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Autore: Il giardino dei misteri    14/07/2013    4 recensioni
"La mia vita era appesa ad un filo, ora come mai. E a ventidue anni può sembrare orribile sapere che ti trovi fra la vita e la morte. Oscilli in continuazione ora da una parte, ora dall’altra e la corda che ti lega alla vita può saldarsi o spezzarsi per sempre. "
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Piccola one-shot su una ragazza anoressica. Spero che vi piaccia ^^
Genere: Drammatico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Quella mattina quando mi svegliai non ero nel mio letto.  Era una cosa inspiegabile e assurda, ma non ero nel mio letto. Intorno a me non vedevo nulla, o meglio vedevo “bianco”. Il bianco era il colore che predominava in quella stanza, ma era un bianco tenue, leggero, che faceva paura, mi dava l’impressione di morte, di angoscia. Quella stanza non era giallo canarino come la mia cameretta, con i mobili chiari e le tendine abbassate e un senso di allegria tutt’intorno. Qui, si avvertiva solo tristezza e tanto, tanto dolore. Un dolore inspiegabile. Ma, che passava da quella stanza e arrivava dritto al mio cuore.

Rimasi alcuni minuti con gli occhi aperti, per osservare e cercare di capire meglio cosa c’era intorno a me. Mi sembrava di stare sognando o di essere impazzita, fino a quando la porta si aprì. Vidi che una donna vestita di bianco che avanzava, seguita da una donna piangente e sconvolta, che identificai in mia madre. Io continuai a rimanere immobile e con lo sguardo fisso, per osservare il comportamento di quelle due donne. Vidi che la donna vestita di bianco stava preparando una flebo e la stava sistemando sul mio braccio. Immediatamente ebbi come un sussulto, un risveglio da quello stato di tranche , e capii tutto.

Mi trovavo all’ospedale. Avevo i ricordi confusi, la mente annebbiata, ma mi ricordavo il motivo per cui ero là. E non avrei potuto scordarmelo per niente  al mondo. La mia vita era appesa ad un filo, ora come mai. E a ventidue anni può sembrare orribile sapere che ti trovi fra la vita e la morte. Oscilli in continuazione ora da una parte, ora dall’altra e la corda che ti lega alla vita può saldarsi o spezzarsi per sempre.

Quando ci pensavo non potevo fare a meno di avere paura. Avevo ventidue anni e una vita davanti ancora. Ma, la vita me l’ero rovinata troppo giovane. Non mi presa cura di essa. Era solo colpa mia.

Fino a quando avevo diciotto anni, non ci avevo mai pensato. L’idea non mi aveva mai minimamente sfiorata. Ero una ragazza che andava a scuola, si divertiva, usciva con gli amici  ed era più spensierata che mai. Non avevo mai avuto alcun tipo di problema. Mai. Neanche in famiglia. Avevo due genitori che si amavano, che si rispettavano e che mi volevano bene, essendo la loro unica figlia. Poi, un giorno mi sono posta una domanda. Così, quasi per gioco. Un gioco che divenne piano, piano sempre più pericoloso.

<< Perché non ho un fidanzato?>>

Non mi seppi dare una risposta. Non trovai una risposta. Mi dissi che ero allegra, solare, disponibile, di buona compagnia. Non sapevo cosa pensare. Ma, poi, mentre me lo chiedevo, mi guardai allo specchio. In quel momento mi vidi enorme. Grassa come una balena e brutta. Mi dissi che era certamente per questo, ed iniziai a fare una piccola dieta. Ma, che all’inizio non ebbe molti risultati. Dimagrii di poco ed io ero giù di morale. Poi, iniziai l’università. A casa non ci stavo mai, ero sempre fuori e questa era una scusa per iniziare una vera e propria dieta. Mangiavo poco, ma quel poco mi bastava per sentirmi perfetta. Mi sentivo sempre meglio. Ma, non mi bastava. Non mi bastava ancora. Allora, iniziai a praticare sport. E più andavo avanti, più volevo dimagrire. E più dimagrivo, più mi sentivo bella, apprezzata, guardata. Ogni volta che mi pesavo, volevo scendere ancora di peso. Non mi bastava mai. Mai. Mi vedevo sempre grassa. E più passava il tempo, invece, più stavo male. In tutti i sensi. Mi sentivo vuota, priva di uno scopo, stanca, avvilita, distrutta, come se la vita non valesse più niente per me. Sono arrivata a pesare venticinque chili e a stare male. Sono stata da medici, psicologi, psichiatri, ma nessuno ha fatto nulla per me. Io ho continuato a stare male. Ed ero sola. I miei erano lontani da me. Io frequentavo ancora l’università, forse perché c’era ancora un briciolo di speranza in me. Ma, poi sono crollata. Non ce l’ho fatta più. Non ho retto  più. E sono stata sempre peggio. Ho avuto un arresto cardiaco. Sono stata male. E ho visto la disperazione. La disperazione dipinta sul volto di mia madre e di mio padre. L’angoscia e forse la rabbia, per non aver potuto fare niente. Ma, nessuno poteva fare niente. Perché, nonostante fossi pelle e ossa, mi vedevo ancora una balena. Non ce la facevo più. Non avevo la forza di ricominciare. Di dire basta. Di riprendermi la mia vita. La mia splendida vita. Ormai, l’avevo perduta.

E ora, mi ritrovavo in quella stanza d’ospedale, mentre il mondo là fuori gioiva. E mi chiedevo quale sarebbe stata la mia fine. Ero angosciata e spaventata. Guardavo il mondo fuori dalla finestra e non riuscivo a non farmi scappare qualche lacrima. Il mondo là fuori era pieno. Pieno di vita, di speranza, di sogni, di desideri. Era il mondo. Il mio mondo. Il mondo che un tempo mi apparteneva. Prima che tutto crollasse. Prima che toccassi il fondo. Ma, ora quel mondo non mi apparteneva più. Non lo sentivo parte di me. Era  a me ignoto. Mi sembrava qualcosa di sconosciuto, di estraneo alla mia persona. Era triste,ma era così.

Mentre, pensavo quelle cose, guardai mia madre. Era accanto a me, con gli occhi gonfi e rossi di pianto e uno sguardo sconvolto e impaurito. Le tesi la mano e gliela strinsi, per farle forza. Poi, mi scappò una lacrima e ci abbracciammo a lungo. Mi sentivo leggera, felice, senza pensieri. Sentivo che la sofferenza si stava alleviando e con essa il dolore e la paura, per lasciare posto ad un mondo sempre pieno di gioia e di felicità, in cui non avrei mai perso il sorriso. Sentivo che la mia vita stava scivolando via. Guardai mia madre per l’ultima volta, le strinsi ancora di più la mano, poi le sussurrai quasi dolcemente:

<< Abbi cura di te>>

La vidi tra le lacrime, e le sorrisi. Poi, come in sonno, chiusi gli occhi e  mi addormentai, per risvegliarmi in una nuova vita. Un vita in ui non ci sarebbe stata nessuna sofferenza.

  
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