daniele non la stava ascoltando. Era in corso, dentro di se, una battaglia di emozioni, uno scoppio di sensazioni mai provate prima e solo lei, Giulia, lo vedeva.

Lo conosceva fin troppo bene per non sapere quello che stava provando.

Voleva piangere ma doveva trattenersi.

- Mi porti immediatamente il diario, signor Panasti!

Federico, il suo vicino di banco, nonché miglior amico, aveva intuito che era successo qualcosa, ma, non capendo, portò il diario alla cattedra al posto di Daniele.,

Perché? Perché erano dovuti arrivare fino a quel punto? Perché per capire che le voleva troppo bene per lasciarla andare era dovuto accadere quello che era accaduto?

La prof. finì l’appello e cominciò a spiegare la lezione di storia.

Giulia aprì il libro, ma quando lo richiuse, al suonare della campanella, Sara non potè non notare che la pagine lette erano macchiate di qualche lacrima disubbidiente, testimone di quel dolore.

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Beh...questo capitolo non mi è piaciuto molto quando l'ho riletto, prima di pubblicarlo, ma è necessario per la storia e poi, non è poi così tanto male...spero che vi piaccia e che commentiate.

Passiamo ai ringraziamenti.

Lady vampire: grazie, grazie, grazie...le mie storie sono tristi un po' come le tue...lo sai che ti voglio bene anch'io! Spero che questo capitolo ti piaccia più del primo ^_^ Ciauuuu.

Mikiko: ecco il proseguimento tanto sperato! Sono contenta che la storia ti piaccia e spero che ti continui a piacere!

Miss_miky: anche a me il primo capitolo è piaciuto tantissimo ^_^ e sono felice che sia piaciuto anche a te.

Kia93: ciao Kia, la tua sasà chan, la mia sà, mi ha parlato tanto di te e, come me ne ha parlato, sono fiera del fatto che ti sia piaciuta, perchè, anche se non ti conosco direttamennte, ti stimo. Mi auguro che anche questo capitolo ti piaccia come il primo ^_^ Ciauuuuu!

Baci a tutte le persone che leggeranno il capitolo e che continueranno a seguire la storia

la vostra affezionata

Miss dark

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