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Autore: niallsredcheeks    16/07/2013    4 recensioni
Dovevo ammetterlo: Forks dopotutto non era così male e, abituata al freddo polare del Canada, potevo dire di trovarmi bene - per quanto riguardava il clima - ma se dovevo parlare della mia vita sociale qui, ecco, sarebbe stato meglio cambiare discorso.
Mia madre naturalmente aveva degli agganci qui, come zii di secondo grado o amici di famiglia, ed era proprio grazie a questi che era riuscita a trovare lavoro alla stazione di polizia locale mentre io ero stata iscritta - con mio grande disappunto - al liceo cittadino. Eravamo riuscite anche a trovare una graziosa casa in mezzo al nulla - altro mio disappunto - che mi costringeva a dipendere in tutto e per tutto dall'auto di mia madre che io, fra l'altro, non potevo guidare;
Quindi, ricapitolando, mi ritrovavo ad abitare proprio nelle vicinanze della foresta e ciò stava a significare insetti e altri animali che organizzavano scorriere nel mio giardino: in tre mesi avevo visto più cervi io che Babbo Natale, escludendo il piccolo particolare che lui usava le renne... dettagli.
Genere: Malinconico, Suspence, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Isabella Swan, Jacob Black, Nuovo personaggio, Paul Lahote
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: New Moon
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New Moon dal mio punto di vista



1

 

Dovevo ammetterlo: Forks dopotutto non era così male e, abituata al freddo polare del Canada, potevo dire di trovarmi bene - per quanto riguardava il clima - ma se dovevo parlare della mia vita sociale qui, ecco, sarebbe stato meglio cambiare discorso.
Ero partita da Toronto circa tre mesi fa, o per meglio dire ero stata costretta a farlo, e se ne avessi avuta l' occasione sarei tornata indietro immediatamente. Purtroppo mia madre si era messa in testa di girare in lungo e in largo l'America, in modo da poter dimenticare il suo ex marito che, al contrario di lei, si era risposato con una ragazza più giovane e con la quale aveva avuto persino una figlia. Insomma, è così che siamo arrivate in questo paesino abbandonato da Dio, coperto perennemente da una coltre di nuvole, dove la pioggia regnava sovrana.
Mia madre naturalmente aveva degli agganci qui, come zii di secondo grado o amici di famigli, ed era proprio grazie a questi che era riuscita a trovare lavoro alla stazione di polizia locale mentre io ero stata iscritta - con mio grande disappunto - al liceo cittadino. Eravamo riuscite anche a trovare una graziosa casa in mezzo al nulla - altro mio disappunto - che mi costringeva a dipendere in tutto e per tutto dall'auto di mia madre che io, fra l'altro, non potevo guidare; comunque, ritornando alla casa, ero riuscita a convincere mia madre a dipingere le pareti della mia camera con toni pastello ed ero più che sicura che fosse parecchio contrariata da quella mia richiesta, contando il fatto che si vestiva ed abbinava tutti i colori in base all'umore e, in quel periodo, lei vedeva tutto nero. Avrebbe dipinto, di quel colore, anche la mia faccia se solo ne avesse avuto possibilità e, mettessi la mano sul fuoco, credo che il mio nome sia stato scelto in uno dei suoi momento 'no': Blake. Già, non era propriamente comune e, ammettiamolo, faceva anche abbastanza schifo ma purtroppo avrei dovuto aspettare i ventun anni per cambiarlo.
Quindi, ricapitolando, mi ritrovavo ad abitare proprio nelle vicinanze della foresta e ciò stava a significare insetti e altri animali che organizzavano scorriere nel mio giardino: in tre mesi avevo visto più cervi io che Babbo Natale, escludendo il piccolo particolare che lui usava le renne... dettagli.
Inoltre, le case abitate distavano a più di cinque chilometri e, visto che non potevo usufruire di alcun mezzo, mi era impossibile cononoscere chi vi abitava così passavo le mie giornate immersa nel verde fino al collo. Si, perchè con la scarsità di attrazioni turistiche nelle vicinanze, passavo più tempo con le foglie e con gli alberi che con i miei simili, a parte nelle ore scolastiche.
Ah, la scuola: la peggior invenzione che sia mai stata creata e non solo per la sua immensa noiosità ma anche perchè ero, da ormai qualche settimana, l'unica fonte di attenzione e ciò non mi piaceva affatto, considerando che l'unica cosa che volevo era passare inosservata.
Erano tutti lí a ronzarmi intorno, ad offrirmi aiuto se solo ne avessi avuto bisogno e ad inserirmi in discorsi che nemmeno conoscevo: che ci crediate o meno, ero arrivata a sapere i fatti di tutti, senza che li avessi mai consciuti o visti, e questo grazie l'aiuto di Jessica Stanley: una ragazza bassa e dalla folta capigliatura. Un aggettivo per descriverla? Pettegola. Per non parlare poi di Newton, che mi aveva preso sotto la sua ala senza il mio consenso; mi aveva parlato il primo giorno chiedendomi del motivo che possa avermi spinto ad abitare lì e, da quel momento, non mi aveva più mollata un attimo.
«Tesoro!» mi voltai di colpo, notando la chioma castana di mia madre sbucare dalla finestra della cucina e ciò mi spinse ad abbandonare momentaneamente la fitta vegetazione per dirigermi verso di lei.
«Vado a lavoro. La cena è pronta dentro il microonde, devi solo scaldarla. A stasera!» disse sbrigativa, prima di mandarmi un fugace bacio volante, per poi scomparire. Solo quando sentii il rombo della vecchia Chevy blu che partiva mi addentrai nella foresta che, da un po' di tempo a questa parte, mi occupavo di ispezionare. Quello era uno dei modi migliori - rari fra l'altro - per passare la serata, invece di stare stravaccata sul divano a guardare telenovele e mangiare cibo spazzatura.
Iniziai ad inoltrarmi nella folta vegetazione, facendomi largo tra gli arbusti, alla ricerca del piccolo sentiero che avevo scoperto pochi giorni prima: ovviamente non avevo idea di dove portasse, non essendo riuscita a percorrerlo tutto ma, spinta dalla mia curiosità, ero decisa a farlo.
Camminai per quella che parve un infinità: davanti a me si stagliavano unicamente alberi, tutto ciò che mi circondava era verde e, detto francamente, mi ero già stufata. Avevo pensato che quel sentiero mi avrebbe portato in un altro posto o che, non so, magari fosse un collegamento con qualche altro paesino ma purtroppo il sentiero sterrato era terminato, lasciando spazio al terriccio bagnato sul quale ero costretta a camminare.
Respirai a pieni polmoni l'odore di rugiada, decisa a tornare in dietro ma, quando mi voltai, rimasi impalata come un idiota. Non mi ero minimamente resa conto di quanta strada avessi percorso ma rimaneva il fatto che, davanti a me, c'erano solo e soltanto alberi e ciò significava una sola cosa: mi ero persa.
«Dannazione!» imprecai dando un calcio ad una radice mentre, in preda al panico e al dolore, cercavo di ricordarmi di un qualunque punto di riferimento ed era inutile dire che, in quel momento, la mia memoria era pari a quella di un vecchietto con l'Alzhaiemr.
Disperata e atterrita mi diressi verso il tronco più vicino, ci poggiai sopra le spalle e mi lasciai scivolare giù, abbandonandomi in un lungo sospiro: inutile dire che avevo giá provato col cellulare e, come da copione, quel coso in caso di emergenza non voleva saperne di funzionare; non potevo neanche contare su mia madre, che non sarebbe tornata prima delle sette del giorno dopo ma mi consolava il fatto che non trovandomi a casa avrebbe smosso mari e monti, anche se prima avrei dovuto passare una notte all' aperto e poi - quando tutto fosse finito - la scazzata di mamma, un'enorme scazzata.
Non so quanto tempo rimasi in quella posizione, con le gambe incrociate e la schiena appoggiata sul tronco, ma stava di fatto che - nonostante avessi il corpo mezzo intorpidito - tutto sembrava andare per il verso giusto, o almeno pensavo ciò, prima che un grosso gocciolone mi centrasse nel bel mezzo della fronte.
«Oh, ma andiamo! Ce l'hai con me per caso?!» urlai stizzita alzando le braccia al cielo, per poi coprirmi la testa con il cappuccio della felpa marrone. Adesso ci mancava solo che il "signore del tempo" mi facesse prendere una polmonite e, a quanto pareva, ero anche destinata a morire sotto quel diluvio universale. Inoltre, a completate quel bel quadretto, ci si erano aggiunti dei rumori alquanto sinistri, come il fruscio dei cespugli, che non avevano fatto altro che terrorizzarmi, facendomi mettere sulla difensiva e costringendomi ad usare un rametto secco come arma da difesa. Ottimo, oltre che morire affogata ci mancava essere sbranata da qualche animale selvatico, sempre se non l'avessi messo in fuga con la mia arma "letale".
All'ennesimo fruscio vidi sbucare dal cespuglio una sagoma che, ad occhio e croce, sembrava essere umana e quindi, da un lato, potevo definirmi salva: nessun animale selvatico pronto a sbranarmi ma, d'altro canto, non potevo neanche definirmi al sicuro. Insomma, una spece di energumeno si stava avvicinando verso di me a grandi falcate tenendo una lampada a propano puntata a terra e, nel frattempo, parlottava fitto fitto con qualcuno alla sua destra.
Portai il rametto avanti a me quando la lampada mi venne puntata contro, accecandomi per di più, e quando riuscii a mettere a fuoco mi ritrovai davanti un ragazzo enorme. Dietro di lui una sua fotocopia, fatta eccezzione per i lineamenti più marcati.
«Bella Swan?» domandò colui che mi puntava la lampada sul viso ed io lo guardai interrogativamente: eh? E chi era questa, adesso? «Sei Bella Swan?» . No che non ero Bella Swan! Dissentii, scuotendo la testa, vincendo così la rigidità dei muscoli e il ragazzo non esitò a guardarmi aggrottando le sopracciglie sorpreso.
«Non sei Bella Swan?» ripetè, ancora una volta, facendomi salire il nervoso. «Sei scemo? Ti ho detto di no!» sbottai acida stringendo la presa sul ramo che tenevo ancora davanti a me; lui sbuffò seccato e mollò, in malo modo, la torcia all'altro ragazzo che gli stava accanto.
«Ritorno dagli altri, vado a dire allo sceriffo Swan che mi sono sbagliato ...a quanto pare è diventata una moda perdersi nella foresta.» e, prima di scompararire oltre la vegetazione, mi lanciò un occhiataccia da far venire i brividi.
Ritornai a guardare quello che mi stava di fronte in quel momento che, prontamente, afferrò il ramo dalle mie mani e lo gettò a terra non molto delicatamente. Barbaro!
«Bene ragazzina, cos'è, hai deciso di suicidarti?» chiese, e di certo quella nota di sarcasmo non passò inosservata, facendomi imbestialire.
«Stai - lontano - da - me.» sussurrai scandendo lentamente ogni parola e acquattandomi ancora di più al tronco. Il ragazzo si bloccò a qualche centimetro da me alzando le sopracciglia: era chiaro che non ero riuscita a intimorirlo neanche un po'.
«Vuoi essere lasciata qui?» chiese, con tono strafottente, ed io ebbi una voglia di rispondergli di si, ma rimanere lì non rientrava proprio nelle mie prioritá.
«E chi mi assicura che tu non mi uccida?» gli chiesi sospettosa senza schiodarmi dal mio albero, certo faceva strano parlare con il mio probabile assassino.
«Hai ragione.» mormorò calmo «ti farò a pezzi e infilerò i tuoi resti in un sacco della spazzatura che poi butterò in un pozzo.» Ingoiai la saliva spaventata. Eh? Ma diceva sul serio? Scoppiò a ridere vedendo il mio sguardo terrorizzato, poi senza preavviso si abbassò e mi circondò le cosce con le braccia, si rialzò e mi ritrovai con la pancia schiacciata sulla sua spalla e con gambe e braccia a penzoloni, stile salame gigante. «Mettimi giù! Mettimi giù! Mettimi giù!» gli urlai irritata ma lui mi ignorò bellamente e quella non era proprio una posizione comoda, insomma! Avevo la faccia puntata a terra e l'ondeggiare del suo corpo ad ogni passo mi stava seriamente facendo venire la nausea. Se mai avessi rigettato il mio pranzo su di lui, non mi sarei dicerto assunta la colpa.
«Mettimi giù! Mettimi giù!» sbraitai, battendo una mani sulla sua schiena, senza neanche scalfirlo.
«Dillo ancora una volta e lascio la presa» minacciò lui con lo sguardo fisso davanti a sé.
«Non lo faresti mai!» borbottai stizzita, anche se leggermente spaventata.
«Vuoi mettermi alla prova?» allentò la presa sulle mie gambe e per poco non caddi in una pozzanghera. Lui ridendo ritornò a tenermi, anche se mi ero già aggrappata alla sua maglietta grigia, infondo sfracellarmi sul fango non era considerato il mio sogno più grande.
«Non è stato divertente!» sbottai acida e, sentendolo camminare velocemente, rimasi sorpresa della sua agilità e del suo sviluppato senso dell'orientamento tra tutta quella vegetazione; rallentò il passo solo quando riuscii a percepire il brusio di tante voci, alzai il capo – per quello che mi fosse consentito – e notai tante figure maschili sporgersi verso l'uomo che poco prima mi aveva trovata.
«Sam l'ha trovata!» tuonò quello che mi portava, accelerando ancora di più il passo, dirigendosi verso la brulicante folla e mi accorsi solo dopo che c'era una ragazza in braccio al tizio, come aveva detto si chiamava? Sam? Ecco si. Doveva essere Bella Swan in braccio a quel Sam.
Appena fummo vicini, l'hooligan mi mise giù frettolosamente per poi dirigersi verso il compagno. Al contatto col suolo feci per cedere, avevo le vertigini e grazie a quello stupido mi era anche arrivato il sangue alla testa. Mi avvicinai anche io non appena riacquistai un po' di lucidità, così da notare la ragazza essere presa in braccio da un uomo in divisa da poliziotto che però vacillò sotto il suo peso.
«Forse è meglio che la tenga io» Sam allungò le braccia suggerendo all'altro uomo di passarle la ragazza, ma il poliziotto rifiutò e cominciò a camminare seguito da altre persone che puntavano le loro torcie sul terreno. Vidi una figura familiare, magra e abbastanza alta, i riccioli castani raccolti in una coda alta e la divisa leggermente strappata al di sopra del ginocchio: mamma? Sembrò leggermi nel pensiero e si voltò, i suoi occhi verdi incrociarono i miei e capii in quel momento che mi trovavo in guai molto, ma molto seri. Sussurrò qualcosa ad un collega basso e tarchiato e, a grandi falcate, si diresse verso di me. Allarmata, cercai con lo sguardo il ragazzone che mi aveva portato "gentilmente" in braccio, sperando che mi facesse scappare dalla furia di Marie Dawson ma, sfortunatamente, era parecchio avanti. Mi aveva lasciato sola, quel cretino!
«Blake!» urlò lei «Cosa diavolo ci fai qui?» domandò lei, inarcando un sopracciglio e incrociando le braccia sotto il seno, arrabbiata. Okay, ero giovane e la mia vita stava per arrivare agli sgoccioli.
«Ehm, ehm...ecco, io..mi ero, diciamo, persa..» vidi il suo braccio scattare verso il mio chiudendolo in una morsa e, trascinandomi in malo modo, ritornò dagli altri.
«Quante volte ti avrò detto di non gironzolare nella foresta, eh? Ma tu non mi ascolti!» Beh, si, erano state parecchie volte. «E guarda! Sei tutta bagnata!» mi scostò una ciocca castana appiccicata sul viso e cominciò la sua lunga serie di maledizioni contro di me. Sospirai, chissà quale sarebbe stata la punizione. Alzai gli occhi al cielo, non prima però di posarli sul tizio di prima che a passo svelto stava venendo nella mia direzione, beccandosi da parte mia uno sguardo interrogativo.
«Hai trovato chi ti porta a casa?» domandò interrompendo mia madre che gli lanciò un'occhiata sospettosa ed io annuii, facendo un cenno col capo verso mia madre.
«Meglio. Arrivederci agente Dawson» salutò lui, annoiato.
«Ci vediamo Paul, grazie per averci aiutato.» Lui sventolò una mano noncurante e ritornò al fianco di Sam, mentre mia madre aveva ricominciato con le sgrida.




Angolo autrice:
Yooo girls!
Voglio solo mettere in chiaro che questa ff non è mia, ma di una ragazza di un Forum [Nick: !SOO!]
di cui si sono perse le traccie ed io ho preso in considerazione di aggiustargliela al
meglio (anche se probabilmente cambierò alcune parti)
Questa ff è già scritta tutta, ho bisogno solo ddi lettrici a cui interessa u.u

  
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