“Smettila
Niall.” Rido sommessamente. I suoi capelli sul collo mi stanno facendo il
solletico, i suoi
baci umidi sono la causa dei brividi che mi imprigionano le ossa.
“Ssh,
piccola. Tu continua a guidare.” Chiudo gli occhi e mi lascio
trasportare dalle
sensazioni. Dio, che cosa è in grado di farmi questo
ragazzo. Sorrido tra me e
me, e ammetto di non essere in grado di fermarlo, neanche se lo
volessi. Stringo
le mani intorno al volante, e cerco di rimanere concentrata, nonostante
la
lucidità mi stia scivolando addosso. Le strade sono per lo
più deserte, si
guida che è un piacere. Niall continua a baciare e a leccare
la superficie del
mio collo, emettendo gemiti di apprezzamento. Sento la sua mano
accarezzarmi il
fianco, alzando di qualche centimetro l’orlo della mia
maglietta. La pelle già
sensibile, si anima sotto il suo tocco esperto. Getto indietro la
testa,
dimenticando per un istante dove sono e che cosa sto facendo. La
sensazione è
troppo forte per essere ignorata, e per quanto io stia cercando di
mantenere l’auto-
controllo, mi crogiolo sotto le sue mani e le sue labbra. Metto
involontariamente
la freccia, azionandola con un movimento di fianchi di troppo. Sento
Niall
sorridere sul mio collo, per poi riprendere il lento supplizio. Stringo
le
gambe, cercando di far diminuire il piacere che lentamente si sta
accumulando nel
mio basso ventre. Le sue mani salgono, spingendosi
all’interno del tessuto
della mia maglietta. Mi passa l’indice sulla linea del seno,
facendomi gemere. Ormai,
ho perso completamente la vista della strada.
“Dovrei
concentrarmi sulla guida se non vogliamo finire spappolati sul
marciapiede.”
Borbotto incoerentemente, com’è
che è
diventato così difficile articolare una frase di senso
compiuto? Sospiro,
mentre la sua mano non mi da tregua.
“Non
c’è
nessuno, piccola. La strada è sgombra, ci siamo solo io e
te.” Sussurra
mordicchiandomi il lobo.
“Mmmmh.”
Mugolo in segno di apprezzamento e ancora una volta distolgo lo
sguardo. All’improvviso
vengo accecata da una luce abbagliante; dilato le pupille, mentre Niall
si
stacca da me, appoggiando la schiena sul sedile del passeggero. Vengo
travolta
dalla paura. Una macchina, una macchina ci sta venendo incontro a tutta
velocità.
“Merda.”
Sterzo e giro tutto il volante verso sinistra, formulando una
silenziosa
preghiera. I miei tentavi risultano pressoché inutili.
Guardo Niall con lo
sguardo tracciato dal panico, e rispecchio la mia espressione nella
sua. Mi prende
la mano, e mi accarezza le nocche stringendola dolcemente. Nel giro di
pochi secondi
il veicolo davanti a noi ci piomba addosso, colpendo con il paraurti la
portiera dal mio lato. Vengo catapultata contro il parabrezza. Do una
testata
contro il vetro, il quale si infrange sotto il peso del colpo.
L’ultima cosa
che sento è un urlo, poi buio.
“Dove
cazzo è?” Sento una voce in lontananza,
è soffocata dalle lacrime non versate. Il
vociferare si fa sempre più intenso.
“Non
può entrare.” Un uomo risponde; la voce
autoritaria e che non accetta che sia
fatto il contrario di ciò che ha detto.
“Mi
lasci passare, cristo.” Cerco di aggrapparmi a quelle parole
come ad un’ancora
di salvezza. Vorrei aprire gli occhi, ma le mie palpebre sembrano
essere
maledettamente pesanti. I miei arti non rispondo agli impulsi, sono
immobile,
con la mente offuscata e del tutto indifesa. Sento la mia mente
precipitare nel
vuoto; i miei pensieri vengono incanalati nei meandri della mia psiche.
Il buio
mi assale, mi attanagli le viscere e non mi lascia respirare. Scivolo
di nuovo
nel sonno, dimenticandomi tutto.
“E’
tutta colpa mia.” Eccola di nuovo quella voce. Questa volta
la sento più
vicina, come se fosse affianco a me. Non riesco ad aprire gli occhi, e
giuro
che ci provo, ma è troppo faticoso.
“No
Niall, non è colpa tua.” Una voce femminile
echeggia tra le pareti. Niall? Chi è
Niall? Cerco di dimenarmi, di muovermi, di capire qualcosa, ma niente.
Ricado
nel buio.
Non
so
quanto tempo sia passato, d’altro canto non ha più
importanza. Per l’ennesima
volta cerco di muovere il muscolo della mia mano. Essa reagisce
flebilmente,
facendomi flettere le dita. Percepisco qualcosa di sudato ed
estremamente caldo
fare pressione sopra il mio palmo. Apro lentamente gli occhi, sbattendo
più
volte le palpebre. Mi guardo intorno spaesata, dove mi trovo? Le pareti
sono
bianche e la camera è asettica. Sul comodino accanto al
letto c’è un mazzo di
fiori, saggiamente riposto all’interno di un vaso colmo
d’acqua. Alla mia
destra c’è un armadio, anch’esso bianco.
Tossisco inconscia, e una fitta
lancinante alla testa mi fa sussultare. Cerco di tirarmi su a sedere,
ma le
costole mi fanno male.
“Merda..
sei sveglia! Cristo.” La medesima voce alla quale ho cercato
disperatamente di
aggrapparmi è tornata. Mi volto lentamente, e guardo con gli
occhi socchiusi la
persona che mi sta affianco, mentre mi stringe solidariamente la mano.
Ho la
vista appannata, ma nonostante ciò, riesco a distinguere i
lineamenti sottili
di quel giovane ragazzo, incorniciati da un batuffolo di capelli biondo
platino.
Due grandi occhi azzurri mi guardano con speranza, mentre le labbra si
increspano per andare a formare un sorriso radioso. Corrugo la fronte.
“Chi..”
sospiro. “Chi sei?” L’espressione del
ragazzo cambia; un lampo di dolore gli
attraversa il volto, e mi si stringe il cuore pensando che sia stata
colpa mia.
“Mi
dispiace, io..” ho gola secca, ho bisogno di bere un
bicchiere d’acqua. “Me lo
passi?” Gli chiedo melliflua, indicandogli con
l’indice il bicchiere mezzo
pieno posto sul comodino. Lui si limita ad annuire, e soddisfa la mia
richiesta. Tracanno l’acqua tutta d’un fiato, ed
ignoro la fitta di dolore che
provo nel mentre. Torno a guardarlo, cercando nei suoi occhi qualcosa
che mi
ricordi chi sia; niente.
“Davvero
non sai chi sono?” Mormora. Il mio cuore perde un battito.
Scuoto la testa,
desolata di non potergli dare una risposta diversa. E’
evidente che io non
conosco lui, ma che lui conosce me. Forse è un amico
d’infanzia del quale avevo
perso le tracce, ed ora è venuto a trovarmi. Una domanda mi
sorge spontanea:
dove mi trovo? Questa non è casa mia. A dirla tutta, non mi
ricordo nemmeno
come sia casa mia. Che strano.
“Dove
siamo?” Sibilo senza fiato. Il corpo mi fa male, non so
ancora per quanto riuscirò
ad ignorare ogni singolo dolore. Il ragazzo
si acciglia e si gratta il mento.
“Non
sai chi sono, e non ti ricordi quello che è
successo..” si interrompe per inspirare
ossigeno. “Non è che..” sbianca di
colpo, non terminando per la seconda volta
la frase. Che cosa è successo? Perché
è livido? Il panico mi attanaglia lo
stomaco. Dove mi trovo?
“Aspettami
qui, piccola.” Prima di uscire mi lascia un lieve bacio sulla
fronte. Trasalisco.
Piccola? Non ricordo di aver mai avuto tanta confidenza con qualcuno.
Affondo la
testa nel cuscino e chiudo gli occhi, cercando di fare mente locale, e
di
esaminare uno per uno i trascorsi della mia esistenza, domandandomi per
l’ennesima
volta dove e quando io possa avere conosciuto quel ragazzo. Dopo dieci
minuti
ritorna, seguito a ruota da un uomo con indosso un camice azzurro.
Sorrido debolmente,
nella speranza che sia giunto fin qui per darmi qualche risposta.
“Ciao
Melissa.” La sua voce mi infonde sicurezza e
tranquillità. I muscoli del mio
corpo si rilassano.
“Ciao.”
Sussurro fissandomi le mani intrecciate.
“Sai
dove sei?” Domanda. Sembra che stia avendo a che fare con un
animale ferito, e
a giudicare dal dolore che provo, non deve avere tutti i torti.
“No.”
Borbotto storcendo la bocca.
“Sei
in
ospedale.” Aggiunge qualche secondo dopo. Mi volto per
guardarlo: che cosa? In ospedale?
Ed ecco quella sensazione di costernazione tornare. Mi agito sul letto,
chiaramente sgomenta.
“Che
cosa è successo Dottor..” Non finisco la frase di
mia volontà, aspettando che
lui la concluda dicendomi il suo nome.
“Robinson.
Dottor Robinson.” Mi sorride, mettendo in mostra la sua
dentatura quasi
perfetta. Annuisco con lo sguardo perso nel vuoto.
“Ci
puoi lasciare soli?” Il Dottor Robinson ora si sta rivolgendo
al ragazzo di
prima. Lui sembra non capire la domanda, ma poi fa un cenno con la
testa e
sparisce.
“Vaffanculo.”
Lo sento imprecare. Un rumore sordo proviene al di fuori della stanza.
Sento il
rumore di un vetro infrangersi. Sussulto.
“Stai
calmo.” Una voce melliflua interviene. Lo sento singhiozzare.
Mi si stringe il
cuore. Silenziosamente mi auguro di non esserne io la causa.
“Ha
perso la memoria, come posso stare calmo? Non si ricorda chi sono, non
si
ricorda che cosa abbiamo vissuto insieme. Non si ricorda un
cazzo.” Sta
urlando, colto da un tumultuo di disperazione. Mi faccio piccola
piccola nel
letto, portando il lenzuolo fin sopra il mento. Ho spezzato
l’equilibrio di un
ragazzo che, mio malgrado, io non conosco.
Here
I
am.
Okay,
si lo so.
E’
l’ennesima
fan fiction che scrivo.
Nonostante
l’inizio sia alquanto tragico, vi posso assicurare che
andrà meglio.
So
che
è corto, ma è giusto un inizio, utilizzato per
impostare la storia nella
corretta maniera.
Spero
che
vi piaccia.
Se
potete,
passate a lasciare una recensione.