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Autore: Euachkatzl    16/07/2013    2 recensioni
Jimi Hendrix, Jim Morrison, Kurt Cobain, Amy Winehouse e molti altri hanno un unico, drammatico, punto in comune. E purtroppo, anche Zakk Isbell si aggiungerà a quella lista.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Bambina mia, sono papà. Ancora non puoi leggerla, questa lettera, ma voglio scrivertela perché voglio che tu abbia per sempre un mio ricordo, indelebile, inciso sulla carta e sul cuore. A cinque anni ci sono cose difficili da capire, che poi col tempo, dopo che le hai comprese, sono soltanto difficili da accettare. Sono cose brutte, tristi, sono cose che fanno male anche a distanza di anni. Certo, col tempo le ferite si rimarginano, ma non per tutti. A me, per esempio, non si sono mai curate. Nulla è riuscito a formare cicatrici, tutto è ancora aperto. Nemmeno tu hai fermato il sangue che continua a uscire. Nemmeno la mamma. Nemmeno la musica, che sembra essere la cura a tutto. Non l’ho mai detto a nessuno, ma è così. Io sono morto insieme alla tua nonna. Appena sei arrivata tu, lei se n’è andata. Lo stesso giorno, lo stesso attimo. Non ti ha neppure vista. E io per un attimo ti ho odiata, ho voluto che te ne andassi tu, piuttosto che mia madre. Perché puoi avere anche 27 anni, ma la mamma rimarrà sempre la persona più importante che hai. Probabilmente impiegherai anni a capire questa frase, ad ammettere che è vera, ma è la verità.
 A 18 anni me ne andai di casa, scappando dalla mia madre asfissiante, dal mio padre violento, dalla mia casa troppo piccola per contenere i miei sogni. Erano gli anni ’70, i ragazzi si ribellavano, con una chitarra a tracolla e una bottiglia di birra in una mano. E così scappavamo di casa, convinti che il mondo non fosse ostile e che tutte le persone fossero disposte a accoglierci. Ad accogliere i nostri desideri da ragazzini e la nostra voglia di vivere. Ho fatto soffrire davvero tanto mia madre, ma non me ne sono mai curato. Anzi, provavo una certa soddisfazione: lei mi aveva ricoperto di regole da quando ero nato, era  ora che pagasse. Ma avevo 18 anni e una mente avvolta nel fumo delle sigarette e annegata nell’alcol che ormai mi scorreva nelle vene. E così il papà cominciò a cantare, insieme ad altri quattro ragazzi che aveva trovato lungo la strada. Tirare fuori la voce era il mio modo per ribellarmi, per sentirmi vivo. Perché per troppo tempo nessuno non mi aveva mai ascoltato. In quel momento, invece, la gente accorreva da ogni parte del mondo per sentire una mia parola, un mio ‘yeah’, qualsiasi vibrazione che la mia voce potesse creare. Anche la tua mamma era tra queste persone. Era venuta a New York direttamente dalla California, perché voleva conoscere quel cantante che i giornalisti idolatravano, il proprietario di quella voce che aveva fatto emozionare così tante persone. Lei entrò nel mio camerino senza presentazioni, senza strette di mano o ridicoli saluti. Perché tutto questo non serviva: io sapevo perfettamente chi era. Sapevo che era la donna che avrei sposato, la donna che sarebbe stata al mio fianco per tutta la vita. Avevamo 20 anni, legalmente l’età della ragione l’avevamo raggiunta da un pezzo, così ci permisero di sposarci. Ci conoscevamo da due mesi, ma sapevamo entrambi che avremmo potuto sposarci anche quella sera in quel camerino che puzzava di alcol, saremmo stati felici lo stesso. E così io continuai a cantare e lei continuò a seguirmi. Cominciarono a circolare le voci che lei fosse solo una grupie, una donna capitata per caso nella mia vita e che ne sarebbe uscita velocemente, ma per me non era affatto così: lei era la mia musa, la mia ispirazione, il mio amore. Tutte le canzoni che ho scritto le ho scritte pensando a lei, solo a lei. Che le componessi in un pulman, seduto su un marciapiede o sul divano di casa, pensavo a lei. Nelle mie canzoni ci sono solo parole belle. E tutte esprimono quella voglia di vivere che avevo, quel desiderio di provare tutto, che fosse proibito o a disposizione del mondo, io volevo provarlo. Poi nascesti tu, e morì mia madre. La nonna Cathy. Non ti ho neppure vista, sono corso da lei, sono tornato in quella casa che tanto avevo odiato. Ho visto mio padre chino su di lei, mentre piangeva da solo. Da solo. Le sue lacrime calde cadevano sul corpo di mia madre, incredibilmente freddo. Niente sarebbe riuscito a riscaldarlo. ‘Finalmente sei arrivato’ mi disse il nonno, stringendomi forte ‘Ti abbiamo aspettato per tanto tempo’. Questo avrebbe dovuto farmi sentire bene, il sapere che avevo una famiglia che mi stava ancora aspettando, che mi amava nonostante avessi voltato loro le spalle, ma invece mi fece sentire peggio. Io li avevo uccisi e loro avevano continuato ad amarmi, io li avevo rimossi dai miei pensieri e loro avevano continuato ad aspettarmi, avevano sempre tenuto la porta di casa aperta per me. E quel giorno mia madre se n’era andata. Si era stancata di attendere, forse? No. Era andata a cercarmi da un’altra parte. Il suo funerale avvenne il giorno stesso, senza prete e senza musica, senza invitati e senza vestiti neri: io avevo addosso i miei jeans strappati e mio padre il grembiule verde che aveva indossato per scavare una buca davanti a casa. Piansi per tutti gli ospiti mancanti. Quel giorno, scrissi la mia prima canzone triste. Tutti si aspettavano una cosa allegra, una cosa dolce per la mia bambina, invece arrivò un fiume di lacrime che investì tutti, che non riuscivano a spiegarsi il perché di quella tristezza infinita. La morte di mia madre cambiò la vita di due persone. Tantissime. La mia non cambierà la vita di nessuno. Sarò pure una rockstar, sarò pure famoso in tutto il mondo, avrò pure 27 anni e una moglie bellissima, la mia morte scatenerà un putiferio, ma non farà crescere nessuno. Non darà a nessuno uno spunto per riflettere, un motivo per il quale fermarsi a pensare.  Semplicemente, morirà un bravo cantante. Peccato, avrebbe potuto scrivere altre belle canzoni. Invece no. Non avrei potuto scrivere nient’altro di bello. La musica ormai non mi da più emozione. Né scriverla, né cantarla, né ascoltarla. Nemmeno le immagini non mi danno più emozione. I tuoi occhi, il sorriso della mamma, le mani grandi di mio padre sempre pronte ad accogliermi. Niente mi da più emozioni. Per anni l’unica cosa che mia aveva fatto andare avanti era la rabbia verso i miei genitori, il gusto che provavo nel vendicarmi. Vendicarmi di cosa? Dell’odio che provavano per me, della loro voglia di torturarmi con mille regole. Tutte cose che non erano mai esistite. Mi stavo vendicando su persone che mi amavano perché dei demoni nella mia testa mi avevano convinto che stessi facendo la cosa giusta. Ho continuato a far loro del male finchè mia madre è morta, e solo allora i muri nella mia mente si sono frantumati, permettendomi di vedere ogni cosa chiaramente, ma rendendomi vulnerabile a qualsiasi cosa. Soffro per chiunque perda un amico, una madre o un figlio. Soffro quando la mamma si taglia un dito, ho il terrore di non rivederla mai più. Ho scattato almeno un milione di foto di te, sperando che ti tengano ancorata a questo mondo. Vedo la mamma sempre più preoccupata per me, e questo mi fa soffrire ancora di più. Ogni volta che tento di soffocare le lacrime nel mio cuscino, lei si fa più premurosa, facendomi stare sempre più male. Quindi è meglio che chiuda tutto. È meglio che prema il grilletto di questa pistola e faccia smettere di preoccupare tua madre, te, chiunque mi conosca. Perchè a 27 anni ho pianto tutte le lacrime che avevo a disposizione, come molta altra gente. Voglio che prendi la mia chitarra, che impari a suonarla e che anche tu ti faccia ascoltare da tutto il mondo. Ciao, amore mio, vado a trovare la nonna.

Zakk”

 
La mamma ha appena finito di leggere questa lettera. Mi ha detto che l’ha scritta papà e che l’ha dedicata a me, ma io non l’ho capita. Ho capito solo che devo amare la mia mamma, e io lo farò. La guardo: si sta asciugando gli occhi con una mano, mentre rilegge in silenzio quel foglio di carta, sul cui retro c’è scritto ‘It’s better to burn out than to fade away’. Mi avvicino a lei e la abbraccio. “Tranquilla, mamma, papà torna presto. Non potrà mica stare dalla nonna per sempre” Lei mi stringe più forte, e la sento dire sottovoce: “Papà è ancora qui vicino a noi, papà non se ne andrà mai”
 
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Nota dell’autrice:
Ho scritto questa storia tutta d’un fiato, dopo aver letto della vita di Kurt Cobain. Questo racconto lo voglio dedicare a lui, anche se non ha niente a che vedere con la sua morte o la lettera che lui ha scritto. L’unico punto in comune è la frase ‘It’s better to burn out than to fade away’, che io ho posto sul retro della lettera.
Personalmente, non vedo ragione per arrivare addirittura a togliersi la vita, ma parlo con le esperienze che ho collezionato in soli 18 anni di vita. Spero di non aver scritto un mare di cazzate e di avervi fatto emozionare almeno un po’. Se mi lasciate un commento vi sarei grata.
Un bacione, Euachkatzl <3 
  
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