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Autore: Ineedhoranhugx    14/07/2013    0 recensioni
'Io ti odio.'
'E io non ti voglio più parlare.'
'E io ti lascerò andare via.'
'E io non lo farò mai, perché farebbe più male la tua assenza che una coltellata.'
'E io ti amo tanto.'
'E io ti voglio nella mia vita, per sempre.'
'Ma adesso è troppo tardi..'
'Perché?'
'Hai una ragazza adesso..'
'Non staremo insieme per sempre.'
'Mi stai chiedendo di essere la tua seconda scelta?'
'Ti sto chiedendo di non smettere di combattere per me. Potrei innamorarmi di te.'
'Ma io sono stanca di combattere per tutti...chi combatterà per me?'
'Potrei farlo io.'
'E quando lo farai?'
'Quando il mio cuore si riparerà. Adesso è rotto, potrei perdere subito.'
'E se fosse troppo tardi?'
'Fermerei il tempo.'
'Allora fallo adesso.'
'Lo sto già facendo.'
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Niall Horan, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-La realtà è pura illusione.




                                                                   - Chapter 1.


Vi siete mai sentiti soli? Incompresi? Inutili?
Vi siete mai sentiti come se a nessuno importasse di te?
Vi siete mai sentiti come 'roba da scartare'?
Vi siete mai sentiti semplicemente voi stessi?
 La vita è un gioco, dove nessuno ha ancora capito come giocarci.


Mercoledì, giorno straziante come tutti gli altri, dopotutto. Oggi la professoressa Riddle avrebbe messo una verifica di matematica, la materia che odio con tutta me stessa. Ovviamente non so nulla, ma cerco di non pensarci guardando il soffitto, sdraiata nel letto, al caldo. Pensavo. Pensavo a tutto quello che potrei fare, ma che non faccio per paura. Sono sempre stata quel tipo di ragazza che nasconde il suo viso tenendosi dentro tutto quello che pensa sul mondo. L'ultima volta che i miei occhi incontrarono quelli di qualcuno, fu due giorni fa. Due occhi verdi come il prato, occhi verdi come il grembo di un fiore, quei occhi, mio padre.
Mia madre mi abbandonò al mio settimo compleanno, dicendoci che fu per il bene nostro. Mio fratello, oramai trentenne, è un venditore di bibite. Si trasferì a Now York all'età di ventiquattro anni. Non lo vedo mai, ma non sono arrabbiata con lui, giustamente, ha una famiglia da mantenere lì.
Mio padre è uno scrittore, sta sempre rinchiuso nella stanza di lettura, al secondo piano, accanto alla sua camera da letto. Non esce quasi mai, solo per mangiare o per andare in bagno. Mio padre vinse tanti premi per il miglior libro dell'anno e ogni volta che ne finiva uno, ero sempre la prima a gustarli immergendomi in un altro mondo. Uno mondo solo mio e di mio padre. Ma ora lasciamo il passato al passato.
Mi girai di fianco, cercando di vedere che ore fossero attraverso la mia sveglia che mi regalò mia madre durante un viaggio in Ghana.
Le sette e dieci, così decisi di scendere dal letto e vestirmi per prepararmi ad affrontare un'altra giornata noiosa a scuola. Non ero una ragazza facile con i vestiti, avevo un po di grasso sulle cosce e un po di pancia, quindi cercavo di nasconderla il più possibile. Sono una ragazza che ama le felpe lunghe e grandi e un paio di jeans. Odio quei vestiti troppo complicati e scollati.
Dopo un po estraggo dall'armadio una felpa nera, senza stampe o robe simili. Semplice. E un paio di jeans scuri accompagnati da delle vans nere.
Ogni mattina spero di guardarmi allo specchio e pensare almeno una volta ''mi piaccio''. Ma non nel senso di come può piacere una persona. Ma nel senso che posso sembrare almeno un po carina. Passai per la camera di papà e accostai la porta, sperando di trovare almeno la sua ombra, ma nulla. Vuoto totale. ''Ancora dentro quella stanza di merda'' pensai scendendo le scale andando dritta verso il frigorifero. Lo aprì e presi un po di latte da riscaldare e dei cereali. Aspettai e mi sedetti su una sedia, fissando il vuoto totale mentre le mie dita battevano leggermente contro il legno del tavolo. 
Chissà che quest'anno le cose sarebbero cambiate. 
Chissà se riuscirei a cambiare.
Decisi di tornare nel mondo reale, abbandonando i miei pensieri mattutini.
Posai il latte oramai caldo, su una tazza e ci buttai dei cereali dentro, gustandoli fra il silenzio e la solitudine. La solitudine è strana..è come ascoltare il vento, e non poterlo raccontare a nessuno. Solitudine significa sapere che i tuoi pensieri restano dentro di te, mentre quelli degli altri si amalgamano. Solitudine vuol dire guardare il cielo che piove e chiederti se è triste come te.
E' un mostro invisibile, che ti toglie il respiro. 

Dopo un po, scesi dalla sedia posando la tazza sul lavandino, presi lo zaino e uscì di casa. Fortunatamente non ero mai sola, c'era sempre la mia migliore amica a farmi compagnia. Mi ascoltava sempre. Mi comprendeva. Mi faceva sentire qualcuno e non mi abbandonerà mai. La musica.
Misi le cuffie e in una frazione di secondo, già potevo sentirmi un'altra persona. Potevo sentirmi qualcuno, mi sentivo importante e al sicuro fra le braccia di quelle melodie così vere e significative. Ogni mattina si offriva di accompagnarmi e venirmi a prendere a scuola o in qualunque altro posto potessi trovarmi. Lei era viva, lei mi capiva.
Arrivai a scuola e posando le cuffie dentro la tasca e facendo un respiro profondo, entrai dentro. Cheerleading. Cheerleading dappertutto.
Entrai in classe con lo sguardo basso, come ogni volta e mi misi seduta all'ultimo banco, con la speranza di non aver gli occhi color nocciola della Riddle puntati su di me. Presi il libro di geometria dallo zaino, fiondandoci tutto il viso, cercando di ricordare anche solo uno piccola e inutile formula.
Ma troppo tardi. Come sempre, la professoressa Riddle veniva con dieci minuti di anticipo e se c'eravamo quasi tutti, ce l'anticipava. Che odio.
Diedi un'ultima letta veloce prima di infilarlo di nuovo dentro la cartella.
Prese dei fogli dalla sua valigia-scolastica, poggiandoceli uno a testa sul banco. Appena finì ritornò al punto di partenza, ovvero, vicino alla cattedra.
-Avete un'ora e mezza di tempo per completare tutti e dieci i problemi, a partire da..- silenzio. fottutto silenzio. -Ora- riprese dopo pochi secondi.
Voltai il foglio e li lessi tutti e dieci. 
''Mi venisse un colpo'' pensai.
Provai e riprovai a scrivere, a fare quei dannati calcoli, ma nulla. Vuoto di memoria totale. Dannazione.
Scrissi tutto a caso e feci dei calcoli incomprensibili. Non volevo impegnarmi in una cosa di cui non ne ero affatto attratta. Mi alzai dal banco. Avevo gli occhi di tutti i compagni puntanti su di me. Che ansia. Odio quando la gente mi fissa, non ci sono abituata. Evidentemente, non si aspettavano che fossi la prima a consegnare un inutile foglio con sopra dei calcoli e numeri incomprensibili. Guardai la donna dai capelli scuri negli occhi, ma non per tanto. Non riuscivo più a vedermi negli occhi degli altri.
-Consegni?- mi domandò sistemandosi gli occhiali che le cadevano dal viso.
Annuì ed uscì dalla classe. Finalmente libera.
Vagai per i corridoi, non era affollato come al cambio dell'ora, potevi passare liberamente senza spalmarti addosso alle persone.
Passai per un corridoio, dove sentì una voce. Caspita che voce..
Cercai di capire da dove provenisse, ma fu così difficile trovarla.
-Ti piace questa canzone?- mi domandò una persona dalla voce abbastanza roca. Mi voltai, era un ragazzo altissimo, dai capelli ricci e aveva gli occhi quasi come quelli di mio padre, verdi acceso.
-Mi piace di più la voce- risposi cercando di non guardarlo negli occhi.
-Seconda stanza a destra- mi rispose il ragazzo indicandomi la via. 
Lo ringrazia sorridendogli per poi dirigermi lì. Si, la musica si sentiva più forte, mi piaceva quella voce.
Aprì lentamente la porta e vidi un ragazzo dai capelli biondi suonare una chitarra mentre cantava. Restai nascosta ad ascoltarlo. La sua voce sembrava appartenesse al mio corpo. E' come se il mio corpo e la mia mente ne fossero attratti. Il ragazzo smise di suonare e si guardò intorno per vari secondi, come se stesse aspettando qualcosa..o meglio qualcuno.
Sbuffò e posò la chitarra in un angolo della stanza, uscendo poco dopo. 
Aspettai un po e poi uscì fuori dal mio, se si può chiamare così, 'nascondiglio'.
Osservai la stanza, che fino a poco fa mi fu sconosciuta, e poi mi avvicinai alla chitarra. La presi e la studiai. La accarezzai. Era bellissima. Ma decisi subito di riposarla, non avrei voluto romperla. Sospirai guardandola per un'ultima volta, per poi uscire dalla classe. Mi domandai se avrei risentito ancora quella voce. Mi attirò così tanto, che la voglia di risentirla, cominciò a farsi notare. Decisi di ritornare in classe, finendo di nuovo la mia giornata da 'studente'.
Finalmente, dopo lunghissime ore, uscì da scuola e mi misi le cuffie, pronta a immergermi nel mio luogo preferito, i sogni.
Si dice che una vita senza sogni, è una vita sprecata.
Hanno ragione.
Entrai a casa e salì le scale, entrando in camera mia per poi stendermi sul mio letto comodo. Mi stiracchiai e poi mi raggomitolai su me stessa cercando di chiudere gli occhi e immaginarmi quella voce. Mi era entrata in testa. Dopo poco tempo sentì bussare sulla porta di camera mia, facendomi abbandonare il mio mondo dei sogni.
-Cosa c'è papà?- chiesi alzandomi dal letto per andargli ad aprire.
-Ho finito di scrivere questo libro, voglio che tu lo legga e poi mi faccia sapere- rispose porgendomi il libro per poi dirigersi giù di sotto, probabilmente a sgranocchiare qualcosa.
Mi misi sul letto e lessi in titolo: ''Game Over''.
Sembrava un titolo convincente, si, mi sarebbe piaciuto sicuramente.







*writer's wall.*
Salve ragazze, come state? 
Questo è il mio primo capitolo che spero vi sia piaciuto. Ci ho messo tantissime ore per scriverlo, e ci terrei a sapere cosa ne pensaste. Mi è venuto fuori questo ascoltando 'Give me love' di Ed Sheeran e 'Broken Hearted Girl' di Beyoncé. Credo di tenerci molto a questa storia, anche se sono solo al primo capitolo, perché forse è la prima che mi riesce bene. 
Questo è il mio account twitter: https://twitter.com/horan_xhlrtuy
S
eguitemi e ricambio. 
Baci, Ineedhoranhugx.
  
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