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Autore: Friedrike    13/07/2013    5 recensioni
[Ispirata al film di titolo "Der Verdingbub."]
 
Campagne italiane, inizi del '900.
Ormai mandare avanti la fattoria da soli, sembra impossibile: è per questo che una coppia di coniugi non più giovani decide di farsi aiutare. Il parroco del piccolo villaggio in cui vivono affida loro due ragazzi, Ludwig e Felicia. 
Ben presto però i due adulti si riveleranno sfruttatori senza scrupoli che li umilieranno continuamente. 
-Tienimi con te- lo supplicò. -Non mi fido di nessun altro.- 
-Lo prometto- le rispose. -Rimarrai qui con me.-
Genere: Angst, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dovunque sarai, ti amerò per sempre.'
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CAPITOLO V.

 
 
Felicia rimase lì da sola per un po'. 
Non riusciva a muoversi e rinunciò presto a mettersi seduta. Osservò il soffitto del porcile.  Con gesto lento scostò una cicca dalla fronte. Continuava a chiedersi perché le fosse capitato questo. Voleva solo che il dolore passasse, che i graffi scomparissero e che Ludwig la tenesse con sé per sempre, proteggendola da ogni male. Si era innamorata e l'aveva capito, ma non pensava a questo adesso. Continuava a guardare in direzione della scala sperando di vederlo spuntare da un momento all'altro. La porta si spalancò. 
Sentì qualcuno avvicinarsi ai maiali e versare la brodaglia di cui si nutrivano dentro l'abbeveratoio, questa persona poi borbottò: -Ah, ma se lo vedo... lo lascio morto, là per terra; scomparire così. Chi si crede di essere, quel ragazzino?!- 
E continuò a blaterare ancora a lungo. Sapeva bene che la ragazzina era lì vicino e poteva sentirlo, ma non se ne curò. Ora come ora, lei era inutile. Così diede una ripulita ai maiali, suo simili, e poco dopo uscì senza degnarla di uno sguardo. Fu molto meglio così. Lei non avrebbe saputo come difendersi. 
Sospirò triste e portò una mano sul ventre, mettendosi distesa su un lato. Sentiva le labbra secche e voleva bere, soltanto qualche sorso d'acqua le sarebbe bastato. Decise di dormire, doveva riprendere le energie e lo sapeva. Chiuse gli occhi e s'abbandonò al mondo non dei sogni, bensì degli incubi.
Il sonno non fu sereno e lei continuava a girarsi tra la paglia, praticamente in dormiveglia. Difatti aprì gli occhi sentendo ancora la porta aprirsi. Poco dopo comparì il tedesco, che subito le si avvicinò e le prese la mano.
-Ich bin hier, mein schatz...- le disse dolcemente. Si decise anche a tradurre: -Sono qui, tesoro mio...-  I pantaloni erano sporchi di sangue all'altezza delle ginocchia; il sangue era quello di lei e la macchia ormai era asciutta. 
Un viso di donna apparve alla loro destra, dalle scale, che subito spalancò gli occhi nel notare le condizioni della ragazzina. Svelta si avvicinò a loro, i capelli castani legati in una coda di cavallo, gli occhiali sul naso. Era lei, la maestra del paese. 
-Felicia! Riesci a sentirmi?- le disse, carezzandole il viso. 
Felicia annuì debolmente. Avrebbe solo voluto stare stretta tra le braccia di lui, guarire con le sue attenzioni e le sue cure. Non voleva estranei, solo lui. 
Lui però era solo un ragazzo e non sapeva come aiutarla, non era pratico di quelle cose, ferite per lui estranee. Le teneva stretta la mano carezzandola col pollice. Quando la donna gli chiese di andare via,  accettò. Procurò una bacinella d'acqua e degli strofinacci e lasciò il porcile, rimanendo fuori,  con le spalle appoggiata al muro che lo teneva in piedi, le braccia incrociate al petto e l'aria pensosa, per assicurarsi che nessuno desse fastidio alle due lì dentro. 
La padrona si fermò a pochi passi da lui, con un cesto tra le mani, e lo guardò negli occhi. 
Lei si sentiva sola. 
Il marito non faceva altro che a dare attenzioni ai due ragazzi -in modi diversi, ma entrambi negativi- ai maiali e ai campi, e lei non aveva nessun altro. La ragazzina era ben voluta da tutti e questo le dava fastidio. Il ragazzo non la guardava. Che le rimaneva? Più niente, ormai. Ma non voleva rimanere in disparte a guardare, voleva piuttosto aggiudicarsi un posto importante all'interno del gruppo, sentirsi importante per qualcuno. Così s'avvicinò al biondo.
-Non dovresti stare qui, a far nulla- gli disse. 
Lui la fissò con odio e non rispose. 
Dal canto suo, non poteva permettere qualcuno facesse del male alla sua amata ed era certo che la donna conoscesse i giochi sporchi del marito e tacesse. Detestava anche questo suo silenzio. Non riusciva a mettersi nei suoi panni? Non riusciva a capire quanto Felicia potesse soffrire sia per il dolore fisico che per quello mentale? Eppure la padrona non fece nulla. Semplicemente, annusò il cielo e gli disse che si stava avvicinando un temporale. Ancora una volta, Ludwig non disse una parola. 
Rimase seduto lì ad aspettare, nel giro di pochi minuti bagnato fradicio, l'uscita dalla maestra dal porcile. Voleva solo sapere come stava lei.
 
 
La maestra avvicinò la bacinella d'acqua alla povera vittima di quell'atrocità. Lei bevve un sorso d'acqua e si sentì un po' meglio. La donna la pulì e fece scomparire tutto il sangue dal suo corpo, medicò con le poche cose che s'era portata dietro i graffi ed infine cercò di farla alzare.
-Felicia... era la prima volta?- chiese prendendo un panno pulito per sciacquarle un poco il volto imperlato di sudore. 
Lei scosse la testa. -Lo... lo ha fatto altre volte.- 
Si tirò su seduta, non senza trattenere una smorfia di dolore, dopo si accoccolò meglio sulla paglia, per stare più comoda. Ci riuscì, per fortuna. Adesso si sentiva meglio e meno sporca.
-Per favore- la supplicò debolmente. -Fate venire qui Ludwig... ho bisogno di lui.- 
L'insegnante fece un cenno positivo col capo e le carezzò un'ultima volta la nuca. Scese le scale, portando con sé la bacinella, gli asciugamani ed alcuni unguenti che diedero un po' di sollievo alla ragazza. Uscita di lì, notò subito il ragazzino, lui s'era quasi addormentato, ma sentendola subito balzò in piedi.
-Come sta?- domandò apprensivo. 
-Così così... fa in modo che riposi e che si nutri sufficientemente, ne ha davvero bisogno. Ludwig, senti...- gli si avvicinò ed appoggiò una mano sulla sua spalla. Lo guardò negli occhi. No, non poteva dare a lui una responsabilità così grande. Scosse la testa e si impose di stare zitta.
Lui non sembrò dare peso a quella proposta non pronunciata, ma subito la pregò di fare qualcosa di veramente importante. 
-Per favore, portatela con voi... qui, lui le farebbe ancora male. Vi supplico, ha bisogno di cure...- 
Puntò quegl'occhi così dolci ed impotenti su di lei, supplicandola come mai aveva fatto in vita sua. Fece un passo verso la donna, con aria implorante. 
Solitamente, preferiva risolvere da solo le questioni, però sapeva bene che quella volta non poteva farcela. Qualcuno doveva aiutarlo.
L'insegnante però sembrò tirarsi indietro ed istintivamente, fece anche un passo nella direzione opposta. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma quello sguardo... non riuscì a dargli risposta negativa. Dovette accettare. Lanciò un'occhiata dentro.
-Lascia che per oggi si riposi. Domani mattina presto mi aiuterai a portarla in paese. Rimarrà con me per un po'...-
Ludwig accennò un sorriso e la ringraziò un paio di volte, poi lei andò via. 
Poco fuori la fattoria incontrò il padrone. Gli si avvicinò furiosa e gli parlò quasi urlando. 
-Lei è un mostro! Dovrebbe vergognarsi! Ha visto in che condizioni l'ha ridotta? E' solo una ragazzina!- 
Due donne di mezz'età si voltarono a guardare la scena, lui però  gridò ancora più forte i suoi: -Non è affar suo!- e l'abbandonò lì poco dopo.
Dunque, la donna, indignata, se ne andò via. Si chiamava Flavia. 
Era giovane e aveva tutta la vita davanti, decisa a spenderla per istruire i ragazzi, seguendo la sua passione, la letteratura. Le era stato dato quell'incarico in quel piccolo paese che poco conosceva, l'aveva accettato con gioia e mai, mai!, avrebbe pensato che le cose andassero così male. I suoi alunni non erano molto presenti e a volte si distraevano per via della stanchezza, ma più che altro tutti apprendevano qualcosa di utile. Avevano età diverse non c'erano vere e proprie classi. Solo una per piccoli e una per più grandi. 
Il suo entusiasmo venne ben presto smorzato. Non riusciva a credere a ciò che era successo a Felicia e faceva avanti e indietro per casa propria, cercando di capire. Non trovò risposta e non capiva come comportarsi, ma una cosa la sapeva: doveva aiutare entrambi i ragazzi. Dopotutto era anche per loro che si trovava lì, nelle campagne italiane. 
Quella sera, prima di prepararsi per la notte, sistemò il salotto per l'arrivo della ragazza.
Quella era appena diventata la sua nuova missione. 
 
 
I ragazzi dormirono di nuovo insieme.
Lei aveva affondato il viso sul petto di Ludwig, che la stringeva a sé con fare dolce e le carezzava i capelli castani. Continuava a parlare per distrarla, ma la ragazzina sembra sempre più persa nei suoi pensieri, gli occhi nocciola fissavano il vuoto. 
I capelli le arrivavano fino alle spalle, rimpiangeva ancora di non avere le sue lunghe trecce ed i fiocchetti che utilizzava per fermarle erano adesso diventati un unico braccialetto al suo polso sinistro. Chiuse gli occhi e si accoccolò a lui.
-Ludwig?- lo chiamò bisbigliando.
Lui aveva un nuovo graffio. Ne aveva uno quasi ogni giorno, ma non gli importava di sé, non più ormai. Abbassò lo sguardo su di lei sgranando un poco gli occhi con fare curioso. -Mh?-
-Promettimi...- iniziò Felicia. -Prometti che verrai a trovarmi?- 
Il biondo annuì e le baciò la fronte.
-Ma non metterti nei guai per questo, te ne prego- e glielo fece promettere. 
Stretta tra le sue braccia prese sonno. 
Aveva mangiato la razione del ragazzo e la propria, i padroni si comportavano come se nulla fosse accaduto, né una briciola in me né una in più. Era tutto normale per loro. 
Si sentiva meglio; aveva riposato, bevuto e mangiato. Il giorno dopo ce l'avrebbe sicuramente fatta a raggiungere quella casa, doveva farcela. 
 
 
Non aspettarono che il giorno dopo giungesse, lo anticiparono.
L'alba non era ancora sorta quando Ludwig la svegliò. A piedi nudi, con le scarpe in mano, entrambi si misero a correre per uscire dalla fattoria, quando furono abbastanza lontani, lui la fece salire sulla sua schiena. Non voleva si stancasse. Rallentato dal suo peso, prese la stradina per il paese, la stessa percorsa dalla maestra il giorno prima, e attesero quest'ultima nella collinetta del loro primo incontro, quando la donna lo sorprese a canticchiare quella canzone in tedesco. Si stesero lì per un po', silenziosi, stringendosi la mano.
Felicia si sfilò il bracciale fatto coi nastri rossi dal polso e lo sistemò con cura nel suo. Accennò un sorriso e, sicura di non essere vista da nessuno, gli baciò una guancia. 
Lui naturalmente arrossì sulle gote, ma fu felice di quel gesto. Significava che almeno un po' stava meglio. 
Passarono gli istanti, i secondi ed i minuti e finalmente Flavia si figurò dinnanzi a loro. 
Li salutò educata e fece strada verso casa propria. L'italiana era di nuovo sulle spalle del tedesco. 
Lui la portò in quella casa e la sistemò sul divano, come se fosse la sua principessa, e le sorrise un sorriso che concedeva solo e soltanto a lei. 
Accettarono entrambi la colazione, poi il biondo fu costretto ad andare via. Prima però baciò la fronte della sua bella e le carezzò la guancia. 
-Ich liebe dich- le sussurrò all'orecchio. Lei arrossì. Ormai aveva capito cosa volesse dire. Non ricambiò quelle parole a voce, ma il suo sguardo lasciò filtrare molto più di un "ti amo anche io."
La maestra li osservò intenerita, nascosta dietro una parete. Lud s'inginocchiò quasi prendendo la mano della ragazzina, accoccolata tra i cuscini.
-Vengo a trovarti presto, te lo prometto. Tu riprenditi, mi raccomando.-
Pochi minuti dopo, era tornato a lavorare nella piantagione di patate.
 
 
 
Non mancò alla promessa.
Quella sera stessa, si presentò alla porta e quando la vide, subito sorrise. 
Lei era tornata quella di sempre. Adesso, come al solito, sorrideva anche, tutta felice, con gli occhi gioiosi e docili. Quando lo vide gli corse incontro e portò le braccia intorno al suo collo. Lui arrossì appena. Lei ridacchiò.
-Come... stai?- 
-Sto bene... E tu?- chiese l'italiana con fare apprensivo. Con la punta delle dita s'avvicinò al suo viso. Non aveva più tagli, ma aveva un alone viola intorno all'occhio sinistro. I padroni s'erano arrabbiato con lui per aver portato via la ragazzina. Era stato picchiato di nuovo, ma non ci faceva più molto caso ormai. La ragazza gli carezzò la ferita con lo sguardo di nuovo triste. Ludwig non riusciva a vederla così. Le sorrise e le prese la mano destra, con la quale lei ancora accarezzava la ferita, e ne baciò il palmo. 
La maestra entrò nel salone ed interruppe quel momento. Tutt'e due arrossirono un poco. 
Il braccialetto rosso era ancora nel polso del biondo, che non voleva più separarsene, anzi, stava attento a non perderlo quando lavorava. 
Rimasero da soli qualche momento, seduto sul divano azzurrino nel salone. Lui si sentiva a disagio in una casa così grande e bella, su quel divano comodo e pulito. Non voleva sporcarlo. Si sentiva un po' sporco anche lui, ma per motivi diversi. 
Lei aveva appoggiato la guancia sulla sua spalla, lui lì sentiva un poco male ma non si lamentò. Voleva sentirla vicina, ne aveva bisogno.
-Andremo via di qui... te lo prometto- le disse. 
Circondò le sue spalle con un braccio e la strinse a sé, accarezzandola con fare dolce.
-E dove andiamo?- domandò lei. Si sporse un po' in modo da guardarlo negli occhi e gli baciò lo zigomo, dove il ragazzo aveva quel brutto livido.
-Lontano. Da soli- provò lui a rassicurarla. Non era un tipo da grandi sorrisi, però voleva che lei si sentisse sempre a suo agio. 
-Ludwig... ho paura. E se io fossi...- 
Felicia sospirò ed appoggiò una mano sul ventre, con sguardo molto triste, che lui ebbe modo di notare. 
Il ragazzo scosse la testa. -Nein. Andrà tutto per il meglio. Adesso devo andare, ma tu dormi tranquilla, tornerò domani mattina.-
Le diede un ultimo bacio dolce ed uscì di casa. 
 
Continuò ad andarla a trovare, mattina presto e sera tarda, in tutti i giorni che seguirono. 
Lei stava sempre meglio, era sempre più serena, oltretutto a casa della donna si sentiva utile. Dava ordine, cucinava, ma era libera, nessuno la maltrattava. Imparò qualcosa dalla donna, anche se non abbastanza per dirsi istruita, non sapeva ancora leggere o scrivere. Ludwig sapeva farlo. Quel giorno provò ad insegnarglielo. 
Sedettero ad un tavolo, con le sedie vicine, lui prese una penna e scrisse su un foglio il proprio nome e cognome, aveva una bella grafia, stile ottocentesco. Il papà gli aveva insegnato a scrivere in modo così bello e particolare. Lo semplificò dopo per lei, scrivendo una seconda parola in modo più chiaro, il suo nome, quello di lei. Si fece dire il cognome e scrisse anche quello. 
Le mise la penna in mano, incitandola a provare, ma lei non era molto brava e ben presto rinunciò con un sospiro affranto. 
Flavia si avvicinò a loro. Leggendo il cognome della ragazza, Vargas, su carta, spalancò gli occhi e si portò una mano sul viso. Non disse nulla per non allarmarli, ma sapeva bene cosa volesse dire quello. Felicia... che fosse lei veramente? Iniziò a chiederselo, indietreggiando fino a tornare in cucina, ricomponendosi svelta per non farsi vedere da loro due così.
Nei giorni seguenti, continuò a chiederselo. 
Ludwig continuò a frequentar quella casa, ogni sera i tagli ed i lividi erano diversi, ma lui era sempre così dannatamente tranquillo... l'amava davvero molto.
Una sera non si fece vivo. Neppure la mattina precedente.
Scomparì per tre giorni. Flavia cercò di inventare qualche scusa, tuttavia non c'era traccia di lui in paese.
Che gli fosse successo qualcosa? L'italiana pianse ipotizzando il peggio. 
 
 
  
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