Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: sxds    15/07/2013    10 recensioni
(DAL CAPITOLO 4).
Veloce. Troppo veloce.
Tentai di afferrargli le mani – per fare cosa? Bloccarlo? Entrambi sapevamo che lui aveva la meglio in ogni ambito, ora come ora – ma lui arraffò le mie, con le sue calde e leggermente ruvide.
Io… avevo bisogno d’aria. Quel contatto solo fisico, non visivo perché era troppo buio, anche se avrei voluto vedergli gli occhi, mi frastornava come mai era successo. Pensai fosse il fascino di fare la cosa sbagliata, quella proibita.
Sorrise come un predatore nel nero, e – quasi urlai – i suoi denti più bianchi della luna non erano levigati, neanche scheggiati, ma… Appuntiti. Come quelli dello squalo. Tutti così. E ne aveva troppi.
Mi premetti di più sulla parete per allontanarmi da quella cosa.
“Aiu...” provai a strillare, ma mi premette le labbra sulle mie per farmi tacere. Percepii chiaramente le zanne, che mi graffiarono la lingua e, ciò che fece dopo, fu il colmo della pazzia.
Iniziò a succhiarmi la lingua, come volesse strapparmela.
L’unica cosa a cui riuscivo a pensare era una parola. Una parola che non avrei mai creduto viva, davanti a me, prova indissolubile.
Vampiro?
SXDS -- ff ispirata alla ff "n° 815" *INCOMPLETA PER ORA!*
Genere: Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

INTO THE DARKNESS.





















11. Una serie di sfortunati eventi.

 
Sta’ calma.
Conta fino a dieci.
Ricordati che l’omicidio è illegale.
Con quell’ultima frase mi venne in mente che non avevo ancora spiccicato parola con Patrick. Era da circa un’ora che guidavamo verso la casa della signora pazza – perché dai, come poteva sentire rumore in cantina? Era pazza. – e non l’avevo neppure salutato.
Però, purtroppo, non si era scoraggiato.
«Allora, come stai?»
Socchiusi gli occhi.
«Bene» esordii, senza tralasciando un “e tu?”.
Patrick sbuffò.
«Ma che hai?» Accostò la macchina. Quando stavo per scendere, bloccò le portiere dall’interno. Dio, mi sarei messa ad urlare dalla frustrazione, fra poco.
Mi sistemò una ciocca dietro l’orecchio. Cercai con tutta me stessa di non assestargli un cazzotto allo stomaco.
Strinsi i pugni e digrignai i denti.
«Nulla».
 E volevo solo che tutto finisse il prima possibile.
 

*

 
«E io cos’avevo detto? Non c’era proprio niente nella cantina! Solo polvere e roba vecchia e muffosa!»
Io e Sam scoppiammo a ridere.
Appoggiai la birra sotto la sua scrivania. Sam ammiccò: in teoria nessuna di noi avrebbe potuto bere, in orario di lavoro e, soprattutto, sul posto di lavoro.
Perciò rimanevamo in incognito.
Mi si avvicinò cauta e mi sussurrò all’orecchio: «E allora come sta andando con 14, eh?»
La sua voce era calda e suadente. Le dissi tutto. Non c’era molto da dire, in realtà. Me ne resi conto dopo.
«Noi… Abbiamo parlato. Ci siamo baciati.» E’ il principe dei vampiri. È bellissimo. Non saprai mai com’è in realtà. Non saprai mai nulla di lui. Rinvenni dalla trance. Sam aveva addosso un sorrisetto strano. «No. Non ci siamo baciati. Sono le mie fantasie contorte. E il nostro “parlare” si limita a –Devo entrare a fare le pulizie- oppure –Buongiorno-. No?»
Potevo fidarmi di Sam?
Potevo dirle tutto?
Non me la sentivo. Sarebbe andata da Fedra. Ne ero certa.
Poi però mi venne un dubbio: «E tu? Ci hai mai parlato?»
Deglutì. «Io? Se ci ho parlato?» Il rossore sulle sue guance mi strattonò il petto. Sì. La risposta era sì. «Già» disse e tremai «e non solo. È davvero bravo a baciare. Solo… Ha degli strani den…»
«Agenti! Non vi pago per oziare! Dov’è la relazione riguardo la pazza, Elena?»
Grazie a Dio. Fedra ci interruppe al fatto “zanne”. Come avrei spiegato a Sam che anche io sapevo? La domanda era però un’altra: come sapeva lei? E che cosa?
Sorrisi a Fedra per circostanza.
«L’avevo affidata a Patrick. Lui è stato in cantina. Mentre io ho interrogato la donna, ma nulla di nuovo».
Le prese un tic all’occhio.
«A Patrick?» sibilò. Perché era così agitata? «Ma almeno sai dov’è lui ora?»
Imbarazzata, mi guardai intorno. In effetti non era in nessun ufficio.
Arrossii. Com’ero potuta essere così sprovveduta?
«Siete tornati qui insieme, vero?» chiese.
Sentii Sam trattenere il fiato.
«Noi… No.» Meglio non divagare.
Quello che accadde dopo fu molto caotico.
 
No? Come no? Sei impazzita? Da quand’è che non lo vedi?
Ecco… Interrogavo la signora, lui era in cantina. Mi ha inviato un messaggio. Dicendo che potevo andarmene tranquillamente.
Agente Torino – quando mi chiamò così, non per nome, mi feci piccola piccola, terrorizzata – come è tornata qui?
In bus.
Fedra ringhiò. Dov’è la tua responsabilità? È chiaro che Patrick non è tornato! Ora dove sarà? Tu tu e tu – indicò alcuni miei colleghi, basiti guardando la scena – andate a questo indirizzo. Perquisite la casa. Patrick è ancora laggiù.
Mi guardò con odio.
Tremendamente in colpa, mi incassai nelle spalle. Sam ridacchiò.
Insomma, si sapeva che fra te e Patrick non scorre buon sangue, ma abbandonarlo in quella casa? Con la donna pazza? Per me non c’è nulla in cantina ed è proprio lei la psicopatica. Si passò una mano fra i capelli.
E se fosse davvero così?
Lo avrebbe ammazzato, che dici? Ghignò.
Patrick… morto?
 
*
 
Alcune ore dopo, di Patrick neanche l’ombra.
Sentivo già sulla mia pelle il marchio “licenziata”.
Ma dove cazzo poteva essere quel lumacone? Io non volevo certo perdere il mio impiego – frutto di orgoglio per la mia famiglia e me – per colpa sua !
O forse mia?
Ripassai tutta la visita in quella casa.
“Buongiorno, signora. Siamo l’agente Patrick ed Elena.”
“Oh, carissimi! Andate di sotto! Subito!”
Quella neanche si presentò. Lasciai correre perché magari era ancora sotto shock. Per dei rumorini? Innocui?
Patrick mi contemplò con lo sguardo, neanche fossi un’opera d’arte, un quadro.
“No, vado solo io. Tu resta qui e interroga la signora…?”
“Il mio nome non ha importanza, caro!” strillò quella con gli occhi fuori dalle orbite, indicando una porta leggermente più in basso rispetto al resto del pavimento. Per arrivarci dovevi percorrere tre gradini soltanto. Meglio così, o sarebbe sembrata una scena horror.
La donna era l’incarnazione di una vecchia pazza.
Il mio collega si dileguò sotto. Dei rumori neanche l’ombra.
Era il mio primo interrogatorio. Sapevo cosa dovevo fare perché me l’avevano insegnato, però ero lo stesso tremendamente emozionata.
“Dove preferisce farlo?”
La signora mi guardò di sbieco.
“L’interrogatorio!” precisai imbarazzata per la gaffe.
Ma quella si accigliò.
“No, non intende. Io… Non voglio proprio interrogarla, solo porle alcune domande. Che ne dice di quel divano?”
Lei annuì. Si accomodò proprio al centro del divano, così io non mi potei sedere. Mi piazzai in piedi difronte alla maleducata.
“Allora, signora, dice di sentire rumori in cantina.”
“Taverna, cara” mi corresse. “Le pare che una cantina possa essere così? Quasi al piano terra?”
Non mi feci intimorire dalla sua arguzia. “D’accordo. Sente questi rumori? Risponda sì o no.”
“Sì. Li sento.”
Annotai sul bloc-notes un «sì» che lampeggiava in mezzo alla pagina bianca A4. Lo facevo solo per risultare più professionale. Che cosa si sarebbe capito da un sì?
“Okay. Da quanto tempo? Mi dica i giorni, per cortesia.”
“Sessantatré. Li conto sa?”
“Oh, beh…Va bene”. Scrissi un «63». Più parlava più mi sembrava una con problemi mentali. Perché contare i giorni? Basta dire “due mesi”, no?
La vidi con la coda dell’occhio annuire. Quando la guardai meglio spostò lo sguardo su di me preoccupata, ma ormai l’avevo vista: guardava verso la taverna.
“Stia tranquilla, il mio collega sta ispezionando. Non ci vorrà molto” spero.
Lei sorrise in modo materno. “Dici, cara?”
“Dici, cara?”
Perché non l’avevo capito? Era un chiaro segno! Me l’aveva detto su un piatto d’argento: il tuo collega ci metterà un bel po’, invece.
Allora avevo lasciato la casa sotto suo invito: “La ringrazio molto d’essere stata qui. Però non è più utile, no?” disse e mi innervosii. Come si permetteva?
“Oh…”
Stava dirigendo i giochi.
“Quindi, perché non va? Tenga” mi porse un biglietto dell’autobus. Fra le prime fermate c’era la prigione. Il suo sorriso azzerò l’astio.
Annuii.
“D’accordo, signora. Lieta di esserle stata utile, più che potevo”.
«Elena! Mi abbandona un collega, e poi la trovo a guardare il vuoto? Ma lei vuole farsi forse licenziare!?»
Feci stridere la sedia per alzarmi e guardare negli occhi Fedra.
I miei vividi, i suoi arrabbiati.
Scossi la testa. «Certo che no. Però ora lo so: non c’è mai stato nessun rumore.»
A quel punto Fedra stava sbuffando fumo da ogni poro, per l’incazzatura.
«Agente Torino! Come si permette? E, se non ci fossero questi rumori, perché la donna li avrebbe denunciati? Per farci perdere tempo ? Ma tutti sanno a che guai vanno incontro facendoci sprecare forze e tempo… Forse tutti tranne lei, agente!»
Rimasi pacata.
«Ecco la spiegazione: è solo un modo per adescare una vittima, signora. Visto che ha scelto Patrick, non escluderei molestie e…»
«Fedra! L’abbiamo trovato, ma…»
Fedra mi zittì con un’occhiata e si voltò. Era stata Sam a parlare – non mi fidavo più di lei – che aiutava altri tre colleghi a trasportare il corpo a peso morto di Patrick. Del povero Patrick.
Sussultai.
Non aveva lividi. Era sano.
Fuorché per un dettaglio: zoppicava. La caviglia destra doveva essere rotta. Magari con un…
«Fedra! È stata la donna! Ho notato che si supportava ad un bastone, per camminare. Poi però, quando l’ho interrogata, l’ha appoggiato e camminava benissimo lo stesso!» Mi avvicinai agitata a Patrick. «Gli ha rotto la caviglia col bastone. È chiaro che lo tiene con sé come arma.»
Fedra appoggiò le mani sui fianchi.
Il suo sguardo indagatore perlustrò il mio, alla ricerca di qualcosa: veridicità, forse.
«Ah sì, eh?» Poi ghignò verso il mio collega. «Così, vecchio Pat, ti fai picchiare da una nonnetta? Non me la immagino la scena però.» Sembrò rimuginare, dopodiché iniziò a ridere.
Io sorrisi e basta.
Ora guardava me.
«Bene. Qualcuno porti qui la vecchia, dovremmo interrogarla, no? Elena, visto che siete amiche, fallo tu» mi ordinò.
«Certo capo».
“La vecchia”, come la chiamava Fedra, era già da noi. Luke l’aveva ammanettata e la trascinava a sé impacciato.
«Eccola qui».
Tutti guardavamo le manette, e poi la donna apparentemente innocua.
«Provava a ribellarsi!» si giustificò lui, suscitando alcuni ghigni divertiti fra tutti noi altri.
Fedra la portò con sé.
Mi disse che magari era «meglio se parli un po’ con Patrick». Quel “parli” però era uno “scusi”. Gli dovevo delle scuse, aveva più che ragione.
Quando tutti gli agenti tornarono al lavoro e restammo soli, dissi solamente
«E’ stata colpa mia. Scusami.»
E me ne andai.
Volevo dire tutto a 14. A Colin.
Finalmente succedeva qualcosa di elettrizzante, più o meno, qui.
Salii come impazzita le scale, per andare alla cella ormai familiare.
Solo che era aperta.
L’allarme iniziò a suonare.
Imbambolata, non capii.
Corsi via di lì, mentre gli altri agenti riempivano scale e corridoi in massa.
Una voce registrata disse Tutte le uscite sono state bloccate. Nessuno entra né esce. Era un’ovvia minaccia.
Deglutii.
Dov’era Colin?
Era fuggito?
Tutto ciò che gli avevo detto era servito?
O era venuto qui suo zio Julian?
L’idea di non vederlo più mi fece male come se mi stessero scavando una fossa nel petto per strapparmi il cuore e farlo esplodere davanti ai miei occhi vitrei e morti.


NOTE.
"Colin! Colin! Dove sei?!" <---- ecco perché il nostro bel vampiro non c'è stato neppure un attimo per l'intero capitolo: s c a p p a t o!
La domanda è "Dov'è?".
Hmmm... Sarà una dolce sorpresa, bellissime.
Dunque... 3 recensioni? Ci proviamo! Ricordate che è un bel regalo, un grazie grande grande! :)
Bacioni,
Sxds.

SPOILER:"E poi dormimmo abbracciati per un'ora. E fu meglio che fare l'amore".
  
Leggi le 10 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: sxds