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Autore: Hagne    13/07/2013    1 recensioni
Tratto dal primo capitolo:
"I fantasmi del passato erano mostri difficili da addomesticare, creature d’ombra che mal tolleravano le catene alle quali venivano costrette, ed i suoi, di fantasmi, non avrebbero potuto essere imbrigliati neanche se avesse avuto le catene più spesse, pesanti e dure con le quali vincolarli"
[ Seguito di " A Demon's Fate"]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Loki, Nuovo personaggio
Note: Cross-over, Movieverse, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The Heart Of Everything '
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Capitolo 2
“After the cold darkness,
in the heart of the forest.
Where birds are singing,
for the new born sun “

[…]

“In the womb of the leaves,
on the branches of the trees,
lies the treasure of the morning,
the pearls of light. “

(Pearls of light – Within temptation)



Tony Stark non era mai stato un uomo di facile comprensione.
Non lo erano mai stati  i suoi pensieri da scienziato folle e megalomane,  non i suoi reali desideri che, il più delle volte,  finivano con collidere con il generale buon senso, figurarsi il motivo di sue  determinate azioni, come l’ immolarsi per il bene dell’umanità e subito dopo proporre una buona cena a base di shawarna.
 Ma  era il suo cuore, in realtà,  ad essere il più grande enigma dell’universo, un cubo di rubik  che Pepper “Potts” in Stark aveva imparato a risolvere con l’unica arma a  disposizione del mondo femminile.
L’ignoranza.
Quella che ogni moglie  sana di mente sapeva fingere per non scalfire l’ orgoglio di chi si credeva realmente  più furbo e scaltro della popolazione mondiale, ma soprattutto, della propria consorte,  e Tony Strak  aveva la frequente tendenza a vantarsi della propria fama di uomo imperscrutabile e di ghiaccio.
Ma era semplicemente egocentrico e insofferente alle critiche, peculiarità che lo avevano reso ingestibile e che,  il più delle volte, lo rendevano l'incubo di ogni anima pia  che aveva davvero creduto di poter trovare qualcosa di più profondo, oltre alla sua vanità.
Non che il Dottor Barner non avesse tentato di raccapezzarsi sul perchè delle schermaglie dell’uomo d’acciaio al quale oramai aveva fatto il callo, ma  Pepper trovava estremamente spossante lo sguardo stizzito e  le  occhiate oblique del marito, badilate di sensi di colpa tanto angoscianti da  far tremare i polsi persino ad una congrega di suore  nel sentire i  borbottii maligni che lo scienziato sciorinava  tra sé e sé, minacciando il mondo intero, uno stupido mondo a suo parere,   sulle conseguenze che sarebbero seguite per aver ferito il suo amor proprio.
Tanto amor proprio, una montagna dalla quale Pepper era rotolata giù  fin  troppe volte per sfidare la fortuna e solleticare la suscettibilità bambinesca del marito, perché  bambino a volte Tony diventava davvero, soprattutto se preso alla sprovvista.
Quella volta però lo furono entrambi quando il  bip acuto dell’allarme li costrinse a schiudere gli occhi assonnati e guardarsi vicendevolmente con nervosismo.
- Vai tu questa volta – brontolò la donna con voce impastata, affondando il naso nel cuscino mentre Tony si trovava ad alzare un fine  sopracciglio nel seguire  il braccio teso della compagna fuori dal letto.
- Perché dovrei andare io? Sarà uno degli acquirenti della ditta, e sei tu il boss in casa tesoro, perciò alza quelle tue belle chiappette pallide e fa il tuo lavoro.
Il calcio nello stinco fu la risposta che lo scienziato si dovette far bastare prima di brontolare di malumore e fissare incattivito la parete color crema della stanza.
- Jarvis!
L’urlo non fu una buona idea a giudicare dal colpo al fianco che Pepper gli rifilò con un sibilo, ma Tony non era particolarmente fine appena sveglio, men che meno alle cinque del mattino.
- Jar-
- Sono qui signore, non c’è bisogno di urlare a quel modo e disturbare la signora – lo riprese con garbo l’intelligenza artificiale, guadagnatosi un pugno alzato da parte della “signora” che lo scienziato fissò trucemente  prima di darle le spalle e ripetere in falsetto il rimprovero di Jarvis prima di trovarsi sul pavimento gelato a gambe all’aria.
- Stupida moglie.
- Ti ho sentito – gli latrò dietro Pepper con rabbia, scostando il viso dal cuscino nel quale avrebbe voluto soffocare anche lui.
- Credi che non lo avessi capito da me ? – berciò di rimando, issandosi a sedere per scoccarle un’occhiata al vetriolo – non credi che l’abbia detto ad alta voce proprio  per farmi udire da te tesoro?
- Signore, mi dispiace interromperla,  ma riguardo il localizzatore -
- Quale localizzatore – saltò su quando la parte più lucida della sua testa captò una parola che portava sempre guai, la fronte increspata per la confusione – io non ho attivato nessuno localizzatore, io non …tu! Tu hai toccato qualcosa che non dovevi non è vero?  Tu e la tua stupida fissazione per quel ridicolo  feng shu-
Un cuscino affogò l’ultimo insulto che Tony Stark si trovò a sputare assieme alla federa, tornando a fissare con astio  la donna in vestaglia che sembrava particolarmente propensa a strozzarlo a mani nude.
- Io non ho toccato un bel niente – si difese Pepper con verve, gonfiando il petto e strizzando incredula le palpebre nel notare lo sguardo compiaciuto con il quale il marito prese a fissarle il decolté prima di ritrovarsi ancora col sedere all’aria.
- Psicopatica di una segretaria!
- Vedi che ti ho sentito!
- Lo so!
- Il localizzatore della signorina Astrid, signore, ha captato un segnale pochi minuti fa nei pressi di Buenos Aires.
Tony Stark non era tipo da sorridere, non un era marito romantico,  un padre  affettuoso o sdolcinato, neanche con una moglie schizzinosa a carico e un figlio scapestrato ad assottigliare mensilmente il suo conto in banca, ma amava a modo suo, e strappargli quello sguardo lucido  era più di quanto ci si potesse aspettare da lui, come reazione.
Uno sfavillio che Pepper aveva avuto modo di cogliere solo  quando il marito aveva stretto tra le braccia il loro primogenito, una reazione che però rendeva persino lei un po’ più emotiva e sensibile al suono di quel nome.
Il nome della sua seconda figlia.
Una figlia adottiva, certo, ed aliena, ma sua figlia, comunque.
L’unica creatura capace di far regredire due dei cervelli più sviluppati  del pianeta terra ad un  ammasso informe di gelatina molle, e molliccio lo diveniva anche l’autocontrollo del quale Tony Stark amava vantarsi sempre.
Ma non ce ne fu neanche un briciolo, non una minima stilla di amor proprio quando lo scienziato, in barba al suo decantato sangue freddo, si ritrovò a sorridere come un beota nel correre verso la cucina.
 Pepper non lo seguì subito,  si concesse un paio di minuti di silenzio, lo sguardo fisso nel vuoto e la mente proiettata ad un ricordo che, per quanto lontano, non avrebbe smesso di strizzarle il cuore in una morsa dolorosa ad ogni visita di Astrid.
Un’afflizione che però non aveva mai avuto cuore di condividere con nessuno, perché madri e figlie  avevano i loro segreti, e quelli tra lei ed Astrid erano fin troppo fragili da poter essere sbandierati ai quattro venti.
Non che Tony fosse manchevole di fiducia, ma c’erano cose che nessuno, se non una donna, poteva capire.
Ed anche se aliena, Astrid lo era, e in quanto donna, sebbene immortale, era  soggetta alle sventure alle quali il mondo femminile poteva incappare.
Ma quella sofferta da sua figlia era stata crudele, una menomazione che persino Pepper, in quanto madre, in quanto essere umano, non aveva avuto modo di affrontare con l’impersonalità richiesta.
Non se era la sua bambina a soffrire ciò che mai nessuna madre avrebbe augurato alla propria prole.
L’urlo isterico che irruppe d’improvviso nella stanza la strappò a pensieri che era meglio stipare in fondo al cuore, perché Tony stava urlando, e da che ne avesse memoria, Pepper conosceva un'unica persona in grado di generare nell’uomo di metallo un grido di quella portata, un misto di orrore e sorpresa che la donna ritrovò sul viso del marito, una volta entrata in cucina.
- Ciao tesoro.
Un viso squadrato.
Occhi grandi ed espressivi di un tenue cioccolato.
E un sorriso sornione fin troppo simile a quello del padre per  poter metter bocca sulla presunta illegittimità del ragazzo.
- Ciao mamma.
- Non ignorarmi! E tu, madre degenere, non sorridere a quel modo a questa progenie infernale! – sbottò Tony Stark nel seguire lo scambio di sguardi tra la consorte e il suo primogenito, il primogenito che sarebbe dovuto essere alla conferenza di Berlino,  non nella sua cucina, e non con  quel sorriso.
- Io non ti sto ignorando papà – se ne uscì l’adolescente con voce annoiata, scoccando al genitore uno sguardo ironico che lo scienziato rigettò indietro con un ringhio – sto solo salutando educatamente la mamma.
- Educatamente un corno! Tu non dovresti essere qui! Non  nella mia maledetta cucina, non con sul mio maledetto sgabello e – gli sfuggì un ansito incredulo  e un tic nervoso all’occhio destro prima che il viso gli divenisse rosso per la stizza – e non con la mia maledettissima tazza preferita in mano!
Marcus Jay Stark si abbandonò ad una risata di gola nel patire l’isteria del padre, tornando poco dopo a sorseggiare elegantemente il suo caffè mentre lo scienziato riprendeva fiato e tornava  a fulminarlo con lo sguardo.
- Non avevi appuntamento con quella Mar-Mer-Mar- qualcosa? -  brontolò caustico.
- Marjorey papà – lo corresse il ragazzo con voce annoiata.
- Quello che è! Ciò che voglio dire è che non dovresti essere qui, non ora che-
-  Astrid sta tornando? È questo che volevi dire  papà?
Il gelo che calò nella stanza fu netto, pesante e surreale, come lo strabuzzar d’occhi che Tony Stark coprì con una mano nel patetico tentativo di ricordare quel piccolo batuffolo di carne e braccine paffute che Marcus un tempo era stato.
Una piccola cosina rosa, innocente,  dolce, e affettuosa,  con di lui e sopratutto con  Astrid.
Si, Astrid.
La sua Astrid.
La piccola aliena dal sorriso gentile e  dallo sguardo di stelle per la quale lui e Barner si battibeccavano ogni anniversario dell' associazione benefica redatta a suo nome.
Una lotta che perdurava da anni, che mai forse sarebbe finita fino a quando uno dei due non avesse smesso di arrogarsi la sua paternità, ma ora non era la reale figura genitoriale di Astrid a preoccuparlo.
Era Marcus.
Il suo primogenito.
Il suo erede, la sua condanna e salvezza.
Quel tenero involtino di carne che però era cresciuto, distruggendo la sua figura tenera e innocente qual’era stata.
Un bambino che aveva smesso di abbracciarlo ma che, in compenso,  pareva aver imparato ad imitare i suoi sorrisi scanzonati e irritanti, e sfortunatamente, il piccolo uomo che aveva imparato a chiamare Astrid sorella, poi cugina, e poi, con l’età adulta, futura moglie.
E non c’era nulla di più agghiacciante che sapere il perché della presenza ingombrante di Marcus nella sua cucina, alle cinque del mattino, senza la sua nidiata di ammiratrici pettegole a tirar le finestre con le loro risatine isteriche.
Perchè  era un uomo, quello che lo fissava con divertimento.
Un uomo capace di intendere e di volere e, a giudicare dall’aria tronfia e soddisfatta, di fare le scarpe al padre miliardario.
-È incesto! Lo sai vero? Astrid è-
- Non è mia sorella papà – precisò il ragazzo con irritazione, scattando in piedi per fronteggiare lo sguardo truce del padre – Astrid non è mia sorella, per quanto tu e Bruce continuiate ad azzannarvi per riservarvi il titolo di suo genitore.
- Ma io sono padre, suo e tuo – lo rimbrottò Tony con rabbia – e in quanto tale devi dare ascolto ai miei consigli.
- I tuoi non sono consigli papà – tornò alla carica il ragazzo, raggiungendolo in due falcate per guardarlo fisso negli occhi – i tuoi sono ordini.
- Io non vedo la differenza – gli sibilò ad un palmo dal naso – ed ora, posa quella maledetta tazza e torna a Berlino.
- No!
- Invece si!
 - E io dico no! No e no!
Continuarono a darsi addosso per un’altra manciata di minuti prima che Jarvis li avvisasse dell’arrivo di una chiamata.
Una chiamata alle cinque del mattino.
Bizzarro, ma non per questo meno irritante.
E lo fu per Tony Stark quando, dopo aver accordato a Jarvis la possibilità di metterlo in videochiamata con lo scocciatore di turno  si trovò con la testa mozzata di Nick Fury a levitare sul piano cottura della sua cucina.
- Buongiorno signor Stark – lo salutò asciutto il capo dello S.H.I.E.L.D., l’occhio vigile puntato sulla smorfia imbronciata del multimiliardario.
- Buongiorno? Questo è un buongiorno secondo lei? Mh? – si ritrovò a strepitare lo scienziato, allargando le braccia per mostrare la presenza del figlio al lato e la sua mise non propria consona ad un uomo della sua levatura intellettuale.
Non che i suoi boxer di Iron Man avessero turbato l’irreprensibile agente, ma non migliorava la visione d’insieme che si poteva avere di Tony Stark.
Non se il suddetto miliardario era così egocentrico da indossare l’intimo con la sua faccia stilizzata disegnata sopra.
Un particolare sul quale Nick Fury sorvolò, preferendo rivolgere la sua attenzione all’unica persona sana di mente in quella stanza.
- Buongiorno signora Stark.
- Buongiorno a lei Fury – lo ricambiò Pepper con garbo, stringendosi nella sua vestaglia mentre il marito e il figlio tornavano ad azzannarsi a suon di monosillabi – a cosa dobbiamo la chiamata, se mi è permesso chiedere?
- Abbiamo motivo di credere che la signorina  Astrid abbia fatto ritorno sulla terra pochi minuti fa. E che ora si trovi a Rio De Janeiro.
La lieve torsione del collo con la quale  Tony Stark si premurò di palesare il suo ritrovato interesse convinse Nick Fury a riportare su di lui uno sguardo pacato, così dissonante da quello arcigno con il quale lo scienziato si riservò di fulminarlo.
- Con “avete motivo” intendi che i tuoi hacker si sono  intrufolati nel mio sistema centrale per prendere controllo del mio localizzatore, non è vero?
- No signor Stark – negò Fury – non abbiamo bisogno dei suoi localizzatori quando possiamo fare affidamento su una spia satellitare ben più accurata e precisa.
- Barner – latrò Tony con rabbia, snudando i denti e lasciando che Marcus riprendesse fiato dalla sua stretta – quel traditore! Ha captato le onde gamma e non mi ha avvisato!
- Precisamente signor Stark, ed ora l’agente Hills lo sta accompagnando alle favelas dove il dottore ha captato il segnale della signori-
- Jarvis!
- Si signore?
- L’armatura, subito! – sbraitò isterico  Tony Stark, lanciando un’occhiata obliqua al capo dello S.H.I.E.L.D.
- Credeva davvero di imbrogliarmi? – lo attaccò feroce, raggiungendo la finestra così da poter spiccare il volo una volta che l’armatura lo avesse raggiunto – crede davvero che non abbia capito che lei sta solo prendendo tempo?
Un fischio coprì il verso sorpreso dell’ologramma, il sibilo con il quale il braccio di metallo si arpionò al braccio teso dello scienziato.
- So che lei tifa per Barner.
Gambale, guanto, collare.
- E so anche che è stata l’Hills ad avvisarvi, ma non  lo lascerò vincere, perché c’è una cosa che quell’idiota verde spesso dimentica – e Tony si trovò a serrare le mascelle quando la luce fluorescente dei comandi gli colorò il viso d’azzurro.
- Che tra noi due, il più veloce sarò sempre io.




 
 
°°°



La paura di morire era una  preoccupazione che, almeno una volta nella vita, giungeva a turbare l’animo dell’essere umano.
Qualcosa di così spaventoso, di così raccapricciante da annientare il raziocinio  e le speranze, un terrore  ben più angoscioso del  pensiero di esser rimasti soli al mondo, perché dalla solitudine si poteva sfuggire, il più delle volte,  la si poteva persino ingannare, mascherare.
La morte no.
Perché arrivava, e quando riusciva a raggiungerti, quando finalmente dimezzava la distanza dal passo svelto con il quale  si era cercato di seminarla, non la  si poteva scongiurare di aver un po’ di tempo più, di aver ancora molte cose da fare, creature da conoscere, bellezze da ammirare.
Arrivava e basta, ed era triste, lei, lo trovava triste, anche se era il corso naturale della vita,  anche se era giusto,  logico, normale, un destino che però  né a lei né a Loki sarebbe mai toccato.
E a volte, nel pensarci, Astrid non aveva saputo come reagire, come doversi sentire, se triste o felice al pensiero.
L’immortalità era qualcosa di agognato, di voluto, di desiderato, ciò per il quale l’uomo avrebbe barattato la propria anima, ma né lei né Loki avevano dovuto dar nulla in cambio, in verità.
Non lui che lo era  per eredità divina, non lei che lo era diventata  per decisione del fato, qualcosa che non aveva mai chiesto, né pensato.
Aveva tuttavia avuto modo di provare la morte, una volta, anche se le era stata imposta.
Perché l’aveva avuta quando non richiesta, era stata indotta più volte, ma quando era giunta,  quando anche lei, nel voltarsi, si era sentita cadere nel vuoto, quando  aveva  avuto l’occasione di essere come tutti gli altri, di morire, come tutti gli altri, aveva avuto paura.
Paura di non sapere il perché, il come, il dove stesse andando.
Paura del buio che l’aveva inghiottita, del silenzio che l’aveva turbata, del gelo che le aveva bloccato il corpo ma non il cervello, sveglio e angosciato dalla consapevolezza di non poter far nulla.
Non muoversi, parlare, o chiamare aiuto.
Aveva tentato di richiamare l’attenzione di  suo padre Bruce, di Pepper, di chiunque, ma era stata un sibilo, non una richiesta di aiuto quello che aveva sentito rimbalzare da una parte all’altra dell’abisso nel quale era affondata, e aveva saggiato il silenzio, e il vuoto,  un profondo  e annichilente vuoto che aveva sentito nello stomaco, e nel cuore, una sensazione di annientamento dalla quale,  per quanto forte si fosse gridato, per quanto veloce si fosse corso, nessuno sarebbe potuto sfuggire.
Nessuno.
Ma lei ce l’aveva fatta, ad uscire da lì.
L’avevano salvata, in verità,  perché qualcuno aveva sentito le sue urla, e l’aveva trovata in tutto quel buio.
C’era stato qualcuno ad afferrare la mano che aveva sempre tenuto tesa fuori dall’acqua ghiacciata nella quale era affondata, nella quale non aveva mai smesso di dimenarsi  nella speranza di essere salvata dalla solitudine, da quell’orribile silenzio nel quale neanche i suoi gesti isterici e agitati facevano rumore.
Ma l’aveva sentita attorno al suo polso,  e l’aveva vista tentare di farla risalire.
Una mano.
Grande, sporca di sangue, ma una mano, la sua mano.

Quella che stringeva delicatamente per rendere Loki consapevole della sua presenza mentre, piegata sulle ginocchia, rimirava l’incisione confusa delle due lapidi di pietra scura.
Le toccò ancora una volta, con gentilezza, seguendo la linea dolce delle lettere scavate rozzamente  mentre il volto burbero di Raul e il suo braccio stretto attorno alla  vita le ricordavano quanto gentile quell’uomo fosse stato con lei.
Un essere umano capace di guardare oltre il colore di pelle e di accettare quello che lei aveva sempre voluto essere.
Una ragazza in cerca d’amore.
Un desiderio semplice il suo, ma  la ragione della sua esistenza.
Lei che non era nata per amore, come spesso Pepper le aveva spiegato, ma per saziare il desiderio di sperimentare, di concepire qualcosa di grande, maestoso, potente, ma insensibile.
Perché era nata senza sentimenti, senza sapere cosa fosse la gioia, la paura, il piacere, ma solo il silenzio della propria mente, un’imperturbabilità per la quale si era scoperta desiderosa di capire il perché di quella sensazione di vuoto, di profondo silenzio.
Ed aveva scoperto il perché di tante cose. Il perché la sua pelle fosse così diversa, i suoi occhi così accesi, e la sua essenza così vacua, come un disegno abbozzato ma mai del tutto completato,  uno schizzo che però lei era riuscita a ricalcare, delineando i profili di ciò che era riuscita a costruirsi da sola.
Una famiglia.
Una patria.
E un amore.
- Sono sicura che sarebbero stati felici di vederti.
La voce giunse soffusa e inquietante dal fondo del terreno spoglio, ma quando la vide sobbalzare a quel modo Estela si trovò a nascondere un sorriso nostalgico nel pensare che Astrid, per quanto tempo fosse potuto passare, per quanto fiacca fosse divenuta la vista e roca la voce,  sarebbe stata sempre la sua “scoperta”.
E di tempo ne era passato tanto, per lei.
Perché ora c’erano rughe a segnare la pelle scura del suo viso, e dolori alle giunture oramai non così forti come un tempo, ma il sorriso non era cambiato.
Sempre aperto,  gentile, e semplice.  
Un sorriso che Astrid  ricambiò quasi subito, tornando in piedi e lasciando scivolare dalla mantella  i boccioli dei fiori che aveva  deposto sulle lapide dei genitori di Estela, un rito che ad ogni sua visita sulla terra non mancava di ripetere.
Perché non avrebbe mai smesso di ringraziare chi in lei aveva creduto, chi l’aveva protetta, aiutata, e amata, nonostante tutto.
Ed Estela era stata la sua maestra delle cose divertenti, la bambina verso la quale persino Loki, per quanto il pensiero di essere debitore di un altro essere vivente lo disgustasse, sapeva d’essere in debito.
Perché senza di lei non sarebbe rientrato in possesso del suo scettro e del cuore di Astrid.
Non avrebbe potuto smaterializzarsi nella fucina.
Non avrebbe potuto sconfiggere i Creatori.
Non avrebbe potuto salvare Astrid, nè se stesso.
Raggiungere le due figure costò all’umana ben  più di qualche breve pausa lungo il viale, ma ancor prima di poter rafforzare la presa sul bastone da passeggio per evitare la caduta ci fu una mano a sorreggerla, un palmo dal colore bizzarro e fluorescente che vide allacciarsi morbidamente attorno al polso in una presa ferrea ma delicata.
Fragile.
Estela lo era sempre stata, lo erano stati tutti quelli che Astrid aveva incontrato.
Fragili e bisognosi di aiuto, di amore,  ma ora, con la vecchiaia ad intorpidirle i muscoli e affaticarle la vista, lo era ancor di più ai suoi occhi.
Morire era triste, veder morire le persone care sapendo di poterlo evitare lo era ancor di più.
Faceva male, perché sarebbe bastato un suo cenno del capo per  rigenerare quella pelle ruvida al tatto, spianare le rughe, rinvigorire i muscoli e rafforzare le ossa, avrebbe potuto, avrebbe voluto, ma non le era mai stato permesso.
Lei, non glielo avrebbe permesso.
Perché Estela aveva  preferito  lasciarsi morire come ogni altro essere umano, come sarebbe dovuto essere, come lei non sarebbe mai riuscita a capire, ad accettare, non con la consapevolezza di non poter resistere ad un'altra perdita.
Non ancora, non dopo tutto ciò che aveva passato.
Non dopo aver perso sua madre, quella vera, quella che le aveva dato la vita e che forse, a dispetto di H’ava e Yehouda, aveva davvero voluto che lei imparasse quelle cose, che avesse una vita, che fosse felice.
Ed anche se Pepper era la sua madre umana, anche se l’amore di Bruce e di Tony le ricordava di avercela, una famiglia, sapeva che avrebbe fatto di tutto per riportare in vita Semjace, per renderla solida e non più spirito, così da poterla abbracciare e lasciare che i suoi artigli metallici le raccogliessero le lacrime.
Lacrime che le avevano rigato il viso tante di quelle volte da renderle ancora più salate, lacrime  per le quali aveva sentito la propria voce tremare e il proprio cuore spaccarsi al pensiero di poter impedire tutto quello, se solo glielo avessero permesso.
 E c’erano stati momenti in cui Astrid aveva  pensato di costringerla, di ridarle la giovinezza perduta per rendere se stessa felice, per essere egoista, per una volta, per salvare almeno lei, ora che ne aveva la possibilità,  ma poi aveva visto i suoi figli nascere, i suoi nipoti crescere, e l’orrore di quanto pensato l’aveva fatta crollare in ginocchio di fronte a quelle stesse lapidi per chiedere perdono.
Perdono per essersi arrogata un diritto che era di Estela, di ogni altra creatura,  quel libero arbitrio che una volta Loki aveva tentato di rubare all’umanità ma che lei, nel suo profondo desiderio di essere come loro,  non era riuscita a togliere.
Il diritto di scegliere.
Un diritto  che lei non aveva mai avuto, perché nata senza.
Persino Loki  lo aveva ricevuto, in quanto dio, in quanto uomo, in quanto essere vivente,   ma lei, lei non era stata voluta, né desiderata.
La sua sola esistenza era capitata per sbaglio, come un errore di calcolo che non può più essere cancellato.
Ed era, un errore, Astrid lo aveva accettato nell’apprendere l’ unico limite impartitole dal fato, il più orribile, il più crudele, forse per  vendetta di Yehouda, per il  rancore di H’ava, ma una condanna, la sua.
Dare sì la vita, ma a qualcosa che fosse già esistito, qualcosa che era stato precedentemente forgiato dai Creatori, gli unici a possedere il potere di creare dal nulla, mentre lei, lei  aveva ricevuto  solo l’orribile e patetica capacità di clonare  ciò che una vita aveva già avuto ma che, per sfortuna o destino, aveva poi perduto.
Il suo limite, il suo più grande dolore.
Perché l’aveva resa una donna difettosa, incapace di sentire la tensione del ventre,  la stanchezza delle mille notti insonni,  l’emozione di sentirlo piangere, ma capace solo  di provare  dolore e la sensazione di vuoto nelle mani che il tocco tiepido del palmo di Estela provò a colmare, strofinando le dita ruvide per tutto il palmo blu.
E si sforzò di sorridere, di mostrarsi forte, di convincersi che forse, il ricordo di aver voluto morire, di averci  provato davvero, di averlo voluto fino a credere di esserci riuscita venisse smorzato dalle mani intrecciate alle sue, quella che Loki stringeva tanto forte da far male, e quella che Estela carezzò con dita deboli ma gentili prima di  torcere il collo al fischio acuto appena saettato sulle loro teste.
Una nuvola di polvere si alzò da terra quando l’elivelivolo provò a riprendere quota dopo aver aperto il portellone d’entrata per permettere a qualcosa di uscire.
Qualcosa di grosso e verde alla vista del quale Astrid si ritrovò a sorridere sofficemente, alzando il viso per guardare la smorfia contrita di Loki che la teneva nascosta sotto il proprio mantello, così da difenderla dai detriti sospinti dal vento.
Persino Estela era riuscita a ricucirsi  un piccolo posto sotto il pesante tessuto nero, così da poter essere protetta a sua volta e seguire divertita l’arrivo di una scheggia rossa appena saettata nel cielo, in diretta collisione con la creatura dalla folta capigliatura verde petrolio.
Tony Stark liberò un rantolo sommesso  quando sentì l’armatura lanciare un grido isterico nell’attutire l’impatto del corpo estraneo che il rilevatore aveva appena fatto in tempo a scorgere, ma allo scienziato bastò quantificare la pesantezza dell’oggetto non identificato per convincersi che Barner aveva messo su qualche chilo di troppo in quell’ultimo anno.
Provò a scrollarselo di dosso con qualche acrobazia che presto lo avrebbe visto ripiegato su se stesso per gli acciacchi, ma le mani callose del mostro continuavano ad essere saldamente arpionate alle sue anche.
- Scendi.subito.dal.mio.scintillante.fondoschiena.
Un grugnito di sfida gli giunse come unica risposta mentre la distanza tra loro e il terreno si accorciava e la chiazza monocromatica del piccolo cimitero si tingeva di blu.
Un profondo e acceso blu per il quale Tony si trovò ad aguzzare la vista prima di sorridere debolmente e sventolare un braccio, in saluto, e quando vide Astrid alzarsi sulle punte per agitare le sue, di braccia, lo scienziato non potè che ammorbidire il viso e indurirlo poco dopo nel patire il primo pugno di Hulk sul suo povero cranio.
- Non si stancano di far sempre così?
Pepper “Potts”  si azzardò a lanciare uno sguardo incuriosito al sedile accanto al suo nell’udire il tono curioso del figlio, ma quando provò a distogliere l’attenzione dalla piccola stradina sterrata che stavano percorrendo per scoprire il soggetto della frase si convinse a riportare l’occhio sulla strada con un sorriso scanzonato.
- Non credo tesoro.
Marcus tese una smorfia nel sentire fin da lì il crack del casco del padre che dall’energumeno non sembrava riuscire a liberarsi.
- A volte mi viene difficile credere che quei due siano gli uomini più intelligenti della terra mamma – lamentò il ragazzo, tornando a posto con lo sguardo accigliato – credi che si siano accorti di noi?
- Sono troppo impegnati a darsele per far caso ad una piccola e innocua jeep come la nostra – lo avvisò pacata, sterzando per evitare una piccola buca.
Non che la strada non fosse già di per sé tanto dissestata da richiedere tutta la sua concentrazione, ma lei preferiva di gran lunga usare i vecchi mezzi di trasporto che usufruire degli appariscenti jet che Tony le aveva messo a disposizione.
Regali per i quali si era ritrovata più volte a storcere il naso, ripiegando sull’utilizzo di vecchie automobili datate ma sicure come carri armati, e quella piccola jeep in particolare le permise di superarli senza esser vista, o almeno, così aveva ingenuamente  creduto.
- Credo che ci abbiano visti – le sussurrò infatti il figlio, allacciando la cintura nel sentire il fischio acuto sopra la testa.
- Fedifraga!
- Ci hanno visto – tornò a sottolineare Marcus nell’udire l’urlo del padre – dai gas mamma! – la incitò ansioso, torcendo il collo per vedere con orrore la discesa del padre e di Hulk che pareva essersi calmato e che ora stava usando lo scienziato come tavola da surf.
Il ruggito del motore attirò lo sguardo delle figure accostate alle lapidi, e quando Loki vide Astrid tendersi verso l’umana con il viso e il corpo non potè che far scattare la mascella e rilasciare un profondo respiro mentre la presa attorno alla mano della compagna si allentava e lo sguardo si puntava minaccioso sull’uomo di metallo.
Frenare richiese più controllo del previsto, ma Marcus e la madre impiegarono poco tempo  per saltare giù e guardare la figura sottile di Astrid correre loro in contro.
- Mamma! – la chiamò lei con un sorriso nell’abbandonare il rifugio dalle braccia del compagno, aumentando l’andatura mentre Loki continuava a far altalenare lo sguardo da lei alla scheggia impazzita che pioveva giù dal cielo.
Sentirsi chiamare a quel modo causò in Pepper un moto di commozione che neanche dopo tutti quegli anni, per quante volte Astrid l’avesse rivestita di quel ruolo, sarebbe riuscita a smorzare.
Perché c’era tanto amore in quella piccola creatura, un amore che Astrid non aveva mai smesso di rivolgere a lei e ai suoi cari, non a Marcus, non a Tony, non a lei.
Ed essere amati da Astrid era appagante, perché quella piccola creatura dagli occhi di stelle e dalla chioma d’arcobaleno amava in modo assoluto, senza se, senza ma, senza quel bisogno di autoconservazione che portava gli esseri umani e l’uomo in genere a frenarsi un po’, a pensare più a se stessi che agli altri, alle proprie reazioni, ai propri dolori.
Ma lei non ragionava come gli umani.
Lei amava e basta.  
- Siamo fortunati. Non lo credi anche tu?
Estela non distolse lo sguardo dalla commovente scena quando sentì l’occhio di Loki puntarsi su di lei, uno sguardo spettrale che non riusciva a trovare la voglia di mostrare interesse per ciò che lo circondava, per lei, o per qualunque cose gli capitasse di guardare.
Eppure, c’era un ma anche per lui.
Un “ma” dal sorriso gentile e dallo sguardo infinito che molti di loro aveva reso un po’ più coscienziosi di quanta bellezza potesse esistere in una sola creatura.
Una beltà non d’occhi, non di labbra, non di arti sottili o spalle minute, ma un fascino che rapiva per la profondità di un’essenza con la quale, una volta venuti in contatto, si  riusciva a  credere che forse, vivere non era poi così terribile, che forse, il mondo non era così crudele, se aveva dato vita a lei.
E come Astrid non avrebbe smesso di ringraziare loro, così Estela che mai  avrebbe smesso di rivolgere al cielo la propria gratitudine per averla incontrata e per essere stata felice.
Perché la sua “scoperta” era la felicità.
Ne portava a chi non l’aveva mai avuta, la regalava a chi non ci aveva mai creduto, e la insegnava a chi non l’aveva mai imparata.
E l’uomo che la accostava, il dio tornato a fissare quel loro “ma” aveva imparato cosa la felicità fosse, e forse, persino a ringraziare per ciò che aveva ricevuto.
Perché Astrid sarebbe potuta nascere da qualche altra parte, come non sarebbe potuta nascere affatto.
Avrebbe potuto incontrare altre creature, amare altre persone, dare la felicità a qualcun altro, ma erano stati loro, a trovarla e amarla.

Ed erano fortunati, lo erano sempre stati.
Lo era Pepper che era diventata di nuovo mamma.
Lo erano Bruce Barner che aveva imparato ad amarsi un po’ di più, e Tony Stark, che a credere negli altri aveva deciso di impegnarsi, e persino lei, che aveva potuto vivere avventure e far parte di un disegno ben più grande di tutti loro.
Un disegno che Astrid aveva abbozzato amando di questo ogni sfumatura, ogni errore, ogni sbavatura.
E Loki sapeva di esserlo sempre stato, una macchia, la macchia che molti avevano scambiato per sporcizia ma che lei aveva pensato come ad un piccola ma graziosa opera d’arte.
Una meravigliosa opera astratta più volte fraintesa e scambiata per altro, ma mai per qualcosa di bello, di utile.
Quando la terra franò loro sotto i piedi Pepper si sentì tirare su da una stretta ferma e decisa mentre Astrid rimaneva allacciata a lei e un braccio verde si chiudeva attorno a loro, raccogliendoli tutti in un abbraccio scomodo e goffo nel quale Tony Stark si trovò ad agitare nervosamente i piedi che non toccavano terra per mostrare il proprio nervosismo.
L’identica e profonda tensione della quale Loki non riusciva a liberarsi, non con lei così lontana, nascosta sotto tutte quelle braccia che parevano volerla soffocare e far un po’ più loro, e un po’ meno sua.
E la paura tornò a farlo tremare, ad irrigidirgli le spalle e inspessirgli lo sguardo come placche di metallo sistemate l’una dietro l’altra, così da rendere la sensazione di angoscia un po’ meno soffocante, un po’ più anonima, meno sua, ma la sentiva comunque.
Perché imparare ad amare era stato difficile per chi come lui non aveva neanche ipotizzato di riuscirci, di scoprirsi bisognoso di qualcosa per la quale chiunque, persino Thor, sembrava disposto a rinunciare a tutto.
Lui che non aveva mai avuto niente da perdere, niente per il quale affannarsi, nulla da proteggere, ma ora che ce l’aveva, ora che sapeva di avere qualcosa sacrificare oltre se stesso, aveva paura.
Paura di perderla, di essere abbandonato e messo da parte come tutti, una volta capito l’orrore della sua natura, avevano fatto.
Perché lei aveva persone che la amavano, oltre lui, creature che, seppur inferiori, avrebbero fatto di tutto per proteggerla, per saperla felice, mentre lui, lui aveva lei.
Solo lei.
E a lei si era legato, anima, cuore e corpo, nella speranza di renderle impossibile vivere senza di lui, nel disperato tentativo di renderla dipendente da lui tanto quanto lui lo era da lei, così da sapersi indispensabile, così da sapersi voluto e desiderato come aveva sempre pensato fosse giusto.
Si toccò distrattamente l’orecchio, dita tremanti e nervose che avvolse attorno al cerchio di metallo del lobo, un’abitudine che Astrid gli aveva trasmesso quando si sentiva insicuro e desideroso di fare dal male a qualcosa, a qualcuno, a se stesso.
Un gesto impercettibile che persino l’umana accanto a lui non sembrò  cogliere, presa com’era dal sorridere raddolcita alla scena, ma qualcuno  a notarlo ci fu.
Quel qualcuno che pareva accorgersi  sempre del suo dolore nonostante il gelo del suo viso, o l’imperscrutabilità dei suoi occhi, quel qualcuno che vide voltarsi con attenzione, rivolgendogli uno sguardo silente che però sembrava bisbigliargli all’orecchio parole di conforto, di amore.
Gli sfuggì un sussulto sorpreso delle spalle quando la vide portarsi una mano all’orecchio, lì dove sapeva, le piccole dita di Astrid nascondevano un monile gemello del suo, il simbolo dell’appartenenza dell’uno all’altro, la prova di averla resa sua, di poter avere un po’ più di sicurezza per ciò che credeva fosse stato un errore.
Perché lui era stato il primo ad incontrarla, forse per destino, o forse per errore, ma lui li amava gli errori.
Perché lo era stato lui, lo era stata lei, lo erano entrambi.
Quando il rumore di passi coordinati giunse loro all’orecchio Estela dirottò lo sguardo alle proprie spalle, riconoscendo lo S.H.I.E.L.D avanzare tranquillamente per il piccolo campo abbandonato, ma si ritrovò a ruotare improvvisamente su se stessa quando percepì l’assenza del dio degli inganni attorno a sé.
E nel voltarsi lo ritrovò più in là, un po’ più distante dall’abbraccio di gruppo, ma pur sempre vicino, accostato a quella figura che lo guardava con dolcezza  prima di tornare a soffocare il viso nel petto di Pepper e dei genitori, ma non era stato il movimento del dio, a lasciarla con le labbra socchiuse per la sorpresa e gli occhi un po’ sporgenti.
Era stato un assenso che Loki pareva aver dato a se stesso, forse persino  alla domanda  posta da lei poco prima, ma pur sempre un’approvazione a quella fortuna della quale lei aveva investito ognuno di loro, persino lui, forse più di tutti.
Un’approvazione per la quale si trovò a sorridere debolmente in seconda fila,  mentre Nick Fury arcuiva un sopracciglio alla visione dell’abbraccio comune e dello sguardo tetro del dio, una scena dalla quale distolse lo sguardo per portare l’attenzione sulle lapidi dei suoi genitori.
E forse, si ritrovò a pensare, quel bisbiglio concitato poteva esser stato un’illusione, la conseguenza dell’anzianità che oramai poteva averla resa un po’ sorda.
Perché non accadeva spesso che il dio degli inganni approvasse il pensiero comune, figurarsi quello di un’umana.

Eppure Estela non potè che sorridere a se stessa e alle lapidi, lasciando su queste una carezza spensierata e delicata prima di riportare lo sguardo su Loki e darsi ragione.
Perché vecchia, per quelle cose, non lo era ancora.



Continua…

Ringrazio tutti per la lettura e l'attenzione.
Al prossimo aggiornamento, Gold Eyes
  
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