In primo luogo
ringrazio Nisi Corvonero per avermi betato
la storia. Grazie mille!
La
fanfiction ripercorre un po' tutto il quinto libro
fino a pochi giorni prima che alcuni membri dell'ordine andassero a prendere
Harry alla stazione.
All'inizio
doveva essere una oneshot, ma è venuta più lunga del
previsto, così ho deciso di divederla in tre parti.
Buona
lettura!
PARTE PRIMA
“Feccia,
luridi ibridi, fuori da casa mia!”
Le urla
della signora Black si levarono in seguito al rumore provocato dalla caduta del
grosso portaombrelli nel corridoio che portava alla cucina di Grimmauld Place
N° 12.
Come
sempre, Sirius uscì correndo e imprecando contro sua madre o l’immagine che di
lei era rimasta impressa sulla tela. Con uno sforzo non indifferente riuscì a
chiudere le tende, dietro le quali, con un incantesimo di adesione permanente,
stava il ritratto di Walburga Black; con qualche altro Schiantesimo riuscì a
mettere nuovamente tranquilli anche gli altri quadri presenti che avevano preso
ad urlare, animati dal suono della voce della loro precedente padrona.
Scostandosi
un paio di ciocche dal volto e assicuratosi che tutto fosse tranquillo, Sirius
si girò verso la causa scatenante dell’Apocalisse nel corridoio di casa sua.
“Tonks”, la
chiamò in tono serio.
La ragazza,
che aveva appena rimesso a posto l’enorme zampa di Troll, era appoggiata con le
mani dietro la schiena contro la parete del corridoio e guardava
insistentemente il suo piede sinistro disegnare piccoli cerchi sul pavimento.
“Sai”,
continuò lui, “Quando sento dei rumori, sono solito chiedermi chi è entrato in
casa…”
La ragazza
lo guardò negli occhi, amareggiata, e in cambio ricevette un sorriso.
“Chissà
perché, indovino sempre quando arrivi tu!”
Una volta
entrati in cucina, Sirius si diresse verso il lavello e, riempito un bricco
d’acqua, lo mise a scaldare sul fuoco. Sorpreso dal silenzio che c’era intorno
a lui, si girò per controllare che Ninfadora fosse ancora nella stanza.
“Come mai
così silenziosa?”, le chiese.
Le sue
parole non furono nemmeno prese in considerazione dalla ragazza che, con il
mento appoggiato sul palmo della mano, fissava insistentemente un angolo della
stanza.
“Tonks!”,
la chiamò, senza trarne alcun risultato; solo al secondo tentativo riuscì a
catturare la sua attenzione.
“Che…
Sirius!”, urlò le di rimando, “L’acqua!”
L’uomo si
girò di scatto e corse a togliere il bricco dal fuoco.
Qualche
minuto dopo si trovarono seduti, uno di fronte all’altro, intenti a soffiare
nelle tazze che tenevano in mano, nel tentativo di raffreddare il tè
A separarli
c’era solo il lungo tavolo di legno della cucina con sopra un piatto di
biscotti lasciati, probabilmente, da Molly.
“Allora?”,
chiese Sirius, “Che cosa stavi fissando con sguardo così beato, prima?”
Tonks alzò
gli occhi da dietro il bordo della tazza dalla quale aveva iniziato a
sorseggiare la bevanda e con un cenno della testa indicò la mensola posta a sinistra
della credenza, alle spalle dell’uomo.
Lo sguardo
del padrone di casa si posò, prima sull’oggetto di interesse e poi sulla
ragazza, per un paio di volte.
“Da quando
ti interessi di botanica?”, le chiese, alzando un sopraciglio.
“Non mi
interesso di botanica”, rispose, “Solo guardavo la tua Fluxmoon.”
“Fluxmoon?”,
chiese incerto, “Credevo si chiamasse Fluxweed.”
“Oh, scusa,
hai ragione, è Fluxweed. È inammissibile, come dopo quasi sette anni io abbia
ancora in testa questo stupido nome.” L’ultima frase era sta più una
constatazione personale, ma aveva commesso l’errore di dirla ad alta voce.
“Sette
anni? Stupido nome?” Ripeté Sirius, incuriosito.
Tonks lo
guardò per qualche secondo, incerta se soddisfare o meno la sua curiosità.
“Non è
nulla di che”, disse.
“Dopo che
ho passato quasi metà della mia vita ad Azkaban, anche il nulla di che, si rivela interessante, credimi.”
La ragazza
si convinse e dopo essersi presa il tempo necessario per cercare le parole più
adatte, iniziò, con finta noncuranza, a raccontare l’accaduto.
“Quarto
anno.”
“E fino a
qui ci siamo.” La interruppe l’uomo, guadagnandosi un’occhiataccia da parte
della sua interlocutrice.
“Quel
giorno, la professoressa Sprite stava spostando delle piante all’esterno della
serra”, iniziò a spiegare Tonks, “Io e il mio ragazzo dell’epoca ci siamo
fermati ad osservarle ed abbiamo iniziato una specie di sfida a chi indovinava
più esemplari, un passatempo un po’ stupido, se vogliamo, come un altro. Poi,
puoi facilmente immaginare cosa è successo.”
“Avete
fatto sesso?”
“Sirius! Lo
riprese lei, non riuscendo a mascherare una punta di divertimento nel tono
della voce.
“Che c’è?
Io lo avrei fatto! Anzi…”
“Non – lo –
voglio – sapere!” Lo interruppe, scandendo bene le parole.
“Scusa,
continua.”
“Ad un
certo punto siamo arrivati davanti a questa famigerata pianta e nessuno di noi due
si ricordava il nome. Svariati tentativi dopo, memori del fatto che la suddetta
avesse qualcosa a che fare con la luna, il mio ragazzo ha esordito,
soddisfatto, dicendo: Fluxmoon!”
“Tutto
qui?”
“No. Dietro
di noi, in quel momento, era comparsa la Sprite… Inutile dire che se l’è un
pochino presa, perché avevamo sbagliato il nome di una pianta a dir poco
elementare e quindi: cinque punti in meno!
Inutile dire che gli ho ricordato questo episodio fino alla fine della nostra
storia.” Si fermò qualche istante. “Altri due mesi, se non erro”, concluse.
Sirius
sembrò contemplare le parole della ragazza, non molto soddisfatto
dell’aneddoto.
“Sai”,
esordì, “Ho fatto arrabbiare poche volte, rispetto agli altri professori, la
Sprite. Ma quelle poche volte, devo dire che mi ha dato soddisfazione. Certo,
non come quello che ti ho detto prima.” Ghignò.
La giovane
Auror iniziò a ridere.
“Allora”,
riprese l’uomo, “Parlami un po’ di questo ormai famoso Ex”, la esortò, sistemandosi più comodamente sulla sedia.
“Ma è una
cosa che risale a sette anni fa!”
Lui alzò le
spalle, continuando a fissarla, in attesa che iniziasse a parlare.
“Io
preferirei rimuovere quanto accaduto, ma se insisti, te lo dico.”
“Insisto.
Come mai, rimuovere?”
“Perché è
stata una storia stupenda, nonostante fossi giovane, finita molto male, almeno
da parte mia.”
“Cosa è
successo?”
“Si è
rivelato uno pronto a lanciarsi tra le braccia della prima venuta. L’ho
sorpreso con un ‘altra. Appena li ho visti, sono corsa via. Non l’ho più voluto
vedere e ho bruciato tutte le lettere che mi ha spedito successivamente.”
“Non lo hai
rivisto nemmeno l’anno dopo, a Hogwarts? Non gli hai chiesto spiegazioni?”
Tonks
sospirò.
“No, lui
era al settimo anno e il tutto è successo a due giorni dalla fine della scuola.
Poi, scusa ma, non tutte le domande necessitano una risposta. Soprattutto
quando questa è evidente! Men che meno chiedersi cosa ci facesse la bocca di
Emily Brandon su quella del mio ragazzo. La cosa mi pare ovvia.” Il tono stava
iniziando a farsi più duro quindi, Sirius pensò fosse
saggio cambiare discorso al più presto.
“Credo tu
abbia ragione. Comunque questa pianta l’ha portata Molly. Ha detto che serviva
un po’ di colore in questa casa; in più è uno degli ingredienti che servono per
preparare la pozione Polisucco.”
In
silenzio, i due finirono di sorseggiare il loro té
poi, Sirius, con un colpo di bacchetta, fece spostare le due tazze nel lavello
e con un incantesimo d’appello chiamò a sé l’oggetto del loro discorso,
posandola al centro della tavola dove prima stava il piatto dei biscotti, ormai
vuoto.
Proprio in
quel momento fece il suo ingresso in cucina la signora Weasley che portava con
sé due enormi borse.
“Fatto
spesa, Molly?”, chiese ironicamente Sirius, guardandosi bene dall’alzarsi per
aiutarla.
Quando,
finalmente, ebbe finito di sistemare la roba che aveva appena portato e si
sedette intorno al tavolo con gli altri due, quasi inorridì.
“Sirius”,
lo rimbeccò, “Mi pareva di averti detto che questa pianta ha bisogno di luce,
cosa ci fa qui?”
Senza
aspettare una risposta la donna prese il vaso e uscì dalla stanza borbottando
che sarebbe andata a riporla nella camera del padrone di casa, visto che era la
più luminosa.
Quando
Molly fece ritorno non era più sola. Con lei c’era il suo figlio maggiore,
William, appena rientrato dal lavoro.
“Tutto
bene?”, chiese quest’ultimo, dopo aver salutato.
Sirius
annuì, mentre Tonks si alzò di scatto, “Sì, è tutto ok, Sirius, ti dispiace se
vado di sopra qualche minuto? Devo proprio finire un lavoro.”
“Prego.”
Nell’alzarsi
le era caduta, dalla tasca interna dl mantello, la sua bacchetta che William si
apprestò prontamente a raccogliere.
“Grazie”,
rispose quasi in tono brusco Tonks prima di uscire.
Bill continuò
a fissare, perplesso, la porta anche alcuni secondi dopo che questa si fu
chiusa.
Qualcun
altro, invece, osservò tutta la scena che gli si era presentata davanti con un
ghigno soddisfatto stampato in volto.
Una volta
entrata nel soggiorno al piano superiore si guardò intorno e come le poche
altre volte che era entrata in quella stanza il suo interesse si era rivolto
principalmente all’arazzo che si estendeva lungo tutta una parete, raffigurante
l’albero genealogico della famiglia Black.
Una ventina
di minuti dopo dei rumori alle sue spalle le fecero intuire che qualcuno
l’aveva raggiunta.
Si girò
appena per controllare: Sirius.
“È ancora
qui”, disse Tonks, avvicinandosi e iniziando a far scorrere una mano
sull’arazzo.
“Suppongo
ci resterà ancora per molto tempo”, le rispose in modo sconsolato. “La mia cara
genitrice ha pensato di lasciare molte tracce indelebili sue e di tutta la
famiglia in questa casa”, sospirò. “Compreso il suo ritratto. Hai presente?
Quello che tu riesci a far risvegliare ogni volta che entri in questa casa.”
L’ultima frase fu detta in tono ironico, poi l’uomo si avvicinò alla ragazza,
che aveva ancora lo sguardo posato sulla parete e la sua mano destra, ora,
stava percorrendo la sottile linea dorata che dalla bruciatura tra le due sorelle
Black, Bellatrix e Narcissa, arrivava
fino a quelli che, teoricamente, avrebbero dovuto essere i suoi nonni.
“Non
capisco come mai tu ne rimanga affascinata ogni volta che lo vedi.”
“Sai, non
so quasi nulla sulla famiglia di mia madre. A lei non piace parlarne. ”
Finalmente si girò a guardare Sirius.
“Tu, non
dovevi finire una cosa?”
La ragazza
alzò le spalle. “E tu, cosa ci fai qui?”
“Sono
venuto a dirti che Silente è arrivato. Manca solo Malocchio, ma sarà qui a
minuti.”
Insieme si
avvicinarono alla porta e prima di uscire, l’Animagus la guardò negli occhi,
“Proprio non riesci a fartelo piacere, eh?”
Tonks
abbassò lo sguardo. “Oh… dici che si nota?”
“Ogni volta
che Bill entra in una stanza, tu esci. Gli rispondi in modo brusco. Lo eviti…
sì, direi di sì.”
“Cosa fate
fermi sulle scale? La riunione non è già iniziata?”, ringhiò Moody dal piano
sottostante. Doveva essere arrivato in quel momento e grazie al suo occhio magico
poteva vedere anche attraverso le pareti.
“Credo
comunque che dovresti cercare di essere un po’ più… tollerante”, concluse l’Animagus, iniziando a scendere le scale.
Il vecchio
Auror li aspettò all’ingresso della cucina e insieme entrano. La riunione
dell’Ordine della Fenice poteva avere inizio.
Una volta
terminata uno ad uno i membri se ne andarono; rimasero solamente Sirius, i
signori Wasley, Bill, Tonks e Lupin; lui in realtà viveva lì, ma stava spesso
fuori per lunghi periodi a svolgere missioni per conto dell’Ordine.
Mentre
Molly si stava legando il grembiule in vita, per preparare la cena, Sirius
passò al fianco di William dandogli una gomitata e chiedendogli,
scherzosamente, come andassero le ripetizioni di inglese, facendolo arrossire
leggermente.
“Procedono”,
borbottò quest’ultimo alzandosi poi per aiutare la madre che, nel frattempo, si
era messa ai fornelli per preparare la cena.
Quella
sera, Bill aveva provato un paio di volte ad intavolare una conversazione con
Tonks, ma in cambio aveva ricevuto solamente risposte monosillabi o alzate di
spalle.
Adesso, al
caldo, sotto la spessa coperta di lana del suo letto, non riusciva ad
addormentarsi: la sua mente era invasa da un milione di domande alle quali
aveva sì e no un paio di risposte. Ma nessuna certezza.
In più, non
gli andava di essere trattato superficialmente da Tonks.
Da quando si erano rivisti, dopo che anche lei era entrata a far parte
dell’Ordine della Fenice, non gli aveva quasi mai rivolto la parola e la cosa
gli dava fastidio. In particolare, lo irritava parecchio non sapere il motivo
del suo comportamento. Tra i due, se c’era qualcuno che doveva essere
arrabbiato, quello era lui.
Comunque, quella situazione doveva finire, non tanto per lui, ma per la buona
riuscita della loro missione: c’erano già Piton e Mugundus che contribuivano a creare dissapori inutili, non
ne servivano altri. Loro, per sconfiggere Voldemort,
dovevano essere un gruppo il più unito possibile.
_.-°-._.-°-._.-°-._.-°-._.-°-._.-°-._.-°-._.-°-._.-°-._.-°-._.-°-._.-°-._.-°-._.-°-._.-°-._.-°-._.-°-._.-°-._.-°-._.-°-._
La giornata
non era iniziata nel migliore dei modi per Ninfadora. Oltre ad essere
estremamente in ritardo, appena entrata in ufficio aveva trovato sulla sua
scrivania un elenco di cose da fare lasciata dal suo capo; si trattava di
compiti estremamente noiosi che, in teoria, avrebbe dovuto svolgere lui ma,
vista la sua posizione, poteva permettersi di delegare ai suoi sottoposti.
La lista
comprendeva, tra le altre cose, andare in copisteria per stampare volantini su
persone ricercate e questo significava litigare con il signor Hollis per la
scelta del carattere, per la dimensione della foto e su vari ornamenti da
aggiungere al foglio che, ovviamente, facevano aumentare vertiginosamente i
costi.
Era una
gran brava persona ed anche uno dei migliori copisti di Londra, ma aveva un
estro artistico represso.
Un’altra
cosa da fare era quella di passare ad interrogare due persone che sostenevano
di aver avvistato Sirius Black: se solo avessero saputo che lei lo aveva visto
solo qualche giorno prima e aveva cenato con lui.
In fondo
alla lista, ma non meno pesante: passare in banca.
Sconsolata
posò nuovamente il pezzo di pergamena sulla scrivania con uno sbuffo,
suscitando una breve risata di Kingsley che aveva assistito a tutta la scena.
“Coraggio”,
le disse, “Questi compiti sono toccati a tutti. Prima inizi e prima finisci.”
Emettendo
un suono non proprio entusiasta, Tonks uscì dall’ufficio.
Decise di
andare prima a sentire le persone che dicevano di aver avvistato Sirius Black.
Sapeva
benissimo che era una perdita di tempo, ma mai avrebbe pensato ad una cosa
così. I due, esattamente una coppia di fidanzati che avranno avuto circa una
decina d’anni in più di lei, sostenevano infatti di averlo visto lavorare nella
fattoria di un Babbano nei dintorni di Stevenage.
Più
cercavano di convincerla che quello che avevano visto era vero, più si
contraddicevano a vicenda, tanto che Tonks si vide costretta ad andarsene
quando, ad un certo punto, i due, scoperti, avevano iniziato a litigare dandosi
la colpa l’un l’altro.
Dal signor
Hollis non andò meglio del solito. Questa volta si era impuntato sul fatto che,
intorno alla fotografia del ricercato, non poteva non esserci una cornice
creata con catene vere e che il nome del malvivente, scritto in corsivo,
sarebbe stato sì più difficile da leggere, ma avrebbe reso il volantino più
piacevole alla vista.
Come ultima
commissione, Tonks si era riservata la Gringott.
L’operazione
che doveva effettuare non era molto complicata, ma quando capita un’addetta che
non parla bene la lingua e che non distingue un timbro dall’altro, le cose
vanno per le lunghe.
“Grazie e
arrivederci”, disse infine la ragazza,
felice, almeno, per aver terminato i suoi lavori prima della pausa
pranzo.
“Ciao,
Tonks!”
Quando
ormai era vicina alla porta, si sentì chiamare.
“Ciao,
Bill!”, rispose girandosi.
Se c’era
una persona che voleva evitare, quella era proprio William.
Si
trovarono faccia a faccia, ma nessuno dei due riuscì a sostenere lo sguardo
dell’altro.
“Come va?”,
chiese lui.
“Mattinata
noiosa”, rispose nei migliore dei modi possibili, Tonks, memore delle parole di
Sirius. “Tu?”
“Tutto come
sempre.”
In quel
momento, l’impiegata che prima l’aveva servita uscì da dietro lo sportello per
andare a prendere sotto braccio il ragazzo.
Spiazzato e
completamente impreparato a quell’evento, Bill le presentò.
“Ciao!”,
salutò un’allegra Fleur. “Tu dois essere un amica di Bill. Lavoro da poco, sai,
sono qui per migliorooore il mio engleeese.”
“Capisco”,
rispose Tonks. “È stato un piacere conoscerti, ma devo proprio andare!” Cerco
d’ affrettare le cose senza sembrare troppo sgarbata. Salutò entrambi con il
sorriso sulle labbra e uscì.
Ma, appena
fuori si sentì bloccare per un braccio.
“Aspetta!”,
la fermò Bill, “Penso proprio che io e te dobbiamo parlare.”
Adesso
quella spiazzata era lei.
“Senti”,
continuò lui, “Ci sono tante cose di cui dobbiamo discutere, ma quello che al
momento mi preme di più è il modo in cui mi tratti. Io penso che dovremo
cercare di andare più d’accordo, almeno per l’Ordine. Poi, una volta finito
tutto questo, potrai anche non rivolgermi mai più la parola, se ti do così
fastidio!”
Tonks abbassò lo sguardo.
“Anche se
devo ancora sapere cosa ti ho fatto. E quando vorrai darmi spiegazioni, io ci
sarò. Anzi, te ne sarei estremamente grato.” Il suo tono era brusco.
“Credo
proprio tu abbia ragione. L’Ordine prima di tutto.”
Nel bel
mezzo della discussione, Fleur era uscita e aveva raggiunto Bill, prendendolo come
prima sotto braccio.
“Mi
servereeebbe il tuo… aide… secours…” si intromise pronunciando incerta le
ultime due parole.
Il ragazzo
sospirò. “Aiuto Fleur, si dice aiuto.”
“Oh, tres
bien. Aiuto. Mi serverebbe il tuo aiuto.”
“Scusami
Tonks, devo rientrare.”
“Non ti
preoccupare, capisco. Beh”, rispose l’Auror, “Buona giornata.”
Fleur la
salutò con la mano e insieme al ragazzo rientrarono dentro la Banca.
“Oh sì,
passa una buona giornata, con Fleur e il suo engleeese!”, borbottò, appena
prima di smaterializzarsi.
Di tutte le
cose che potevano capitarle quella mattina, l’ultima era stata la peggiore. Non
solo il primogenito di Molly e Arthur non le andava a genio, ma anche la sua
neo fidanzata era insopportabile. Di bello avevano che si assomigliavano molto.
Tonks
rientrò in ufficio sbuffando. Non riusciva proprio a farsela piacere, con
quella sua aria perfetta da bravo ragazzo, sempre gentile ed educato con tutti,
pensava sempre la cosa giusta e sapeva benissimo quali erano le sue priorità,
cosa che la ragazza aveva constatato poco prima.
“Deduco che
Hollis ti abbia dato più da fare del solito.”
“No”,
rispose sedendosi dietro la sua scrivania, “Hollis non ha quasi colpe stavolta,
Kingsley.”
“Strano”,
rispose il mago, “Dalla tua faccia non si direbbe.”
“Oh, non
farci caso”, disse Tonks estraendo un sacchetto dalla sua scrivania, “Brutti
incontri in Banca. Per il resto tutto normale.”
Kingsley la
guardò stranito, mentre cercava di togliere il suo panino dall’involucro. Non
capiva assolutamente a cosa si stesse riferendo la ragazza, ma pensò fosse
meglio non chiedere e si rimise a lavorare.
Mentre
pranzava, Tonks ripensò alle parole di Bill e poi anche a quelle di Sirius.
Dopo averle soppesate a lungo decise che da quel giorno le cose sarebbero
cambiate. In fondo avevano ragione tutti e due: dovevano andare d’accordo per
il bene dell’Ordine, già c’erano troppe persone che rovinavano l’armonia.
Non fu una
cosa facile da mettere in atto ma, lentamente, nel giro di un paio di mesi, la
situazione tra di loro migliorò notevolmente.
Ora lei non
rispondeva più a monosillabi, ma utilizzava intere frasi e più passava il
tempo, più il suo tono era calmo e, a suo modo, gentile.
Una sera, agli
inizia di Dicembre, alla fine dell’ennesima riunione, a Grimmauld
Place erano rimasti solo, oltre ovviamente a Sirius, Remus e Tonks che con la
bacchetta aveva appena fatto volare due pezzi di legna nel camino.
“Si sente
che l’inverno è alle porte.”
“Già,
chissà se nevicherà quest’anno”, le rispose Remus.
“Non penso”, intervenne Sirius, “Per ora i
controllori del tempo dicono solo che sarà un inverno molto freddo.”
Per qualche
secondo si sentì solo lo scoppiettare del legno nel camino poi, di punto in
bianco, il padrone di casa guardò la giovane Auror,
sorridendo per poi voltarsi verso l’amico.
“La piccola
Ninfadora sta crescendo, Lunastorta. Te ne sei accorto anche tu?”, ghignò.
Remus parve
non capire così si girò verso la diretta interessata che, prima fulminò con lo
sguardo il cugino, “Non chiamarmi Ninfadora!” lo
rimbeccò, poi scosse la testa.
“Non hai
notato anche tu, che adesso riesce ad intrattenere una conversazione civile con
Bill?” Sirius fece finta di non aver sentito le ultime parole della ragazza.
“Scemo!”,
rispose Tonks.
“Ho
notato”, diede corda il Licantropo.
“Sono
contento che tu abbia preso la decisione giusta”, continuò Sirius assumendo un
tono serio, “In fondo mi pareva stupido trattare male una persona solamente per
la sua apparenza. Soprattutto se non ti piaceva perché era gentile ed educato.”
Rise nuovamente. “Neanche ti avesse fatto qualcosa.”
Tonks lo
guardò torva poi sbuffò. “Ci siamo parlati”, spiegò, “Ed in effetti, trovo
giusto mantenere un comportamento civile nei suoi confronti.”
“Comunque è
una persona piacevole con cui parlare”, intervenne Remus, poi entrambi gli
uomini guardarono la ragazza.
Dopo un
attimo di indecisione, Tonks annuì, “Non è poi così male”, ammise.
Altri
minuti di silenzio e altri due pezzi di legna nel camino.
Le
successive ore, i tre, le trascorsero, a discutere di Harry e della profezia
contenuta nella sezione misteri della quale lui, secondo Silente, non doveva
venire a conoscenza, e per la felicità di Ninfadora,
nessuno dei due era più tornato su argomento Bill.
_.-°-._.-°-._.-°-._.-°-._.-°-._.-°-._.-°-._.-°-._.-°-._.-°-._.-°-._.-°-._.-°-._.-°-._.-°-._.-°-._.-°-._.-°-._.-°-._.-°-._
Ancora non
riusciva a crederci. Era seduta, ormai da dieci minuti buoni, in un corridoio del
San Mungo e davanti a lei c’era un irrequieto Moody che camminava nervosamente
avanti e indietro; ogni tanto si fermava e puntava il suo occhio magico verso
il muro, dove dietro c’era la stanza adibita al primo soccorso e alla
rianimazione.
Nemmeno
un’ora prima, i due maghi, avevano finito il loro turno di pattuglia e si
stavano apprestando a rientrare, quando un Patronus aveva portato loro un
messaggio dicendogli di correre immediatamente al Ministero.
Al loro
arrivo avevano trovato Arthur Weasley, il marito di Molly, riverso in una pozza
di sangue in un corridoio della sezione misteri.
Immediatamente,
Moody si era precipitato a vedere se era ancora vivo e successivamente, con
l’aiuto di Tonks, lo avevano trasportato d’urgenza all’ospedale.
Sarebbe
stato meglio chiamare dei guaritori, ma per una situazione del genere non
avrebbero saputo che scusa trovare: un impiegato del ministero, ferito a morte
nel suo luogo di lavoro, da non si sa chi e in piena notte. Assurdo, almeno per
delle persone non a conoscenza della reale situazione.
Tanto
nessuno sarebbe stato, successivamente, a conoscenza della verità, visto che
qualunque cosa mettesse in ombra le istituzioni veniva insabbiata o screditata.
Ci fu
solamente un problema: un giovane assistente andato dai due maghi per raccogliere
informazioni sull’accaduto, un ragazzo alle prime armi, preciso e zelante nello
svolgimento dei suoi compiti, che venne mandato via, in maniera non proprio
carina da Malocchio.
Adesso i
due Auror stavano aspettando l’arrivo di Molly e delle notizie dai guaritori
che, però, non accennavano ad uscire da quella stanza.
A quell’ora
di notte non c’era nessuno in giro per i corridoio dell’ospedale e l’ambiente
era pervaso da un tetro silenzio che contribuiva, insieme alle luci soffuse che
si riflettevano sui muri bianchi, ad aumentare la tensione. Un rumore di passi,
ad un certo punto, attirò l’attenzione di Tonks.
Bill stava
avanzando verso di loro con passo svelto seguito, appena dietro madre.
Aveva lo
sguardo sconvolto, era pallido e alcune gocce di sudore sulle tempie erano
indice del fatto che avesse corso o fatto le cose di fretta.
Nelle
stesse condizioni, ma molto più agitata, appariva Molly.
“È ancora
vivo”, disse Moody ai due prima ancora che chiedessero qualcosa, “Però ha perso
molto sangue e noi non sappiamo per quanto tempo sia stato la sotto.”
Tonks si
alzò, lasciando la sua sedia alla donna che scoppiò in lacrime.
Proprio in
quel momento uscì un guaritore.
“Vivo, è
vivo. Stiamo facendo tutto quello che è in nostro potere per salvarlo. Le
prossime ore saranno decisive.”
Non appena
il guaritore se ne fu andato, Moody andò dritto da Silente a riferirgli le
ultime novità.
Bill, che
cercava in tutti i modi, inutilmente, di dire a sua madre che sarebbe andato
tutto per il meglio, ad un certo punto, staccandosi dal suo abbraccio le disse
di andare a mandare una lettera ai suoi fratelli, che di sicuro erano in
pensiero.
“Almeno
così si distrae per qualche minuto”, disse il ragazzo appoggiandosi con un
braccio al muro.
Era
sconvolto e preoccupato, ma non voleva darlo a vedere. Tra lui e sua madre,
quello più forte era sicuramente lui, e doveva darle sicurezza.
Vedendolo
sempre più agitato e nervoso, Tonks gli si avvicinò.
“Bill”, lo
chiamò sussurrando il suo nome. Il ragazzo parve risvegliarsi improvvisamente.
“Stai
tranquillo, andrà tutto per il meglio.”
Al suono di
quelle parole il ragazzo esplose. “No! Non capisci! Non andrà bene nulla! Non
sta andando bene!”, urlò.
“Non dire
così! Non è mica morto!”, lo rimproverò.
“Non
ancora.” Bill si era calmato improvvisamente, “È solo questione…”
“Zitto!”
Questa volta ad urlare fu Tonks. “Non dirlo nemmeno per scherzo.” Lentamente lo
spinse verso la sedia e lui accolse il suo invito e si sedette.
“Non farti
un contro incantesimo prima di essere colpito”, disse delicatamente,
accucciandosi davanti a lui.
Il ragazzo
sospirò e si prese la testa tra le mani.
Qualche
secondo dopo Molly ricomparve in fondo al corridoio.
“Ho mandato
la lettera”, disse una volta vicino, prima di tornare dal figlio, che nel
frattempo si era alzato nuovamente, e abbracciarlo.
“Stai
tranquilla, mamma, andrà tutto bene”, le disse in tono dolce.
“Scusate.”
Un guaritore era apparso davanti a loro. “Il Signor Weasley sta reagendo bene
alle cure. Non posso ancora dire che sia fuori pericolo con certezza, ma c’è
stato un notevole miglioramento”
Dopo quella
notizia, i due membri della famiglia Weasley sembrarono un po’ più rincuorati e
fiduciosi. Anche Tonks era più sollevata e quando il Guaritore sparì
nuovamente, decise di ritornarsene a casa e di lasciare soli madre e figlio.
Quelle
poche ore che la separarono dal rientro a casa al suono della sveglia non
riuscì comunque a prendere sonno.
Prima di
andare al lavoro passò al San Mungo per vedere se Arthur era migliorato.
Arrivata
dal solito corridoio trovò Bill davanti alla porta. Sapeva che lo avrebbe
visto, non sapeva perché; sesto senso, forse. Andò da lui porgendogli un
bicchiere.
“Caffè?”
Il ragazzo si
girò di scatto.
“Oh, ciao”,
rispose prendendo il contenitore che gli veniva offerto.
“Allora,
come sta?”, chiese leggermente titubante, Tonks.
Bill
sospirò. Aveva due enormi occhiaie sotto agli occhi, ciocche di capelli che
uscivano dalla sua abituale coda e i vestiti leggermente stropicciati, segno di
chi aveva dovuto passare una notte in bianco, magari seduto su una scomoda
sedia.
“È fuori
pericolo”, disse infine.
Il volto di
Tonks si distese in un sorriso.
“Adesso lo
stanno medicando, nuovamente. Non riescono a fermare l’emorragia.”
“Questo non
è bello…”
“No, il
veleno del serpente che lo ha morso deve contenere delle sostanze strane. Ma
adesso hanno detto che, dopo averlo analizzato, troveranno sicuramente un
rimedio. Speriamo…”
“Serpente?”
“Sì, papà è
stato aggredito da un serpente.”
“Potete
entrare. Vi avverto, però, che si è appena riaddormentato”, disse un Guaritore
uscendo dalla stanza e lasciando la porta socchiusa.
“Senti”,
iniziò Tonks un po’ titubante, “Se per caso doveste aver bisogno di aiuto, per
qualunque cosa, io ci sono. Ok?”
“Pensavo di
non starti simpatico”, la stuzzicò il ragazzo, molto sorpreso dall’offerta.
“Non è
vero, e lo sai. Solo, non si può rimanere arrabbiati per sempre. E tu questo lo
hai saputo mettere in pratica meglio di me.” Gli sorrise. “Ora devo andare al
lavoro.”
Con un
cenno della mano lo salutò per poi avviarsi verso l’uscita.
“Tonks!”,
si senti chiamare, improvvisamente.
“Grazie di
tutto!”
I figli del
signor Weasley e Harry andarono a trovarlo durante la pausa del mezzogiorno
insieme a Tonks e Malocchio che, una volta che Arthur ebbe salutato i suoi
figli, restarono da soli con lui per discutere di affari riguardanti l’Ordine
che i ragazzi, per ovvie ragioni, non dovevano sentire.
Tutta la
famiglia Weasley, esclusi Percy e Charlie, sempre seguiti da Harry e questa
volta anche da Hermione, ritornarono al San Mungo qualche giorno dopo, scortati
da Lupin e dal figlio maggiore di Molly.
Non appena
il signor Weasley disse alla moglie dei punti
di sutura, la sua stanza si svuotò improvvisamente. Il primo ad andarsene
fu Bill, borbottando qualcosa a proposito di un tè, seguito dai Gemelli. Lupin
era andato a parlare con il compagno di stanza di Arthur e i restanti, Harry,
Ron, Hermione e Ginny, resistettero qualche secondo in più degli altri, ma poi
scapparono anche loro.
Nell’andare
verso il quinto piano, dove si trovava la sala da te, Bill incrociò una
ragazza, vestita con dei jeans strappati
sul ginocchio e una felpa, più grande di due taglie rispetto alla sua, di un viola
scuro e i capelli corvini raccolti in una coda di cavallo.
Quando le
fu davanti, senza darle il tempo di parlare, la prese per le spalle facendola
girare nella sua direzione di marcia.
“Vieni,
fidati, è meglio che tu non vada in quella direzione.”
La giovane,
stupita, lo seguì senza fare storie, leggermente perplessa dalle parole del ragazzo.
I gemelli,
qualche metro dietro, iniziarono a sghignazzare e a fare battutine, almeno fino
a quando non presero l’ascensore con il fratello. Quando la ragazza li vide, li
salutò calorosamente.
“È già di
famiglia”, disse il più sotto voce possibile, Fred, per non farsi sentire da
Bill, dopo aver risposto al saluto di quella che, per loro, era una perfetta
sconosciuta. O almeno così credevano.
Il commento
non passò inosservato, ma nessuno disse nulla.
Arrivati al
quinto piano si sedettero intorno al tavolo e ordinarono un tè caldo.
Nell’attesa
che la cameriera tornasse con le loro ordinazioni, Fred e George iniziarono a
spostare lo sguardo da Bill alla ragazza, aspettando che qualcuno li
presentasse.
Accortosi
della cosa, il maggiore dei tre fratelli presenti scosse la testa sconsolato.
“Non ditemi
che non l’avete riconosciuta”, disse infine.
I gemelli
scossero la testa e la ragazza, seduta di fronte a loro, dopo essersi guardata
furtivamente intorno, strizzò gli occhi in un’espressione concentrata e cambiò
la forma del suo naso.
“Ah, Ton…”
“Zitto!”,
lo intimò Bill dandogli un calcio da sotto la tavola “È meglio che nessuno
sappia che è qua, nel caso ci fossero dei dipendenti del ministero che ci
stanno tenendo d’occhio. Potrebbe finire nei guai.”
“Davvero
non mi avevate riconosciuta?”, chiese Tonks divertita.
“Sinceramente?
Proprio no”, le rispose George, “Ma tu come hai fatto a riconoscerla subito?”
Si rivolse al fratello. “Insomma, non è facile riconoscerla quando fa delle
metamorfosi.”
Il ragazzo
sorrise, “Occhio allenato”, spiegò.
“Ma ditemi,
come mai non posso andare a trovare vostro padre?”, si intromise la
Metamorfomaga.
I tre si
guardarono trattenendo a stento le risa.
“Perché
mamma è un po’ alterata”, sghignazzò Fred, “Papà ha voluto provare un rimedio
Babbano e… beh, sai come la pensa su queste cose.”
“Arthtur si
è messo veramente nei guai”, constatò Tonks, mentre prendeva in mano la sua
tazza di tè bollente appena portato dalla cameriera. Peccato, speravo di
salutarlo, prima di tornare a casa.” Lentamente iniziò a sorseggiare la bevanda,
facendo poi una smorfia di dolore quando, una volta messo in bocca, si accorse
che era troppo caldo.
Bill rise.
“Ah,
grazie. Io mi ustiono e tu ridi!”
“È che tu
hai sempre troppa fretta di bere”, spiegò, prima di toccare la tazza della
ragazza con la punta della sua bacchetta.
“Grazie!”,
disse infine Tonks, riprendendo a bere. “Caldo al punto giusto”, aggiunse poi.
L’incantesimo di raffreddamento era riuscito alla perfezione.
Anche i
gemelli, visto il fratello, vollero tentare di raffreddare il loro tè, ma con
scarsi risultati: la tazza di George divenne di ghiaccio e quella di Fred per
poco non esplose. I due sbuffarono, visibilmente contrariati da quella
ribellione momentanea dei loro incantesimi.
Questa
volta fu il turno di Tonks, sistemare le cose e riportare le bevande al loro
stato originale.
“Grazie”,
mormorarono simultaneamente i due ragazzi.
“Pensi che
tua madre si sia calmata?”, chiese, cambiando discorso.
“Non so, ma
non credo. Le ci vorranno parecchi giorni per smaltire la notizia e, forse,
solo la completa guarigione di papà potrà fargliela dimenticare.”
La ragazza sorrise per poi guardarlo. Si
fissarono per qualche secondo poi, Tonks si alzò.
“Credo sia
ora di andare.”
Nemmeno
dieci minuti dopo, Ninfadora si materializzò davanti alla porta di casa sua.
“Sono
tornata”, annunciò entrando.
Ted, seduto
sul divano, prima abbassò e poi richiuse il giornale che stava leggendo per
salutarla.
“Oh, ciao
tesoro. Come sta il signor Weasley?” La testa di Andromeda era sbucata da una
stanza adiacente alla sala.
“Non
saprei”, rispose Tonks sedendosi di fianco al padre, “Credo stia bene, ma
suppongo sia nei guai… ha provato a curarsi con rimedi Babbani e conoscendo
Molly, se Arthur non si riprenderà completamente, lo ucciderà lei stessa.” Finì
la frase ridendo.
Andromeda
annuì per poi tornare verso la cucina, da dove provenivano strani rumori: aveva
abbandonato una pozione a metà e questa ora stava iniziando a dare segni di
nervosismo da mancanza di Bezoar. Sua figlia, invece, andò in camera sua ad
indossare qualcosa di più comodo, seguita con sguardo curioso da Ted.
Entrando
nella stanza si mise le mani nei capelli: effettivamente, era qualche giorno
che non dava una sistemata alle sue cose e queste, per ripicca, avevano deciso
di scatenare la rivolta. In un angolo c’era quella delle calze, sopra la
scrivania quella delle pergamene e delle piume, per non parlare di quella degli
abiti, che prendeva un po’ tutto lo spazio; in più, c’era la polvere, che
segretamente si stava infiltrando ovunque per cercare di prendere il comando
della camera.
In mezzo a
tutto ciò, stava il letto che, con una coperta metà su e metà giù e i cuscini
dove capitavano, sembrava un enorme ferito di guerra.
Sbuffando,
iniziò a lanciare incantesimi un po’ ovunque e, alla fine, tra pergamene
volanti e calzini semi piegati, la rivolta sembrava domata, almeno per il
momento.
Sfilandosi
scarpe e mantello, che finirono ai piedi del letto, si stese, senza riuscire a
smettere di sorridere.
Poco dopo,
suo padre entrò per avvisarla che lui e Andromeda stavano uscendo e che
sarebbero rincasati solo in tarda serata.
“Tu sei
strana, oggi”, constatò Ted,
guardandola.
“Oh,
scusami”, rispose Tonks. Strizzò gli occhi e i tratti del suo viso cambiarono,
tornando quelli che tutti erano soliti vedere, poi toccò ai suoi capelli che
dal nero virarono al rosa. “Meglio?”
L’uomo ci
pensò qualche secondo, “No. Hai qualcosa di diverso. Senza contare che stai
sorridendo da quando sei entrata.”
“Dovrei
piangere?”, chiese la ragazza, ironicamente.
“Ci
mancherebbe”, rispose, “E solo che… cos’è successo mentre sei stata fuori?”
Tonks non
capì. “Cosa deve essere successo? Sono andata al Ministero e poi all’ospedale.
Non sono posti poi così allegri o dove può succedere chissà cosa.”
“Ed è
proprio per questo che mi chiedo cosa, quale pensiero, ti faccia sorridere
così.”
“Assolutamente
nessuno.”
“Tu non me
la racconti giusta. Comunque ora vado, se arriviamo in ritardo tua madre non me
la perdona.” Le diede un bacio sulla fronte, poi uscì.
Ninfadora
non riuscì a comprendere le parole del padre, ma su una cosa l’uomo aveva
ragione, era diversa. Non sapeva nemmeno lei bene il perché, ma era felice.
E se essere
diversa significava sentirsi così, beh, non le dispiaceva per niente.