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Autore: Amy Tennant    13/07/2013    7 recensioni
John Smith e Rose Tyler sono insieme e un altro Tardis sta crescendo nel mondo parallelo, nei laboratori di Torchwood. John però sente che qualcosa sta cambiando ed è qualcosa di cui neanche il Dottore era pienamente consapevole.
Una fine può essere l'inizio di qualcosa di totalmente inaspettato.
Anche per Rose.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Il tempo precipitava. Lo sentiva, lo sentiva crollare contro i sigilli degli universi paralleli, contro quei muri che dovevano separarli. I muri dei mondi si rompevano a rallentatore nella sua mente, davanti ai suoi occhi. Schegge, schegge di istanti che esplodevano nella realtà colpendo le cose in modo che nessuno poteva vedere ma lui sì. E davvero sembrava di trovarsi al centro di un’esplosione lenta, silenziosa, ma di qualcosa di tagliente, qualcosa che lo stava aprendo dentro e ogni trasparentissimo coccio di tempo scheggiava la realtà roteando nell’aria che respiravano. Bruciava, tagliava. Si chinò su sé stesso con un cupo gemito, uno tra i tanti attorno. Il dolore era terribile, viscerale. Il suo respiro irregolare ormai, gli occhi spalancati su un disastro che stava avvenendo in tutti i tempi possibili e impossibili. E proprio lì, il suo cuore si stava arrendendo, lo sentiva. Lakil lo fissava inorridito da ciò che sentiva in lui, ma tutti gli altri continuavano a tenersi le mani sulle orecchie ad urlare frasi confuse attorno. Nessuno però riusciva più a tenere sotto tiro l’altro. Unico vantaggio, pensò, reprimendo il dolore mentre la mano che aveva riportato sul braccio si stringeva contemporaneamente al suo piegare il capo a denti stretti.
Cosa poteva fare?
Pensa, Dottore. Pensa…!
Se lo imponeva. Doveva farlo. Pensare e rivoltare il pensiero. Rivoltare ogni cosa, ancora una volta. L’ultima.
Niente era andato come credeva.
Ogni cosa si era distorta in un evento che non avrebbe potuto prevedere in alcun modo. E se prima si era recato in quei laboratori per scoprire cosa venisse fatto agli alieni in quel luogo, convinto di aver modo di stabilizzare il primo ingresso del Tardis nella loro dimensione e sfruttarlo per uscire da là dentro, alla fine si era ritrovato in qualcosa di molto più complicato di quanto credesse.
La piccola squadra alla ricerca dei compagni di Lakil o comunque di alieni prigionieri; il resto della Unit impegnata invece nella distruzione di quella cosa orribile, forse la vera responsabile dello stato dei muri che avrebbero dovuto sigillare ogni mondo per separarlo dall’altro. Lui aveva subito la rigenerazione del suo sé stesso con due cuori, il suo corpo, un complesso paradosso genetico, si era scompensato per qualche misterioso motivo che non gli era ancora chiaro e il Tardis aveva accelerato il suo sviluppo stimolato dal disturbo spazio dimensionale, probabilmente. E però sapeva, avrebbe detto per istinto, che Lei aveva fretta di nascere per salvarlo; misterioso anche quello ma era ciò che Lei gli aveva detto.
E insieme detto che non lo aveva salvato.
Tutto ciò che stava accadendo era dovuto a quello ma ben prima che l’azione fosse presente. Incontrare in un sogno Donna Noble, la Donna unita a lui del tutto e davvero, e vedere il suo passato e il futuro distorcersi in altre possibilità che non erano state, dipendevano da una trivellazione temporale che stava accadendo in quel momento e non prima. Il tempo cambiava in continuazione, confondendosi.
Erano… cose. Forse iniziava a capire il senso delle parole usate da Lei.
Ormai la sua ira sovrastava il dolore, come quando si era recato lì ma decisamente in uno stato migliore. Quella cosa lo stava dilaniando ma stava facendo a pezzi Lei e non sapeva come salvarla. Non capiva come fare.
La trivella scavava, inesorabile. Aveva raggiunto un’altra dimensione e contemporaneamente ecco arrivare il Tardis da altrove. Da un altrove che neanche il Dottore sapeva dove fosse, probabilmente oltre tutto e allo stesso tempo dentro tutto.
Aveva allevato una creatura misteriosa e potente. Un nuovo Tardis non nasceva da millenni. Un nuovo Tardis stava per aprire gli occhi; ed essere distrutto da quella mostruosità. Guardò attorno, tutti continuavano a mettere le mani sulle orecchie, a fissare attorno ogni cosa che sembrava davvero muoversi per un vento improvviso, quello che quel soffio, quel respiro, smuoveva sempre attorno.
Ma ad un tratto lo sentì cambiare, diventare più sordo, più lento. Tremò.
Cosa poteva fare? Come impedire quel disastro? Come fermare quel mostro?
La trivella stava risucchiando il Tardis in una dimensione alternativa in chissà quale tempo?
Il Dottore ascoltava il suo respiro umano come non fosse il proprio ma lo era. Ansimava, era troppo breve, non gli bastava. Cercò un sostegno ma non c’era e si mise dritto con le ultime forze, ancora una volta, gli occhi lucidi che vagavano nervosamente ovunque mentre quella cosa stava spaccando le sue ossa, tutte le sue ossa e anche quello che aveva dentro.
Scintillava? L’anima era una polvere che scintillava nel nulla? Non credeva all’anima, ma qualunque cosa lo tenesse in piedi stava riducendosi a quel modo. Sabbia in una clessidra dal vetro crepato, clessidra che aveva misurato tanti tempi per molto tempo.
Ma si scosse dalla tentazione dell’abbandono. La conosceva, la conosceva per come l’avesse abbracciato sull’orlo dell’abisso appena un attimo prima di caderci dentro. Non conosceva la Morte invece.
Ma l’aveva avuta addosso nove volte. Tutte diverse. Non doveva chiudere gli occhi.
Ma aprirli fino in fondo.
Guardò Tashen stravolto e si accorse che stava indicando qualcosa in modo urgente, fuori di sé dalla rabbia ed era evidente. Era certamente un ordine ad uno degli uomini che gli erano accanto. Seguì uno di loro spostarsi verso una griglia di comando lì vicino, dove vide una leva accanto ad un cilindro trasparente. L’uomo la tirò con forza e John sentì quella cosa rallentare e il suono del Tardis diventare più acuto, strano.
-          Ti prego… resisti! – mormorò. Guardò la strana bottoniera accanto a quell’oggetto trasparente e comprese che sebbene in senso diverso, si trattava di un altro dispositivo di contenimento, un altro oggetto “alieno” che funzionava analogamente a quello da lui progettato, forse; o per lo meno per uno scopo similare: contenere una distorsione spaziale e circoscriverla in un luogo. Ma non era sicuro e decisamente antiquato, come tutta la tecnologia che usavano senza capire.
-          Stanno fermando la trivella! – urlò Steward e John lo fissò stravolto. Lo afferrò con una forza impressionante. L’uomo quasi gemette.
-          Ditemi con che cosa pensavate di fermarla! – gli chiese quasi strattonandolo. Sconvolto dalla situazione ma anche da quello sguardo, Steward ebbe un momento di esitazione che il Dottore lesse nei suoi occhi – me lo dica, si fidi di me … non c’è tempo! – urlò.
Steward non ebbe la forza di dire una parola e preso dalla giacca un oggetto lo porse a John che lo guardò un breve momento e poi lo fece scivolare nella tasca del cappotto. Lui e Steward si scambiarono un’occhiata che non ebbe bisogno di parole.
Il suono intanto continuava e diventò più forte. Stava accadendo, davanti ai loro occhi..
Ma capì subito che non era come pensava, quel che si stava materializzando era...
Silenzio. Nulla. Il soffio cessò di colpo e lui si sentì piegare le gambe. Lakil lo sostenne prontamente e Martha Jones fece la stessa cosa.
Nonostante tutto anche lei non lo aveva perso di vista un istante. John la fissò con un certo stupore perché lei era un’estranea addirittura e non sapendo chi lui fosse avrebbe avuto ottime ragioni per considerarlo anche un nemico. Ma non era così. Non per la donna che lo stava guardando con apprensione.
Ancora una volta, come per Donna, gli universi non sembravano divisi così profondamente come pensavano i signori del Tempo. I loro occhi si incontrarono un lunghissimo momento. Forse sentiva di conoscerlo, almeno in qualche modo. Ma non sarebbe dovuto accadere, non aveva senso.
Non erano uniti da nulla se non da una serie di eventi che lì si erano svolti in modo differente. E tuttavia anche lei, pur senza averlo incontrato, era entrata nella Unit. Era un soldato. Lo era nell’anima, prima che viaggiare con lui glielo avesse rivelato con chiarezza. E di nuovo, sebbene in senso diverso, il Dottore vide in lei l’ombra della possibilità di quel qualcosa che era diventato complicato tra loro. Lo scintillio nei suoi occhi neri lo ammise. Martha Jones lo guardava come se in qualche assurdo modo lo avesse ritrovato e non incontrato la prima volta. E di nuovo, in lei, quel senso di protezione che aveva sempre avuto verso di lui. La sua meravigliosa Martha era la stessa, anche lì. Le sorrise istintivamente, nonostante il dolore e lei lo ricambiò turbata.
Gli uomini vicini sembravano ancora storditi ma John vide che sollevando lo sguardo tutti guardavano nella stessa direzione. Il Dottore alzò gli occhi scuri davanti a sé e Martha e Lakil sentirono il tremito che lo aveva scosso.
Al centro della stanza, vicino a dove si trovava la squadra della Unit, uno strano oggetto. Grande. Sembrava una sorta di…
No. Non lo sembra. Lo era. Davanti a loro si era materializzata una console, un tipo che conosceva benissimo. Una console nuda. Spoglia. Spenta. Vuota.
…Vuota…
Pensò ad un osso. E gemette.
Lakil sentì dentro di lui sorgere una disperazione senza limiti, spalancarsi nel suo animo l’abisso scuro della perdita. Era decisamente quella. Una morte.
-          Dottore… ma cosa…?
-          Chi e non cosa. Era … Lei – sussurrò dolorosamente e Lakil lo strinse più forte, come per sostenerlo dentro. Ma non serviva, una marea buia giungeva da quel dolore disperato ed intenso.
-          “Era”…? – Martha e il dottor Steward, che si era intanto avvicinato a loro, fissavano quello strano oggetto turbati. Lei però rivolse gli occhi su di lui e vide che erano lucidi. Di pianto. L’uomo che sentiva tremare era provato emotivamente da quello che loro fissavano con indifferente incoscienza. Lo notò anche il suo compagno ed entrambi si scambiarono un’occhiata preoccupata.
-          Dottore, non capisco…  – chiese Steward.
-          Non può farlo. Non potete… - la sua voce tremava sull’esitare di un fiato troppo breve ma anche per il pianto che frenava - Era … una bambina… - aggiunse piano e Steward guardò il Dottore e poi quello strano oggetto, sembrava quello, decisamente confuso – era l’ultima della sua specie, antica e gloriosa. E quella cosa  - pronunciò la parola con odio - l’ha uccisa mentre nasceva… –  abbassò il capo e dopo due respiri più profondi, John lasciò chi lo sosteneva e lentamente si avvicinò a ciò che sembrava qualcosa di incompleto, lasciato in sospeso. Tutti gli occhi erano sul Dottore e lui parve risoluto, sicuro. Nonostante fosse sfinito e disperato.
Il bianco tagliente del materiale di cui era costituito scintillava anche in quella luce bassa. Tese una mano e la poggiò delicatamente su quel triste resto di qualcosa che non aveva avuto modo di esistere. Lo accarezzò quindi e in quel momento si sentì mancare. Cadde quasi in ginocchio ma stringendo i denti si sorresse a quella che sarebbe stata una console. Lo era. La console del suo Tardis.
-          Mi dispiace, piccola … mi dispiace … - le sussurrò come potesse sentirlo – non sono riuscito a proteggerti, non sono riuscito a fare quel che mi hai chiesto… - sentì un colpo fortissimo dentro e si chinò sulla console stringendola, disperatamente, per non gridare. Un lungo momento. Uno degli ultimi – … sembra proprio che anche questo… strano signore del Tempo stia morendo. Ma prima deve fare una cosa. Io devo… - disse l’ultima parola con rabbia e fu l’unica che qualcuno sentì. Martha fece per andare verso di lui ma Lakil la fermò scuotendo il capo. John quindi sollevò lo sguardo verso dove si trovava Tashen che con gli altri guardava quella cosa apparsa dal nulla con perplessità e una certa agitazione – voi…  - quasi ringhiò, la sua bella voce piegata nel tono più cupo che avesse mai avuto - con la vostra stupida ignoranza di uomini, avete… ucciso una creatura bellissima!
Tashen assottigliò gli occhi freddissimi e la piega delle sue labbra divenne una smorfia. Gli uomini accanto a lui si scambiarono occhiate inquiete e mezze parole.
-          Oh sì, sì…! – disse il Dottore fissandoli con occhi sbarrati, aprendo le braccia indicando la console  – decisamente è quello che pensate o meglio: lo era. L’avete perduta. Anni di lavoro, quasi sul punto di averla ed invece… l’avete persa per sempre – scosse il capo abbassando lo sguardo, un terribile sorriso – stupido vecchio Dottore…  - rise e tutti pensarono che fosse tremendo sentire quella risata in quel momento. Più di qualcuno rabbrividì perché quell’uomo faceva paura e la faceva a tutti solo con la sua presenza – mi sono fidato di voi. Mi sono fidato e non avrei dovuto. Troppo… confuso, lo ammetto! Mi sono ritrovato in parte umano e  sono rimasto stravolto, da questa nuova vita. Ho sbagliato. Tragicamente ma… - sollevò gli occhi fiammeggianti verso di loro – io rimedio sempre ai miei errori.
-          Dottore, lei sta…
-          Oh, non provate a dire altre idiozie, non a a me! Non ora – disse tagliente interrompendo le parole di uno degli uomini di Tashen – siete stati peggio che incoscienti, siete dei criminali della peggior specie. Siete degli incapaci…! – disse furioso - avete riportato indietro della spazzatura, della tecnologia pessima, sorpassata… distrutta perché pericolosa!
-          Utile! Straordinariamente utile per il nostro progresso.
-          E che tipo di progresso mette in conto questo? Avete preso della gente e l’avete rinchiusa qua dentro per fare esperimenti. Esperimenti su delle… persone.
-          Erano alieni e ostili! – disse un altro uomo accanto a Tashen e altri annuirono. Il Dottore sorrise ancora. Un sorriso con un’ombra di follia. Martha gemette di paura e Lakil la strinse ma continuando a fissarlo, gli occhi sempre più blu.
-          Alieni e ostili. Ovviamente. E gli umani, i vostri simili? Erano solo… ostili? – Tashen si irrigidì. Allora lo sapeva. Si chiese come l’avesse capito, forse la squadra con cui era entrato non lo stava minacciando ma accompagnando. Era certo che non avesse contatti con la Unit però, i controlli su di lui erano continui ma allora come? Poi gli venne in mente una cosa e questo lo fece preoccupare più di ogni altra cosa, anche se non lo avrebbe mai ammesso: quell’uomo era il Dottore. Lo era davvero e del tutto.
-          Non abbiamo mai toccato un umano – disse Tashen con tono sicuro – noi proteggiamo l’umanità.
-          Voi avete fatto a pezzi anche umani! – gridò Lakil rabbiosamente – ed io ne sono la prova vivente! – molti si guardarono confusi. John sorrise a Lakil e annuì.
-          Cosa vuol dire? – qualcuno lo chiese, non si capì chi. Ma era uno di coloro che avevano contro, la voce era stata un’eco.
-          Un alieno è diventato in parte umano perché ha generato un nuovo corpo da dna umano dopo essere stato gettato via con altri resti. Nella rete di riciclo dei rifiuti, non è vero? E… dove è successo, dove sei diventato quel che sei, Lakil…? – gli occhi oscuri del Dottore si alzarono di nuovo verso chi aveva davanti – provate a chiederglielo perché quel ragazzo ha una storia orribile da raccontare ed in parte l’ha dimenticata perché non sarebbe potuto vivere, sarebbe diventato un pazzo. Eppure… - sorrise – lui non è tornato indietro qui per vendicarsi, no. Ma per cercare gli altri. E quali altri c’erano, chi sono… chi erano?
-          Maledetto… perché non sei già morto? – si chiese con odio Tashen fissando John fieramente in piedi davanti a lui e tutti. La mano scivolò sulla pistola che portava sotto la giacca. La sentì, presente e fredda. Sarebbe stato bello sparargli. Lo desiderava. Credeva il Dottore utile quanto pericoloso. Si sbagliava. Che vivesse era ormai privo di significato. Ucciderlo. Sarebbe stato persino piacevole. Ma non poteva, non davanti alle forze di Governo inviate per far fronte a quell’emergenza speciale. Erano legate al Torchwood, che godeva di ogni sostegno ma non fino all’omicidio a sangue freddo di un uomo disarmato. Lo era davvero, nonostante il momento. Fece un mezzo sorriso. Cosa credeva di poter fare, senza neanche un’arma con cui minacciarli? Tashen Cercò di controllarsi. La perdita del Tardis era una tragedia ma in quel momento era preoccupato da quel pazzo che non temeva neanche un esercito contro – Dottore… lei non era qui per caso, non è vero? – John fissò Tashen disgustato.
-          Non sono per caso mai da nessuna parte. Anche le volte in cui sono convinto di sì – lo disse dolorosamente. Perché in fondo era sempre stato così, nei suoi viaggi con Lei. Lei…
Andava vendicata. Andavano vendicati tutti coloro che aveva sofferto ed erano morti, a causa di quella gente.
-          Lei è un traditore, Dottore – il Dottore sorrise e fu terribile.
-          Mi è stato già detto. Molto tempo fa. E forse in un certo senso era vero. Beh… signori, parlavate di alieni ostili? Io sono alieno e ora molto ostile, nei vostri confronti – il Dottore li fissò e parve poterlo fare con ciascuno di loro singolarmente. Tashen vide più di qualcuno indietreggiare per non incrociare quello sguardo, spaventoso. 
-          Il Tardis quindi è perduto…?
-          E’ MORTA! – gridò John, gli occhi sempre più neri – il Tardis è morto del tutto, morto per sempre. UCCISA. Ma non invano – fece un lungo respiro, il dolore era intollerabile. John si rivolse a coloro che vestivano la divisa delle forze speciali del Governo. Li guardò severamente, come fossero poveri ragazzini del tutto all’oscuro degli effetti delle loro azioni e infatti accennò ad un lieve sorriso come fosse di comprensione. Più di qualcuno ne fu stupito – non siate complici della fine del vostro mondo. Potete scegliere, si può sempre scegliere. Fino alla fine.
-          Non dategli ascolto! – gridò Tashen – la cattura era una messinscena! Il dottor Smith era ovviamente un infiltrato della Unit…
-          Avrei voluto esserlo…! – ringhiò John portandosi una mano alla spalla e stringendo il braccio molto forte. Martha notò il gesto. Quadrava con tutto il resto, con il fiato corto, il pallore, l’aria sfinita e i mancamenti. Il Dottore stava avendo un infarto. Di nuovo pensò di muoversi verso di lui e di nuovo Lakil la fermò, senza toccarla.
-          E’ inutile, sta morendo… - le sussurrò e lei sgranò gli occhi su quell’uomo che continuava a combattere, nonostante tutto. Che era così ostinato, giunto alla fine. Non si arrendeva. Era pazzo e coraggioso.
-          Dottore… ! - gemette piano e Steward la guardò un momento, stupito dalla sua espressione e dal tono che aveva usato per pronunciare quella parola.
Davvero non lo conosceva? Non sembrava. Lui la conosceva certamente, l’aveva chiamata per nome.
Ma non era il momento di chiedersi come fosse possibile. Troppe cose non avrebbero dovuto esserlo.   
-          Potete scegliere come farvi ricordare – continuò John imperterrito, nonostante stesse diventando evidente a tutti che soffriva molto – potete scegliere e scegliete la cosa giusta! Siete in un luogo dove questa gente ha commesso delle atrocità che non riuscireste neanche a concepire, mi auguro. E capisco, io lo capisco, che voi possiate avere paura o persino odiare coloro che vengono da altrove, per quel che è stato fatto a qualcuno dei vostri cari. Avete…paura. E’ giusto e anche saggio, averla – gli mancò il fiato per finire la frase che si ruppe. Più di qualcuno lo fissava perplesso mentre cercava di prendere respiro a testa bassa, le armi che dovevano essere puntate non lo erano più contro nessuno. Lo stavano ascoltando e il Dottore se ne accorse e sorrise - la violenza non è la soluzione alla paura, non è da voi. Voi umani siete coraggiosi, impavidi, pazzi. Rifiutate questa violenza preventiva. E’ vigliacca è atroce! Non è rivolta verso chi vi ha fatto del male ma verso persone come voi. Io… sono un signore del Tempo ma ora, almeno in parte… io sono come voi. Lo sono – annuì - ed è la prima volta che lo ammetto – abbassò lo sguardo e sorrise dolorosamente al pensiero, ancora una volta, di Rose, della sua compagna, di colei che amava ed era umana, di colei che stava lasciando – in futuro potreste amare qualcuno che non è nato sul vostro stesso mondo e amarlo come non pensavate possibile – disse a voce più bassa – io… vengo da un altro universo, e in quell’universo, in futuro, voi umani sarete grandi, sarete ovunque! Viaggerete, abiterete in altri mondi, cambierete… vi evolverete e vi unirete a molti di coloro che vi è chiesto di combattere senza conoscere. Non fatelo… - disse con sforzo – e non fatelo per chi non ha esitato ad usare anche umani, per i suoi sporchi scopi, non è vero, Tashen?
Martha si accorse che Lakil era teso, soffriva. Fu stupita dal sentirlo gemere. Lakil ignorò la domanda nei suoi occhi.  Il momento era sempre più vicino e lui aveva paura. Lui e non il Dottore.
Il Dottore si stava chiedendo se la donna che amava stesse bene, se fosse ancora al sicuro nella sua casa.
… per quanto resterai con me…?
… per sempre…
Lakil non riuscì a trattenere le lacrime. Iniziò a piangere. Martha ed altri lo fissarono sconvolti da una reazione così violenta. Ignoravano tutti chi fosse; tranne i suoi compagni, che lo avevano saputo dal Dottore. Un bambino. Impaurito e stravolto. E se Sofia ed il capo della squadra di salvataggio di cui aveva fatto parte non lo degnarono che della solita occhiata ironica e spazientita, il ragazzo robusto e Lena, che lo guardava da lontano restare sempre vicino al Dottore, ebbero un brivido e compresero misteriosamente che quelle lacrime avevano un senso profondo.
Lena lo sentì ad un tratto, come lui glielo avesse in qualche modo confessato sottovoce: Lakil piangeva anche per loro due. Abbassò l’arma che stringeva a sé forsennatamente, dopo essersi ripresa dallo stordimento, l’arma che teneva in mano per paura di quel che sarebbe successo, per paura di ogni cosa; non aveva mai sparato se non contro un bersaglio. Eppure in quel momento qualcosa superò ogni altro timore. Ciò che temeva di più era perderlo. Ne fu certa.
Gli si avvicinò quindi e lo strinse a sé con un gesto risoluto, strano per lei. Lo strinse forte ma Lakil non riusciva neanche a toccarla. Le sue braccia erano tese e stringeva i pugni perché si sentiva incapace di muovere un muscolo, terrorizzato da quello che avrebbe dovuto fare.
Condannato.
Il Dottore era condannato. E lo era anche lui.
Non poteva però lasciare che tutto finisse a quel modo. Non lì, non in quel momento.
Intanto le parole di John non avevano lasciato indifferenti gli uomini venuti a dare man forte alla sicurezza del Torchwood. Forse l’umanità, anche in quel tempo e in quel mondo, non era così marcia.
Non poteva esserlo, pensò il Dottore mentre il dolore lo distraeva dal resto.
-          Davvero sono stati uccisi anche degli umani? – chiese un ragazzo più giovane in uniforme scura. I suoi compagni lo fissarono annuendo. La domanda era di tutti. Volevano sentirlo ancora, di nuovo.
Il Dottore si era stancamente addossato al resto di quella console a testa bassa. Non disse una parola, la mano sul petto, ripiegato su sé stesso.
-          Sono menzogne! – insistette Tashen.
-          Non vedete in che stato si trova quest’uomo? Probabilmente è stato drogato, manipolato… ! – disse uno degli uomini in camice.
-          Anche questo, dopo tutto? – rise sarcastico John – oh no… Sono decisamente in me, per vostra sfortuna!
-          Gli esperimenti non hanno risparmiato esseri umani che erano… di altro avviso rispetto ai rapporti con gli alieni! – insistette Martha.
-          È la verità! – disse il ragazzo robusto che si era fatto più avanti – la sporca verità. Il nostro compagno, Lakil, dimostra che vi erano umani qui!
- E' un alieno! Non credere ad alieno! - disse una voce insistente dal gruppo di Tashen.
-          Allora credete a me. Ero … umana. Prima – un’altra voce su tutte. Il ragazzo robusto accigliò la fronte stupito. Una voce vicina. John si irrigidì e sollevò gli occhi nella sua direzione ma ansioso, il viso contratto dal dolore e dalla disperazione.
… Rose… ?
-          Rose…! – gemette. La vide. La vide e si irrigidì.
Era vicina al cilindro trasparente. Si chiese come fosse possibile. Come fosse arrivata lì…
e poi emise un singhiozzo di stupore. Lei intanto lo guardava, come ci fosse solo lui. I capelli biondi spettinati, l’espressione stravolta. I suoi grandi occhi puntati su John … neri.
-          Dottore… - lo chiamò dolcemente.
-          Rose… - sussurrò lui sfinito. Martha e gli altri videro che piangeva. Lakil si scosse e lasciò Lena per guardare quella donna. La donna del Dottore.
Poi sentì il signore Tempo, sentì che pensava. Capì, unico in quel luogo e in quel momento. E spalancò gli occhi inorridito.
-          Io non sono Rose. Non solo. Non del tutto – disse la donna con la voce che lui conosceva, quella che le aveva chiesto di usare per svegliare il Tardis. La voce di Rose. Ma se avesse potuto guardarla negli occhi, avrebbe visto abissi scuri. Non quelli della donna che era prima e non quelli di colei cui somigliava, ma quelli che John Smith guardava ogni giorno nel suo riflesso e in tutti i suoi riflessi dentro quegli occhi.
Vecchi, scuri. Gli occhi di un signore del Tempo.
-          Dottoressa Lane, lei è qui? – Tashen la guardava stupito e inquitato insieme. Perché non era più la donna che conosceva. E così anche altri accanto a lui.
Lei faceva paura.
E proprio come fosse il Dottore lei ne sorrise e incrociò le braccia.
Stranamente in quell’attimo parve cambiare e somigliava terribilmente all’uomo che si sorreggeva a quell’oggetto apparso dal nulla.
-          Temo che la donna che conoscevate non esista più, ormai – per un istante il suo accento fu lugubre poi un altro sorriso, quasi irreale in quella situazione, strafottente - allora, spiego io ai gentili signori che cos’è una chimera?
  
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