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L’ambasciatore
Orland poteva contare su di un piccolo gruppo di
guardie personali a lui molto fedeli, ed era solo grazie a loro e alla guardia
che montavano senza sosta se il suo palazzo nel cuore di Wastulf
non era ancora stato assaltato dalla folla inferocita.
Rigirando le accuse e le prove a proprio
piacimento, Eichart aveva convinto la popolazione che
le ruberie degli ultimi mesi fossero da ricondurre ad uomini dell’ambasciatore,
e quando la gente aveva la pancia vuota era molto facile convincerla a perdere
la testa.
Da un istante all’altro il palazzo era stato
completamente circondato, e solo il cordone di sicurezza con le armi puntate
per tutti quei giorni aveva trattenuto la popolazione dal dare l’assalto all’edificio.
La guardia cittadina, contro le previsioni di Eichart,
salvo qualche elemento isolato aveva deciso di rimanere neutrale, senza
arrecare danno all’ambasciatore ma anche senza sparare sui propri concittadini,
e questo aveva dato origine ad un interminabile periodo di stasi.
Le urla impazzite dei rivoltosi non cessavano
un momento, raggiungendo l’ambasciatore chiuso nel suo studio. Con lui Kiergesan, il suo fedele braccio destro, un bambino orfano
che aveva tolto dalle strade anni prima e che per sdebitarsi era diventato la
sua spada fedele.
Ormai era chiaro che la situazione non poteva
durare ancora a lungo. Quello era il settimo giorno di assedio, e anche se Eichart, che come al solito si lasciava scorgere senza
timore in sella al suo cavallo ai margini della piazza che stava dirimpetto al
palazzo, aveva sempre sperato forse in una resa dell’ambasciatore, era evidente
che la sua pazienza andava esaurendosi.
Il suo secondo, Cicero, sembrava però molto
sicuro del fatto che quella dovesse essere la volta buona.
«Avremo la sua testa prima del tramonto.»
disse vedendo la folla ormai in procinto di assaltare il palazzo «Non
angustiatevi.»
«Ogni giorno in più che quel maledetto vive è
un pugno nello stomaco per me.» mugugnò Eichart «Che
sia dannato se gli permetterò di vedere una nuova alba».
Nel
frattempo, procedendo a marce forzate attraverso le intricate foreste di
Germania, Saito e il resto del gruppo avevano raggiunto le mura di Wastulf.
«La città è più blindata del caveau di una
banca.» commentò Saitò osservando le porte con un
cannocchiale, e facendo sfoggio come ogni volta del suo gergo terrestre
«Entrare dagli ingressi principali è fuori discussione.»
«C’è l’ingresso via fiume.» ipotizzò Silvye prendendo da cavallo il suo cinturone di cuoio pieno
di affilati coltelli da lancio «La grata è robusta, ma conosco dei fori da cui
si può passare.»
«È fuori discussione.» tagliò corto Saito
«Perché?» rimbeccò la ragazza passandosi la
mano sui lunghi capelli blu «Hai paura di bagnarti?»
«Saito ha ragione.» intervenne Louise «Non
dobbiamo solo entrare in città, ma anche portare fuori l’ambasciatore. Orland è avanti con gli anni e di salute cagionevole, e di
sicuro non può permettersi il lusso di immergersi in un’acqua ghiacciata per
chissà quanti minuti.»
«Per ora, signorina Louise, la priorità è
entrare in città se non sbaglio. A uscire ci penseremo dopo.»
«E comunque» puntualizzò Kirche
«Se stanno facendo sorvegliare le porte, non c’è ragione di credere che non lo
stiano facendo anche con la grata. Ci scoprirebbero prima ancora di averla
attraversata.»
«Kirche-sama…»
«Ecco…» disse Morea «Se non sbaglio da queste parti dovrebbe esserci
l’uscita di un condotto fognario.»
«Dici sul serio!?» chiese Louise
«Non ne sono del tutto sicura, ma credo che
dovrebbe condurci dritti dentro la villa dell’ambasciatore.»
«È perfetto!» esclamò Saito «Troviamolo,
presto!».
Fu
una ricerca molto breve. L’uscita del condotto di scolo era giusto a poche
centinaia di metri di distanza, lungo le sponde del fiume che tagliava in due
la città, e per arrivarci i ragazzi non ebbero neppure bisogno di scendere in
acqua, grazie ad una provvidenziale quanto inattesa bassa marea che aveva
portato all’asciutto una vecchia passerella di servizio.
Kirche si disfò
della grata sciogliendola con il fuoco ed accese una torcia, quindi il gruppo
si avventurò all’interno della galleria.
Il puzzo era tremendo, non si vedeva ad un
palmo dal naso e ratti grossi come procioni camminavano senza sosta sul terreno
fangoso coperto di melma, ma date le circostanze quello era il minimo per
riuscire nel proprio intento.
«Ma che schifezza!» sbottò Silvye
sollevando lo stivale grondante fanghiglia
«Abbassa la voce, potrebbero sentirci.» la
rimproverò Kirche facendo notare il rumore di passi
che si avvertiva sopra le loro teste
«Solo Morea poteva
conoscere e frequentare un postaccio simile. Lei è una spia e una ricognitrice. Io sono un cecchino. Sono fatta per gli spazi
aperti, non per questa fogna puzzolente.»
«Ci siamo quasi.» disse Morea
ignorando totalmente l’amica.
Alla fine raggiunsero la loro destinazione,
arrampicandosi su per una scaletta in ferro in cima alla quale vi era una
grossa grata per lo scolo dell’acqua piovana.
«Se ho calcolato bene la distanza percorsa.»
disse ancora Morea «Dovremmo sbucare fuori proprio nel
cortile retrostante il palazzo.»
«Prega il cielo di non sbagliare.» disse Kirche «Non sarebbe un grande affare ritrovarci nel mezzo
di quella folla inferocita. Speriamo solo che non ci taglino la gola appena
usciamo».
In realtà le poche guardie dell’ambasciatore
erano talmente impegnate a presidiare il portone d’ingresso che i ragazzi,
ritrovandosi effettivamente all’interno del giardino del palazzo
dell’ambasciatore, non vi trovarono nessuno; anche le due torrette arroccate
sull’alto muro di cinta, più una decorazione che dei punti d’osservazione veri
e propri, erano sguarniti, così Saito e gli altri poterono tranquillamente
uscire fuori dalla fognatura in tutta sicurezza.
«Alla fine è stato più facile del previsto.»
disse Louise mentre Saito la aiutava a risalire
«In questo posto la sicurezza lascia molto a
desiderare.» commentò Silvye «L’ambasciatore sarebbe
già morto da un pezzo se qualcuno avesse scoperto l’esistenza di questo
passaggio.»
«E adesso, prima che ci ammazzino.» disse Kirche «Sarà meglio fargli capire chi siamo e perché siamo
qui».
Lentamente, e tenendo le mani alzate, i
ragazzi si mostrarono alle prime guardie che incontrarono, rivelando la loro
identità e venendo quindi ammessi per ordine di Kiergesan
alla presenza dell’ambasciatore.
«Signor ambasciatore.» disse Louise andandogli
incontro e stringendogli la mano
«Miss Valliere.»
replicò lui attonito «Che cosa ci fate voi qui?»
«Ecco…» disse
imbarazzata Kirche «A quanto pare c’è stato un
piccolo imprevisto».
Con poche parole Kirche
e Saito spiegarono la situazione, cercando però subito dopo di far capire che
in ogni caso c’era ancora una via di salvezza per uscire da quell’impiccio.
«C’è un vecchio canale di scolo che dai
giardini del palazzo conduce fin oltre le mura della città.» spiegò Saito «Noi
siamo arrivati da lì. Ce ne andiamo ora, e con un po’ di fortuna saremo di
nuovo a Tristain prima che Eichart si accorga di
nulla.»
«Cosa ne dice, signor ambasciatore?» chiese Kirche
«Dico che non c’è altra scelta, o sbaglio?»
replicò Orland dopo un momento di esitazione «Ma se
quel maledetto si illude che possa finire qui si sbaglia. Appena la situazione
si sarà calmata tornerò e gli farò scontare tutte le sue colpe, inclusa
questa.»
«Sì, ma dovrà essere vivo per riuscirci.»
puntualizzò Louise «Quindi è meglio andare via di qui subito, prima che quella
massa incontrollabile faccia a pezzi questo posto.»
«D’accordo. Allora andiamo».
Purtroppo,
proprio in quel momento, Eichart decise che la sua
pazienza si era ormai esaurita, e che non aveva più alcuna intenzione di
aspettare passivamente che le cose facessero il loro corso.
«Ne ho abbastanza!» sbottò «Voglio che quel
maledetto non veda un’altra alba! Procedete!»
«Sì, signore.» disse Cicero.
L’attendente, non visto, fece dei cenni verso
il palazzo, che furono immediatamente colti da una delle sentinelle affacciate
ad una delle finestre.
Senza esitazioni la guardia imbracciò il suo
archibugio puntandolo in direzione della folla, sollevò il cane e infilò la
miccia.
Passò un istante, ed il rimbombo di uno sparo
tacitò l’intera piazza, e un attimo dopo uno dei capi della protesta, quello
che per tutto il tempo non aveva smesso un momento di sbraitare in cima alla
statua equestre antistante il palazzo, precipitò morto al suolo colpito in
pieno petto.
«Era uno sparo!» esclamò Louise
«Chi ha sparato?» urlò infuriato Orland «Avevo detto di non aprire il fuoco!».
Fu la miccia che scatenò la rivolta. I
manifestanti infervorati caricarono impazziti, e quasi subito le guardie che
presidiavano l’esterno dovettero ripiegare, riuscendo a chiudersi nel palazzo
giusto un attimo prima che il cancello venisse sfondato.
A quel punto, più per paura che per altro,
quasi tutti i soldati aprirono il fuoco contro i manifestanti, riuscendo
tuttavia solo ad infervorarli ancora di più.
«Se la prendono la metteranno a gocciolare a
testa in giù come un maiale sventrato.» disse Kirche
senza tanti giri di parole buttando uno sguardo fuori «Suggerisco di andarcene
di qui ora».
Purtroppo erano in arrivo brutte notizie.
Il cortile ed il giardino caddero in pochi
secondi, e malgrado le porte sprangate e le inferriate alle finestre era solo
una questione di minuti prima che quella folla inferocita riuscisse a fare
irruzione nel palazzo.
«C’è gente in giardino!» disse Morea tornando da un rapido giro di controllo «Non possiamo
usare la grata!»
«Non abbiamo scelta.» disse Silvye «Dovremo farci strada combattendo. È la nostra sola
speranza di fuga.»
«Aspettate!» esclamò Saito «Non possiamo
farlo! Questa gente è stata ingannata! Sono vittime tanto quanto noi!»
«Saito ha ragione.» obiettò Louise «Non
possiamo ucciderli.»
«Preferiresti essere violentata, decapitata e
lasciata a marcire nella piazza centrale appesa ad una corda?» la rimproverò
duramente Kirche.
Purtroppo non era solo quello il problema,
come Saito fece notare.
Anche nel caso in cui si fosse riusciti a
fuggire attraverso la galleria, infatti, la strada da percorrere era tanta, e
con il vecchio ambasciatore da dover scortare era quasi impossibile riuscire a
correre abbastanza in fretta da seminare gli inseguitori, che certamente non ci
avrebbero messo molto a trovare il passaggio ora che il palazzo era in mano
loro.
«Lasciatemi qui.» disse a quel punto Orland «Sarei un solo un peso. Vi ringrazio per esservi
presi tutti questi rischi per aiutare questo povero vecchio, ma ora è giusto
che vi salviate.»
«Non se ne parla, noi non la abbandoniamo.»
disse Louise «Troveremo una soluzione.»
«Sarà bene trovarla in fretta.» commentò Kirche osservando dalla finestra la folla che, procuratasi
un ariete di fortuna, stava ora tentando di sfondare il portone principale.
Una possibile soluzione venne da Kiergesan, che al degenerare della situazione era subito
andato alla ricerca di una nuova via di fuga.
«Il deposito sotterraneo e le stalle sono
ancora liberi.» disse rientrando nell’ufficio «Possiamo scappare con la
carrozza.»
«Non è fattibile.» sentenziò impietosa Kirche «Tutte le porte e i varchi della città sono
presidiati. Sparerebbero a vista, e comunque non credo riusciremmo comunque ad
arrivare alle mura ancora vivi».
Sembrava davvero una situazione senza via
d’uscita, resa ancor più insopportabile dalla tensione che andava crescendo.
Saito si sforzò di mantenere calma e sangue
freddo, e alla fine, come un fulmine a ciel sereno, ebbe quella che poteva
essere la pensata vincente.
«Forse ci sono! Possiamo andarcene da qui!»
«Che cosa!?» disse Louise «Come?»
«Tutto quello che dobbiamo fare è riuscire a
distrarre questa folla inferocita il tempo necessario per infilarci nel
passaggio sotterraneo.»
«Fin qui ci eravamo arrivati.» disse Silvye «Ma come pensi di fare?»
«Dandogli un’esca da mordere.» ammiccò il
ragazzo guardando lei e la sua compagna.
La
folla aveva preso il giardino, e con la forza devastante di un ariete
improvvisato era quasi sul punto di sfondare il pesante portone di quercia che
chiudeva l’entrata principale, quando da un istante all’altro accadde qualcosa.
Dal nulla, come per incanto, una parte del
suolo antistante le mura scivolò all’interno, rivelando una passerella segrete
al termine della quale vi era l’ingresso ai sotterranei del palazzo.
Una carrozza vi si lanciò immediatamente
fuori, guidata da una coppia di cocchieri, dirigendosi a tutta velocità verso
la Porta di San Felice, il più vicino varco per lasciare la città.
«Guardate là!» indicò Cicero riconoscendo lo
stemma dell’ambasciatore «È lui!»
«Sta cercando di fuggire!» urlò Eichart «Fermatelo! Non deve scappare! Voglio la sua testa
su una picca!».
La folla, lasciato perdere il palazzo, si
concentrò istintivamente e senza bisogno di ordinarglielo sulla carrozza, che
quasi subito si trovò nell’impossibilità quasi totale di avanzare per l’enorme
ressa e i detriti scagliati sul suo cammino nel tentativo di arrestarla.
In qualche modo i cocchieri riuscirono a
condurla fino al Ponte di Grumman, il più imponente
punto d’attraversata che correva lungo il fiume, ma proprio quando la folla
sembrava ormai alle spalle si avvidero che gli abitanti avevano frettolosamente
sbarrato la strada sulla sponda opposta erigendo una barricata.
Fuggire o evitarla era impossibile, così i due
senza pensarci due volte abbandonarono il mezzo gettandosi nel fiume. La
carrozza, privata della sua guida, sbandò ribaltandosi, e venne immediatamente
accerchiata dalla calca ansiosa di prendere la testa dell’ambasciatore.
Qualcuno divelse la portiera, ma come fu
possibile guardare all’interno le grida infervorate fecero posto ad un
incredulo silenzio.
Eichart arrivò
solo pochi minuti dopo, sbracciando come un dannato per farsi strada nella
ressa, e quando si avvide che all’interno non vi era nessuno la sua reazione,
invece che di incredulità, fu di rabbia sconfinata.
«Trovatelo!» ordinò furibondo.
«Sembra
che abbia funzionato.» commentò Morea riemergendo dal
fiume assieme alla compagna
«Così pare. Allora quello sgorbio di Hiraga ogni tanto ne pensa una giusta.»
«Forse dopotutto abbiamo sbagliato nel
giudicarlo.»
«Avanti, torniamo indietro. Ho fretta di
togliermi questi abiti infradiciati».
Nuotando a piene bracciate le due ragazze
raggiunsero la riva, nascondendosi in un vicino canneto nell’attesa che le
acque si calmassero.
Tornata la calma, e constatando l’apparente
sparizione dei sostenitori di Eichart, cercarono di
dileguarsi, ma non potevano immaginare che qualcuno le avesse notate.
Gli uomini di Eichart
saltarono loro addosso allertate da alcuni pescatori, circondandole prima che
potessero dileguarsi nei vicoli della città.
«Tanto meglio.» disse Silvye
portandosi schiena a schiena con Morea «Avevo giusto
voglia di sfogarmi un po’».
Entrambe partirono alla carica, armate
rispettivamente dei propri coltelli da lancio e del bastone da combattimento,
in realtà una lancia la cui punta emergeva a piacimento al semplice scattare di
un fermo, e almeno inizialmente sembrò che potessero avere ragione di quei
soldati mediocri senza alcuna difficoltà.
Tuttavia, l’arrivo di Cicero sul cambio di
battaglia mutò drasticamente le cose. Morea se lo
vide cavalcare contro all’ultimo momento, e quando cercò di colpirlo questi,
afferrata la sommità del bastone, la sollevò in aria di peso per poi
schiantarla violentemente al suolo, dando prova di una forza straordinaria e
lasciando la poveretta a terra svenuta.
«Morea!».
Cicero scese da cavallo, e Silvye,
disfattasi di due soldati, gli scagliò contro ben cinque pugnali tutti insieme,
che tuttavia l’uomo parò senza problemi sfoderando la sua strana arma, una
specie di grosso scudo rotondo da cui sporgevano quattro grosse lame ricurve. Seguì
un breve corpo a corpo, ma alla fine la forza di Cicero ebbe la meglio sull’agilità
di Silvye, che incassato un tremendo pugnò allo
stomaco fece appena in tempo a mugugnare un gemito soffocato prima di svenire.
Nota
dell’Autore
Eccomi
qua!^_^
Sono
risorto!
Credevate
che fossi morto?
Effettivamente
ho abbandonato questa storia per un bel po’ di tempo. Non a causa di una crisi
di idee, intendiamoci, ma avendo una quantità esorbitante di progetti a cui
dover stare dietro ho finito per sacrificare qualcosa, e questo qualcosa, vuoi
per caso vuoi in parte per scelta volontaria, è stata la FF di ZNT.
Ma poi
sono arrivate nuove recensioni, nuovi inviti a proseguire, così ho deciso di farlo. E quindi eccomi qui.
Premetto
fin da ora che la storia subirà una decisa accelerazione rispetto a quanto
inizialmente ipotizzato. Evento marginali o di semplice intermezzo faranno
spazio ad un ritmo più serrato, sì da rendere la vicenda più scorrevole e
arrivare presto al dunque.
Non per
fretta, per carità, ma perché con 240 pagine già scritte la cosa sta andando
decisamente troppo per le lunghe
Ecco, ho
detto tutto.
A
presto!^_^
Carlos Olivera