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Autore: _Noodle    15/07/2013    3 recensioni
Era una tiepida mattina di fine maggio. Apollo giaceva addormentato sul letto con addosso i vestiti della sera prima. Si svegliò verso mezzogiorno con un mal di testa allucinante. Gli pulsavano le tempie e gli bruciavano gli occhi; l’evidente vena che scorreva come un fiume sulla sua fronte era più spessa del solito. Si mise a sedere lentamente, cercando di non dar retta al corpo intorpidito e alle mani formicolanti e appena aprì coscientemente gli occhi sobbalzò. Il cuore incominciò a pulsargli compulsivamente e il respiro gli si fece più affannato, cercava di alzarsi da quel letto poco accogliente ma le gambe non sostenevano il suo peso, tremavano come in preda alle convulsioni. Ricadde prono sul pavimento.
Enjolras travolto da un nuovo sentimento e un amore nato tra fiori e inganni.
Coppie: EnjolrasxGrantaire; JeanxEponine.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Giugno era esploso in una moltitudine di colori. Mentre nuovi fiori e nuovi pensieri sbocciavano con timido coraggio, lei aspettava, seduta nel campo dell’Allodola, intenta ad assaporare il vento. La frizzante brezza che le scompigliava i capelli e che le scostava i ciuffi dagli occhi la tranquillizzava; si sentiva avvolta nell’abbraccio impercettibile della natura che rassicurante le sussurrava “Va tutto bene, ‘Ponine”.
Il campo dell’Allodola: quale posto migliore per pensare a Marius? Lui in quella verde distesa si faceva cullare dall’amore per Cosette, lei, invece, si faceva cullare dalla malinconia, dalla rabbia e dallo smarrimento. Marius aveva osservato ciò che lei stava osservando in quel momento, ma chissà perchè la natura che felicemente si stava svegliando la rattristava. Eponine, però,  in cuor suo sapeva di stare bene.
Perchè stava bene? Forse perchè qualcuno aveva notato i suoi occhi e i suoi capelli: forse perchè qualcuno aveva notato lei. Stava tradendo Marius, di cui si era innamorata dal primo giorno in cui si erano incontrati, ma perchè lui quando gli aveva detto “So anche scrivere!” aveva reagito diversamente da come aveva reagito quello strampalato poeta dai capelli rossi? Perché lui aveva provato una sorta d’inquietante compassione nei suoi confronti e invece Jean aveva semplicemente provato interesse? Che cosa aveva, secondo Marius, che non andava? Era sporca? Era brutta? Le mancavano alcuni denti? Perchè per lui questo contava così tanto? Le venne da piangere, ma non lo fece: ‘Ponine non piangeva mai, era una fanciulla difficile da abbattere.
Si alzò e, assorta in questi mille pensieri amorfi, incominciò a camminare, non curante delle formiche che le correvano sui piedi. Guardando il cielo mattutino, limpido e sfacciato, si mise a canticchiare una canzone che nemmeno lei credeva di conoscere, forse, se l’era inventata sul momento. Poi chiuse gli occhi, smettendo di cantare. Sospirò. Doveva ripulire i suoi pensieri, più che ripulire il suo volto e questo lo sapeva molto bene.
Ripensava alla poesia che Jean le aveva fatto leggere e sentiva scorrere dentro le sue vene una forza che non aveva mai tastato, un coraggio che non aveva mai creduto di avere, una voglia di vivere insolita, che le avrebbe permesso di volare. Le parole di Jean ruggivano nella sua mente e lei, come una leonessa, stava diventando fiera e si stava risvegliando. Voleva azzannare il cuore marcio e opaco di Marius fino a farlo sanguinare: voleva amare davvero ed essere amata realmente a sua volta.
Spalancò le braccia all’improvviso e sorridendo, questa volta radiosamente, gridò al vento: << Voglio vivere! >> Poi si tuffò nell’erba, sempre con quel sorriso novello stampato in volto. Si sentiva libera, libera finalmente di abbandonarsi ad un sentimento così puro e reale. Non avrebbe più urlato, ma solo sussurrato, “possibilmente” pensava “parole d’amore”.
 
Mentre Eponine scopriva se stessa, Jean correva verso la barrière du Maine. Correva con l’incoscienza e con la lucidità di coloro che sono travolti dalle idee e dai progetti; nella tasca destra dei pantaloni conservava ancora la margherita di Eponine.
Arrivò a destinazione verso mezzo giorno circa, con il fiatone e qualche tremore in più nella voce. Tra tutti quegli artisti a lui bastava trovarne uno, quello che lo avrebbe condotto dove desiderava, n’era certo. Entrato da Richefeu, lo trovò seduto al tavolo che disegnava  -chissà cosa disegnava.
<< Grantaire! >> Esclamò con impeto. Grantaire sobbalzò dalla sedia: era talmente concentrato sul suo disegno da aver dimenticato il mondo esterno.
<< Jean, che piacere vederti. Che cosa ci fai qui? >> Disse avvicinandosi a lui sorridente. Il foglio nel frattempo era scivolato per terra.
<< Ho bisogno di un’informazione. >>
<< Sono al tuo servizio. >> Rispose accennando ad un piccolo inchino.
<< Qual è il migliore negozio di abiti femminili qui a Parigi? Non sono un esperto di gran moda, come sai >> confessò accompagnando le parole con quel gesto, ormai per lui automatico, di grattarsi la testa.
<< Che te ne fai di un abito da donna? >> Gli chiese Grantaire smarrito.
<< Oh, non è per me! >> Ridacchiò Prouvaire. Era arrossito in modo violento.
<< Sarà meglio Jean! Comunque lo trovi in Rue Jean-Jacques Rousseau, nella Galerie Véro Dodat. >>
<< Grazie R maiuscola! >> Esclamò saltellando quasi sul posto dalla gioia.
<< Figurati >> concluse lo scettico con un sorriso sagace e le sopracciglia aggrottate.
Jean se ne stava per andare, travolto dalla vita, quando ad un tratto notò il disegno di Grantaire caduto sul pavimento lercio del Richefeu. Non aveva mai visto nulla del genere: la città in fiamme e in piedi sulla testa dell’Elefante della Bastiglia, bello come non mai e più splendente di tutte quelle fiamme raccolte insieme, Enjolras, con i capelli scarmigliati dal vento e la bandiera francese tra le mani. Benchè Apollo sostasse su quel mostro di gesso, Grantaire l’aveva disegnato più grande del reale, dimenticandosi delle proporzioni, o forse, come Jean ritenne più plausibile, l’aveva fatto apposta; ai piedi dell’imponente statua un uomo, piccolo, che costituiva un dettaglio quasi irrilevante, con una bottiglia di vino in mano.  “Originale” pensò Prouvaire.
<< Grantaire, c’è un’altra cosa di cui volevo parlarti >> esordì dopo aver fissato il disegno per qualche istante.
<< Sputa il rospo. >> Grantaire si risedette dopo aver velocemente raccolto da per terra il disegno, quasi come se avesse rivelato al mondo il suo più imbarazzante segreto. Lui? Imbarazzo? “Sarà sicuramente l’influenza di Jean” ipotizzò.
<< Enjolras è parecchio confuso >> riprese il poeta << dovresti fargli luce riguardo a ciò che è successo l’altra notte. >>
Grantaire lo guardò stranito e sbalordito, poiché non aveva capito di quale dannata notte stesse parlando.
<< L’altra notte? >> Sussurrò con la voce rotta dall’emozione.
<< Sì R. Cerca di non esasperarlo. >>
Jean corse verso Rue Jean-Jacques Roussou, Grantaire corse verso casa sua.
 
“L’altra notte? Quale maledettissima e frenetica notte? Avrò sicuramente dimenticato tutto a causa del vino: sono uno stupido. Che Jean stia forse parlando di ieri, quando ho restituito la giacca ad Enjolras? Che cosa avrebbe dovuto farlo esasperare? Una piccola e insignificante macchia di sangue forse? Conoscendolo potrebbe essere. Che cosa posso fare per farmi ‘perdonare’? Ah, pazzo! Io non devo farmi perdonare per nulla, quella macchia non è causa mia, ha fatto tutto da solo il Magnifico. Potrei anche sbagliarmi però; e se non fosse quella la notte di cui Jean stava parlando? Diamine, non ricordo nulla” si rimproverava Grantaire.  Rotolava verso casa con gli occhi spalancati e stralunati: la paura di aver mandato in confusione Enjolras lo esasperava.
“Verrà al caffé questa sera? Potrò parlargli senza che possa sfuggirmi? Che cosa ti prende Apollo?”
Salì le scale ed entrò in camera sua. Si tolse le scarpe rimanendo a piedi scalzi, poiché restare senza scarpe gli permetteva di sentire di più il contatto con la realtà: pensava con più accortezza. Si sedette sul letto macchinalmente e ritenne che fosse il momento giusto per ripulire un po’ quella vecchia topaia (“potrebbe aiutarmi a riflettere”).  Rifacendo il letto, rifaceva luce su quanto di oscuro rimaneva impresso nella sua anima e le coperte che si alzavano e che, nella sua immaginazione, diffondevano l’orgogliosa fragranza di Enjolras per tutta la stanza scoprirono quella che era una vistosa macchia rossa sul materasso. Fu un attimo e in quell’istante, fulmineo e dolorosamente piacevole, si ricordò.
 
Intanto Jean era giunto alla Galerie Véro Dodat. Le dolci sartine di Parigi si accalcavano verso le vetrine dei negozi per accaparrarsi un vestito all’ultima moda, nobili donne si confrontavano su quale indumento sarebbe stato il più fresco da indossare per l’estate e i monelli, appostati agli angoli della via, aspettavano solo di rubacchiare innocenti fanciulle. In tutto questo gioioso trambusto cittadino, Jean era entrato sorridente nell’unico negozio di moda della galleria. Si sentiva piuttosto a suo agio tra tutti quei colori e tutti quei buoni profumi che aleggiavano nell’aria: la boutique odorava di lavanda. Accarezzava lentamente e con attenzione molti vestiti; li toccava e li sfregava, ammirava la loro lucentezza e se ne meravigliava: anche il cotone più modesto aveva la lucentezza della seta. Erano leggeri e leggiadri, svolazzanti e seducenti: sarebbero stati tali anche se indossati dalla più goffa abitante di Parigi. Molte ragazzine del negozio l’avevano notato e ridacchiavano tra di loro poiché era l’unico uomo presente nel negozio, ma a lui non importava: aveva missione da compiere e non poteva fallire. Dopo aver esaminato circa una quindicina di vestiti, alzò lo sguardo e vide un capo esposto su un manichino di stoffa posto su un piedistallo, proprio alla fine del negozio.
<< Madre, voglio quel vestito! >>
<< Non è adatto a te, tesoro. >>
<< Ma io lo voglio! >> Urlavano alcune ragazzette alle madri.
Era di un colore rosso vermiglio, molto semplice, senza fronzoli particolari, di una seta leggera e preziosa. Si stringeva sotto il seno e richiedeva che la ragazza che lo avrebbe indossato fosse particolarmente esile e dai fianchi sottili.
<< Ariane, oltre a non essere adatto per il tuo fisico, costa anche la bellezza di 983 franchi! >>
<< Sei una spilorcia! >>
La boutique era invasa da giovani impertinenti e a dir poco vanitose, che ricevevano dalle madri sempre lo stesso tipo di predica: << Non è adatto a te. >>
Jean pensava la stessa cosa e in silenzio si avvicinò ad osservare il cartellino del prezzo.
<< Lo prendo! >> Gridò per farsi sentire dalla responsabile del negozio. Questa, una vecchia signora con una stola viola sulle spalle, si avvicinò a Prouvaire  con passo lento e sospettoso, mentre tutto intorno era calata una sottospecie di silenzio.
<< Tu, con i vestiti di almeno due anni fa, vorresti comprare questo abito nuovo di zecca? >> Lo provocò lei.
<< E’ così signora >> rispose lui cordialmente con un sorriso.
<< Non vorrai mica dirmi che lo compri per una ragazza! Un miserabile come te che ha al suo fianco una sartina come noi? >> Lo schernì quella Ariane che poco prima era stata rimproverata dalla madre.
<< Non è esattamente una sartina, ma è pur sempre… >> Avrebbe voluto dire “la mia donna”, ma si rese conto che purtroppo non era nulla del genere.
<< Lo compro >> ribadì tirando fuori dalla tasca mille franchi.
La proprietaria glielo vendette sbalordita; in cuor suo pensava “che ladruncolo dallo sguardo innocente, chissà dove li avrà trovati quei soldi!”, ma come ben sappiamo, Jean era figlio unico e ricco e non aveva alcun problema finanziario.
 
La giornata passò velocemente, probabilmente a causa del vento che aveva spazzato via le ore senza ritegno, e la sera arrivò limpida e fresca, senza avvisare.
Enjolras saliva le scale del Musain lentamente e con lo sguardo basso: era alquanto pensieroso. Rimase sorpreso nel trovare già tutti i suoi amici nella stanza retrostante al caffé, che parlavano e che si consultavano sulle migliori strategie da attuare per dare inizio alla nuova e tanto attesa rivoluzione. Essere arrivato “in ritardo” lo infastidiva e lo irritava, ma senza dare troppo nell’occhio, si avvicinò a Combeferre ed iniziò ad organizzare l’insurrezione con lui, sempre con quel velo di tristezza negli occhi che li rendeva ancora più azzurri. All’appello mancavano due uomini: Jean Prouvaire  e Grantaire e il fatto che quest’ultimo non ci fosse fece tirare ad Enjolras un gran sospiro di sollievo. “Per questa sera non avrò problemi” concluse soddisfatto.
Sembrava che fosse quasi ritornato in sé. Parlare della repubblica, di quel sogno ancora non realizzato che gli faceva perdere la testa, gli permise riacquistare sicurezza e fermezza, di percepire un po’ della sua solita candida e marmorea freddezza che tutti si erano ormai abituati a conoscere. Enjolras stava ritornando ad essere il capo e questo aveva fatto sì che le sue mani si riscaldassero e il sangue ritornasse a scorrere fluido nelle sue vene. Per poche ore non pensò più a Grantaire e questo gli risollevò il morale, più di quanto erano riusciti a fare un buon libro o dormire barricato in camera.
 
Jean raggiunse gli amici al Musain verso le dieci e un quarto: era raggiante, euforico, con uno sguardo meravigliosamente sognante e i capelli disordinati; dopo aver salutato con gioia tutti i presenti, si sedette vicino a Bossuet, intento ad ascoltare con interesse le parole di Combeferre e di Enjolras.
<< Ehi, Laigle,  qualche traccia di Marius? >>
<< No Jean, non si è presentato questa sera. >>
<< Perfetto… >> sussurrò il poeta.
<< Che cosa hai detto? >> Domandò Bossuet dispiaciuto.
<< Ehm, ho detto che è un peccato che non sia qui con noi mentre ci prepariamo alla rivoluzione. >>
Bossuet fece segno di sì con il capo, raggrinzendo gli angoli della bocca e riprese ad ascoltare.
Jean si tormentava le dita delle mani, come se fosse in ansia per qualcosa, ma a dire il vero, era l’adrenalina che gli circolava in corpo che lo rendeva così frenetico.
Era riuscito a compiere la sua missione e ne era felice; ora aspettava solamente che lei rimanesse soddisfatta del suo dono e che il suo piccolo sogno vitale si potesse avverare. Pensava a lei costantemente e ad ogni respiro desiderava che fosse lì con lui a fargli una di quelle sue osservazioni bizzarre che tanto lo incuriosivano. Eponine, quella piccola e ardita ragazza lo aveva stregato con un semplice gesto infantile: donargli una margherita. Ora, voleva far sì che uno dei suoi sogni si avverasse e che potesse finalmente indossare un bel vestito nuovo. Avrebbe sicuramente sospettato di lui, trovando l’abito davanti alla porta di casa –non è così?
Si era innamorato in un certo qual modo? Nessuno aveva mai sentito quegli “Uh” e quegli “Ah”.
 
La mezzanotte giunse silenziosa e, chissà perchè, Enjolras temeva che anche quella volta sarebbe successo qualcosa. Tutti si allontanarono dal Musain tranquilli e ardenti di passione, mentre lui rimase seduto su una sedia di fianco allo scaffale del vino: la stanchezza aveva invaso il suo corpo, si stava lasciando andare un’altra volta. La rivoluzione incombente e il solito maledetto dubbio che gli attanagliava il corpo lo stavano facendo impazzire: non riconosceva più quali fossero le sue priorità e non riusciva a dire a se stesso che andava tutto bene, perchè sapeva che non era così.
Dei passi cadenzati lo distolsero da questi brevi e pesanti pensieri: non fece in tempo a girare lo sguardo che lo vide lì, a pochi passi da lui, con un pacchetto in una mano e una bottiglia di vino nell’altra.
<< Buon compleanno Enjolras. >>
Il biondo non respirò per almeno dieci secondi, con lo sguardo perso tra le mani di quell’altro.
Se l’era ricordato? Lui, l’unica persona al mondo che avrebbe voluto cancellare e soffiar via dalla sua vita, si era ricordato del suo ventitreesimo compleanno? Quante volte l’aveva accennato ai suoi amici? Due, tre volte? Nessuno ci aveva mai fatto caso. Eppure Grantaire sapeva sempre come stupirlo: era l’unico tipo di rivoluzione che Enjolras non avrebbe mai saputo affrontare.
<< Te lo sei ricordato? >> Bisbigliò con un filo di voce, ancora troppo incosciente per parlare.
<< Io non dimentico mai i compleanni degli amici. >>
Si avvicinava sempre di più a lui. Enjolras restava seduto, pietrificato.
<< Tieni, questo è per te. Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere. >>
Grantaire gli porse il pacchetto tremando. Era in preda all’Eros più sfrenato, il corpo di Enjolras lo attraeva in modo irrefrenabile: era una di quelle persone che anche nella disperazione più totale riusciva ad essere maledettamente e perdutamente bello –“oh se lo sei”.
Enjolras afferrò il regalo con mano ferma (anche se in realtà il suo cuore stava dando in escandescenza) e lo aprì.
<< Per rimediare al danno. >>
Apollo teneva in mano una giacca rossa nuova di zecca, perfetta e immacolata, proprio come lui. Enjolras non sapeva come reagire di fronte a questo gesto; si sentiva riconoscente e incredibilmente fragile. Non riusciva ad accettare che in una stessa persona potessero risiedere sia un’anima determinata e sia un’anima debole, anime talmente forti che non riuscivano nemmeno ad annullarsi a vicenda perchè l’una ricacciava l’altra. Tuttavia, proprio in quell’istante, dovette riconoscere il dominio di entrambe su di lui, dovette riconoscere di essere uomo e non di essere dio, di essere friabile proprio come qualsiasi altro essere vivente. Nel passaggio di quel pacco e in quello sfregarsi di mani, si era ricordato del loro primo incontro, di quella stretta di mano di monossido di carbonio tanto dolorosa e tanto strana. Da quel giorno, la loro stretta di mano diventò una condanna che sarebbe durata per tutta la vita, una condanna terribile, ma allo stesso tempo meravigliosa,  perchè legava tra di loro le anime di due ragazzi che apparentemente non si volevano, ma che segretamente si cercavano e avevano bisogno l’uno dell’altro; questo tuttavia, l’avrebbero capito solo col tempo, solo dopo essersi mangiati le ossa fino alla polvere e dopo essersi feriti a tal punto da diventare consanguinei. L’avrebbero compreso solo in quel momento, sangue nel sangue.
<< Grantaire, c’era una domanda che volevo farti da giorni… >> continuò Enjolras sottovoce.
<< Prima io Apollo. >>
Gli occhi di cobalto di uno s’incastravano perfettamente negli occhi di cielo dell’altro.
Grantaire si schiarì la voce e si sedette accanto a lui, trepidante.
<< Enjolras, che cosa è successo l’altra notte? >>
Il biondo non seppe far altro che distogliere lo sguardo e rispondere: << Credevo che tu lo sapessi. >>
 
 
 
 
 
 
Hello people! :3 Eccomi con il terzo capitolo! Beh, non c’è molto da dire, se non il fatto che non vedo l’ora di mettere un po’ di luce su questa storia che sta coinvolgendo tutti i personaggi! Per quanto riguarda citazioni particolari abbiamo solo “una stretta di mano di monossido di carbonio” da No Surprises dei Radiohead e “a forza di ferirci siamo diventati consanguinei” di Vasco Brondi. Ci si rivede al quarto capitolo, un bacio e grazie per l’attenzione <3 
  
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