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Autore: LittleWriter98    12/07/2013    0 recensioni
L’amicizia, oserei dire, è anche più importante dell’amore, perché quest’ultimo lega solo due persone, e non permette l’inserimento di nessun altro, mentre l’amicizia no. «L’amicizia vera tra due persone è quella che non si chiude in se stessa, ma che apre le porte anche ad altre persone»
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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LA SCOPERTA DI UN VALORE

 

«Alcuni cambiamenti sono così lenti che non te ne accorgi,
altri sono così veloci che non si accorgono di te»
[Ashleigh Brilliant]

 
Se guardo alle mie spalle, se osservo tutto ciò che succedeva prima del 10 settembre 2012, vedo una ragazzina che ormai non mi appartiene più, una ragazzina di quattordici anni con certezze che ora non ha più, una persona poco più che bambina – ma già fin troppo matura – che nonostante abbia pagato tante volte per i suoi errori, ancora continua imperterrita a commetterli, perché a suo parere non commette sbagli, ma, semplicemente, “lotta per l’onestà”.
Forse sono in errore io, adesso, che ormai non lotto più. So che è sbagliato, e so anche che così facendo non riuscirò mai ad affermarmi veramente nella vita, ma, purtroppo, quella ragazzina di quattordici anni l’ho abbandonata, e credo per sempre.
Ora che ne ho quindici, di anni, mi sto rendendo conto di quanto, in realtà, quest’età non me la senta per niente. Una mia professoressa, un giorno, mi disse che, per maturità, assomigliavo a una donna di quarant’anni, e forse ha ragione. Me l’hanno sempre detto, che per la mia età ero molto matura, ma solo adesso sto comprendendo il significato reale di questa espressione.
Ripensandoci, la ragazzina del “prima” me la sono portata dietro fino ad ottobre, anzi, oserei dire, fino a inizio novembre. A settembre, infatti, ho conosciuto un ragazzo, un meraviglioso ragazzo, e lei lo sa come vanno queste cose, no? Me ne sono innamorata, accidenti se me ne sono innamorata. Però quella ragazzina sapeva come gestire le cose, sapeva parlare, con naturalezza, anche se con quel po’ po’ di imbarazzo che è naturale avere. Sapeva scherzare, sapeva chiacchierare amichevolmente. Ma poi quella ragazzina si è spezzata, e ora non esiste più. E, paradossalmente, ora che sono “più grande”, ora che sono cresciuta, ho perso la capacità di comunicare, di relazionarmi con gli altri, non solo con gli estranei, ma – purtroppo – anche, a volte, con persone che conosco fin troppo bene.
Non so di preciso quando la ragazzina sia morta, ma so quando sono cresciuta ancora di più di quanto non fossi già “grande” allora, so quando sono passata, per dirla scherzosamente, dagli “spensierati trenta” ai “maturi quaranta” di cui ho parlato poco fa.
Era novembre, era martedì 20 novembre 2012, ed ero a scuola. Non era ancora suonata la prima campanella, io ero appena entrata in aula. Una mia compagna di classe, che da quel giorno sarebbe diventata la mia migliore amica, stava uscendo per andare in bagno, accompagnata da un’altra mia compagna. «Non mi sento bene», diceva.
Le seguii anche io, forse già allora le volevo bene, non ricordo. Le seguii in quel bagno, quella mattina maledetta. La mia futura migliore amica mi svenne tra le braccia. Sveniva e rinveniva, sveniva e rinveniva, e intanto diceva: «Lu’, non ci vedo, vedo tutti pallini neri, solo pallini neri che si muovono». Mi sembra quasi di vederla ancora, mi sembra quasi di sentire la sua voce. «Mi viene da vomitare, Lu’…Lu’, sto male».
Intanto l’altra mia compagna era tornata in aula, perché erano iniziate le lezioni. Non c’era nessuno con noi, nessuno che mi dicesse cosa diavolo stesse succedendo, nessuno che aiutasse me, ma soprattutto lei. Arrivò qualcuno, verso le otto e mezza, forse un’insegnante. Fece sedere la mia amica sulla sedia della bidella. Arrivò anche la nostra professoressa: prese un the per lei, e iniziò a farle domande su domande. Lei farfugliava, rispondeva confusamente, rispondeva cose assurde. Io cominciavo a preoccuparmi sul serio, ero in ginocchio vicino alla mia amica e le davo il the, lei beveva un po’ e poi smetteva. Le accarezzavo la mano, le ripetevo: «Stai tranquilla», ma io stessa ero diventata pallida come la morte, ero stata presa dal panico, io, che non perdo mai la testa.
Chiamarono l’ambulanza, e la mia insegnante mi ordinò di andare in aula. Io ero restia all’idea di lasciare la mia amica, ma la prof ripeté il suo comando, e dovetti ubbidire. Non mi ero nemmeno seduta al mio banco, che scoppiai in lacrime. Erano circa le nove, e in aula c’era una confusione tremenda. Chi parlava, chi chiacchierava, chi domandava: «Che ha fatto?», chi chiedeva a gran voce i fazzoletti per arginare la pozza d’acqua che si era formata sul pavimento a causa della pioggia. Anche il cielo piangeva, quella mattina. Se fosse stato il 10 agosto, se ci fosse stato il gran pianto di stelle di Pascoli, del mio amato Pascoli, sarebbe stato perfetto.
Non ci si capiva più nulla. Io non ci capivo più nulla. Poi, al cambio dell’ora, la nostra insegnante chiamò me e altre mie compagne del paese della mia amica, e chiese spiegazioni sul suo stato di salute. Io non sapevo nulla, ma loro sì. E capii. E mi crollò letteralmente il mondo addosso.
Se ripenso a quanto mi spaventai quel giorno, non posso biasimarmi se, ancora oggi, ogni volta che questa mia amica mi chiede di accompagnarla in bagno provo timore. A lei non l’ho mai detto, ma ogni volta che vedo che resta dentro per un periodo di tempo abbastanza lungo, presa dall’ansia comincio a bussare e a chiederle: «Hai finito? Quanto manca?». Mi sembra di avere una responsabilità su di lei, da quel giorno. Ho il dovere di proteggerla da tutto e da tutti.
Da allora non ho fatto più nulla per procurarmi la simpatia di quel ragazzo che mi piaceva, e che mi piace tuttora. Non è così importante quanto la mia amica, è questo che credo. Nulla è importante quanto lei.
La ragazzina quattordicenne di prima avrebbe voluto piangere e disperarsi, per un 5 ½ di ottobre in chimica, la prima insufficienza della sua vita. La ragazza, la “donna di quarant’anni” di dopo, non provò assolutamente nulla nei confronti di un 5 ½ di gennaio in un compito di italiano. Pensò solamente: «Devo recuperarlo», un pensiero lecito e normale nei confronti di un’insufficienza.
Non mi importa più di nulla. Cioè, il peso che prima avevano alcune cose, nella mia vita, ora non ce l’hanno più. Si è “alleggerito”, non so se rendo bene l’idea. La scuola, per esempio, come ho scritto sopra. O l’amore.
La ragazzina di prima pensava che l’amore, quello che lega due persone, e solo due (quello tra coniugi, o tra fidanzati) fosse tutto, nella vita. Ora invece ho capito che non è così. La forma di amore che davvero conta, nella vita, è un’altra, spesso sottovalutata. L’amicizia.
L’amicizia spesso viene presa sottogamba. Si pensa che essa sia molto meno potente dell’amore, quello “classico”, ma in realtà un amico «è come un grande amore, solo mascherato un po’, ma che si sente che c’è», come dice Laura Pausini. L’amicizia, oserei dire, è anche più importante dell’amore, perché quest’ultimo lega solo due persone, e non permette l’inserimento di nessun altro, mentre l’amicizia no. «L’amicizia vera tra due persone è quella che non si chiude in se stessa, ma che apre le porte anche ad altre persone», ha detto mercoledì scorso il mio professore di religione. E in fondo ha ragione.
Con l’amicizia si risolvono tutti i problemi del mondo. Puoi essere la persona più triste, più sfortunata, più povera e più maltrattata del mondo, ma se hai un amico, se sai che c’è qualcuno che ti pensa anche quando sei lontano, se hai qualcuno che ti scrive: «Vorrei stare vicino a te anche in questi momenti [momenti difficili], vorrei avere la capacità di farti sorridere sempre, in ogni momento e in ogni situazione»[1], se hai un amico come questo, tu sarai la persona più felice, più fortunata, più ricca e più ben trattata di tutto l’Universo.
Ed è questo, principalmente, che la ragazzina di quattordici anni non sapeva.



[1] Questa frase è stata presa da una “lettera” che mi ha scritto la mia migliore amica.
   
 
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