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Autore: Alektos    25/01/2008    4 recensioni
“Allora?”, chiese Sirius, “Che cosa stavi fissando con sguardo così beato, prima?”
Tonks alzò gli occhi da dietro il bordo della tazza dalla quale aveva iniziato a sorseggiare la bevanda e con un cenno della testa indicò la mensola posta a sinistra della credenza, alle spalle dell’uomo.
Lo sguardo del padrone di casa si posò, prima sull’oggetto di interesse e poi sulla ragazza, per un paio di volte.
“Da quando ti interessi di botanica?”, le chiese, alzando un sopraciglio.
“Non mi interesso di botanica”, rispose, “Solo guardavo la tua Fluxmoon.”
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Bill Weasley, Nimphadora Tonks, Sirius Black
Note: Alternate Universe (AU), What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Anche i fiori hanno i loro pericoli

In primo luogo ringrazio Nisi Corvonero  per avermi betato la storia. Grazie mille!

 

La fanfiction ripercorre un po' tutto il quinto libro fino a pochi giorni prima che alcuni membri dell'ordine andassero a prendere Harry alla stazione.

All'inizio doveva essere una oneshot, ma è venuta più lunga del previsto, così ho deciso di divederla in tre parti.

Buona lettura!

 

 

PARTE PRIMA

 

“Feccia, luridi ibridi, fuori da casa mia!”

Le urla della signora Black si levarono in seguito al rumore provocato dalla caduta del grosso portaombrelli nel corridoio che portava alla cucina di Grimmauld Place N° 12.

Come sempre, Sirius uscì correndo e imprecando contro sua madre o l’immagine che di lei era rimasta impressa sulla tela. Con uno sforzo non indifferente riuscì a chiudere le tende, dietro le quali, con un incantesimo di adesione permanente, stava il ritratto di Walburga Black; con qualche altro Schiantesimo riuscì a mettere nuovamente tranquilli anche gli altri quadri presenti che avevano preso ad urlare, animati dal suono della voce della loro precedente padrona.

Scostandosi un paio di ciocche dal volto e assicuratosi che tutto fosse tranquillo, Sirius si girò verso la causa scatenante dell’Apocalisse nel corridoio di casa sua.

“Tonks”, la chiamò in tono serio.

La ragazza, che aveva appena rimesso a posto l’enorme zampa di Troll, era appoggiata con le mani dietro la schiena contro la parete del corridoio e guardava insistentemente il suo piede sinistro disegnare piccoli cerchi sul pavimento.

“Sai”, continuò lui, “Quando sento dei rumori, sono solito chiedermi chi è entrato in casa…”

La ragazza lo guardò negli occhi, amareggiata, e in cambio ricevette un sorriso.

“Chissà perché, indovino sempre quando arrivi tu!”

 

Una volta entrati in cucina, Sirius si diresse verso il lavello e, riempito un bricco d’acqua, lo mise a scaldare sul fuoco. Sorpreso dal silenzio che c’era intorno a lui, si girò per controllare che Ninfadora fosse ancora nella stanza.

“Come mai così silenziosa?”, le chiese.

Le sue parole non furono nemmeno prese in considerazione dalla ragazza che, con il mento appoggiato sul palmo della mano, fissava insistentemente un angolo della stanza.

“Tonks!”, la chiamò, senza trarne alcun risultato; solo al secondo tentativo riuscì a catturare la sua attenzione.

“Che… Sirius!”, urlò le di rimando, “L’acqua!”

L’uomo si girò di scatto e corse a togliere il bricco dal fuoco.

Qualche minuto dopo si trovarono seduti, uno di fronte all’altro, intenti a soffiare nelle tazze che tenevano in mano, nel tentativo di raffreddare il tè

A separarli c’era solo il lungo tavolo di legno della cucina con sopra un piatto di biscotti lasciati, probabilmente, da Molly.

“Allora?”, chiese Sirius, “Che cosa stavi fissando con sguardo così beato, prima?”

Tonks alzò gli occhi da dietro il bordo della tazza dalla quale aveva iniziato a sorseggiare la bevanda e con un cenno della testa indicò la mensola posta a sinistra della credenza, alle spalle dell’uomo.

Lo sguardo del padrone di casa si posò, prima sull’oggetto di interesse e poi sulla ragazza, per un paio di volte.

“Da quando ti interessi di botanica?”, le chiese, alzando un sopraciglio.

“Non mi interesso di botanica”, rispose, “Solo guardavo la tua Fluxmoon.”

“Fluxmoon?”, chiese incerto, “Credevo si chiamasse Fluxweed.”

“Oh, scusa, hai ragione, è Fluxweed. È inammissibile, come dopo quasi sette anni io abbia ancora in testa questo stupido nome.” L’ultima frase era sta più una constatazione personale, ma aveva commesso l’errore di dirla ad alta voce.

“Sette anni? Stupido nome?” Ripeté Sirius, incuriosito.

Tonks lo guardò per qualche secondo, incerta se soddisfare o meno la sua curiosità.

“Non è nulla di che”, disse.

“Dopo che ho passato quasi metà della mia vita ad Azkaban, anche il nulla di che, si rivela interessante, credimi.”

La ragazza si convinse e dopo essersi presa il tempo necessario per cercare le parole più adatte, iniziò, con finta noncuranza, a raccontare l’accaduto.

“Quarto anno.”

“E fino a qui ci siamo.” La interruppe l’uomo, guadagnandosi un’occhiataccia da parte della sua interlocutrice.

“Quel giorno, la professoressa Sprite stava spostando delle piante all’esterno della serra”, iniziò a spiegare Tonks, “Io e il mio ragazzo dell’epoca ci siamo fermati ad osservarle ed abbiamo iniziato una specie di sfida a chi indovinava più esemplari, un passatempo un po’ stupido, se vogliamo, come un altro. Poi, puoi facilmente immaginare cosa è successo.”

“Avete fatto sesso?”

“Sirius! Lo riprese lei, non riuscendo a mascherare una punta di divertimento nel tono della voce.

“Che c’è? Io lo avrei fatto! Anzi…”

“Non – lo – voglio – sapere!” Lo interruppe, scandendo bene le parole.

“Scusa, continua.”

“Ad un certo punto siamo arrivati davanti a questa famigerata pianta e nessuno di noi due si ricordava il nome. Svariati tentativi dopo, memori del fatto che la suddetta avesse qualcosa a che fare con la luna, il mio ragazzo ha esordito, soddisfatto, dicendo: Fluxmoon!

“Tutto qui?”

“No. Dietro di noi, in quel momento, era comparsa la Sprite… Inutile dire che se l’è un pochino presa, perché avevamo sbagliato il nome di una pianta a dir poco elementare e quindi: cinque punti in meno! Inutile dire che gli ho ricordato questo episodio fino alla fine della nostra storia.” Si fermò qualche istante. “Altri due mesi, se non erro”, concluse.

Sirius sembrò contemplare le parole della ragazza, non molto soddisfatto dell’aneddoto.

“Sai”, esordì, “Ho fatto arrabbiare poche volte, rispetto agli altri professori, la Sprite. Ma quelle poche volte, devo dire che mi ha dato soddisfazione. Certo, non come quello che ti ho detto prima.” Ghignò.

La giovane Auror iniziò a ridere.

“Allora”, riprese l’uomo, “Parlami un po’ di questo ormai famoso Ex”, la esortò, sistemandosi più comodamente sulla sedia.

“Ma è una cosa che risale a sette anni fa!”

Lui alzò le spalle, continuando a fissarla, in attesa che iniziasse a parlare.

“Io preferirei rimuovere quanto accaduto, ma se insisti, te lo dico.”

“Insisto. Come mai, rimuovere?”

“Perché è stata una storia stupenda, nonostante fossi giovane, finita molto male, almeno da parte mia.”

“Cosa è successo?”

“Si è rivelato uno pronto a lanciarsi tra le braccia della prima venuta. L’ho sorpreso con un ‘altra. Appena li ho visti, sono corsa via. Non l’ho più voluto vedere e ho bruciato tutte le lettere che mi ha spedito successivamente.”

“Non lo hai rivisto nemmeno l’anno dopo, a Hogwarts? Non gli hai chiesto spiegazioni?”

Tonks sospirò.

“No, lui era al settimo anno e il tutto è successo a due giorni dalla fine della scuola. Poi, scusa ma, non tutte le domande necessitano una risposta. Soprattutto quando questa è evidente! Men che meno chiedersi cosa ci facesse la bocca di Emily Brandon su quella del mio ragazzo. La cosa mi pare ovvia.” Il tono stava iniziando a farsi più duro quindi, Sirius pensò fosse saggio cambiare discorso al più presto.

“Credo tu abbia ragione. Comunque questa pianta l’ha portata Molly. Ha detto che serviva un po’ di colore in questa casa; in più è uno degli ingredienti che servono per preparare la pozione Polisucco.”

In silenzio, i due finirono di sorseggiare il loro poi, Sirius, con un colpo di bacchetta, fece spostare le due tazze nel lavello e con un incantesimo d’appello chiamò a sé l’oggetto del loro discorso, posandola al centro della tavola dove prima stava il piatto dei biscotti, ormai vuoto.

Proprio in quel momento fece il suo ingresso in cucina la signora Weasley che portava con sé due enormi borse.

“Fatto spesa, Molly?”, chiese ironicamente Sirius, guardandosi bene dall’alzarsi per aiutarla.

Quando, finalmente, ebbe finito di sistemare la roba che aveva appena portato e si sedette intorno al tavolo con gli altri due, quasi inorridì.

“Sirius”, lo rimbeccò, “Mi pareva di averti detto che questa pianta ha bisogno di luce, cosa ci fa qui?”

Senza aspettare una risposta la donna prese il vaso e uscì dalla stanza borbottando che sarebbe andata a riporla nella camera del padrone di casa, visto che era la più luminosa.

Quando Molly fece ritorno non era più sola. Con lei c’era il suo figlio maggiore, William, appena rientrato dal lavoro.

“Tutto bene?”, chiese quest’ultimo, dopo aver salutato.

Sirius annuì, mentre Tonks si alzò di scatto, “Sì, è tutto ok, Sirius, ti dispiace se vado di sopra qualche minuto? Devo proprio finire un lavoro.”

“Prego.”

Nell’alzarsi le era caduta, dalla tasca interna dl mantello, la sua bacchetta che William si apprestò prontamente a raccogliere.

“Grazie”, rispose quasi in tono brusco Tonks prima di uscire.

Bill continuò a fissare, perplesso, la porta anche alcuni secondi dopo che questa si fu chiusa.

Qualcun altro, invece, osservò tutta la scena che gli si era presentata davanti con un ghigno soddisfatto stampato in volto.

 

Una volta entrata nel soggiorno al piano superiore si guardò intorno e come le poche altre volte che era entrata in quella stanza il suo interesse si era rivolto principalmente all’arazzo che si estendeva lungo tutta una parete, raffigurante l’albero genealogico della famiglia Black.

Una ventina di minuti dopo dei rumori alle sue spalle le fecero intuire che qualcuno l’aveva raggiunta.

Si girò appena per controllare: Sirius.

“È ancora qui”, disse Tonks, avvicinandosi e iniziando a far scorrere una mano sull’arazzo.

“Suppongo ci resterà ancora per molto tempo”, le rispose in modo sconsolato. “La mia cara genitrice ha pensato di lasciare molte tracce indelebili sue e di tutta la famiglia in questa casa”, sospirò. “Compreso il suo ritratto. Hai presente? Quello che tu riesci a far risvegliare ogni volta che entri in questa casa.” L’ultima frase fu detta in tono ironico, poi l’uomo si avvicinò alla ragazza, che aveva ancora lo sguardo posato sulla parete e la sua mano destra, ora, stava percorrendo la sottile linea dorata che dalla bruciatura tra le due sorelle Black, Bellatrix  e Narcissa, arrivava fino a quelli che, teoricamente, avrebbero dovuto essere i suoi nonni.

“Non capisco come mai tu ne rimanga affascinata ogni volta che lo vedi.”

“Sai, non so quasi nulla sulla famiglia di mia madre. A lei non piace parlarne. ” Finalmente si girò a guardare Sirius.

“Tu, non dovevi finire una cosa?”

La ragazza alzò le spalle. “E tu, cosa ci fai qui?”

“Sono venuto a dirti che Silente è arrivato. Manca solo Malocchio, ma sarà qui a minuti.”

Insieme si avvicinarono alla porta e prima di uscire, l’Animagus la guardò negli occhi, “Proprio non riesci a fartelo piacere, eh?”

Tonks abbassò lo sguardo. “Oh… dici che si nota?”

“Ogni volta che Bill entra in una stanza, tu esci. Gli rispondi in modo brusco. Lo eviti… sì, direi di sì.”

“Cosa fate fermi sulle scale? La riunione non è già iniziata?”, ringhiò Moody dal piano sottostante. Doveva essere arrivato in quel momento e grazie al suo occhio magico poteva vedere anche attraverso le pareti.

“Credo comunque che dovresti cercare di essere un po’ più… tollerante”, concluse l’Animagus, iniziando a scendere le scale.

Il vecchio Auror li aspettò all’ingresso della cucina e insieme entrano. La riunione dell’Ordine della Fenice poteva avere inizio.

Una volta terminata uno ad uno i membri se ne andarono; rimasero solamente Sirius, i signori Wasley, Bill, Tonks e Lupin; lui in realtà viveva lì, ma stava spesso fuori per lunghi periodi a svolgere missioni per conto dell’Ordine.

Mentre Molly si stava legando il grembiule in vita, per preparare la cena, Sirius passò al fianco di William dandogli una gomitata e chiedendogli, scherzosamente, come andassero le ripetizioni di inglese, facendolo arrossire leggermente.

“Procedono”, borbottò quest’ultimo alzandosi poi per aiutare la madre che, nel frattempo, si era messa ai fornelli per preparare la cena.

Quella sera, Bill aveva provato un paio di volte ad intavolare una conversazione con Tonks, ma in cambio aveva ricevuto solamente risposte monosillabi o alzate di spalle.

Adesso, al caldo, sotto la spessa coperta di lana del suo letto, non riusciva ad addormentarsi: la sua mente era invasa da un milione di domande alle quali aveva sì e no un paio di risposte. Ma nessuna certezza.

In più, non gli andava di essere trattato superficialmente da Tonks. Da quando si erano rivisti, dopo che anche lei era entrata a far parte dell’Ordine della Fenice, non gli aveva quasi mai rivolto la parola e la cosa gli dava fastidio. In particolare, lo irritava parecchio non sapere il motivo del suo comportamento. Tra i due, se c’era qualcuno che doveva essere arrabbiato, quello era lui.
Comunque, quella situazione doveva finire, non tanto per lui, ma per la buona riuscita della loro missione: c’erano già Piton e Mugundus che contribuivano a creare dissapori inutili, non ne servivano altri. Loro, per sconfiggere Voldemort, dovevano essere un gruppo il più unito possibile.

 

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La giornata non era iniziata nel migliore dei modi per Ninfadora. Oltre ad essere estremamente in ritardo, appena entrata in ufficio aveva trovato sulla sua scrivania un elenco di cose da fare lasciata dal suo capo; si trattava di compiti estremamente noiosi che, in teoria, avrebbe dovuto svolgere lui ma, vista la sua posizione, poteva permettersi di delegare ai suoi sottoposti.

La lista comprendeva, tra le altre cose, andare in copisteria per stampare volantini su persone ricercate e questo significava litigare con il signor Hollis per la scelta del carattere, per la dimensione della foto e su vari ornamenti da aggiungere al foglio che, ovviamente, facevano aumentare vertiginosamente i costi.

Era una gran brava persona ed anche uno dei migliori copisti di Londra, ma aveva un estro artistico represso.

Un’altra cosa da fare era quella di passare ad interrogare due persone che sostenevano di aver avvistato Sirius Black: se solo avessero saputo che lei lo aveva visto solo qualche giorno prima e aveva cenato con lui.

In fondo alla lista, ma non meno pesante: passare in banca.

Sconsolata posò nuovamente il pezzo di pergamena sulla scrivania con uno sbuffo, suscitando una breve risata di Kingsley che aveva assistito a tutta la scena.

“Coraggio”, le disse, “Questi compiti sono toccati a tutti. Prima inizi e prima finisci.”

Emettendo un suono non proprio entusiasta, Tonks uscì dall’ufficio.

Decise di andare prima a sentire le persone che dicevano di aver avvistato Sirius Black.

Sapeva benissimo che era una perdita di tempo, ma mai avrebbe pensato ad una cosa così. I due, esattamente una coppia di fidanzati che avranno avuto circa una decina d’anni in più di lei, sostenevano infatti di averlo visto lavorare nella fattoria di un Babbano nei dintorni di Stevenage.

Più cercavano di convincerla che quello che avevano visto era vero, più si contraddicevano a vicenda, tanto che Tonks si vide costretta ad andarsene quando, ad un certo punto, i due, scoperti, avevano iniziato a litigare dandosi la colpa l’un l’altro.

Dal signor Hollis non andò meglio del solito. Questa volta si era impuntato sul fatto che, intorno alla fotografia del ricercato, non poteva non esserci una cornice creata con catene vere e che il nome del malvivente, scritto in corsivo, sarebbe stato sì più difficile da leggere, ma avrebbe reso il volantino più piacevole alla vista.

Come ultima commissione, Tonks si era riservata la Gringott.

L’operazione che doveva effettuare non era molto complicata, ma quando capita un’addetta che non parla bene la lingua e che non distingue un timbro dall’altro, le cose vanno per le lunghe.

“Grazie e arrivederci”, disse infine la ragazza,  felice, almeno, per aver terminato i suoi lavori prima della pausa pranzo.

“Ciao, Tonks!”

Quando ormai era vicina alla porta, si sentì chiamare.

“Ciao, Bill!”, rispose girandosi.

Se c’era una persona che voleva evitare, quella era proprio William.

Si trovarono faccia a faccia, ma nessuno dei due riuscì a sostenere lo sguardo dell’altro.

“Come va?”, chiese lui.

“Mattinata noiosa”, rispose nei migliore dei modi possibili, Tonks, memore delle parole di Sirius. “Tu?”

“Tutto come sempre.”

In quel momento, l’impiegata che prima l’aveva servita uscì da dietro lo sportello per andare a prendere sotto braccio il ragazzo.

Spiazzato e completamente impreparato a quell’evento, Bill le presentò.

“Ciao!”, salutò un’allegra Fleur. “Tu dois essere un amica di Bill. Lavoro da poco, sai, sono qui per migliorooore il mio engleeese.”

“Capisco”, rispose Tonks. “È stato un piacere conoscerti, ma devo proprio andare!” Cerco d’ affrettare le cose senza sembrare troppo sgarbata. Salutò entrambi con il sorriso sulle labbra e uscì.

Ma, appena fuori si sentì bloccare per un braccio.

“Aspetta!”, la fermò Bill, “Penso proprio che io e te dobbiamo parlare.”

Adesso quella spiazzata era lei.

“Senti”, continuò lui, “Ci sono tante cose di cui dobbiamo discutere, ma quello che al momento mi preme di più è il modo in cui mi tratti. Io penso che dovremo cercare di andare più d’accordo, almeno per l’Ordine. Poi, una volta finito tutto questo, potrai anche non rivolgermi mai più la parola, se ti do così fastidio!”

Tonks abbassò lo sguardo.

“Anche se devo ancora sapere cosa ti ho fatto. E quando vorrai darmi spiegazioni, io ci sarò. Anzi, te ne sarei estremamente grato.” Il suo tono era brusco.

“Credo proprio tu abbia ragione. L’Ordine prima di tutto.”

Nel bel mezzo della discussione, Fleur era uscita e aveva raggiunto Bill, prendendolo come prima sotto braccio.

“Mi servereeebbe il tuo… aide… secours…” si intromise pronunciando incerta le ultime due parole.

Il ragazzo sospirò. “Aiuto Fleur, si dice aiuto.”

“Oh, tres bien. Aiuto. Mi serverebbe il tuo aiuto.”

“Scusami Tonks, devo rientrare.”

“Non ti preoccupare, capisco. Beh”, rispose l’Auror, “Buona giornata.”

Fleur la salutò con la mano e insieme al ragazzo rientrarono dentro la Banca.

“Oh sì, passa una buona giornata, con Fleur e il suo engleeese!”, borbottò, appena prima di smaterializzarsi.

 

Di tutte le cose che potevano capitarle quella mattina, l’ultima era stata la peggiore. Non solo il primogenito di Molly e Arthur non le andava a genio, ma anche la sua neo fidanzata era insopportabile. Di bello avevano che si assomigliavano molto.

Tonks rientrò in ufficio sbuffando. Non riusciva proprio a farsela piacere, con quella sua aria perfetta da bravo ragazzo, sempre gentile ed educato con tutti, pensava sempre la cosa giusta e sapeva benissimo quali erano le sue priorità, cosa che la ragazza aveva constatato poco prima.

“Deduco che Hollis ti abbia dato più da fare del solito.”

“No”, rispose sedendosi dietro la sua scrivania, “Hollis non ha quasi colpe stavolta, Kingsley.”

“Strano”, rispose il mago, “Dalla tua faccia non si direbbe.”

“Oh, non farci caso”, disse Tonks estraendo un sacchetto dalla sua scrivania, “Brutti incontri in Banca. Per il resto tutto normale.”

Kingsley la guardò stranito, mentre cercava di togliere il suo panino dall’involucro. Non capiva assolutamente a cosa si stesse riferendo la ragazza, ma pensò fosse meglio non chiedere e si rimise a lavorare. 

Mentre pranzava, Tonks ripensò alle parole di Bill e poi anche a quelle di Sirius. Dopo averle soppesate a lungo decise che da quel giorno le cose sarebbero cambiate. In fondo avevano ragione tutti e due: dovevano andare d’accordo per il bene dell’Ordine, già c’erano troppe persone che rovinavano l’armonia.

Non fu una cosa facile da mettere in atto ma, lentamente, nel giro di un paio di mesi, la situazione tra di loro migliorò notevolmente.

Ora lei non rispondeva più a monosillabi, ma utilizzava intere frasi e più passava il tempo, più il suo tono era calmo e, a suo modo, gentile.

Una sera, agli inizia di Dicembre, alla fine dell’ennesima riunione, a Grimmauld Place erano rimasti solo, oltre ovviamente a Sirius, Remus e Tonks che con la bacchetta aveva appena fatto volare due pezzi di legna nel camino.

“Si sente che l’inverno è alle porte.”

“Già, chissà se nevicherà quest’anno”, le rispose Remus.

 “Non penso”, intervenne Sirius, “Per ora i controllori del tempo dicono solo che sarà un inverno molto freddo.”

Per qualche secondo si sentì solo lo scoppiettare del legno nel camino poi, di punto in bianco, il padrone di casa guardò la giovane Auror, sorridendo per poi voltarsi verso l’amico.

“La piccola Ninfadora sta crescendo, Lunastorta. Te ne sei accorto anche tu?”, ghignò.

Remus parve non capire così si girò verso la diretta interessata che, prima fulminò con lo sguardo il cugino, “Non chiamarmi Ninfadora!” lo rimbeccò, poi scosse la testa.

“Non hai notato anche tu, che adesso riesce ad intrattenere una conversazione civile con Bill?” Sirius fece finta di non aver sentito le ultime parole della ragazza.

“Scemo!”, rispose Tonks.

“Ho notato”, diede corda il Licantropo.

“Sono contento che tu abbia preso la decisione giusta”, continuò Sirius assumendo un tono serio, “In fondo mi pareva stupido trattare male una persona solamente per la sua apparenza. Soprattutto se non ti piaceva perché era gentile ed educato.” Rise nuovamente. “Neanche ti avesse fatto qualcosa.”

Tonks lo guardò torva poi sbuffò. “Ci siamo parlati”, spiegò, “Ed in effetti, trovo giusto mantenere un comportamento civile nei suoi confronti.”

“Comunque è una persona piacevole con cui parlare”, intervenne Remus, poi entrambi gli uomini guardarono la ragazza.

Dopo un attimo di indecisione, Tonks annuì, “Non è poi così male”, ammise.

Altri minuti di silenzio e altri due pezzi di legna nel camino.

Le successive ore, i tre, le trascorsero, a discutere di Harry e della profezia contenuta nella sezione misteri della quale lui, secondo Silente, non doveva venire a conoscenza, e per la felicità di Ninfadora, nessuno dei due era più tornato su argomento Bill.

 

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Ancora non riusciva a crederci. Era seduta, ormai da dieci minuti buoni, in un corridoio del San Mungo e davanti a lei c’era un irrequieto Moody che camminava nervosamente avanti e indietro; ogni tanto si fermava e puntava il suo occhio magico verso il muro, dove dietro c’era la stanza adibita al primo soccorso e alla rianimazione.

Nemmeno un’ora prima, i due maghi, avevano finito il loro turno di pattuglia e si stavano apprestando a rientrare, quando un Patronus aveva portato loro un messaggio dicendogli di correre immediatamente al Ministero.

Al loro arrivo avevano trovato Arthur Weasley, il marito di Molly, riverso in una pozza di sangue in un corridoio della sezione misteri.

Immediatamente, Moody si era precipitato a vedere se era ancora vivo e successivamente, con l’aiuto di Tonks, lo avevano trasportato d’urgenza all’ospedale.

Sarebbe stato meglio chiamare dei guaritori, ma per una situazione del genere non avrebbero saputo che scusa trovare: un impiegato del ministero, ferito a morte nel suo luogo di lavoro, da non si sa chi e in piena notte. Assurdo, almeno per delle persone non a conoscenza della reale situazione.

Tanto nessuno sarebbe stato, successivamente, a conoscenza della verità, visto che qualunque cosa mettesse in ombra le istituzioni veniva insabbiata o screditata.

Ci fu solamente un problema: un giovane assistente andato dai due maghi per raccogliere informazioni sull’accaduto, un ragazzo alle prime armi, preciso e zelante nello svolgimento dei suoi compiti, che venne mandato via, in maniera non proprio carina da Malocchio.

Adesso i due Auror stavano aspettando l’arrivo di Molly e delle notizie dai guaritori che, però, non accennavano ad uscire da quella stanza.

A quell’ora di notte non c’era nessuno in giro per i corridoio dell’ospedale e l’ambiente era pervaso da un tetro silenzio che contribuiva, insieme alle luci soffuse che si riflettevano sui muri bianchi, ad aumentare la tensione. Un rumore di passi, ad un certo punto, attirò l’attenzione di Tonks.

Bill stava avanzando verso di loro con passo svelto seguito, appena dietro madre.

Aveva lo sguardo sconvolto, era pallido e alcune gocce di sudore sulle tempie erano indice del fatto che avesse corso o fatto le cose di fretta.

Nelle stesse condizioni, ma molto più agitata, appariva Molly. 

“È ancora vivo”, disse Moody ai due prima ancora che chiedessero qualcosa, “Però ha perso molto sangue e noi non sappiamo per quanto tempo sia stato la sotto.”

Tonks si alzò, lasciando la sua sedia alla donna che scoppiò in lacrime.

Proprio in quel momento uscì un guaritore.

“Vivo, è vivo. Stiamo facendo tutto quello che è in nostro potere per salvarlo. Le prossime ore saranno decisive.”

Non appena il guaritore se ne fu andato, Moody andò dritto da Silente a riferirgli le ultime novità.

Bill, che cercava in tutti i modi, inutilmente, di dire a sua madre che sarebbe andato tutto per il meglio, ad un certo punto, staccandosi dal suo abbraccio le disse di andare a mandare una lettera ai suoi fratelli, che di sicuro erano in pensiero.

“Almeno così si distrae per qualche minuto”, disse il ragazzo appoggiandosi con un braccio al muro.

Era sconvolto e preoccupato, ma non voleva darlo a vedere. Tra lui e sua madre, quello più forte era sicuramente lui, e doveva darle sicurezza.

Vedendolo sempre più agitato e nervoso, Tonks gli si avvicinò.

“Bill”, lo chiamò sussurrando il suo nome. Il ragazzo parve risvegliarsi improvvisamente.

“Stai tranquillo, andrà tutto per il meglio.”

Al suono di quelle parole il ragazzo esplose. “No! Non capisci! Non andrà bene nulla! Non sta andando bene!”, urlò.

“Non dire così! Non è mica morto!”, lo rimproverò.

“Non ancora.” Bill si era calmato improvvisamente, “È solo questione…”

“Zitto!” Questa volta ad urlare fu Tonks. “Non dirlo nemmeno per scherzo.” Lentamente lo spinse verso la sedia e lui accolse il suo invito e si sedette.

“Non farti un contro incantesimo prima di essere colpito”, disse delicatamente, accucciandosi davanti a lui.

Il ragazzo sospirò e si prese la testa tra le mani.

Qualche secondo dopo Molly ricomparve in fondo al corridoio.

“Ho mandato la lettera”, disse una volta vicino, prima di tornare dal figlio, che nel frattempo si era alzato nuovamente, e abbracciarlo.

“Stai tranquilla, mamma, andrà tutto bene”, le disse in tono dolce.

“Scusate.” Un guaritore era apparso davanti a loro. “Il Signor Weasley sta reagendo bene alle cure. Non posso ancora dire che sia fuori pericolo con certezza, ma c’è stato un notevole miglioramento”

Dopo quella notizia, i due membri della famiglia Weasley sembrarono un po’ più rincuorati e fiduciosi. Anche Tonks era più sollevata e quando il Guaritore sparì nuovamente, decise di ritornarsene a casa e di lasciare soli madre e figlio.

Quelle poche ore che la separarono dal rientro a casa al suono della sveglia non riuscì comunque a prendere sonno.

Prima di andare al lavoro passò al San Mungo per vedere se Arthur era migliorato.

Arrivata dal solito corridoio trovò Bill davanti alla porta. Sapeva che lo avrebbe visto, non sapeva perché; sesto senso, forse. Andò da lui porgendogli un bicchiere.

“Caffè?”

Il ragazzo si girò di scatto.

“Oh, ciao”, rispose prendendo il contenitore che gli veniva offerto.

“Allora, come sta?”, chiese leggermente titubante, Tonks.

Bill sospirò. Aveva due enormi occhiaie sotto agli occhi, ciocche di capelli che uscivano dalla sua abituale coda e i vestiti leggermente stropicciati, segno di chi aveva dovuto passare una notte in bianco, magari seduto su una scomoda sedia.

“È fuori pericolo”, disse infine.

Il volto di Tonks si distese in un sorriso.

“Adesso lo stanno medicando, nuovamente. Non riescono a fermare l’emorragia.”

“Questo non è bello…”

“No, il veleno del serpente che lo ha morso deve contenere delle sostanze strane. Ma adesso hanno detto che, dopo averlo analizzato, troveranno sicuramente un rimedio. Speriamo…”

“Serpente?”

“Sì, papà è stato aggredito da un serpente.”

“Potete entrare. Vi avverto, però, che si è appena riaddormentato”, disse un Guaritore uscendo dalla stanza e lasciando la porta socchiusa.

“Senti”, iniziò Tonks un po’ titubante, “Se per caso doveste aver bisogno di aiuto, per qualunque cosa, io ci sono. Ok?”

“Pensavo di non starti simpatico”, la stuzzicò il ragazzo, molto sorpreso dall’offerta.

“Non è vero, e lo sai. Solo, non si può rimanere arrabbiati per sempre. E tu questo lo hai saputo mettere in pratica meglio di me.” Gli sorrise. “Ora devo andare al lavoro.”

Con un cenno della mano lo salutò per poi avviarsi verso l’uscita.

“Tonks!”, si senti chiamare, improvvisamente.

“Grazie di tutto!”

 

I figli del signor Weasley e Harry andarono a trovarlo durante la pausa del mezzogiorno insieme a Tonks e Malocchio che, una volta che Arthur ebbe salutato i suoi figli, restarono da soli con lui per discutere di affari riguardanti l’Ordine che i ragazzi, per ovvie ragioni, non dovevano sentire.

Tutta la famiglia Weasley, esclusi Percy e Charlie, sempre seguiti da Harry e questa volta anche da Hermione, ritornarono al San Mungo qualche giorno dopo, scortati da Lupin e dal figlio maggiore di Molly.

Non appena il signor Weasley disse alla moglie dei punti di sutura, la sua stanza si svuotò improvvisamente. Il primo ad andarsene fu Bill, borbottando qualcosa a proposito di un tè, seguito dai Gemelli. Lupin era andato a parlare con il compagno di stanza di Arthur e i restanti, Harry, Ron, Hermione e Ginny, resistettero qualche secondo in più degli altri, ma poi scapparono anche loro.

Nell’andare verso il quinto piano, dove si trovava la sala da te, Bill incrociò una ragazza, vestita con dei jeans  strappati sul ginocchio e una felpa, più grande di due taglie rispetto alla sua, di un viola scuro e i capelli corvini raccolti in una coda di cavallo.

Quando le fu davanti, senza darle il tempo di parlare, la prese per le spalle facendola girare nella sua direzione di marcia.

“Vieni, fidati, è meglio che tu non vada in quella direzione.”

La giovane, stupita, lo seguì senza fare storie, leggermente perplessa dalle parole del ragazzo.

I gemelli, qualche metro dietro, iniziarono a sghignazzare e a fare battutine, almeno fino a quando non presero l’ascensore con il fratello. Quando la ragazza li vide, li salutò calorosamente.

“È già di famiglia”, disse il più sotto voce possibile, Fred, per non farsi sentire da Bill, dopo aver risposto al saluto di quella che, per loro, era una perfetta sconosciuta. O almeno così credevano.

Il commento non passò inosservato, ma nessuno disse nulla.    

 

Arrivati al quinto piano si sedettero intorno al tavolo e ordinarono un tè caldo.

Nell’attesa che la cameriera tornasse con le loro ordinazioni, Fred e George iniziarono a spostare lo sguardo da Bill alla ragazza, aspettando che qualcuno li presentasse.

Accortosi della cosa, il maggiore dei tre fratelli presenti scosse la testa sconsolato.

“Non ditemi che non l’avete riconosciuta”, disse infine.

I gemelli scossero la testa e la ragazza, seduta di fronte a loro, dopo essersi guardata furtivamente intorno, strizzò gli occhi in un’espressione concentrata e cambiò la forma del suo naso.

“Ah, Ton…”

“Zitto!”, lo intimò Bill dandogli un calcio da sotto la tavola “È meglio che nessuno sappia che è qua, nel caso ci fossero dei dipendenti del ministero che ci stanno tenendo d’occhio. Potrebbe finire nei guai.”

“Davvero non mi avevate riconosciuta?”, chiese Tonks divertita.

“Sinceramente? Proprio no”, le rispose George, “Ma tu come hai fatto a riconoscerla subito?” Si rivolse al fratello. “Insomma, non è facile riconoscerla quando fa delle metamorfosi.”

Il ragazzo sorrise, “Occhio allenato”, spiegò.

“Ma ditemi, come mai non posso andare a trovare vostro padre?”, si intromise la Metamorfomaga.

I tre si guardarono trattenendo a stento le risa.

“Perché mamma è un po’ alterata”, sghignazzò Fred, “Papà ha voluto provare un rimedio Babbano e… beh, sai come la pensa su queste cose.”

“Arthtur si è messo veramente nei guai”, constatò Tonks, mentre prendeva in mano la sua tazza di tè bollente appena portato dalla cameriera. Peccato, speravo di salutarlo, prima di tornare a casa.” Lentamente iniziò a sorseggiare la bevanda, facendo poi una smorfia di dolore quando, una volta messo in bocca, si accorse che era troppo caldo.

Bill rise.

“Ah, grazie. Io mi ustiono e tu ridi!”

“È che tu hai sempre troppa fretta di bere”, spiegò, prima di toccare la tazza della ragazza con la punta della sua bacchetta.

“Grazie!”, disse infine Tonks, riprendendo a bere. “Caldo al punto giusto”, aggiunse poi. L’incantesimo di raffreddamento era riuscito alla perfezione.

Anche i gemelli, visto il fratello, vollero tentare di raffreddare il loro tè, ma con scarsi risultati: la tazza di George divenne di ghiaccio e quella di Fred per poco non esplose. I due sbuffarono, visibilmente contrariati da quella ribellione momentanea dei loro incantesimi.

Questa volta fu il turno di Tonks, sistemare le cose e riportare le bevande al loro stato originale.

“Grazie”, mormorarono simultaneamente i due ragazzi.

“Pensi che tua madre si sia calmata?”, chiese, cambiando discorso.

“Non so, ma non credo. Le ci vorranno parecchi giorni per smaltire la notizia e, forse, solo la completa guarigione di papà potrà fargliela dimenticare.”

 La ragazza sorrise per poi guardarlo. Si fissarono per qualche secondo poi, Tonks si alzò.

“Credo sia ora di andare.”

 

Nemmeno dieci minuti dopo, Ninfadora si materializzò davanti alla porta di casa sua.

“Sono tornata”, annunciò entrando.

Ted, seduto sul divano, prima abbassò e poi richiuse il giornale che stava leggendo per salutarla.

“Oh, ciao tesoro. Come sta il signor Weasley?” La testa di Andromeda era sbucata da una stanza adiacente alla sala.

“Non saprei”, rispose Tonks sedendosi di fianco al padre, “Credo stia bene, ma suppongo sia nei guai… ha provato a curarsi con rimedi Babbani e conoscendo Molly, se Arthur non si riprenderà completamente, lo ucciderà lei stessa.” Finì la frase ridendo.

Andromeda annuì per poi tornare verso la cucina, da dove provenivano strani rumori: aveva abbandonato una pozione a metà e questa ora stava iniziando a dare segni di nervosismo da mancanza di Bezoar. Sua figlia, invece, andò in camera sua ad indossare qualcosa di più comodo, seguita con sguardo curioso da Ted.

Entrando nella stanza si mise le mani nei capelli: effettivamente, era qualche giorno che non dava una sistemata alle sue cose e queste, per ripicca, avevano deciso di scatenare la rivolta. In un angolo c’era quella delle calze, sopra la scrivania quella delle pergamene e delle piume, per non parlare di quella degli abiti, che prendeva un po’ tutto lo spazio; in più, c’era la polvere, che segretamente si stava infiltrando ovunque per cercare di prendere il comando della camera.

In mezzo a tutto ciò, stava il letto che, con una coperta metà su e metà giù e i cuscini dove capitavano, sembrava un enorme ferito di guerra.

Sbuffando, iniziò a lanciare incantesimi un po’ ovunque e, alla fine, tra pergamene volanti e calzini semi piegati, la rivolta sembrava domata, almeno per il momento.

Sfilandosi scarpe e mantello, che finirono ai piedi del letto, si stese, senza riuscire a smettere di sorridere.

Poco dopo, suo padre entrò per avvisarla che lui e Andromeda stavano uscendo e che sarebbero rincasati solo in tarda serata.

“Tu sei strana,  oggi”, constatò Ted, guardandola.

“Oh, scusami”, rispose Tonks. Strizzò gli occhi e i tratti del suo viso cambiarono, tornando quelli che tutti erano soliti vedere, poi toccò ai suoi capelli che dal nero virarono al rosa. “Meglio?”

L’uomo ci pensò qualche secondo, “No. Hai qualcosa di diverso. Senza contare che stai sorridendo da quando sei entrata.”

“Dovrei piangere?”, chiese la ragazza, ironicamente.

“Ci mancherebbe”, rispose, “E solo che… cos’è successo mentre sei stata fuori?”

Tonks non capì. “Cosa deve essere successo? Sono andata al Ministero e poi all’ospedale. Non sono posti poi così allegri o dove può succedere chissà cosa.”

“Ed è proprio per questo che mi chiedo cosa, quale pensiero, ti faccia sorridere così.”

“Assolutamente nessuno.”

“Tu non me la racconti giusta. Comunque ora vado, se arriviamo in ritardo tua madre non me la perdona.” Le diede un bacio sulla fronte, poi uscì.

Ninfadora non riuscì a comprendere le parole del padre, ma su una cosa l’uomo aveva ragione, era diversa. Non sapeva nemmeno lei bene il perché, ma era felice.

E se essere diversa significava sentirsi così, beh, non le dispiaceva per niente.

 

 

 

 

 

 

  
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