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Autore: hale    14/07/2013    18 recensioni
“Voglio morire.” Sbuffai con un senso di stanchezza salendo una volta per tutte sul tetto.
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“Voglio essere quel che davvero sono, e non l’immagine che la gente ha costruito su di me.” Disse una voce poco distante da me.
“Esatto.” Commentai per poi sobbalzare. Mi voltai stordito, con il battito cardiaco accelerato. Nessuno poteva avermi sentito, nessuno poteva. Dovevo avere delle spaventose allucinazioni.
Mi alzai e analizzai il luogo da dove proveniva quella voce.
Trovai una ragazza nascosta in una parte del tetto, rannicchiata nel suo angolo. Mi si illuminò la vista nel vederla e mi si sciolse il cuore, era lei.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Harry Styles
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1.

Hi?
 

 
 
 


Julie.

Vi è mai capitato di sentirvi estranei alla propria vita? Di trovarvi, da un momento all’altro, davanti ad un muro non scavalcabile, un muro che solo abbattendolo si sarebbe potuto eliminare dal proprio cammino. Io mi ritrovavo in questa scomoda, scomodissima situazione. Ma dopotutto dovevo aspettarmelo, dopo anni e anni di problematiche e disagi. Disagi soprattutto causati, involontariamente, da me.
E’ da tempo che la decisione di scappare mi perseguitava. Volevo fuggire, da tutto e da tutti. Ma, ogni volta, mi chiedevo dove mai sarei potuta andare.
Adesso che ho trovato la risposta, non posso far altro che coglierla e seguirla, nel bene e nel male, coi pro e coi contro.  
Sarebbe stata dura salutare la mia unica famiglia, ossia mia madre, e la Francia ma è ciò che dovevo fare.
Insomma, dopo tutti i sacrifici che mia madre è stata disposta a fare per me, io potevo fare tutto questo, almeno per lei.
Farmi mantenere avrebbe causato ulteriori problemi, perciò era meglio liberarsi del peso.
Davanti a me mi aspettava un futuro in California, una città dove hai delle opportunità. Sarei andata a vivere momentaneamente da un’amica di mia madre di nome Susanne; sapevo già chi fosse. Per il resto non ero al corrente di nulla, era tutto una sorpresa. Un’ abominevole sorpresa.
Mi guardai attorno, la mia piccola camera da letto che mi aveva accolto fin da piccola, non la riconoscevo più. La carta da parati era rovinata e leggermente strappata in alcuni angoli dove si riusciva ad intravedere il muro biancastro. I mobili erano gli unici oggetti che riempivano questo vuoto, tutte le mie strambe cose erano inscatolate e pronte per essere trasferite. Tutto era pronto, tutto tranne che me.
“Julie, è ora di andare.” Udii la voce di mia madre alle mie spalle, mi voltai dalla sua parte per poi annuire. Tristemente diedi un’ultima occhiata a quella stanza, la quale non l’avrei più rivista per chissà quanto tempo. Presi la mia borsa e me la portai alla spalla. Assieme a mia madre raggiunsi il portone e prima di salirle sul taxi la guardai malinconica.
“Mi mancherai.” Mi disse con voce tremante lei, cercando di trattenere le lacrime. Vederla così mi terrorizzava, vedere la propria madre debole non ti da alcuna tranquillità. Notai un sorriso sforzato comparso sul suo volto e cercai di ricambiarlo.
“Anche tu, mamma.” Le dissi, anche se non era tutto ciò che avrei voluto dire. Era poco confessarli che mi sarebbe mancata, mi sarei sentita sperduta senza la sua presenza giornaliera.
“Tornerai presto.” Si assicurò lei, non voleva che me ne andassi per quelle ragioni. Era convinta che ce l’avrebbe fatta a sistemare tutto ma io non ero più una bambina, sapevo che sarebbe stato complicato. In quella circostanza, ero un peso. Dovevo farmi da parte per un lungo periodo anche se sarebbe stata dura.
Ci abbracciammo ed io me ne andai con il suo profumo sulla mia pelle. Salii sul taxi e guardai la figura di mia madre fino a quanto non la riconobbi più. Il paesaggio scorreva velocemente, ogni determinato luogo mi regalava un ricordo e una lacrima sul viso.
Per giungere all’aeroporto passai davanti a parchi, scuole e ristoranti. Passai davanti a mille momenti passati in diciotto anni che avrei sempre conservato in me.
Non era un addio, avrei fatto ritorno in un lontano ma giusto giorno.

Harry

Vi è mai capitato di ritrovarsi dei genitori che non ti considerano per quello che sei ma per quello che dovresti essere? Dei genitori che in realtà non gli importano nulla di te, che ti educano a loro modo, solo per fare la figura della famiglia modello con l’alta società.
Sono capitato in una famiglia benestante, così ha voluto il destino. Vivo in una bella villa californiana e tutto ciò che voglio lo posso ottenere. Può sembrare un sogno quando in realtà è solamente un futile incubo. La gente mi giudica come un ragazzo viziato, non per un ragazzo che preferisce dare che avere, il vero ragazzo che sono, il quale oramai nessuno conosce realmente.  
Sono capitato in una famiglia che comanda in maniera impulsiva sulla mia vita sociale. Per i miei genitori, dovevo frequentare solo a chi pareva a loro, altrimenti erano guai per me.
Mi costrinsero a farmi accomodare sul divano del soggiorno, dovevano parlarmi seriamente un’altra volta.
“Perché sei uscito con Jack e quegli altri ragazzi? Ti avevamo detto che lui non è un bravo ragazzo, non puoi frequentarlo.” Mi rimproverò mio padre. Michael Styles, uomo ben rispettato in tutta la regione, piuttosto conosciuto e commentato da tutti i californiani. Aveva una buona reputazione, sia sul suo conto che sul suo aspetto da tipico uomo da affari. Capelli scuri, assai corti, sistemati sempre all’indietro con del gel. Occhi chiari, chi li incrociava dicevano che apparivano furbi e attenti, per me erano ingannevoli e freddi. Un mostro mi piaceva definirlo, uno stallone alto due metri dalle spalle larghe e possenti. Doveva sempre apparire al meglio, non aveva mai un capello fuori posto e il suo modo di vestire era, diciamo, sempre azzeccato. Chiunque nel vederlo avrebbe osato dire che era l’uomo perfetto, il quale qualsiasi donna avrebbe voluto possedere. Carattere deciso, altruista, benevolo e speciale. Già, speciale dovrei dire, se non particolare. Particolarmente autoritario e sfruttatore.
Alzai lo sguardo dalle mie scarpe bianche sul suo viso, infastidito. Ero davvero stufo di questi ordini, non ne potevo più di frequentare gente che piaceva a tutti, me escluso.
“Con lui hai chiuso, punto.” Terminò di nuovo lui. Io tacqui, alla fine non potevo fare nulla, intervenire oramai era inutile.
Feci per alzarmi ma un altro argomento mi frenò.
“Oggi arriverà la ragazza francese, te ne abbiamo già parlato.” Iniziò mia madre con tono fermo. Susanne Styles, la ben nota sposa di Michael Styles. La donna più bella e invidiata della città, tanto sicura e sorridente esteriormente ma anche piuttosto sottomessa e incoerente interiormente. Aveva una personalità così determinata e unica, non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno, finché non si innamorò follemente del suo futuro marito e da lì, tutto il suo mondo, girava attorno a lui.
A stento la guardai, sapevo di chi stessero parlando, la figlia di un’amica di mia madre sarebbe venuta a vivere per un impreciso periodo in casa nostra. Ovviamente anche su di lei mi avevano imposto ordini, chiunque sia stata la ragazza io sarei dovuto stargli lontano.
Nel caso mi sarebbe piaciuta, non sarebbe mai potuta essere mia.
Ad ogni modo la vorrò accogliere nei migliori dei modi, posso capirla, posso capire quanto sia difficile cambiare. Anche io sono stato vittima di numerosi cambiamenti.
Mi chiedo, però, come sarà avere questa nuova presenza femminile in giro per la casa. Una presenza impossibile da avvicinare.
Ero sdraiato sul letto della mia camera, preso a canticchiare e a lanciare una pallina di gomma contro il soffitto. Intanto mi ripetevo le solite cose, oltre agli obblighi imposti dai miei genitori.
“Harold, è arrivata!” Il richiamo di mia madre risuonò per tutta la casa, la voce proveniva dal piano terra. Mi alzai dal letto e decisi di raggiungere l’ingresso, la famosa ragazza era arrivata. Sarà bene presentarsi.

Julie.

Ammirai la differenza dell’aria californiana da quella francese, così come la differenza della città e della gente. Raggiunsi l’abitazione, un po’ isolata dalle altre, la quale la riconobbi subito. Pareva più una sorte di castello che una villa.
Mi avvicinai alla porta d’ingresso e, incerta, suonai il campanello. Mentre attendevo che qualcuno mi aprisse, presi a guardami attorno.
L’abitazione era circondata da un immenso giardino ben curato, riuscivo già ad intravedere le piante più alte. Vidi comparire regolarmente un arco d’acqua causato da un annaffiatore dietro i recinti.
Ad un certo punto, la porta d’ingresso si aprii e la figura di una donna giovane e radiante mi apparse davanti.
“Eccoti, ben arrivata!” Mi sorrise facendomi accomodare. “Ti ricordi di me, vero?” Domandò porgendomi la mano la quale strinsi. Era Susanne, erano diversi anni che non la rivedevo eppure non era per niente cambiata. Sempre la solita signora splendente e piena di vita.
“Certo.” Ricambiai il suo sorriso cortesemente. Ascoltai per un po’ i classici discorsi da ‘questa è casa tua ora, non sentirti a disagio.’
“Harold, vieni a presentarti!” Esclamò poi. Mi paralizzai, chi era costui? Mi tranquillizzai all’idea che potesse essere un suo presunto marito.
Immobile e muta attesi questo ‘Harold’.
“Arrivo, arrivo.” Sentii dire in maniera scocciata dal piano superiore. Istintivamente girai il volto da dove proveniva quella voce, una voce maschile e profonda. Non poteva essere suo marito.
Osservai quelle scali così particolari e curate in ogni minimo dettaglio. Vidi questo ragazzo scenderle velocemente, facendo dei piccoli saltelli da un gradino all’altro.
Si avvicinò a noi quella meraviglia. Lo guardai intimidita, aveva una folta chioma castana e riccia la quale gli copriva gran parte della fronte. Guardò sua madre e poi me, incrociai per sbaglio il suo sguardo. Cercai di non immergermi nei suoi occhi verdi, più affascinanti dello smeraldo, i quali mi stavano scrutando.
“Ora devo lasciarvi ragazzi, Harold mostra tu la casa.” Susanne ruppe il silenzio che si stava creando e, dopo averci salutato, uscii frettolosamente di casa.
Rimasi sola in quella enorme e lussuoso dimora, con di fronte la perfezione in persona.
“Piacere, io sono Harry.” Mi porse la mano senza espressioni in viso.
“Piacere, Julie.” Gliela strinsi e sfoggiai un mezzo e insicuro sorriso giusto per sdrammatizzare quella imbarazzante situazione.
Stanza per stanza, egli mi fece vedere l’intera casa. Salimmo le scale fino a giungere all’ultimo piano. Esso era costituito solamente dal corridoio e delimitato da due stanze. Le mura del corridoio erano piene zeppe di vari e numerosi dipinti e ritratti.
“Quella è la mia stanza, per qualsiasi cosa puoi chiedere a me.” Disse lui indicandomi la stanza alle sue spalle. “Questa invece è la tua camera.” Continuò dirigendosi verso l’altra porta del corridoio per poi aprirla.
Entrai e guardai tutto meravigliata, la camera era davvero molto più grande di quella che avevo in precedenza. Le mura erano di un colore tendente al marrone, molto chiaro, il quale trasmetteva calma. L’arredamento era molto moderno e non troppo complicato.
Harry sistemò le mie valigie dentro la mia stanza per poi guardare divertito la mia espressione in viso.
“Ora ti lascio sistemare le tue cose.” Disse avviandosi verso la porta. Attese un mio cenno per poi scomparire dietro chiudendola.
Passai le successive ore a svuotare ogni singola valigia e scatolone, sistemando tutti i miei oggetti e vestiti ordinatamente.
Sistemai la mia pianola in un angolo della stanza, assieme a tutti i miei spartiti e canzoni scritte. Per me, tutti questi oggetti, sono essenziali.
Spolverai la pianola con cura, la avrei accesa e suonata ma il timore di creare baccano mi fermò.
Mi voltai di scatto non appena sentii bussare alla porta.
“Sì?” Chiesi non vedendo nessuno entrare.
“Signorina, la cena è pronta.” Mi sorrise un’altra signora quando spalancò la porta. La guardai stranita per poi ringraziarla. Solitamente ero abituata agli strilli di mia madre quando mi si doveva avvisare di un pasto pronto.
Posai sul comodino situato al fianco del letto una piccola foto la quale ritraeva me e mia madre per poi guardarla malinconica, sentivo già la sua mancanza.
Dopo aver emesso un profondo respiro uscii dalla camera per raggiungere la sala da pranzo. Scesi le scale un po’ intimorita, non avevo idea su come comportarmi.
Mi aggirai sperduta per la sala principale fino a quando una signora non troppo anziana mi chiamò dalla presunta cucina.
“Julie, è di qua.” Mi fece cenno di avvicinarmi lei, accennando quasi una risata. Sforzai un sorrido e le andai incontro. Intravidi la cosiddetta sala da pranzo dove Susanne e un uomo sconosciuto, molto probabilmente suo marito, erano già seduti a tavola.
“Tu sei la domestica?” Le chiesi incerta, non sapendo a che ruolo attribuirle. Lei posò gli utensili da cucina i quali stava utilizzando per poi lavarsi le mani.
“Diciamo di sì, ma chiamami Anne.” Mi sorrise lei porgendomi una mano dopo essersela asciugata sul  grembiule la quale strinsi.
Lentamente mi avvicinai alla tavole per poi sedermi su una sedia a caso.
“Buonasera.” Esordii imbarazzata. Susanne ricambiò presto il saluto, seguita da suo marito il quale fece presto a presentarsi. Parevano persone per bene, solari e tranquille.
Ma mai giudicare un libro dalla copertina, è ciò che ho imparato dall’esperienza.
Successivamente vidi arrivare frettolosamente il ragazzo, Harry. Casualmente si sedette di fronte a me.
Lo stavo guardando, forse anche troppo, senza neanche rendermene conto. Salutò di malavoglia di genitori per poi spostare lo sguardo su di me, lui mi sorrise mentre io abbassai subito lo sguardo.
Sentivo i suoi occhi puntati addosso a me, era una situazione la quale trasmetteva una certa tensione però non potevo negare che mi facesse piacere.
“Harold.” Disse fermo quasi sussurrando il padre di Harry. Quest’ultimo, infastidito, smise di guardarmi, rimanendo a testa bassa per il resto del pasto.
Guardai entrambi leggermente confusa fino a quando Susanne non iniziò a farmi domande su domande.
Io garbatamente risposi con un falso sorriso sputato in faccia. Per quanto possa essere gentile quella gente, io mi sentivo ad ogni modo più sola e imbarazzata che mai.
Non riuscii a finire il mio piatto, la fame mi aveva abbandonata.
Non sapevo come fare a tornarmene in camera e rimanere chiusa lì per il resto dei miei giorni.
“Se non ti va più, lascia pure.” Mi salvò Susanne. Senza esitare ringraziai e mi alzai, non avevo idea di come comportarmi con queste famiglie perfette, ero proprio imbranata.
Salii le scale e andai a passo spedito nella mia nuova camera.
Scrutai la tastiera per una manciata di secondi decidendo poi di suonarla. Tenni il volume basso, in modo da non disturbare nessuno, mi sedetti composta sullo sgabello ed iniziai ad emettere diversi suoni.
Nel bel mezzo di un brano sento ribussare alla mia porta. Agitata mi alzai e spensi la tastiera per poi far entrare chi mai avesse bussato.
“Sei tu che suoni?” Vidi comparire la figura di quel ragazzo, Harry, alla porta. Come diamine aveva fatto a sentire?
“Ehm, sì. Scusa, non volevo fare casino.” Risposi quasi balbettando, evitando di guardarlo.
Si avvicinò alla tastiera per poi ammirarla.
“Ma quale casino, ti sentivo a malapena.” Sorrise sedendosi sullo sgabello. “Ma da quel poco che ho sentito mi sembravi brava.” Continuo poi. 
Io lo guardai di scatto sorpresa, lui lo notò e mi porse un altro sorriso, accompagnato da adorabili fossette. Nessuno mi faceva complimenti per come suonavo, se non mia madre la quale aveva poco tempo per ascoltarmi, non mi sono mai reputata brava. Io suonavo e basta, il pianoforte è la mia sorte di passione. Ciò che suono è tutta la mia anima in melodia, è il mio sfogo e bisogno sotto forma di musica.
“Oh.. Davvero? Oddio, grazie.” Gli dissi con un grande sorriso in viso. Lui scosse la testa divertito.
“Figurati, dai insegnami qualcosa.” Egli mi lasciò un minimo spazio sullo sgabello facendomi cenno di sedermi, cosa che feci. Sentii il mio cuore iniziare a battere un po’ più velocemente ma non ne capii il motivo. Allungai la mano per accendere la tastiera ed abbassare il volume, ma Harry frenò la mia mano con la sua. La mia era gelida, la sua calda. Quel contatto mi fece rabbrividire, arrossii leggermente.
“Puoi tenere anche il volume alto.” Mi avvertii lui senza togliere la sua mano sopra alla mia. Io lentamente la tolsi posandola sui tasti.
Lui iniziò a spingere tasti bianchi a casaccio per poi ridere, lo osservai meravigliata quando scoppiò in quella piccola risata.
“Faccio pena, suonami qualcosa te.” Disse ancora divertito. Accennai una risata e agitata iniziai a suonare uno dei miei brani preferiti.
Il suo sguardo mi distraeva, mi tremavano le mani e di conseguenza sbagliai le prime note.
“Non ce la faccio.” Balbettai abbattendomi. Fermò la mia mano tremante tenendola con due dita.
“Ehi, stai tranquilla, non ti faccio niente.” Rise dolcemente dandomi un leggero pizzicotto sulla guancia. Gli sorrisi spontaneamente, stava mandando il mio stomaco in subbuglio.
Mi concentrai e ripresi a suonare il brano, a modo mio, più libera che potevo.
Lui seguiva con lo sguardo ogni movimento delle mie mani, io cercai di non farci caso altrimenti mi sarei nuovamente agitata errando grande parte del brano.
Terminai lasciando il suono delle ultime note sospese, tenei le mani ancora appoggiati ai tasti e mi rivolsi a lui in attesa di un qualsiasi commento.
“Sei fantastica.” Mi guardò sorpreso. Gli sorrisi un’altra volta.
“Grazie.” Dissi quasi sussurrando, questa volta riuscii a guardarlo negli occhi realizzando di quanto potesse essere meraviglioso.
Cercai di riprendermi, non dovevo guardarlo sotto quell’aspetto.
La porta si aprii di colpo, cosa che mi fece sobbalzare.
“Harold, fila in camera tua.” Il padre lo fulminò con lo sguardo, mentre lui si limitò ad annuire come se fosse abituato.
Attese che l’uomo alla porta se ne andò.
“Devo andare, scusa.” Sbuffò lui per poi alzarsi dallo sgabello. Avevo un dubbio però e non avevo intenzione di tenermelo per tutta la nottata.
“Perché sei venuto qui da me?” Dissi di conseguenza. Gli venne come un lampo di genio.
“Ti dovevo dire una cosa ma adesso non riesco a dirtela, mio padre mi ammazza. Buonanotte Julie.” Concluse frettolosamente lui mentre io lo accompagnavo alla porta, sorrisi come un’ebete del sentire le ultime parole.
Ne approfittai e lo guardai per l’ultima volta, prima che se ne andasse definitivamente.
“Va bene, buonanotte Harry.” Riuscii a dirglielo, nonostante l’insicurezza. Mi concesse un altro sorriso prima di scomparire dietro la porta.
Rimasi per un po’ in piedi, appoggiata alla porta. Egli mi aveva lasciato con il dubbio, non mi farà dormire. Che mai avrebbe dovuto dirmi? E poi, perché suo padre era sempre severo nei suoi confronti? Non capivo perché mai lo avrebbe ammazzato, non credo che Harry avesse un orario stabilito per dormire.
Mi svestii e mi coprii solamente con il lenzuolo, n era meglio se tentavo di non pensarci.
Spensi la luce e chiusi gli occhi, il volto di lui non ci mise molto ad apparire nella mia mente.





Buonasera cari lettori.
Ecco qui l'ennesima fanfiction sui ben amati 'OneDirection'. Questa è una storia che ho scritto l'anno scorso ma che ho praticamente abbandonato datosi che non mi convinceva per nulla in modo in cui l'avevo scritta e tirata avanti. Ed ora eccomi qua, è da un po' che la sto riscrivendo e sarà la quinta volta che pubblico questo capitolo.
Che dire, vi ho già trattenuto abbastanza, spero vi abbia incuriosito almeno un po', appena avrò uno straccio di recensione insisterò per pubblicare il successivo capitolo.
Cosa pensate intanto dei personaggi? Fatemi anche sapere. :)

Un bacio, hale. xx
twitter - @pianorauhl

  
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