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Autore: Elizabeth_Tempest    13/07/2013    5 recensioni
Twinkle, Twinkle, Little Star
Twinkle, twinkle, little star,
How I wonder what you are!
Up above the world so high,
Like a diamond in the sky.
Twinkle, twinkle, little star,
How I wonder what you are!
When the blazing sun is gone,
When he nothing shines upon,
Then you show your little light,
Twinkle, twinkle, all the night.
Twinkle, twinkle, little star,
How I wonder what you are!
Grace si passò il pennellino tra le labbra per umettarlo, mentre ascoltava una delle sue compagne chiacchierare. Qualcuna canticchiava una canzone sentita alla radio.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Il Novecento
- Questa storia fa parte della serie 'Donne'
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Twinkle, Twinkle, Little Star 
Twinkle, twinkle, little star,
How I wonder what you are!
Up above the world so high,
Like a diamond in the sky.
Twinkle, twinkle, little star,
How I wonder what you are!

When the blazing sun is gone,
When he nothing shines upon,
Then you show your little light,
Twinkle, twinkle, all the night.
Twinkle, twinkle, little star,
How I wonder what you are!

 

Grace si passò il pennellino tra le labbra per umettarlo, mentre ascoltava una delle sue compagne chiacchierare. Qualcuna canticchiava una canzone sentita alla radio.

Mary, con un sorriso trionfante, mostrò il quadrante dell’orologio che stava dipingendo, mentre alcune compagne di lavoro ridacchiavano. Le altre erano incuriosite, chiesero a Mary che stesse succedendo.

-Ho scritto il mio nome sul quadrante, no?- ridacchiò la ragazza, due adorabili fossette si formarono sul suo visetto da diva. –Chissà, magari qualche bel soldato solitario lo leggerà durante la notte e mi scriverà una lettera.- concluse con un sorriso furbo. Grace scrollò il capo con un leggero sorriso dipinto sulle labbra: sogni da ragazzina! Ma del resto quella bambola di porcellana aveva solo diciott’anni, che si poteva pretendere?

Le altre risero, qualcuna prese un po’ in giro le speranze di Mary, poi ripresero tutte il loro lavoro.

Poteva essere noioso, Grace lo sapeva bene: inumidire il pennellino facendogli una punta bella fine, intingerlo nella pittura, dipingere i quadranti degli orologi, ripetere l’operazione.

Dipingere quadranti di orologi militari non era certo emozionante, ma di sicuro era un bel lavoro. Diciotto dollari di paga non erano certo da buttare via e poi non era affatto faticoso… Grace amava quel lavoro. Amava le sue compagne, ridere e scherzare con loro. Ed era affascinata da quella vernice. Undark, così si chiamava.

Bastava metterne un po’ sulle labbra e quelle scintillavano come stelle. Spesso lei e le ragazze ridevano, quando facevano quegli strani esperimenti. Quintia, una volta, si era tanto riempita di vernice da sembrare una lampada e tutte avevano riso a non finire. Anche Grace l’aveva fatto: si era dipinta le labbra e le guance e, quando a casa si era presentata a suo marito tutto luminosa, lui ne era stato entusiasta.

La voce di Edna, che parlava di suo figlio, la richiamò al mondo reale e tornò a dipingere i quadranti… chissà se un soldato avrebbe mai risposto per davvero a Mary…

Passò il pennellino sulla lingua, lo intinse della pittura e riprese il suo lavoro. Ignorò la fitta che provò alla mascella, del resto il medico le aveva detto che non era nulla… sarebbe passato, si disse. Come passava tutto.

 

***

 

I funerali dovrebbero capitare in giorni di pioggia, così si ripeteva Grace. Era così debole e provata da non riuscire a stare in piedi, ma non le importava. Aveva costretto suo marito a portarla lì, voleva vederla. Voleva vedere Mary un’ultima volta.

Non poteva crederci, non voleva crederci. Mary era così giovane… perché? Che senso aveva? E perché il sole si ostinava a splendere?! Avrebbe dovuto piovere, tutti avrebbero dovuto piangere la morte di Mary. Mary, Sarah, Judith, Anne… tutte morte, una dopo l’altra. Tutte giovani e carine, tutte con dei sogni e con un futuro davanti.

Grace ebbe un capogiro mentre la bara di Mary veniva calata, ma suo marito la sostenne. Sentiva il pianto della madre e delle sorelle della sua amica e sentiva anche il male che divorava pure lei.

Si era già portato via le altre, presto sarebbe venuto per lei. Presto, molto presto. Suo marito, con dolcezza, la portò via da lì, la riportò a casa, per riposare. A vederla, sarebbe parsa morta: la pelle sembrava fatta di cenere, tanto era grigiastra ed era magra come se non mangiasse da anni… forse era così, si disse, del resto il cibo le faceva solo montare la nausea.

Una volta Katherine era passata a trovarla. Era stata lei a dirglielo, con la sua voce profonda e ferma. Era colpa della vernice, aveva detto. Di Undark. Brillava perché era tossica, ma nessuno l’aveva detto loro. Nessuno se ne preoccupava.

Tanto- aveva sbottato Katherine- siamo noi a morire, non le loro mogli!

Radioattiva. Ecco il termine esatto. Radioattiva. Velenosa. E pensare che tutte loro l’avevano usata… Mary ci aveva scritto il suo nome sui quadranti… adesso a chi avrebbero spedito le lettere, i soldati? Lei era morta. E Sarah… lei ci si dipingeva le labbra… i suoi figli dov’erano?

Era solo un bel gioco… si brillava come stelle… solo un gioco… nulla di più.

Undark… perché nessuno aveva detto che era velenosa? E il dolore alla mascella… perché il dottore aveva detto che non era nulla?

Grace si rannicchiò nel letto, senza trovare risposte e sprofondò nel sonno più profondo di tutti.

 

 

 


***

Angolo dell’autrice

***

Salve, era da un po’ che non mi facevo sentire in questa sezione.

Spero che la one-shot vi sia piaciuta. L’argomento sono le Radium Girls, ossia le operaie della U.S. Radium Corporation che, negli anni 20, furono assunte per dipingere i quadranti degli orologi militari con una nuova pittura fosforescente, l’Undark.

Le ragazze, tutte molto giovani e attirate dalla paga di ben 18 dollari, umettavano i pennellini impiegati per dipingere con la lingua e, scoperte le proprietà della vernice, giocavano anche a dipingersi le labbra o altre parti del corpo o, secondo le testimonianze, scrivevano i propri nomi sui quadranti, in attesa di lettere dai soldati. L’Undark era, però, un composto estremamente tossico, una mistura di radio e di solfuro di zinco.

I primi sintomi che le operaie lamentarono fu un dolore alla mascella. Ben presto tutte le ragazze presentarono problemi di gravità sempre maggiore: anemia, fratture inspiegabili alle ossa, necrosi delle mascelle, osteosarcomi fino alla morte.

Alcune di queste ragazze si riunirono ed iniziarono una battaglia contro la U.S. Radium Corporation che fruttò loro 10 000 $ di indennizzo e spese mediche pagate per il resto della loro vita. La U.S. Radium adottò migliori protocolli di sicurezza e l’attenzione che i media dedicarono alle Radium Girls creò un vero e proprio precedente giuridico e migliorò le normative governative in materia di sicurezza il lavoro.

Ho voluto raccontare solo due momenti di questa storia perché sono quelli cruciali: il lavoro di Grace –il nome è ispirato a quello di Grace Fyer, la prima delle Radium Girls a dar battaglia alla U.S. Radium- con le sue compagne, la loro vita spensierata e il modo in cui trattano l’Undark, senza essere consapevoli dei rischi e la morte di Mary –personaggio di fantasia e gli ultimi pensieri della protagonista, che ripensa alle parole della collega Katherine –ispirata a Katherine Schaub, un’altra delle Radium Girls- e riflette, se pur in modo molto frammentato, su ciò che è successo.

La canzoncina all’inizio è Twinkle twinkle little star, una filastrocca inglese per bambini… e non so, mi pareva che in qualche modo fosse adatta per questa one-shot.

Alla prossima,

Beth

   
 
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