Anime & Manga > Saint Seiya
Ricorda la storia  |      
Autore: avalon9    14/07/2013    3 recensioni
“Mi sarai comunque accanto?” lo invitò, nel fruscio della veste di lino e bisso. “Anche se sbaglierò e mi metterò in pericolo?”
Lo guardò. Lo guardò come donna, amante e dea; lo studiò, cercando su quella scalinata sotto le stelle le antiche sicurezze.
“Sempre” le disse. “Qualunque sia la tua volontà. Io ti sarò sempre accanto.”

Post-Hades; Saint Seiya Omega: intermezzo; in 63 episodio.
Punto di partenza; di nuovo.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Pegasus Seiya, Saori Kido
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
- Questa storia fa parte della serie 'Crescendo'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Autore: Avalon9

Autore: Avalon9

Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of live

Personaggi Principali: Saori-Atena; Seiya

Altri Personaggi: Koga solo nominato

Rating: verde

In proposito: “Mi sarai comunque accanto?” lo invitò, nel fruscio della veste di lino e bisso. “Anche se sbaglierò e mi metterò in pericolo?”

Lo guardò. Lo guardò come donna, amante e dea; lo studio, cercando su quella scalinata sotto le stelle le antiche sicurezze.

“Sempre” le disse. “Qualunque sia la tua volontà. Io ti sarò sempre accanto.”

Disclaimer: i personaggi sono di Masami Kurumada; la situazione la rivendico come mia^^

Note: one shot; missing moments

Cose: e siamo arrivati al quarto momento. D’altronde, l’episodio 63 non poteva scatenare la mia immaginazione. Seiya che veste Sagitter e lancia il colpo segreto di Aioros, rendendogli anche omaggio! E poi quelle poche battute sulla scalinata di Palaestra, studiandosi negli occhi per riscoprire le antiche sicurezze.

Saint Seiya Omega continua ad alimentare in me un rapporto conflittuale, altalenante fra pochi (troppo pochi) momenti che sfiorano l’epicità della vecchia serie, buone idee risolte senza quel trasporto emotivo cui Saint Seiya mi (ci) aveva abituati e scelte narrative di sicure vicine al target più giovane e alle scelte attuali, ma che sfiorano la ripetitività. Comunque, idee piacevoli ce ne sono, e soprattutto sottintesi inerenti Seiya. Perché la malinconia che sembra pervaderlo sul ponte di Palaestra, mentre affronta gli avversari è così lontana da Seiya e assieme così da Seiya che è difficile da ignorare. Sarà di pochi secondi, ma è meravigliosa.

Quarto frammento, dicevo. E intanto il secondo continua a latitare. Era pronto da un po’, ma lo leggermente modificato dopo aver visto l’episodio di ieri sera. Nulla di radicale, solo un piccolo accenno che sa di predestinazione. Lavorare su Saori è sfiancante: renderla umana e insieme divina, con quella crudeltà divina che si tempra nell’umanità è davvero logorante. Qui a tratti prevale la componente umana; non era voluto: è emersa perché doveva esserci. E mi piace l’idea di loro due come amanti negati, di un loro rapporto erotico costruito su parole, sguardi e rimpianti. Non li vedo come “coppia”, ma li vedo come amanti insomma. Dov’è la differenza? Mica facile da spiegare. Seiya ama una dea che per definizione non lo può ricambiare, e allora vira il suo affetto in una devozione malata e a tratti morbosa, un attaccamento viscerale; mentre Saori è legata a lui da sottili trame di umanità e dalla lusinga che da sempre attira gli dei: la fedeltà incondizionata. È una mia lettura, per carità!

Ma mi piace.

Ultima piccola nota: nam in lingua tibetana, e più precisamente nel raffinato dialetto di Lhasa, significa cielo. Questo perché, come qualcuno già saprò, ho scelto di collocare Palaestra in Tibet.

 

 

 

 

 

 

Crescendo IV

Nam

 

 

 

“Sei triste.”

Le stelle del Tibet sono grandi; grandi e splendenti nell’aria fredda e tersa della notte. A Saori ricordavano altre stelle, in un altro cielo. Ricordavano una notte a Luxor, fra piume nere di corvo e frusciare di vesti bianche. Ricordavano le braccia di Seiya e il calore del suo corpo; e una caduta affrontata con fiducia.

Quella notte; gli occhi di Seiya e il suo sguardo. Gli occhi di un uomo e non di cavaliere; l’affetto o forse l’amore, la devozione confusa in un confine labile di possesso, egoismo e rifiuto.

Sono trascorsi anni, da quella notte. Eppure. Eppure negli occhi di Seiya il cielo si rifletteva allo stesso modo. E uguale era il sorriso che le rivolgeva, appena più lieve e maturo, appena velato di una malinconia che lo avvolgeva, impalpabile e sottile. Forse di rimpianto forse di rimorso. Ma Seiya resisteva.

Non lo avevano piegato né gli dei né il Cielo d’Olimpo; non lo aveva spezzato la lunga prigionia di Mars né se l’erano portato via le ferite sopportate. Seiya restava al suo fianco, ancora come il primo giorno. Restava con lei, in piedi accanto a lei, per difenderla e servirla.

Per amarla.

Di quell’amore complesso e viscerale, quasi necessità. Di quell’amore che lo aveva fatto precipitare nell’Ade pur di rivederne anche solo la pallida ombra fra gli asfodeli in fiore; di quell’amore che lo aveva richiamato alla vita quando Artemis l’aveva sfidata.

Né ideali né aspirazioni.

A muovere Seiya era rimasto solo quel legame forse malato forse solo troppo profondo per una donna che non poteva sfiorare; per quella dea che aveva giurato di onorare.

Di Seiya, Saori aveva conosciuto la determinazione e la rabbia; aveva visto la crescita e le cadute. E aveva ascoltato la supplica, sussurro flebile fra le sue braccia, nello sciabordio increspato di acqua come luna.

Fammi restare con te. Fammi combattere per te.

Perché se non poteva amarla, almeno poteva adorarla. Perché, se non poteva averla, almeno poteva custodirla.

Seiya l’aveva implorata. Fra le sue braccia, la bocca a sfiorare pelle umida e fremente, Seiya si era concesso di osare e dimenticare. Si era permesso di toccarla come desiderava sentirla: il corpo di donna nella stoffa bagnata, il viso dal dolce taglio mediterraneo, gli occhi azzurri sotto ciglia sottili imperlate d’acqua. E nella donna aveva dimenticato la dea, nel suo respiro sul viso aveva illuso un istante di concessione e dannazione. Nel bacio di Atena Seiya aveva baciato Saori e a lei aveva giurato la vita.

Saori socchiuse gli occhi.

Non l’aveva più baciata.

Negli anni trascorsi accanto, Seiya non aveva chiesto altro.

Ma era nelle sue braccia ricoperte d’oro che Saori aveva trovato rifugio ai doveri di dea; era nella sua presenza costante che Saori conosceva la sicurezza; era nei suoi occhi che ricordava la determinazione.

E quando Mars glielo aveva sottratto. Quando Seiya aveva scelto, nel suo impulsivo egoismo, di lasciarla per salvarla. Quando del cosmo di Pegasus era rimasta l’eco distorta fra l’oscurità che le incancreniva il corpo. Quando di quella promessa fatta sulle sue labbra, quando quel sono pronto a morire per te era stato un istante di consapevolezza e il pianto di un bambino stretto al suo seno, quando di Seiya l’ultimo ricordo era la sua schiena che sfavillava fra le galassie oscure. Allora Saori aveva conosciuto il vuoto della mancanza, aveva sofferto l’abbandono.

Perché era sempre stata pronta a morire con lui; ma non aveva mai osato immaginare di perderlo. Smarriti i sorrisi aperti e le piccole provocazioni; perdute le battutine inappropriate che alleggerivano le situazioni; consumate le braccia forti che la sorreggevano se vacillava.

Mars glielo aveva sottratto; e Mars glielo aveva restituito, fulgido di cosmo anche negli squarci delle tenebre che gli divoravano e corpo e spirito.

E adesso le era di nuovo al fianco.

Accanto a lei, sulle gradinate di Palaestra, nell’odore fastidioso di detriti e polvere di calce, sotto il cielo del Tibet che raccoglieva leggende e indifferenze.

Non le sedeva accanto; non la sfiorava. Ma nelle spalle rilassate e nei capelli sempre scompigliati; nelle mani in tasca con indifferenza e nei tratti maturi del viso; negli occhi dal taglio sottile pieni di determinazione, Saori avvertiva la sicurezza e l’appoggio che le voleva dare, che le aveva sempre dato.

Il ragazzino che l’aveva provocata e sfidata a lungo; il ragazzino che per suo capriccio aveva combattuto su un ring, il ragazzino che per lei aveva imparato la caparbietà e la risolutezza. Quel ragazzino era di nuovo con lei, accanto a lei. E nel corpo di uomo, Saori indovinava la sicurezza delle scelte intraprese, la determinazione che i giorni della convalescenza sembravano aver scalfito.

“Un po’. Forse” gli rispose alla fine, in un sorriso sottile. “O forse è solo rimorso.”

“Koga ha scelta di sua volontà Anissa.”

Koga.

Il bambino. Il bambino salvato da Seiya; il bambino stretto al suo seno. Il suo nuovo Erittonio, assieme al flebile desiderio di una maternità proibita. Lo aveva cullato; lo aveva allevato; lo aveva allenato. Ne aveva fatto un cavaliere, nel riflesso muto di Sagitter, nell’ombra delle stelle di Pegasus.

Lo amava. Lo amava come dea e come madre. E lo avrebbe visto combattere e soffrire; gli aveva sentito giurarle la vita con la determinazione negli occhi pieni di ardore e ironia. Perché fino alla fine gli aveva taciuto chi fosse; perché fino all’ultimo lo aveva allevato nella speranza di allontanarlo dalla battaglia.

Non di nuovo si era promessa.

Non come con Shiryu, Hyoga, Shun, Ikki e gli altri. Non come con Seiya.

Aveva. Aveva sperato di lasciarlo libero nelle scelte, di vederlo crescere senza malinconie e rimpianti; si era illusa che il cosmo allevato gli avrebbe fornito solo una guida tranquilla nella vita. Eppure.

Eppure era successo ancora. E Koga era cresciuto all’ombra delle colonne, in odore di miti e antiche leggende. Era cresciuto per la guerra e alla guerra era stato chiamato, quanto Mars era riuscito a piegarla e inglobarla in un nuovo albero dell’universo.

E di nuovo lo aveva costretto a schierarsi, lo aveva obbligato a una guerra in cui prima che il volere in Koga veniva l’affetto e il legame con lei.

Quanto sarebbe durata ancora, negli occhi d Koga, quella forza, quella volontà che glieli faceva brillare di cosmo appena trattenuto? Per tempo ancora sarebbe trascorso, prima che i rimpianti ne velassero l’ideale ingenua volontà?

Seiya.

Cos’è il rimorso?

Forse sono gli occhi di Seiya. Forse è la sfumatura triste che non li abbandona più, la determinazione armonizzata con la rassegnazione. Forse è quello sguardo di desiderio e proibizione.

Forse è la distanza.

Lo spazio a volte evidente altre impalpabile che Seiya ha continuato a creare; che Seiya non accetta più di oltrepassare. Sono le sue braccia che la stringono solo su un campo di battaglia; sono le sue mani sempre guantate d’oro e l’incedere solenne di un uomo ormai conscio del proprio ruolo.

Quanto è trascorso dall’ultima volta che lo ha visto come in quel momento? Da quanto Seiya non smette Sagitter per abiti quotidiani. Un paio di jeans sdruciti e una vecchia maglietta. Le mettono nostalgia; le ricordano anni passati, guerre, fatiche, sangue e rimorsi. Ma assieme la spensieratezza dei pochi istanti rubati al dovere, le risate di cuore nella grande villa di Luxor.

Lo rivede adesso, il corpo modellato dalle battaglie e i tratti adulti dell’uomo. Lo rivede forse per l’ultima unica volta come uomo e non cavaliere. Mentre le sorride con una scrollata di spalle; mentre le resta accanto, sui gradini freschi, sotto il cielo del Tibet.

Atene è lontana; Pallas è lontana.

Le armature sono riposte negli scrigni e lo scettro di Nike l’attende nella stanza che le hanno riservato. Quei minuti sono tutto ciò che le è concesso; tutto ciò che può e vuole concedersi. Non è più imposizione; non è mai stata costrizione. È sua la scelta di combattere; è sua la decisione di portare la solitudine e la nostalgia che il ruolo di dea le impone.

Ma Seiya.

“E tu Seiya?” sussurrò Saori. “Tu perché hai scelto?”

Seiya si voltò a osservarla. C’era esitazione nella voce di Anissa; una punta di paura, simile al soffio flebile del vento. Sembrava temere la risposta; sembrava essersi pentita di quella semplice domanda, nelle mani che si stingeva forti, negli occhi risoluti al cielo sterminato. Non avrebbe mai abbassato lo sguardo; non si sarebbe mai concessa di mostrarsi insicura. Nemmeno con lui.

“Conosci la risposta, Anissa”

“Voglio sentirla da te.”

C’era urgenza. L’urgenza di capire, di conoscere i suoi pensieri più intimi, più profondi. Avrebbe potuto farlo; le sarebbe bastato ampliare di poco il cosmo e la mente di Seiya le si sarebbe aperta senza sforzo. Si sarebbe ribellato, avrebbe alzato mura mentali su tranelli e vuoti pensieri. Si sarebbe opposto, ma alla fine lei avrebbe vinto. E fra loro sarebbe rimasta una consapevolezza acquisita con la forza.

Non lo avrebbe fatto: non vi era ricorsa in passato, non avrebbe iniziato a utilizzare quel potere in quel momento. Gli aveva concesso tempo e aveva rispettato la sua volontà. Non lo aveva forzato a parlare delle sue insicurezze nè aveva sondato la sua mente per conoscerle.

Seiya era cambiato.

Lo scontro con Mars e la lunga prigionia prima, l’ordine di assassinare l’infante Pallas dopo lo avevano cambiato, assieme ai toppi anni su campi di battaglia e a quella devozione dai contorni di un amore impossibile che da troppo lo sorreggeva. E adesso che di nuovo avrebbe dovuto scendere in campo; adesso che, forse per la prima volta da sempre, Seiya si sarebbe trovato a rivestire il ruolo di primo cavaliere alla testa dell’esercito di Atena; adesso che si sarebbe trovato da solo davanti all’avversario, Saori voleva, doveva sapere cosa davvero lo muovesse, per cosa sarebbe stato pronto a dare la vita.

“Sei tu” le rispose chinandosi su di lei, la voce un sussurro sottile all’orecchio. “È per te che combatto. L’ho sempre fatto.”

“Per Atena.”

“Per Saori” sussurrò ancora, con una risata sottile che sapeva di rassegnazione. Come se accettasse da lei anche quel gioco crudele, quella necessità di sentirsi ripetere l’amore che le portava come semplice rassicurazione. Non era cattiveria; ma non era nemmeno piacere. Per Seiya quelle parole erano la vita e la morte date in mano alla dea, alla donna, per cui era pronto a dimenticare onore e doveri.

E Saori tremò a quella carezza impalpabile. Alle labbra che le respiravano sulla pelle sensibile della gola in un bacio che avrebbe solo immaginato; al sapore di salsedine e vento che Seiya si portava addosso, un miscuglio di odori di Grecia e d’Oriente. Tremò delle braccia che l’avevano imprigionata fra i gradini, vicine come da troppo non erano più state, e del vento leggero che lasciava sul viso il pizzicorio dei capelli che Seiya aveva iniziato a portare un po’ più lunghi nel loro costante disordine.

Tremò. E di quel tremito intenso e recondito; di quella contrizione allo stomaco per il suo nome finalmente riudito, per il suo nome di nuovo sussurrato, le rimase una calda intensa sensazione senza i contorni definiti.

Seiya l’aveva amata.

Con due semplici parole; con due sole parole soffiate nel vento freddo, sotto le stelle del Tibet, Seiya l’aveva amata. Le aveva dato la trepidazione e l’estasi; le aveva dato l’eccitazione del proibito e il languore dell’appagamento. Le aveva regalato un istante, forse l’unico che il tempo e il destino gli aveva concesso. E glielo aveva dato con semplicità, quasi per inciampo.

E poi le braccia la liberarono, il sussurro divenne una risata leggera e gli occhi le lasciarono un ultimo intenso languido indugio sulle labbra socchiuse e proibite.

“Ti sei scelta un pessimo generale. Ne?” le sorrise strizzandole un occhio.

E Saori rivide il ragazzo. Rivide Seiya come non lo aveva più rivisto da quanto aveva quindici anni e aveva trovato la quiete nel suo abbraccio; lo rivide come lo aveva rivisto dope gli anni dell’allenamento in terra di Grecia.

Ironico, a tratti impertinente, determinato e risoluto.

Non era il cavaliere di Sagitter, altero nell’eredità che aveva raccolto; non era nemmeno l’uomo che per lei aveva scelto una vita di battaglie. Era scomparso il prescelto di Pegasus e il guerriero capace di vincere uomini e dei con la sua volontà.

Accanto a lei, era riapparso il ragazzo.

Il ragazzo che scherzava e rideva; il ragazzo che non conosceva il rispetto per le gerarchie e aveva fatto dell’ironia il suo esorcismo per la paura. Non era spavalderia, quella di Seiya. Era semplicemente l’unica arma che un bambino gettato nell’arena aveva trovato per sopravvivere.

Ed era così da Seiya. Così rassicurante.

“Il peggiore davvero” gli rispose recuperando il tono disteso dello scherzo, quel modo di sdrammatizzare che Seiya le aveva insegnato negli anni. “Ma sono sempre in tempo a cambiarlo.”

“Ah. Davvero?” continuò Seiya, un sorriso sottile sulle labbra mature. “E sentiamo. Con chi mi sostituirai Anissa?”

Anissa.

Non l’avrebbe chiamata Saori di nuovo; forse non l’avrebbe più fatto. Le aveva concesso pochi istanti da amante, e adesso cercava disperatamente di recuperare le distanze. Provocarlo ancora, insistere ancora, sarebbe stato solo sciocco e inutile. Seiya non avrebbe ceduto e lei lo avrebbe torturato per nulla. Doveva accettare quello che le aveva concesso, e il gioco sottile e infantile che le offriva prima di tornare all’urgenza dello scontro.

“Vediamo” rifletté a mezza voce, tamburellando l’indice sul mento. “Ci vorrebbe un uomo equilibrato, incline alla diplomazia.”

“Ikki è escluso a priori allora” rise Seiya. “Ti restano Hyoga o Shiryu.”

“Non Shun?” lo provocò, ridendo della sua stessa risata.

Era piacevole restare così, a conversare nella notte di vecchi amici e antichi legami che si sentivano ancora intrecciati nei cosmi lasciati sopiti. Era simile a un’eco continua e impalpabile, alla risonanza che per anni li aveva uniti e che nessuno di loro accettava di abbandonare.

“Ti mancano?”

“Sempre” le rispose senza esitazione.

In quella parola Saori comprese qualcosa di più: la solitudine e la nostalgia che a volte sfioravano Seiya; le ore notturne trascorse sulla terrazza di Atene, gli occhi al cielo e il cosmo a fluttuargli accanto; le parole e i sussurri di risa su labbra increspate rubati alla distrazione e a piccoli fugaci momenti rilassati. E seppe la difficoltà di Seiya di sentirsi parte dei Cavalieri d’Oro, avvertì lo sforzo di creare un legame e altri volti e altri cosmi sovrapporsi a quelli presenti. Lesse nel cosmo di Seiya il peso delle aspettative che avvertiva su di sé e la mancanza dei compagni di sempre, l’assenza di gerarchie e convenzioni che si erano create fra loro. E la quieta serena pacata accettazione che alla fine lo aveva pervaso, nella sicurezza che, comunque, sarebbero stato con lui.

“Ci saranno” le ripose con ovvietà, richiudendo il cosmo che le aveva aperto per farle intuire almeno una parte di cosa da sempre lo tormentasse, di cosa lo avesse mutato nel tempo. “Shiryu; Hyoga; Shun; persino Ikki” sorrise. “Quando sarà il momento, saranno con me. Con noi.”

“È una bella speranza.”

“È una certezza.”

Saori ci credette. In quella risposta senza ombre, nella sicurezza che gli aveva acceso gli occhi, Saori volle leggere la certezza che sarebbero arrivati in tempo; volle coltivare l’egoistica speranza che violassero i doveri cui li aveva destinati e fossero di nuovo al suo fianco.

Perché chiamarli a sé sarebbe stato troppo facile e troppo crudele; perché chiedere loro di nuovo sangue e dolore dopo aver offerto pace e riposo sarebbe stato così semplice e così doloroso.

Come lo era stato per Seiya.

Ma Seiya ha scelto la Grecia.

Quando i cieli d’Olimpo si erano chiusi; quando di macerie restava polvere e silenzio; quando ricominciare non era più speranza ma semplice determinazione, li aveva lasciati liberi di scegliere.

E Seiya aveva scelto la Grecia e Sagitter.

Aveva scelto lei.

“Allora posso lasciarti il comando” lo provocò.

“Sarò in grado di cavarmela, vedrai” le sorrise. “Non è facile liberarsi di me. Lo sai.”

“Sì; lo so” gli sussurrò, e quella consapevolezza ebbe il gusto della tranquillità riottenuta, della quotidianità all’improvviso riassaporata. Assieme ad un pensiero che le riaffiorò alla mente, assieme alla certezza che negli occhi di Seiya, adesso, accanto alla nuova eterna malinconia, permaneva di nuovo la stessa identica determinazione di un tempo.

“Hai usato il colpo segreto di Sagitter oggi” gli disse alla fine, infrangendo il silenzio rilassato della notte ormai avanzata.

“Era tempo di farlo.”

Seiya asprì e chiuse il palmo.

Era stato strano. Avvertire il cosmo fluire e concentrarsi nella mano e poi esplodere in una cascata simile a miliardi di frecce. Era stato come indossare Sagitter per la prima volta: aveva avvertito Aioros nell’eco del cosmo. La sua decisione giocata in pochi istanti e i rimpianti lasciati al cielo che lo aveva visto morire.

Lo aveva conosciuto da sempre quel colpo, fin da quel lontano giorno a Luxor contro Aioria. Eppure si era sempre rifiutato di eseguirlo. Perché significava accettare di occupare il posto che apparteneva ad Aioros; perché voleva dire confrontarsi con il fantasma di un ragazzo che la sorte aveva trasformato in eroe; perché era assumerne un’eredità ancora troppo pesante da portare e dimostrare ogni momento in ogni istante di saper onorare l’armatura che indossava.

Quando avesse accettato Sagitter e non l’avesse solo vestita, Seiya sapeva che avrebbe dovuto imparare ad essere un cavaliere d’oro prima ancora che un uomo devoto ad Anissa. Sapeva che voleva dire piegarsi alle regole e alle convenzioni, rinunciare a tutto ciò che era stato sino a quel momento. E sapeva che una cosa è scegliere la distanza da Anissa, l’altra è esserne costretto.

“Perché solo oggi?”

“Perché anche tu hai scelto di scendere in battaglia” le rispose con semplicità. “E poi, prima o dopo avrei dovuto farlo. Così avrò anche il tempo di far di pratica. Ne?”

“Sai cosa significa farlo. Vero?”

“Lo so” sussurrò premendo un pugno nella mano. “Lo so cosa vuol dire” ripetè, e stinse la mano con forza, fra frustrazione e determinazione.

Perché accettare Sagitter significava rinunciare a Pegasus; perché utilizzare appieno l’armatura voleva dire lasciarsi tutto alle spalle e scendere in campo davvero come primo fra i cavalieri d’oro, come comandante di un esercito che a lui prima di tutti avrebbe guardato, dopo Anissa.

Essere Sagitter era ereditare Aioros e il peso della sua morte; era portare sulle spalle la forza del suo mito e l’assurdità della sua morte. Era assumersi la vita di Anissa come mai prima di allora e rinunciare all’amore e forse anche all’affetto per lei. Era tracciare un confine fisico fra lui Shiryu, Hyoga, Shun e Ikki. E poco sarebbe importato se anche loro avessero deciso di rivestire le armature d’oro. Lui sarebbe stato il primo, e solo quello avrebbe potuto cambiare tutto.

A meno che.

“Non sei obbligato a farlo, Seiya.”

“Lo so. Ma lo devo fare; lo voglio fare.”

Per dimostrare a se stesso che non era la corazza a plasmarlo; per ricordarsi cosa lo aveva fatto sempre scendere in campo, sfidando dei e sfiorando la blasfemia per dedizione ad Anissa, ad una dea troppo umana per non essere crudele nell’amore che portava loro.

“Sarò Seiya di Sagitter, Anissa” le disse nel cosmo che gli accendeva gli occhi.

“Anche se molto cambierà?”

“Anche se dovessi impugnare di nuovo la daga di Saga e uccidere” le giurò senza esitare. “. Ma lo sarò a modo mio. Senza dimenticarmi chi ero; senza dimenticare cosa mi fa andare avanti” e piegò il ginocchio a terra, lo sguardo fisso in quello di Saori. “Ma lo concedi Anissa?”

L’ultima volta che Seiya le si era inginocchiato, Saori ricordò, era stato nel naos di Atene dopo la loro discussione; era stato quando aveva deciso di chiuderle la mente e il suo cuore e aveva alzato un muro a propria protezione. E adesso, di nuovo, le offriva e morte e vita; le offriva la sua dannazione in cambio di un suo sorriso; in cambio della promessa di poter restare quello che era sempre stato. Di poter essere, anche con l’oro di Sagitter a rivestirlo, solo Seiya.

Davanti a quella supplica; davanti alla disperazione che intuiva dietro alla risolutezza, Saori non seppe rifiutare.

Avrebbe dovuto. Avrebbe dovuto pretendere o la decisione ferma o la disattesa completa. Sagitter non ammetteva mediazioni. Ma non vi riuscì. Seiya le aveva fatto una sola altra supplica, un tempo. E le aveva chiesto di poter combattere per Lei; ora le chiedeva di poter continuare a farlo senza smarrirsi in Sagitter, restando in qualche contorto imperscrutabile confuso modo il ragazzino che era tornato dalla terra di Grecia.

Non glielo negò; e nel sorriso che le rivolse, Saori sentì gratitudine e devozione; sentì l’affetto dell’uomo e la carezza rassicurante del cosmo del cavaliere. Le sarebbe rimasto accanto, sempre. Senza più esitazioni; senza più timori anche nella nostalgia e nei rimpianti.

Era tempo aveva detto Seiya. Tempo di smettere di esitare e agire; tempo di accettare ciò che Pallas aveva voluto scatenare.

Saori sospirò. Lo è anche per me.

“Seiya” lo chiamò, quando ormai il cielo si era fatto d’inchiostro cupo e i visi si intravvedevano appena nel riverbero delle stelle.

“Non sono d’accordo” la interruppe, arricciando il naso infastidito. “Lo so cosa vuoi fare” e occhieggiò eloquente alla spirale pulsante di cosmo che avvolgeva il braccio di Saori. Sembrava sopita, ma poco alla volta le stava sottraendo forza e vita. E ormai restavano meno di nove mesi prima che Pallas riuscisse a prosciugarla. “Lo so e non sono d’accordo. Ci deve essere un altro modo” borbottò, arruffandosi la testa.

“Seiya” sorrise Saori, il viso inclinato di lato fra sollievo e lieve timore di sbagliare. “Seiya. Stai discutendo una mia intenzione?”

“Già” alzò le spalle, come se fosse normale. Come se mai quell’atteggiamento fosse mutato, come se il loro confronti di pochi mesi prima fosse solo un ricordo impreciso, un pigro gioco di una mente capricciosa. “Qualcuno deve pur avvertirti che stai per fare una cosa stupida.”

“Non cercherai di fermarmi?”

“Certo che ci proverò” sorrise Seiya.

“Non ci riuscirai. Lo sai?”

“Sì; lo so. Ma non per questo smetterò di tentare.”

“Mi sarai comunque accanto?” lo invitò, nel fruscio della veste di lino e bisso. “Anche se sbaglierò e mi metterò in pericolo?”

Lo guardò. Lo guardò come donna, amante e dea; lo studiò, cercando su quella scalinata sotto le stelle le antiche sicurezze.

E nella risposta che ebbe, nella promessa che Seiya le rinnovò in quella notte, fulgido del cosmo di Sagitter che richiamò a sancire le sue parole; in quella parole, così simili a quelle pronunciate quando il dovere si confondeva con la volontà, Saori seppe la devozione e la lealtà, e riassaporò l’istante di un affetto che sfiorava la blasfemia.

“Sempre” le disse. “Qualunque sia la tua volontà. Io ti sarò sempre accanto.”

 

  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Saint Seiya / Vai alla pagina dell'autore: avalon9