Capitolo
3
Scattò in piedi, spaventata, e fuggì
via più veloce
che poté, nella vana speranza di lasciarsi tutto indietro,
ma sentì una
dolorosa fitta ad un piede, e si sedette per terra, osservandone con
disgusto
la pianta. Ingoiò un paio di volte a vuoto, prima che un
senso di nausea le
attanagliasse lo stomaco, e tutto intorno a sé iniziasse a
girare. Cadde al
suolo, sulla schiena e con dolore, mentre ascoltava con sorpresa un
respiro
affannato, che riconobbe come proprio, rallentare fino a farsi
regolare. Si
sollevò, questa volta facendo più attenzione, e
sentì freddo, tanto che prese
ad esaminare le sue braccia nude, e, sempre più stupita e
disorientata, si
guardò intorno trovando una marea di volti sconosciuti e
ostili, e ne ebbe
paura. Si sentì terribilmente debole, vulnerabile e...umana.
Si sentì a
disagio, desiderò poter scappare lontano, dove nessuna di
quelle figure crudeli
avrebbe potuto trovarla, ma ogni passo le rammentava lo spettacolo
raccapricciante dei suoi piedi, di minuto in minuto percepiva
l’odore del suo
stesso sangue sempre più distinto e ripugnante.
Con difficoltà immane, barcollò verso il lato
della
strada, là dove pareva che gli sguardi ingordi non potessero
raggiungerla, e vi
si accasciò, disperata. Sentiva freddo, fame e dolore. Era
sperduta in una
città ignota ed avversa. Era una bambina. E, come una
bambina, iniziò a
singhiozzare, lasciando che debolezza e terrore avessero la meglio sul
suo
corpo fragile.
Rimase in quello stato per quella che le parve
un’eternità, finché si sentì
sollevare dal suolo e trascinare via, incapace di
opporsi. Ma, probabilmente, non ne valeva la pena. Probabilmente non
esisteva
un posto peggiore di quello da cui era appena stata tratta...
Quando
finalmente riuscì a schiudere i suoi occhi, trovò
una familiare penombra a
confortarla e riuscì a pensare lucidamente. Avrebbe dovuto
trovare una
soluzione a ciò ch’era accaduto. Come avevano
potuto le poche, miserrime parole
d’una canzone infiltrarsi tra le dure fortificazioni che con
tanta fatica aveva
eretto? Si avviò decisa verso l’armadio, vi
frugò dentro, ed infine estrasse
dei CD ed un lettore. Per tutta la notte, ascoltò le canzoni
che avevano
segnato la sua labile vita, fino a che esse non suscitarono
più alcuna reazione
in lei.
E l’indomani
si levò fantoccio. Non udì sua madre che lodava
il misterioso salvatore della
sera prima, fino a vanificare le sue tenui speranze d’una
svolta, non percepì
il vento sulla faccia, non sentì freddo né
dolore. Si recò nel vicolo buio,
lasciò che Mike fosse soddisfatto, sedette per terra
nascondendo il viso con i
capelli, tornò a casa, dormì. Riprese velocemente
la solita, logorante, ma
rassicurante abitudine, decisa a non abbandonarla più. Tutto
andò secondo i
suoi piani, ed ella tornò ad essere l’apatica
eroinomane di sempre.
Mesi, settimane o soltanto giorni dopo, era ancora
seduta nel buio del vicolo, stranamente molto affollato, e veniva
continuamente
infastidita da ragazzine che avevano recentemente scoperto il fascino
dell’alcool, quando lo udì.
Una voce calda e profonda pronunciò il suo nome. Non
quello con cui la conoscevano lì. Il nome che sua madre
aveva voluto che le
appartenesse, il nome a cui la sua anima rispondeva.
“Ananke”. Ma la voce non
la stava chiamando. No di certo. Pronunciava quel nome come se leggesse
ad alta
voce una parola di cui amava il suono. Lo immaginava, ad occhi chiusi,
concentrato sul sapore della parola mentre gli sfiorava le labbra e,
dopo che
essa le aveva abbandonate, attento a non lasciarsene sfuggire nemmeno
l’ultima
lontana eco. Suo malgrado, Ananke si voltò verso di lui e si
fermò, meno fredda
del previsto, ad osservare il modo in cui i ricci castani corteggiavano
le
guance lisce, solo per disinteressarsene un attimo dopo, calamitati
dalle
irresistibili spalle larghe, su cui si posavano, discontinui, lasciando
intravedere la pelle olivastra del collo. Egli si volse poco dopo a
guardarla,
e la ragazza prese a scrutarne il volto. La pelle vellutata, scura, su
cui si
rifletteva la luce del lampione dirimpetto, accompagnava le labbra
piene in un
sorriso, riscaldato dall’espressione dei profondi occhi neri.
Si scoprì due
volte a guardarlo, ma neppure quella visione paradisiaca
riuscì a distoglierla
dalla sua rinnovata risoluzione, che ora più che mai le
pareva un capriccio.