Twinkle,
Twinkle, Little Star
Twinkle, twinkle, little star,
How I wonder what you are!
Up above the world so high,
Like a diamond in the sky.
Twinkle, twinkle, little star,
How I wonder what you are!
When the blazing sun is gone,
When he nothing shines upon,
Then you show your little light,
Twinkle, twinkle, all the night.
Twinkle, twinkle, little star,
How I wonder what you are!
Grace
si passò il pennellino tra le labbra per umettarlo, mentre
ascoltava una delle
sue compagne chiacchierare. Qualcuna canticchiava una canzone sentita
alla
radio.
Mary,
con un sorriso trionfante, mostrò il quadrante
dell’orologio che stava dipingendo,
mentre alcune compagne di lavoro ridacchiavano. Le altre erano
incuriosite,
chiesero a Mary che stesse succedendo.
-Ho
scritto il mio nome sul quadrante, no?- ridacchiò la
ragazza, due adorabili
fossette si formarono sul suo visetto da diva.
–Chissà, magari qualche bel
soldato solitario lo leggerà durante la notte e mi
scriverà una lettera.-
concluse con un sorriso furbo. Grace scrollò il capo con un
leggero sorriso
dipinto sulle labbra: sogni da ragazzina! Ma del resto quella bambola
di
porcellana aveva solo diciott’anni, che si poteva pretendere?
Le
altre
risero, qualcuna prese un po’ in giro le speranze di Mary,
poi ripresero tutte
il loro lavoro.
Poteva
essere noioso, Grace lo sapeva bene: inumidire il pennellino facendogli
una
punta bella fine, intingerlo nella pittura, dipingere i quadranti degli
orologi, ripetere l’operazione.
Dipingere
quadranti di orologi militari non era certo emozionante, ma di sicuro
era un
bel lavoro. Diciotto dollari di paga non erano certo da buttare via e
poi non
era affatto faticoso… Grace amava quel lavoro. Amava le sue
compagne, ridere e
scherzare con loro. Ed era affascinata da quella vernice. Undark,
così si
chiamava.
Bastava
metterne un po’ sulle labbra e quelle scintillavano come
stelle. Spesso lei e
le ragazze ridevano, quando facevano quegli strani esperimenti.
Quintia, una
volta, si era tanto riempita di vernice da sembrare una lampada e tutte
avevano
riso a non finire. Anche Grace l’aveva fatto: si era dipinta
le labbra e le
guance e, quando a casa si era presentata a suo marito tutto luminosa,
lui ne
era stato entusiasta.
La
voce di Edna, che parlava di suo figlio, la richiamò al
mondo reale e tornò a
dipingere i quadranti… chissà se un soldato
avrebbe mai risposto per davvero a
Mary…
Passò
il pennellino sulla lingua, lo intinse della pittura e riprese il suo
lavoro.
Ignorò la fitta che provò alla mascella, del
resto il medico le aveva detto che
non era nulla… sarebbe passato, si disse. Come passava tutto.
***
I
funerali dovrebbero capitare in giorni di pioggia, così si
ripeteva Grace. Era
così debole e provata da non riuscire a stare in piedi, ma
non le importava. Aveva
costretto suo marito a portarla lì, voleva vederla. Voleva
vedere Mary un’ultima
volta.
Non
poteva crederci, non voleva crederci. Mary era così
giovane… perché? Che senso
aveva? E perché il sole si ostinava a splendere?! Avrebbe
dovuto piovere, tutti
avrebbero dovuto piangere la morte di Mary. Mary, Sarah, Judith,
Anne… tutte
morte, una dopo l’altra. Tutte giovani e carine, tutte con
dei sogni e con un
futuro davanti.
Grace
ebbe un capogiro mentre la bara di Mary veniva calata, ma suo marito la
sostenne. Sentiva il pianto della madre e delle sorelle della sua amica
e
sentiva anche il male che divorava pure lei.
Si
era
già portato via le altre, presto sarebbe venuto per lei.
Presto, molto presto.
Suo marito, con dolcezza, la portò via da lì, la
riportò a casa, per riposare. A
vederla, sarebbe parsa morta: la pelle sembrava fatta di cenere, tanto
era
grigiastra ed era magra come se non mangiasse da anni… forse
era così, si
disse, del resto il cibo le faceva solo montare la nausea.
Una
volta Katherine era passata a trovarla. Era stata lei a dirglielo, con
la sua
voce profonda e ferma. Era colpa della vernice, aveva detto. Di Undark.
Brillava
perché era tossica, ma nessuno l’aveva detto loro.
Nessuno se ne preoccupava.
“Tanto-
aveva sbottato Katherine- siamo
noi a morire, non le loro mogli!”
Radioattiva.
Ecco il termine esatto. Radioattiva. Velenosa. E pensare che tutte loro
l’avevano
usata… Mary ci aveva scritto il suo nome sui
quadranti… adesso a chi avrebbero
spedito le lettere, i soldati? Lei era morta. E Sarah… lei
ci si dipingeva le
labbra… i suoi figli dov’erano?
Era
solo
un bel gioco… si brillava come stelle… solo un
gioco… nulla di più.
Undark…
perché nessuno aveva detto che era velenosa? E il dolore
alla mascella… perché il
dottore aveva detto che non era nulla?
Grace
si rannicchiò nel letto, senza trovare risposte e
sprofondò nel sonno più
profondo di tutti.
***
Angolo
dell’autrice
***
Salve,
era da un po’ che non mi facevo sentire in questa sezione.
Spero
che la one-shot vi sia piaciuta. L’argomento sono le Radium
Girls, ossia le
operaie della U.S. Radium Corporation che, negli anni 20, furono
assunte per
dipingere i quadranti degli orologi militari con una nuova pittura
fosforescente, l’Undark.
Le
ragazze, tutte molto giovani e attirate dalla paga di ben 18 dollari,
umettavano i pennellini impiegati per dipingere con la lingua e,
scoperte le
proprietà della vernice, giocavano anche a dipingersi le
labbra o altre parti
del corpo o, secondo le testimonianze, scrivevano i propri nomi sui
quadranti,
in attesa di lettere dai soldati. L’Undark era,
però, un composto estremamente
tossico, una mistura di radio e di solfuro di zinco.
I
primi sintomi che le operaie lamentarono fu un dolore alla mascella.
Ben presto
tutte le ragazze presentarono problemi di gravità sempre
maggiore: anemia,
fratture inspiegabili alle ossa, necrosi delle mascelle, osteosarcomi
fino alla
morte.
Alcune
di queste ragazze si riunirono ed iniziarono una battaglia contro la
U.S.
Radium Corporation che fruttò loro
10 000 $ di indennizzo e spese
mediche pagate per il resto della loro vita. La U.S. Radium
adottò migliori
protocolli di sicurezza e l’attenzione che i media dedicarono
alle Radium Girls
creò un vero e proprio precedente giuridico e
migliorò le normative governative
in materia di sicurezza il lavoro.
Ho
voluto raccontare solo due momenti di questa storia perché
sono quelli cruciali:
il lavoro di Grace –il nome è ispirato a quello di
Grace Fyer, la prima delle
Radium Girls a dar battaglia alla U.S. Radium- con le sue compagne, la
loro
vita spensierata e il modo in cui trattano l’Undark, senza
essere consapevoli
dei rischi e la morte di Mary –personaggio di fantasia e gli
ultimi pensieri
della protagonista, che ripensa alle parole della collega Katherine
–ispirata a
Katherine Schaub, un’altra delle Radium Girls- e riflette, se
pur in modo molto
frammentato, su ciò che è successo.
La
canzoncina all’inizio è Twinkle twinkle little
star, una filastrocca inglese per
bambini… e non so, mi pareva che in qualche modo fosse
adatta per questa
one-shot.
Alla
prossima,
Beth