Anime & Manga > Death Note
Segui la storia  |       
Autore: ryuzaki eru    14/07/2013    11 recensioni
(Nel cap. 1 scheda in stile "Death Note 13 How to read")
Un lento crescere di strani ed apparentemente trascurabili eventi. Una ragazza comune, preda di una situazione incomprensibile. L’apparente iniziale assenza di tutto ciò che riguarda il mondo di Death Note, così come voi lo conoscete. Ma tutto quell’incredibile mondo c’è! Kira, Tokyo, il quaderno. Ed Elle arriverà… Perché volevo continuare a vederlo parlare, muoversi, ragionare.
Elle era in piedi sul marciapiede e con gli occhi spenti la osservava, mentre strusciava svogliatamente il dorso del piede su un polpaccio...
«Ciao, Ryuzaki…» tentennò Emma «Allora…sai dove vivo… Ed io non te l’ho mai detto! Quindi…»
«Quindi?» le chiese lui vagamente irriverente.
«Quindi immagino tu sappia altro... Il punto è da quanto tempo sai!»
Elle smise di grattarsi il polpaccio e portò il piede a terra «No. Il punto è che da ora la smetterai di giocare da sola a questa partita.» la gelò.
La voce le arrivò dritta alla testa, come una tagliola affilata.
Il suo sguardo impassibile e freddo la trapassò.
Genere: Introspettivo, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: L, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Another world'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Alcuni dei personaggi che appariranno non mi appartengono, ma sono proprietà di Tsugumi Ohba e Takeshi Obata; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.

 42. Pensieri, attese e chiarezze

 
Si sentiva solo il veloce tamburellare della pioggia. Le strade erano solitarie e il buio della sera non era affatto invitante.
Nessuno sarebbe stato in giro in una serata del genere.
Tutti erano in casa, al caldo e alla luce rassicurante.
Tutti però, al sicuro dietro le proprie finestre, avrebbero scostato le tende almeno una volta per sbirciare fuori e avrebbero allora avvicinato il naso ai freddi vetri per poter distinguere nel buio e dare un’occhiatina fugace a quel tempaccio. E così magari avrebbero anche goduto della piacevole sensazione di rabbrividire un po’ al pensiero di quanto là fuori fosse diverso da lì dentro.
E lì dentro, dietro una di quelle finestre su cui si abbatteva la pioggia, c’era il rassicurante chiarore di una lampada accesa, in un angolo.
Emma e Misao erano accoccolate su un comodo divano, avvolte da due colorate coperte, e guardavano prese la televisione, come due bambine, senza dire una parola, col fiato sospeso.
Sullo schermo si avvicendavano le immagini cupe di una delle puntate cult della trasposizione animata del loro manga preferito. E dire “preferito” sarebbe stato in effetti dire poco. Entrambe, probabilmente, l’avrebbero definito “Il Manga”, con la M maiuscola.
Quando partì la sigla finale, entrambe sospirarono.
Tutte e due già conoscevano fin troppo bene il triste e shockante epilogo di quella puntata, ma avevano comunque un’espressione sconsolata.
Misao, con la faccetta rammaricata, fu la prima a parlare «Ma perché mi fa sempre questo brutto effetto… Uffa… Credevo che adesso mi avrebbe colpita meno. E invece è incredibile… è assolutamente pazzesco… Questa è la seconda volta che vedo questa puntata. Ma non ha importanza, perché tanto comunque anche nella prima sapevo benissimo che lui sarebbe morto. Irrimediabilmente… Ma ogni volta, ogni sacrosanta volta, mi ritrovo incredibilmente a sperare che non accada! Ma perché?»
Era il 5 novembre del 2007 e le due amiche avevano deciso di fare una chiusa in casa per rivedersi tutto Death Note fino alla puntata numero 25, in “onore” e “memoria” del loro amato Elle.
Erano più che laureate, erano ormai professionalmente riconosciute per il loro lavoro ed erano due persone serissime in quello. Una delle due era felicemente fidanzata, mentre l’altra era fin troppo presa da se stessa e dalla sua indole rigida e bizzarra da non riuscire minimamente a mescolarsi con gli atteggiamenti leziosi della maggior parte del popolo femminile.
Ma tutto questo, tutta questa pesante serietà, tutta la professionalità che Misao ed Emma rappresentavano, be’, tutto ciò non esisteva dentro quella stanza calda e illuminata dal chiarore di quella lampada nell’angolo.
In quella serata uggiosa di Tokyo, Misao ed Emma erano due ragazzine che parlavano di cartoni animati, due ragazzine che tutti avrebbero ritenuto superficiali e immature. E che a tutti sarebbero indubbiamente apparse come le “solite femminucce” che parlano di sciocchezze.
Emma si strinse nella coperta. Nel suo mondo era anche così. Nel suo mondo, nelle sue semplici e umane nottate piene di sogni, nelle sue normali giornate trascorse senza assassini diabolici in possesso di poteri soprannaturali e senza quaderni della morte, Emma era anche così.
E quindi rispose alla sua amica, prendendo molto sul serio un argomento che oggettivamente non poteva esserlo così tanto, visto che stavano parlando della puntata di un anime «Credo che quello che hai appena detto sia collegato alla speranza… Non vorrei fare un paragone esagerato e mescolare il Sublime con l’Umano, diciamo così, però è un po’ come quando ogni volta speri che Romeo attenda un po’ di più, che aspetti solo qualche secondo in più, prima di uccidersi… E lo fai ogni volta. Lo fai tristemente, incredibilmente, impeccabilmente ogni volta, anche se sai che lui non aspetterà… Ma tu sì, invece, tu aspetti. Aspetti trepidante che i secondi non passino così veloci. Aspetti, come se quel tempo potesse dilatarsi. E lo fai inesorabilmente. Finché lui non si toglie la vita poco prima che Giulietta si risvegli dalla sua morte apparente.» poi sorrise all’amica «Ma Shakespeare è Shakespeare e quindi questo parallelo è decisamente azzardato e sbilanciato, senza nulla togliere a Death Note naturalmente. Però, insomma… mi hai capito, no? Posso continuare su questa linea senza essere fraintesa…?» concluse solo leggermente imbarazzata.
Misao rispose subito «Oh, Emma, ma certo che ho capito! Continua!»  
Emma sorrise contenta «Perfetto! Quindi… Allora, quello che volevo dire è che la prima volta che ho letto Death Note, dopo la morte di Elle ho continuato a sperare fino alla fine che lui comparisse di nuovo, che la sua immagine rifacesse capolino in qualche modo… E invece non è successo. E lo stesso è accaduto quando ho visto l’anime, perché non sapevo come avevano deciso di presentare la versione animata e così ho continuato a guardarla anche dopo questa maledetta puntata, proprio perché speravo che almeno lì lo mostrassero di nuovo, che ci fosse qualche misera e minima comparsa… Magari anche solo come accenno, come ricordo… E adesso, be’ anche adesso ho sperato come te che Elle non morisse, pur sapendo che non sarebbe mai successo e pur sentendomi stupida nel farlo. È la speranza. È irrazionale, ma è solo la speranza…»
 
La scena che vi ho appena descritto era solo una sbirciatina.
Vi siete spaventati? Siete scombussolati?
Eh eh eh…
State tranquilli, non si tratta dell’epilogo di questa vicenda, epilogo che peraltro, così, sarebbe piuttosto banale e scontato, lasciatevelo dire… Insomma, tutti conoscono Alice nel Paese delle Meraviglie!
Questo invece è stato semplicemente uno sguardo nell’altra dimensione, quella in cui Elle è e rimarrà sempre un personaggio disegnato a china, quella senza Shinigami e cose spaventose.
Che poi ci siano cose spaventose anche nella vostra dimensione, senza bisogno di ricorrere a quaderni e Dei della Morte, è un altro discorso…
Quella che vi ho descritto è la dimensione simile e al contempo profondamente diversa da quella che avete seguito finora; è quella in cui Emma è partita per il Giappone, ma per semplice lavoro, quella in cui lei passa le sue giornate in compagnia dei suoi amici, che si sono messi insieme lo stesso, Light Yagami o meno. Quella in cui i tre archeologi hanno risolto il loro rompicapo lavorativo senza l’aiuto di Elle, impiegandoci solo un po’ più di tempo.
Quella che vi ho descritto è la dimensione in cui Emma non è sola. Lì lei può condividere la passione per il personaggio Elle insieme alla sua cara amica e può lasciarsi andare alla leggerezza più totale, con serenità e appagamento.
Quella è la dimensione che non tiene conto della mia presenza, o meglio, che non tiene conto del mio intervento. In modo ancora più chiaro: quella è la dimensione scaturita solo ed esclusivamente dalle scelte che Emma ha fatto e dagli accadimenti naturali che l’hanno circondata.
Sapete bene che ci sono molte altre dimensioni parallele: quella ad esempio in cui lei potrebbe aver deciso di non partire per il Giappone, o quella in cui addirittura potrebbe aver scelto di fare un altro lavoro.
Ce ne sono migliaia.
Io vi ho mostrato adesso solo uno stralcio di quella più consona all’indole di Emma.
Ma quella in cui lei si ritrova a combattere contro Kira, l’unica che voi conoscete bene,  be’ quella non sarebbe mai e poi mai esistita senza il mio intervento.
Se io non avessi preso la vostra archeologa e non l’avessi catapultata nella dimensione di Death Note che lei ama tanto, quel mondo non ci sarebbe mai stato.
Vedo dei punti interrogativi sulle vostre facce…
Ancora non ci eravate arrivati?
Sì sì, sono stato io a scaraventarla di forza nel mondo di Elle.
E, detto tra noi, non mi passa proprio per la testa di toglierla da lì. E non è che non lo faccia per “umanità” e quindi perché la poverina non reggerebbe il colpo, non lo faccio perché, come ho già detto, sarebbe veramente troppo banale. E poi, soprattutto, non lo faccio perché non lo posso fare. La realtà ibrida “Emma - Death Note”, chiamiamola così, ormai esiste. È stata creata e plasmata e proseguirà il suo corso così com’è. Io al massimo potrei farvi lo scherzetto di non raccontarvi più nulla di essa.
E poi Emma in essa ha ricominciato a sognare… Questo è un dato fondamentale.
Non so quanto riuscirete a capirlo, visto che non siete in grado di percepire e vedere cose con le quali io invece combatto continuamente, ma proverò a spiegarvi in grandi linee e magari potrete almeno intuire.
I sogni, belli o brutti che siano, sono la materializzazione più forte della vostra immaginazione, delle vostre paure, di tutto ciò che vi ha colpito nella vita che conducete tutti i giorni. Essi sono pura creazione originale e, se anche ricorrenti, sono unici e irripetibili, nello spazio come nel tempo. Il “presente” del sogno vola esattamente come quello della vostra vita reale, è un battito di ciglia, e non torna più, come la realtà. I sogni sono perciò in tutto e per tutto dimensioni parallele create dalla vostra mente mentre la razionalità è completamente sopita, mentre vi allontanate dal vostro mondo reale, dimenticando di essere nel vostro letto e perdendo ogni contatto tangibile con esso.
Sognare rappresenta la vostra unica possibilità di saltare “veramente” in un’altra dimensione. Quando sognate siete convinti che quella sia la realtà, senza dubbio. E lasciate stare le volte in cui vi rendete conto di stare sognando, perché lì significa che vi state già svegliando, che la parte razionale di voi inizia a voler tornare all’attacco.
Anche leggere un libro che vi appassiona può farvi compiere un bel salto, senza dubbio, come credo di avervi già detto, ma per quanto potrete essere presi, ci sarà sempre quel qualcosa che vi terrà legati alla vostra realtà, per il semplice fatto che state leggendo, che state perciò compiendo un’azione in cui viene messa in moto la metà del vostro cervello deputata alle attività razionali.
Ma il sogno non è così. Il sogno è letteralmente una dimensione reale alternativa, che si nutre  del mondo concreto che percepite ad occhi aperti e che si annida in esso. Le due “realtà” si devono per forza alternare e non possono coesistere in nessun modo, proprio perché sono reali entrambe. È possibile sia vivere e agire nella vita quotidiana, cioè nella dimensione reale numero uno, sia vivere ed agire nei sogni, cioè nella dimensione reale numero due. Ma è possibile farlo in momenti diversi. L’una scaccia inevitabilmente l’altra e non possono coesistere, come la luna e il sole.
Questo è quello che succede a tutti, in una condizione normale.
Ora, se però qualcuno si ritrovasse a vivere ad occhi aperti in una terza dimensione ancora, sia di notte che di giorno, e ne fosse pienamente cosciente, se cioè sapesse benissimo e in ogni istante che quel mondo non gli appartiene e che ne ha lasciato un altro in sospeso, non credete che questa terza realtà scalzi via la sua possibilità di sognare, cioè la sua possibilità di vivere in un’altra dimensione ancora? Che insomma questa terza realtà non dia spazio alle altre due, nemmeno di notte e in sogno?
Parlando in termini più semplici: se siete angosciati, la vostra mente sembra non riesca a pensare ad altro. Se state leggendo un libro attentamente e siete fagocitati dalla dimensione creata dall’autore tanto che quasi vi sembra di essere lì e di partecipare della storia insieme ai suoi protagonisti, la vostra mente non riuscirà a creare altro e quasi dimenticherà la realtà contingente.
Ecco, figuratevi se state letteralmente “vivendo” in una dimensione parallela.
I vostri sogni non avrebbero alcuno spazio. Non potrebbero proprio esistere.
Quindi Emma, che stava vivendo in tutto e per tutto in un altro mondo, non poteva sognare.
O perlomeno non poteva farlo finché continuava a sentire quel mondo come estraneo a sè… Cioè finché quella dimensione era per lei “un altro mondo”, o “another world”, per dirla in termini più internazionali…
Eh eh eh…
Ma se lei ad un certo punto e per un particolare motivo, avesse iniziato a non percepire più questa estraneità…? Se lei adesso si sentisse pienamente parte di quella dimensione, soffrendo di essa, con essa e in essa, essendoci dentro fino al collo? Se il dolore per la morte di Elle l’avesse radicata con tutta la sua anima e la sua irrazionalità in quel mondo? Se lei adesso non pensasse più al mondo che ha lasciato? E, in conclusione, quella dimensione da “altra” fosse diventata invece la “sua” dimensione?
Be’, io so che in questo caso lei ricomincerebbe a sognare…
Questo è il massimo che vi posso dire e se non riuscite a comprendere bene, ma soltanto a intuire vagamente qualcosa, non preoccupatevi, perché è normale che sia così. Certe cose vanno accettate sulla base di un sentore, almeno per voi esseri umani, quindi fate quello che voi chiamate un “atto di Fede” e andiamo avanti, che ho ancora una cosa da dirvi e questa mia incursione rischia di diventare troppo lunga.
Quindi, riguardo il discorso che fanno Emma e Misao sulla speranza…
Mi rivolgo a quelli che non si sono sentiti chiamati in causa dalla breve conversazione delle due ragazze: non fate i superiori, fingendo di essere senza grilli per la testa. Voi non siete mica freddi come Elle.
Io so che anche voi avete sperato. Sperato e atteso.
No? Be’, pazienza. Evidentemente mi sono sbagliato. Siete freddi calcolatori. Per voi dal vaso di Pandora è uscita anche la Speranza, che sola soletta ha abbandonato il triste mondo degli uomini.
Per voi Elle muore. Il destino di Death Note si compie e avete accusato questo colpo. Lo avete subito e ora siete corazzati. Del resto anche le emozioni sono soggettive ed io non smetto mai di imparare cose nuove.
Uhm… Però mi viene solo un dubbio molto futile ed insignificante.
Per quale motivo state continuando a leggere queste parole?
Eh eh eh…
Scusate, forse Elle non c’entra nulla, forse state continuando a leggere per vedere che fine farà Emma, per chiarire alcuni punti oscuri dell’intreccio, perché sapete che ve li chiarirò, oppure lo state facendo solo per capire chi io sia.
In effetti non ve l’ho ancora detto. Ormai però dovrebbe essere semplice capirlo. Anche perché non sono nulla di più di quello che sembro…
Niente? Nessuna lampadina si è accesa?
Va be’, continuo a raccontare…

 
Quando Emma arrivò, trovò i suoi genitori a prenderla.
Dire che non li aveva mai visti così contenti era dire poco…
Era un anno che non la vedevano.
Ed era un anno che lei non vedeva loro.
E così, nonostante tutto, si sentì così emozionata nel poterli avere di nuovo davanti, nel poterli abbracciare, che mentre si stringeva alla mamma quasi le vennero le lacrime agli occhi, anche se non le era mai accaduto di commuoversi per cose del genere. Anche se non le era mai accaduto di commuoversi in generale. Ma forse, non le era nemmeno mai accaduto di affrontare in modo così violento degli eventi orrendi, quasi surreali. Forse non aveva mai ancora sofferto per la perdita di qualcuno. Forse non aveva mai sofferto per la vera perdita di qualcuno per cui aveva lottato tanto. E forse non si era mai sentita così fragile in tutta la sua giovane vita.
La semplice e quasi banale verità è che i genitori a volte, anche se non sanno cosa angusti i figli né quali siano i motivi precisi dei loro malesseri, riescono incredibilmente a placare quello stato confusionale con un semplice abbraccio. Le sensazioni tattili e fisiche sono così forti, sono così istintive e ataviche che anche un adulto riuscirà momentaneamente a calmarsi abbracciando un genitore anziano, perché il ricordo ancestrale di essere cullato tra le braccia ed essere placato dal pianto di quando era ancora in fasce rimane come un imprinting incancellabile.
E forse, così, Emma riuscì a fermare la sua mente, finalmente, poté trovare un po’ di pace… E nonostante tutto, nonostante ciò che le aveva detto Wammy, seppe che non era sola comunque, anche se sua madre e suo padre non avrebbero mai saputo nulla.
Non era sola perché era amata.
E solo allora volò in lei il fugace pensiero di quanto invece lo fosse inevitabilmente stato Elle.
Di quanto a lui fosse stato irreparabilmente precluso di poter ritrovare quella sensazione di pace atavica seguita al semplice abbraccio noto di chi lo aveva cresciuto quando era in fasce. Di quanto a lui fosse preclusa anche la semplice consapevolezza e speranza di poterlo avere, quell’abbraccio, perché a volte, per tranquillizzarsi, basta sapere che l’aiuto può arrivare, che c’è, che basta fare un passo per ottenerlo, anche se poi magari si deciderà di non andarlo a cercare.
E quindi Emma percepì il perchè Elle non lo avesse nemmeno mai voluto un abbraccio, da parte di nessuno…
Perché nessuno avrebbe potuto dargli quella pace.
Perché la delusione che ne sarebbe seguita sarebbe stata più dura della sofferenza.
O perché la paura della delusione era forse più grande della delusione stessa.
Riabbracciando la madre e il padre, Emma si rese conto di quanto ciò che lei era fosse dipeso da loro e di quanto essi contassero per lei, sebbene ne fosse stata lontana, conducesse una vita autonoma e naturalmente non dipendesse più da loro.
Ebbe come un fremito di paura, perché sentì che non sarebbe mai stata pronta a perderli. Sapeva di essere ormai un’adulta, di avere una sua vita, ma sentì che ancora non sarebbe stata pronta a fare a meno di loro…
Si sentì ancora tanto bambina…
E pensò ad Elle.
Pensò alla sua breve vita.
Lei non aveva la minima idea di quello che lui aveva passato, né di come la sua triste vicenda aveva influito sulla sua personalità e sul suo carattere. Poteva solo immaginarlo, figurandosi come lei stessa sarebbe stata se i suoi genitori fossero venuti a mancare in quel preciso momento.
Ma Emma aveva venticinque anni. E nonostante questo veniva colpita da un terrore incontrollabile al solo pensiero di perderli.
Elle invece era solo un bambino quando era entrato alla Wammy’s House…
Fu un attimo.
Emma in un battito di ciglia rimise insieme tante cose. Cose che forse aveva saputo e intuito da sempre, ma che solo allora furono chiare nella sua mente.
Ryuzaki aveva diligentemente, inconsciamente e meticolosamente costruito una corazza. L’aveva fatto per anni, crescendo. Quell’armatura spessa aveva iniziato a forgiarsi per mantenerlo distante e protetto, a un palmo dal resto del mondo.
Inizialmente forse si era trattato della semplice barriera innalzata da un animo troppo giovane e profondamente ferito, che non voleva essere colpito ancora nella viva carne scoperta. Ma poi, col manifestarsi sempre più vivo della sua incredibile intelligenza e con il suo diventare sempre più “inarrivabile” e incomprensibile agli occhi degli altri, sempre più lontano, sempre più unico, e quindi sempre più solo, era seguita in lui la triste consapevolezza dell’impossibilità di essere compreso.
Quel bambino aveva percepito che per lui non c’era possibilità di vera comunicazione col resto del mondo. Se anche avesse tirato fuori i suoi pensieri più profondi, nessuno lo avrebbe capito, perché lui era anni luce avanti agli altri.
Questo doveva essere ciò che l’esperienza gli stava insegnando. O perlomeno questo era ciò che la sua mente di bambino poteva percepire, a livello inconscio. Incomunicabilità a livello intellettivo uguale incomunicabilità a livello “sentimentale”. In sintesi, incomunicabilità e basta.
In realtà non era così, perché la sua barriera di difesa era del tutto normale in quel momento e la profonda sofferenza che covava dentro sarebbe stata al contrario comprensibilissima anche ai meno dotati, perché, a differenza dei suoi ragionamenti e della sua intelligenza, il dolore è semplice e universale...
E così quella barriera, invece di cadere e sgretolarsi, lentamente aveva messo radici sempre più profonde, divenendo parte del piccolo Elle, della personcina che era e dell’adulto che sarebbe stato.
Perfettamente in armonia col suo essere un genio, quella corazza si era ispessita nel profondo, era diventata un muro e aveva provocato la nascita di una serie di altri comportamenti che impedissero a chiunque di attaccarlo, quel muro. Perché se una città si munisce di una cinta muraria difensiva, è sempre meglio costruire anche un fossato esterno, così sarà più difficile raggiungere le mura stesse, che diventano allora l’ultima ancora di salvezza.
Ed Elle era diventato Elle.
Elle era così.
Come a chiunque altro si poteva dire che era simpatico, socievole o distratto “per carattere” e che questi aspetti facevano parte della sua indole, ad Elle si sarebbe potuto dire che “aveva una corazza”.
E col tempo perfino il suo corpo e le manifestazioni estrinseche di esso avevano iniziato a rendere evidente questa sua indole. “Evidente” naturalmente per chi era in grado di “osservare” e non semplicemente di “vedere”. Il corpo di ogni essere umano parla, basta saperlo ascoltare.
La sua voce calma, fredda e distaccata, propria di chi si sente sicuro e sa di essere inattaccabile per natura, per via di quei fossati, di quelle mura solide. O propria magari di chi, sempre “per carattere”, è abituato a voler dare l’impressione di essere sicuro e solido.
I suoi occhi grandi, le sue pupille dilatate, tese a cogliere qualunque comportamento o espressione possa far sollevare il campanello d’allarme.
Il suo collo proteso in avanti, affusolato e allungato per avvistare qualunque cosa si annidi dietro l’angolo, come quello di una sentinella che cerchi di scorgere nel buio il pericoloso arrivo dei nemici, al di là delle mura e dei fossati.
Il suo corpo rinchiuso in se stesso, raggomitolato in quella posizione fetale e primordiale di difesa.
Ma, in fin dei conti, tutto questo apparato così strutturato e radicato da cosa lo avrebbe dovuto difendere?
Da ciò cui fuggono tutti. Da ciò che rendeva Elle umano esattamente come tutti gli altri e anzi più degli altri, in modo così evidente da sembrare banale: dalla sofferenza.
Entrare in contatto col mondo significa soffrire. Soffrire tantissimo.
Naturalmente però significa anche gioire.
Ma come spiegare questo dettaglio fondamentale ad un bambino così piccolo? Ad un bambino i cui unici punti di riferimento ed affetto sono quindi potuti essere ancora soltanto i genitori, per via della sua tenera età, ad un bambino che non ha avuto il tempo di amare incondizionatamente nessun altro, ad un bambino che da questo amore spassionato e naturale, dall’unico rapporto interpersonale vero che ha avuto, non ha raccolto che un dolore immenso? Come si può spiegare a costui che il mondo non è solo un pericolo e che le persone cui ci si affeziona possono dare tanta gioia, se le uniche persone cui lui era legato gli hanno procurato così tanta sofferenza?
Forse, se non li avesse amati così tanto, non avrebbe sofferto così…
Forse, se fosse stato meno attaccato a loro, non sarebbe stato così male…
Forse è meglio avere un muro di gomma, non provare nessuna emozione.
E se poi questo bambino, crescendo, si fosse anche accorto che le emozioni tendevano a inceppare i suoi meccanismi logici mentali? Meccanismi che gli davano peraltro un piacere immenso? Meccanismi che lo tenevano per di più lontano da ciò che lo faceva soffrire?
Questo bambino sarebbe diventato Elle.
Semplice, logico, inevitabile.
Elle non era un alieno.
Era tremendamente e spudoratamente umano. Pieno delle sfaccettature, delle difese, dei meccanismi contorti e profondi che possono radicarsi solo nella mente evoluta di quei mammiferi che derivano dalle scimmie.
E più questo bipede in cima alla scala evolutiva è contorto, inarrivabile, incomprensibile e misterioso, più quei meccanismi gridano platealmente a tutti che lui è un uomo in tutto e per tutto.
Era così semplice e banale che Emma si stupì di come tutti, compresa lei stessa, potessero aver sempre pensato che proprio uno come Elle potesse essere un alieno…
E tutto questo volò veloce nella mente della giovane ragazza in pochi fugacissimi attimi, con una chiarezza disarmante.
Si strinse allora ancora più forte a sua madre.
Perché lui era un uomo.
E perché adesso quell’uomo difficile, solitario, cinico e bastardo, quell’uomo magrissimo, dalla pelle lattea e gli occhi neri infossati dietro due profonde occhiaie, quell’uomo solo e pieno di orribili difetti era morto, proprio come tutti i suoi simili.
Lui non c’era più.
Ed Emma non avrebbe più potuto dirgli niente.
Non avrebbe potuto dirgli quanto era arrabbiata con lui.
Non avrebbe più potuto dirgli tutto quello che pensava di lui.
Non lo avrebbe nemmeno potuto guardare in faccia con altri occhi, con la consapevolezza che le avevano dato i pensieri appena fatti su di lui.
Emma aveva capito troppo tardi e non poteva fare altro che stringere forte sua madre e nascondersi nell’incavo del suo collo, abbassando vistosamente il capo per farlo, perché era più alta.
«…Emma…» le disse la mamma dolcemente, con una punta di preoccupazione nella voce…
Il padre le accarezzò il capo, continuando ad osservarla mentre si stringeva alla madre «…Tesoro, ma che succede…?»
Loro capivano. Non sapevano, ma capivano che qualcosa non andava…
Ad Emma si strozzarono le parole in gola.
Avrebbe potuto omettere tutto ciò che sapeva.
Avrebbe potuto nascondere ogni cosa, ogni dettaglio e ogni sviluppo di quella vicenda incredibile di cui era stata protagonista.
Ma non avrebbe mai potuto tacere su “quello” che stava provando in quel momento «…Oddio… Io non avevo mai perso nessuno… Poco prima di prendere il volo ho saputo che è morta una persona che conoscevo molto bene… era giovane, aveva la mia età… oddio…»
I genitori di Emma sgranarono gli occhi «Oh, Emma, chi è?! Lo conosciamo?» erano colpiti e veramente addolorati. Quando viene a mancare una persona giovane, tutti rimangono profondamente impressionati, anche se non hanno mai nemmeno visto il volto di quel giovane. E in generale un genitore lo è ancora di più, si immedesima, pensa al figlio che ha davanti, vivo e in forze, e non può che soffrire per la funesta sorte che invece ha colpito l’altro, quello che non conosce…
Emma non si mosse, rimase col viso sprofondato nell’incavo del collo della mamma «…No, voi non lo avete mai conosciuto… E io non lo potrò mai più rivedere… Come si fa? Come si fa…? Come si fa…» la voce le si affievoliva sempre di più.
Il padre e la madre di Emma si guardarono mesti e angustiati, in silenzio.
La ragazza non aveva finito di dire quello che aveva da dire e loro lo sapevano «…Era pieno di difetti… Mi ha fatto stare male e l’ho odiato per questo… Ma…» e poi Emma si strinse ancora di più alla mamma e non parlò più.
Quel “ma” era stato sufficiente. Loro avevano capito che quel giovane uomo per lei era stato più di quello che la figlia aveva esplicitamente dichiarato.
Sapevano che forse non ne avrebbe più parlato.
Sapevano che avrebbe continuato a soffrire.
Non avrebbero mai saputo “chi” era stato quel giovane, né avrebbero conosciuto il suo nome, vero o finto che fosse.
Però loro adesso sapevano. Sapevano la cosa più importante.
E forse, come aveva detto Watari, per non essere soli c’era veramente bisogno che qualcuno sapesse. Bastava la consapevolezza che un altro fosse conscio del fatto che dietro una piccola verità svelata e condivisa c’era un mare di altri dettagli e vicende sconosciute ma immaginabili.
 
I giorni passavano.
E in tutti i notiziari non si parlava di altro.
Tutte le testate continuavano ad avere in prima pagina la clamorosa notizia.
Kira era stato arrestato.
E la sua identità non era più un mistero per nessuno.
Era stato arrestato ad Honolulu insieme alla sua giovane complice, manipolata, a quanto dicevano, dalla mente geniale di Light Yagami.
Il filmato shock era stato riproposto in tutte le salse. Nei telegiornali. Sugli speciali costruiti ad hoc. Su you-tube.
L’abitacolo di quell’elicottero era noto al mondo intero.
La morte di Kyosuke Higuchi per mano di Light era di dominio pubblico.
E tutti continuavano a chiedersi come fosse possibile.
Come poteva un uomo ucciderne un altro solo scrivendone il nome su un pezzetto di carta.
E uscivano articoli sulla vita di Light Yagami.
Intere trasmissioni erano dedicate alla giovane e bella Misa Misa e alla sua triste storia.
E naturalmente, non mancava chi cercasse di scoprire l’identità dell’Elle defunto, di quel detective che aveva sacrificato la propria vita e che nonostante questo era riuscito a mettere Kira nel sacco.
Provavano a scovare chi fosse stato e da dove venisse, ma con scarsissimi risultati. L’unica cosa che riuscivano a dire era che doveva aver avuto i capelli neri, perché dal filmato dell’elicottero si intravedeva, al fianco di Light e al posto di guida, una ciocca corvina.
Basta.
Nessuno degli agenti della squadra avrebbe mai parlato di lui.
E nessuno avrebbe mai parlato nemmeno di loro.
La loro identità sarebbe rimasta nell’ombra.
Le loro testimonianze erano state ascoltate dagli inquirenti in assoluta segretezza.
Wedy, Aiber, Matsuda, Mogi, Aizawa, Soichiro Yagami.
Già.
Soichiro Yagami. Il cui amore e la cui fiducia nei confronti del figlio erano stati tremendamente sconvolti. La verità aveva profondamente scosso il padre di Kira. Lo aveva ferito in modo irrimediabile. Ma non per questo la sua irreprensibilità e la sua onestà erano venute meno.
Aveva testimoniato.
E lo avrebbe fatto ancora, quando il processo sarebbe stato avviato.
Gabbato da Elle, si ritrovava adesso a soffrire ancora di più per la sua morte: il giovane detective aveva messo nel sacco il figlio senza coinvolgere lui, che ne era il padre.
Elle non gli aveva chiesto di partecipare alla sua cattura.
E il sovrintendente era rimasto ignaro delle trame di Ryuzaki fino all’ultimo.
E di questo, nella sua purezza di spirito, era grato.
Elle non lo aveva coinvolto in qualcosa che lo avrebbe distrutto.
Questo era il modo di Soichiro Yagami di vedere le cose. Egli leggeva in questa scelta di Elle una certa forma di attenzione nei suoi confronti. Ma in realtà le mosse segrete del detective probabilmente erano state dettate da tutt’altro motivo: con tutta possibilità egli aveva voluto togliersi dai piedi gli stupidi agenti e agire in piena libertà solo secondo i suoi piani.
Ma questo, Soichiro Yagami non poteva nemmeno pensarlo.
Lui poteva solo essere grato ad Elle, perché suo figlio non sarebbe stato condannato a morte. Perché il detective aveva fatto in modo che lui fosse arrestato in un paese forse più civile del suo. L’irreprensibile sovrintendente, nella sua cieca fiducia verso il primogenito, non aveva mai pensato alla possibilità che sarebbe potuto morire se giudicato e riconosciuto come Kira. Perché per lui Kira era qualcun altro, qualcun altro che “si meritava” di morire per mano di uno Stato Giusto.
Ed Elle era stato avanti a lui, come sempre.
E per questo Soichiro, adesso, lo ringraziava con tutto se stesso, nel silenzio della sua triste vita.
E non avrebbe mai saputo che quella scelta “civile”, quasi illuminata e veramente “giusta”, non era nata direttamente nella mente del geniale detective. Quella scelta proveniva invece dalle elucubrazioni di una giovane ragazza che il poliziotto giapponese non avrebbe mai conosciuto, della quale non avrebbe mai saputo il nome, di cui non poteva nemmeno immaginare l’esistenza.
Era lei che avrebbe dovuto ringraziare.
Perché se Elle aveva seguito quel binario da lei costruito, era stato solo per cercare di salvarsi la pelle, per evitare che Rem lo uccidesse ventilandole la visione di una pena contenuta per Misa Amane e Light Yagami. Visione che a quanto pareva era stata inutile, perché lo Shinigami, nella sua follia divina, lo aveva ammazzato ugualmente…
E quella giovane archeologa italiana, che probabilmente tutti avrebbero dovuto ringraziare, se ne stava invece dimenticata nel salotto dell’appartamento dei suoi genitori, sola, a guardare tutti quei programmi assurdi che parlavano di ciò che lei aveva toccato così da vicino e così fermamente fin dall’inizio.
E i giorni passavano.
Lei lavorava e tornava a casa in silenzio.
Dato che aveva lasciato per due anni il suo vecchio appartamento all’amica Viola, che adesso ci conviveva con il suo ragazzo, e dato che non aveva la minima voglia di vivere insieme a loro, era stato più che naturale che in quei tre mesi in Italia Emma sarebbe stata dai suoi genitori, nella sua vecchia stanza.
La cosa inizialmente non l’aveva esaltata, perché dopo ormai tempo che viveva da sola ritornare a casa non era esattamente il massimo.
Ma dopo tutto quello che era accaduto, la cosa non la disturbava più così tanto. Anzi, in un qualche strano modo la confortava.
Una volta sua madre, osservandole il volto pallido e stanco, le aveva detto «Emma… forse potresti condividere il tuo dolore con chi lo conosceva e lo amava… I suoi genitori sarebbero felici di vederti… Io, in un qualche strano modo, lo sarei se tu…» e si era fermata, addolorandosi ancora e immedesimandosi in quella terribile vicenda che la figlia stava vivendo.
Ed Emma aveva risposto con un mesto sorriso «…Lui non aveva genitori, mamma… »
Sua madre non aveva risposto. L’aveva solo guardata, comprendendo ancora.
Ma fu così che Emma, lentamente, iniziò a pensare che qualcosa poteva farla. Una soltanto.
Fu proprio grazie a quelle parole semplici e sincere di sua madre che Emma iniziò a pensare ad altro.
In principio fu un fugace e vago pensiero.
Poi iniziò a diventare un’idea più consistente, che le dava stranamente un minimo di conforto.
E mentre lei si aggrappava a questo pensiero, il grande processo tenuto nell’aula bunker della capitale dello stato delle Hawai era iniziato e procedeva a tappe forzate.
Ogni giorno mandavano in televisione immagini e notizie riguardanti quell’evento epocale. Ma la gente non riusciva a capire bene come si fossero svolti i fatti. E non lo avrebbe mai capito. Sarebbero sempre rimaste delle lacune e sacche dubbie avrebbero aleggiato. Durante le udienze molte cose venivano date per scontate e solo chi sapeva avrebbe potuto capire.
Ed Emma si rendeva conto che quella vicenda incredibile non poteva essere divulgata così facilmente al mondo e che solo chi stava partecipando direttamente poteva comprenderne ed acquisirne tutte le sfaccettature e le componenti tutt’altro che umane. Era fatto a posta.
E così, osservando le dirette, Emma scopriva che tutto il processo era un grosso bluff, architettato ad arte per il mondo, che non poteva sapere. Era una sceneggiata costruita egregiamente a tavolino perché al mondo qualcosa potesse giungere e placare in parte la curiosità, ma ogni dettaglio era stato rimaneggiato e aggiustato per innalzare una falsa verità. E lei sapeva più di ogni altro quanto le cose che venivano dette fossero delle balle.
Da ciò che veniva riportato sembrava che i due Kira avessero scritto i nomi di coloro che volevano giustiziare su due quaderni, che però erano presentati solo come una macabra lista di ciò che i due assassini avrebbero voluto fare, una sorta di programma costruito a tavolino che dimostrava le loro intenzioni.
I due death note diventavano così solo una prova del mostruoso piano, nient’altro.
Sembrava poi che gli effettivi omicidi fossero stati compiuti con modalità differenti ogni volta, attraverso la somministrazione di un certo farmaco letale che provocava arresti cardiaci. Sembrava che i due imputati in alcuni casi fossero riusciti a propinare direttamente il farmaco, ma che nella stragrande maggioranza essi si fossero serviti di una vasta rete di conoscenze che toccava capillarmente tutto il mondo. Sembrava che essi avessero allacciato questi contatti tramite il web e i siti che inneggiavano a Kira. Che quindi su internet i due avessero accolto una quantità incredibile di proseliti senza nome, annidati in ogni angolo del globo e appartenenti a ogni ceto, età e posizione economica. Proseliti che riuscivano quindi a raggiungere chiunque e a portare a termine quanto ordinato dalle due menti, che loro osannavano come Dei. Anzi, in realtà sembrava che la mente vera e propria fosse stata una soltanto. Light Yagami aveva potuto sfruttare le sue capacità e la sua vicinanza alla polizia.
In questa falsa ricostruzione c’erano parecchie sacche di mistero, ma la gente credeva che fosse normale, che magari si sarebbe dovuto seguire in modo più attento il processo, che la vera conoscenza venisse dal contatto diretto dei fatti.
Qualcuno invece si faceva più domande e inneggiava alla falsa informazione, alle notizie pilotate, al complotto.
Del resto, il mondo era stato pieno di complotti e segreti e in molti paragonavano indignati il caso Kira a tanti altri.
Qualche trasmissione di serie B trovava rocamboleschi contatti tra i due Kira e gli alieni dell’ “Area 51” o tra essi e le piramidi del Cairo.
E così scorrevano le prove.
I testimoni venivano interrogati. E davanti agli occhi increduli del mondo passavano le dichiarazioni di un anonimo giapponese autista di pullman, che aveva visto Ray Pember e Light Yagami sul suo mezzo quando uno squilibrato era andato fuori di testa e, dopo aver minacciato tutti, si era infine gettato sulla strada. E poi scorrevano le riprese di una telecamera fissa della questura di Tokyo, in cui si vedeva Naomi Misora al fianco di Light, che era quindi l’ultimo ad averla vista viva.
La gente continuava ad avere paura, o perlomeno continuava ad averne chi aveva compiuto qualcosa di scorretto.
“I due Kira sono stati presi, ma tutti i loro proseliti del web potrebbero continuare ad agire?” si chiedeva qualcuno.
“Il farmaco potrebbe ancora essere somministrato!” diceva qualcun altro…
“Qualche altra mente malata potrebbe prendere il comando di questo folle progetto e sostituire i due principali responsabili… In fondo è già successo con quel giapponese, Higuchu, Higacho, Higuchi, o come diavolo si chiama.” Borbottavano nei bar…
Il risultato era che i criminali rimasti continuavano a starsene buoni, terrorizzati all’idea che il loro incubo e giustiziere potesse tornare sotto altre spoglie.
E questo andava benissimo a tutti, naturalmente.
Ed Emma ragionava… Quella messinscena era praticamente perfetta. Era una impeccabile ricostruzione, fornita anche di quelle lacune che tutte le vicende torbide avevano sempre avuto nella storia del mondo. Era quindi perfettamente realistica sotto ogni punto di vista. Aveva sfruttato i punti deboli e la realtà contingente e conosciuta. Aveva fatto perno su tutto ciò che il mondo conosceva, compresi i lati più misteriosi di esso. E aveva anche ottenuto un certo timore da parte dei criminali, che ancora si guardavano bene dal commettere grossi delitti o scempi.
Era una sceneggiata perfetta…
Chi l’aveva architettata?
Chi era il nuovo Elle?
Chi era stato in grado di costruire quel castello perfetto, degno dell’Elle che lei aveva conosciuto?
Near? Near e Mello insieme? O qualcun altro?
E il suo pensiero continuava a crescere, diventando sempre più un chiodo fisso.
Emma sapeva che chiunque era succeduto a Ryuzaki, doveva essere a conoscenza della sua esistenza, dell’esistenza di quella insignificante archeologa.
E sapeva anche che quel qualcuno era alla Wammy’s House. E forse, lì, in quell’orfanotrofio di Winchester, lei avrebbe trovato le uniche persone che sapevano, che sapevano tutto. E grazie alle quali forse, come le aveva detto sua madre, avrebbe potuto condividere veramente…
Ad ogni modo comunque, nonostante le prove schiaccianti che quindi venivano addotte contro i due Kira, prove meticolosamente raccolte e consegnate alla Giustizia dal defunto Elle, pagine e pagine di perizie psichiatriche non facevano altro che dimostrare che i due giovani imputati si trovavano in una condizione che attenuava enormemente le loro colpe: la loro mente non era e non era stata in grado di distinguere il Bene dal Male.
In entrambi i casi i giornalisti, con il loro gergo poco tecnico e abbordabile alla maggior parte della gente, parlavano di una forma bizzarra di “schizofrenia”, di personalità multipla. I due Kira erano colpevoli. Ma le loro menti dimostravano ogni giorno di più che le loro azioni non erano state dettate da una reale consapevolezza dei fatti del mondo.
Così, quell’evento epocale, secondo forse soltanto al processo di Norimberga, si svolse rapidamente, impegnando a tempo pieno coloro che lo gestivano.
E in un tardo pomeriggio della metà inoltrata di dicembre, quando la maggior parte delle persone era nelle strade illuminate a festa per gli acquisti di Natale, Emma era davanti alla televisione, avvolta in una coperta colorata, in attesa che il giudizio del tribunale internazionale fosse espresso.
E quando la sentenza venne emessa, queste furono le parole del giornalista che la riassunse: Quello che è successo è unico e coloro che ne sono stati i fautori e maggiori testimoni pagheranno con una pena singolare per via della loro evidente “insanità mentale”. Vivranno per il resto dei loro giorni isolati in una struttura di igiene mentale sconosciuta al resto del mondo, soli, seguiti e studiati costantemente dai medici e controllati a vista. Ma le loro giornate non trascorreranno dietro le sbarre di un’umida cella, ma saranno pervase di una libertà fittizia all’interno di tale struttura sconosciuta. Light Yagami e Misa Amane vivranno insieme, in una sorta di limbo dorato e ristretto, costantemente controllati, senza più poter avere contatti con il resto del mondo, per sempre.”
Emma non sapeva come fossero veramente andate le cose, era stata all’oscuro di tutto, come tutti gli altri normali cittadini del mondo.
I notiziari dicevano che era stato lo stesso Light Yagami ad uccidere Elle, anche se non era ben chiaro quando ciò fosse accaduto, perché si era potuto vedere fin dall’inizio che la notizia della sua morte fosse stata una concessione della “Organizzazione Elle”. Ma lei sapeva che tutto quello che raccontavano era un bluff, lo sapeva più di tutti gli altri, più di tutti i presentatori delle varie trasmissioni di serie B che mandavano in onda.
Emma immaginava che il destino si fosse abbattuto sul grande detective e ne avesse provocato la morte per mano della stessa Rem. In fondo Naomi Misora era morta per mano di Light ugualmente, nonostante le diverse modalità. E lo stesso era avvenuto per Ukita.
Lei non aveva la più pallida idea di cosa fosse accaduto in quell’aeroporto delle Hawaii, né di come si erano svolti i fatti, ma era certa che tutto quello che aveva preceduto e seguito la morte di Elle era stato in qualche modo voluto e architettato da lui. Lo stesso arresto ad Honolulu e l’esito del processo gridavano che i discorsi sulla pena capitale che tanto l’avevano accalorata non erano stati vani. E come avrebbero potuto esserlo? Per Elle nessun discorso era stato vano, mai.
Non le era nemmeno affatto chiaro a cosa servisse la balla dell’ “Organizzazione Elle”, che le stonava parecchio.
Doveva conoscere gli ultimi attimi di vita di Ryuzaki e doveva sapere in quale modo egregio era stato incastrato.
Perchè Emma non poteva e non voleva credere che lui fosse morto stupidamente un’altra volta.
Si alzò dal divano, trascinandosi la coperta che aveva sulle spalle.
Raggiunse la sua borsa e prese il cellulare che un tempo le aveva fatto avere Elle e che Watari aveva voluto che lei tenesse.
Lo osservò per un po’. E poi lo accese.
E mentre osservava il messaggio di benvenuto della casa produttrice che non vedeva da tempo, disse «Mamma… Quanti giorni rimarremo dalla nonna a Londra per il Natale?»
La madre sollevò lo sguardo dal monitor della televisione «Mi pare circa un paio di settimane… Sì. Partiamo dopodomani e rimarremo fino al 6 gennaio. Perché?» le chiese.
Emma proseguì «... Io credo che tu abbia ragione. Devo andare lì dove c’è qualcuno che lo ha conosciuto. Credi che per voi sarà un problema se in quelle due settimane mi prenderò un paio di giorni per andare a Winchester?»
La mamma sorrise «Nessun problema, Emma. Non c’è proprio nessun problema…»
La Wammy’s House.
Solo lì, forse, potrò sapere e capire.
Solo lì sanno chi è stato Ryuzaki veramente…

 
 
 
 
 
Allora…
Non c’è una parte di questo capitolo che non mi terrorizzi. È così diverso, composto di parti differenti, spezza così tanto con i precedenti… Per la prima volta ho avuto difficoltà a trovargli un titolo!
Non sono convinta di nessuna delle sue parti. Lo trovo molto lento. Ma era tutto stabilito, come sapete ormai.
Riguardo tutta la prima parte, be’, perlomeno a chi era mancata la voce fuori campo non sarà dispiaciuto… (me lo auguro)
Per il resto, credo che sia scaturito sia dalla mia incapacità e dal mio timore di trattare il dolore in modo scontato e melenso, sia dalla mia necessità di ancorare i fatti in modo realistico.
Quindi questo è stato il mio modo di comunicare lo stato di Emma, senza perdermi in introspezioni strappa-lacrime, che non sono assolutamente in grado di realizzare (sempre perché ritengo, nel mio piccolo e per mio gusto, che per descrivere il dolore non ci siano tante parole o perlomeno io non ne ho…)
E poi c’è la noiosissima tirata pseudo-psicologica su Elle… Scusatemi e perdonatela (anche per tutte le sciocchezze che posso aver detto senza rendermene conto e senza essere una specialista), ma per me era indispensabile parlarne, perché forse sarebbe stato naturale per Emma pensarci, ma anche per tanti altri motivi che vi risparmio ^^
Insomma, che vi posso dire?
Questo capitolo spezza, ma dato che l’ho scritto tempo fa, insieme ai precedenti e ai successivi, tutti in blocco, mi rendo conto che letto da solo potrebbe lasciare l’amaro in bocca… ma era necessario.
Quindi chiedo scusa!!!
 
E chiedo scusa ancora una volta per le recensioni in sospeso, ma durante la settimana attualmente riesco a fermarmi solo la sera tardi e sono così stanca che non riesco a scrivere… Questo mese di luglio è molto intenso per me (e pare che mi tocchi iniziare anche un altro lavoro, insieme a quello che già sto portando avanti…per carità, sono contenta, ma vi assicuro che non vedo l’ora di andare in vacanza!! Comunque incrocio le dita e spero che il mio fisico regga ah ah ah ah! ^_^)
Ma vi prego di non smettere di avere fiducia, perchè come sempre risponderò a ogni vostra singola parola!!!
 
Per adesso vi saluto e vi ringrazio e per una volta almeno non è notte fonda ^^
Grazie di aver letto fin qui e di continuare a seguirmi numerosi! Nuovi lettori si sono aggiunti e mi hanno preferito e non voglio pensare al momento in cui avrò finito di postare questa storia, mi mancherete tantissimo…
 
Un abbraccio e ci vediamo fra 10 giorni (che poi diventano sempre 13 o giù di lì… +_+)
 
Eru

   
 
Leggi le 11 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Death Note / Vai alla pagina dell'autore: ryuzaki eru