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Autore: NanaK    16/07/2013    2 recensioni
Mi chiamo Penelope e ora vi racconterò la mia storia. Preparatevi ad ascoltare qualcosa di tanto surreale che spesso mi chiedo se non sia stato tutto un sogno. Il Titanic era appunto chiamata la nave dei sogni, ma di certo mai avrei creduto che potessi salirci. Tutto cominciò una sera di aprile, il dieci aprile 2012..
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jack Dawson, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Rosalinda Dewitt Bukater
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 10 – Parte seconda

 

Lì sul ponte regnava una confusione terribile: gli ufficiali si stavano occupando delle scialuppe. Già molta gente era presente e si accalcava in attesa di poter salire e salvarsi e quasi tutti, tra cui Tommy, indossavano il salvagente.

< Signore e signori, ho bisogno della vostra attenzione, per favore. Venite da questa parte, per favore. Cosi, venite verso di me. Grazie >. Eccole, le prime facce impaurite della gente, che avanzavano timorose seguendo le parole dell’ufficiale. < Per il momento mi servono solo donne e bambini; signori vi prego, rimanete dove siete >. In quel momento i quattro musicisti cominciarono a suonare la loro Danza Nuziale. I minuti passavano e le persone si facevano sempre più audaci e pressenti, desiderose di mettersi subito in salvo. Stavano iniziando a calare la prima scialuppa, quando mi feci avanti, ma non per salirci.

< Signore queste scialuppe possono contenere sessanta persone. Qui ce ne sono la metà! E non mi dica che non eravate sicuro del peso, sono state collaudate a Belfast con il peso di settanta uomini! Se lo sapesse il Capitano vi.. >. Lightoller si girò a guardarmi stralunato, conscio della verità nelle mie parole. Aveva il volto sudato e il respiro accellerato e non avrebbe retto a lungo la tensione e l’agitazione della situazione.

Mi voltò le spalle < Avanti! C’è posto per altri donne e bambini >.

Bene.

Jack, Tommy e Fabrizio mi guardavano increduli, ma io non mi persi in spiegazioni. Avevo molti pensieri per la testa, anche quello di Rose, ma capii che si, lei si sarebbe salvata. Nessun motivo più l’avrebbe fermata dal salire su una scialuppa. Qualcun altro aveva bisogno di aiuto: mi ero infatti ricordata del triste destino che attendeva la terza classe, bloccata ai piani inferiori per non creare maggiore confusione.

< Jack! Devi accompagnarmi giù, devo fare una cosa >.

Mi fissò con una strana luce negli occhi, ma non chiese niente < Certo >

Mi voltai verso i miei amici < Ragazzi per favore, non attaccate briga con gli ufficiali. Sicuramente spareranno a qualcuno >.

Poi, preso per mano Jack, mi misi a correre verso le scale che ci avrebbero portati alle cabine di terza classe.

< Dove stiamo andando? >

< Giù i cancelli sono chiusi e le persone sono bloccate. Dobbiamo far salire anche loro, è un’ingiustizia! >

Quello che trovammo fu un vero inferno.

< Aprite i cancelli! >

< La nave sta affondando! >

< Dateci la possibilità di salvarci! >

A queste grida si aggiungevano quelle degli operai che incitavano alla calma.Bisognava intervenire, prima che la situazione degenerasse e uscissero quelle pistole che odiavo tanto. Un operaio si pose davanti a noi, evidentemente scambiandoci per passeggeri altolocati, dicendoci di salire sul ponte immediatamente e di trovare una scialuppa.

Jack lo interruppe < Apra i cancelli  >

< Mi dispiace, non è possibile >

< Apra subito questi cancelli! >

< Fate come vi ho detto >

Dall’altro lato vidi una donna che stringeva i suoi due figli, guardandosi attorno spaventata, uomini disperati che si avventavano contro le inferriate, gridando come folli, una vecchia straniera che mormorava parole incomprensibili, piangendo. Fui presa da una furia incontrollabile e presi per il colletto l’uomo che ci impediva di salvare, perlomeno tentare di salvare, quella gente mandandolo a sbattere contro il muro.

< Maledizione, vuoi che muoiano tutti?! Sei un pazzo idiota, un assassino! Apri subito questi dannati cancelli! > Gridai, guardando con odio il suo sguardo impaurito. Subito prese la chiave e fece come gli avevo detto. Non appena furono liberi, tutti si lanciarono fuori, correndo verso la scala che li avrebbe portati su. Nella calca, persi di vista Jack ed ebbi una gentile gomitata in testa che mi fece cadere. Cercavo in tutti i modi di divincolarmi e trovare una via d’uscita da quell’ammasso di gambe e fui pestata da un bel po’ di piedi. Iniziavo a respirare a fatica. Urtai la testa contro qualcosa.

Poi il buio.

 

< Svegliati, Pen, ti prego! >

Percepii delle mani sul mio viso freddo. Socchiusi gli occhi e lo vidi.

< Jack.. > sussurrai, prendendo pian piano cognizione del mio corpo. Non sentivo più le gambe, né il bacino.

< Dio mio, per fortuna ti ho trovata in tempo. Andiamo >. Mi sentii improvvisamente sollevare e solo allora capii che ero rimasta giù, in terza classee l’acqua mi aveva quasi sommersa: ancora qualche minuto e sarei affogata. In quel momento amai Jack più di qualsiasi altra cosa al mondo; mi aveva salvato la vita, mi aveva cercata e non si era rassegnato. Ma d’altronde non c’era di che sorprendersi, lui era così. Posai le labbra sul suo collo bagnato di acqua e sudore e ora anche delle mie lacrime.

< Merda. Penelope, ce la fai a correre?  >

< Si >. Mi mise giù ed ebbi un capogiro. Poi sentii degli strani rumori e non feci neanche in tempo a voltarmi che la pressione dell’oceano buttò giu la parete del corridoio e una valanga d’acqua iniziò a scorrere velocemente verso di noi.

< Corriii! > urlò e ci slanciammo verso un altro corridoio, ma venimmo travolti e il gelo mi entrò fin nelle ossa.

< Oddio Jack! >.

Le luci si erano spente e non lo vedevo più, ma sentivo la sua voce vicina a me; incapaci di reagire, venimmo trascinati fino ad uno di quei cancelli chiusi. Oh no. Era la stessa identica scena del film.

Non toccavo più il pavimento con i piedi ormai.

< Vieni! Penelope, da questa parte! > mi indicò un’altra scala a sinistra e afferrandoci ai tubi del soffitto e lottando contro la corrente e l’intorbidimento dei muscoli, riuscimmo a raggiungerla.

< Forza, sali! > mi diede la mano e salimmo gli scalini tirandoci fuori da quel gelo. Ma avevamo poco tempo, un altro cancello chiuso.

< Oddio, no >

< Aspetta Jack! Ora passerà un uomo > esclamai con il fiatone e la poca forza che mi era rimasta.

< Come fai ad esserne sicura? > mi chiese, nel mio stesso stato.

Proprio allora uno degli inservienti ci passò davanti correndo.

< Signore, la prego ci apra, per favore! >. Ci vide e stava per andarsene, ma poi ci ripensò e prese il suo mazzo di chiavi per liberarci da quella morte certa. Sapevo che quel dannato mazzo gli sarebbe caduto di mano ed ero pronta a calarmi sott’acqua per prenderlo. Infatti quando accadde, dopo che ebbe pronunciato < Mi dispiace > ed essere fuggito via, mi abbassai e, avendo l’abitudine da sempre di andare sott’acqua ad occhi aperti riuscii a recuperare le chiavi, guadagnando tempo.

< Le ho prese, Jack! > balbettai freneticamente.

< Brava! Dammele, presto! >

< Usa quella corta > urlai mentre l’acqua continuava a salire < Sbrigati, Jack! >

< Si è incastrata! >. Si, ma ce l’avrebbe fatta, lo sapevo. < Ecco, ce l’ho fatta! >

Lo aprimmo a fatica, cercando in tutti i modi di rimanere a galla. Nuotammo per qualche secondo, poi finalmente arrivammo all’asciutto. Eravamo completamente bagnati ed io ero esausta.

< Non abbiamo tempo, Pen, dobbiamo andare sul ponte! >

< Non.. non riesco >

< Vieni, ti porto io >

Mi fece salire sulle sue spalle. Sentivo i suoi muscoli tremare per lo sforzo e il suo cuore battere forte. Non seppi quanti corridoi, saloni e stanze attraversammo, ma mi sembrarono minuti interminabili quelli passati con la testa abbandonata accanto alla sua.

< Oh dio > pronunciò fermandosi e questo mi fece decidere a scendere e posare i piedi per terra.

Ce l’avrei fatta. Quando però mi scostai i capelli bagnati dalla faccia e mi guardai attorno capii il motivo della sua esclamazione. Era.. non c’erano parole per descrivere quella scena: la prua della nave era quasi completamente sommersa e c’erano persone, persone dappertutto. In acqua, sulla scialuppa rovesciata, persone che tentavano di riguadagnare il ponte o che si buttavano direttamente nell’oceano, ed erano tutte come tante formiche che si dibattevano per non morire.

La poppa iniziava a sollevarsi.

Chiusi gli occhi, soffocando i singhiozzi.

I musicisti continuavano a suonare.

 

< Dobbiamo rimanere sulla nave il più a lungo possibile, forza! >. Ci facemmo largo tra quella gente di nuovo accalcata ed ora le sentivo davvero, quelle urla che imploravano aiuto.

< Oh no! Aspetta Jack! Fabrizio! Dobbiamo andare da lui! >

< Dov’è? >

Gli indicai il punto dove l’acqua era ormai sul ponte.

< Vado io. Tu aspetta qui! Tornerò, te lo prometto>

< No!! > gridai, ma si divincolò dalla mia presa e sparì inghiottito dalle persone che accorrevano nella parte opposta alla sua. Cosa avrei fatto adesso? Mi guardai intorno per qualche secondo sentendomi persa e preda della disperazione.

No.

Mi fido ciecamente di te, di quello che dici, di quello che provi. E staremo insieme qualsiasi cosa accada.

Anche io, anche io dovevo fidarmi di lui: aveva detto che sarebbe tornato perciò ci credevo. Così salii con notevole sforzo sulla base di uno degli alberi della nave e guardai verso il punto che gli avevo indicato, stando ben attenta a quel fumaiolo che nel film sarebbe piombato in mare.

Forza Jack. Avanti. Sbrigati.

Ecco che le corde che legavano il fumaiolo si allentavano, una ad una.

Ecco che il fumaiolo iniziava ad inclinarsi.

Ecco che acquistava sempre più velocità, producendo un rombo terrificante.

Ecco che ci fu l’impatto con l’acqua.

Ecco che di Jack non c’era traccia.

Urlai, ma non mi sentii nemmeno. Le lacrime scendevano copiose e mi accasciai, tutto perse di importanza, tutto prese contorni sfocati e caddi dalla mia postazione. Un uomo cercava di farmi rialzare gridandomi qualcosa, ma non lo sentivo, non sentivo più niente. Mi afferrò la faccia con le mani e mi costrinse a guardarlo. Mi sforzai di metterne a fuoco il viso e..

< JACK! >. Lo abbracciai baciandolo con tutta la forza che avevo, toccandogli le spalle, il viso, le braccia, accertandomi che stesse bene e che non fosse un sogno.

< Lo so, tesoro, lo so. Pen, forza dobbiamo salire più su! >

< E Fabrizio? >

< Sono qui >. Eccolo, con il salvagente sporco del sangue di Tommy, che non si era salvato. Un debole sorriso mi apparve in volto e insieme cominciammo a farci largo tra la gente a forza di spinte e gomitate. Jack mi spinse e tutti riuscimmo a salire gli scalini che portavano all’estremità della poppa. Superammo molte persone, ma camminare era via via più difficile data l’inclinazione sempre maggiore della nave. Vidi il prete che pregava con passione tenendo per mano alcuni fedeli. Vidi uomini e donne che cadevano in acqua, gridando. Vidi gente che, come noi, correva per arrivare su.

E non smettevo di piangere e non me ne accorgevo.

Ormai Jack mi tirava incitandomi a non mollare.

Ora riuscivo a scorgere il parapetto, a cui già qualcuno si era aggrappato. Trovammo un posto e noi tre ci aggrappammo allo stesso modo.

< Fabrizio stai bene? >

< Si amico. E voi? >

< Bene. Che fine ha fatto Tommy? > chiese, ma Fabrizio scosse la testa, con espressione addolorata. Allora Jack chiuse gli occhi e con un braccio mi trasse a sé.

< Avevi ragione, avevi ragione su tutto >. Non gli risposi, stringendolo e mi baciò la fronte. Era spaventato, lo percepivo. Alla nostra sinistra c’era una donna bionda con gli occhi azzurri che mi guardava con lo stesso terrore di tutti noi. La poppa si alzava sempre più e qualcuno già iniziava a perdere la presa e scivolare con tavoli sedie e altri oggetti verso l’inesorabile morte.

L’illuminazione cessò e tutto piombò nel buio.

< Jack > parlavo con la voce rotta dal pianto < Adesso la nave si dividerà in due >.

E già si sentiva il rumore delle travi di legno che si spezzavano. Un rumore terribile sovrastò le urla, i gemiti, gli atroci lamenti e qualche secondo dopo la poppa ricadde di nuovo sul pelo dell’acqua, uccidendo quanti erano a galla sotto. Mi accorsi di star emettendo gemiti terrorizzati solo quando Jack mise una mano davanti alla mia bocca.

< Shh, Penelope, andrà tutto bene >. Ma ormai non ci credeva nemmeno lui.

Percepii che ci stavamo di nuovo alzando verticalmente.

< Dobbiamo spostarci! >. Jack usò come appiglio un palo che era a fianco a noi e si portò dall’altra parte del parapetto. In quel momento Fabrizio perse la presa e cadde.

< NO!! >. Anche Jack adesso aveva gli occhi lucidi < Dannazione, no! Dammi la mano Pen, ti aiuto a scavalcare! >.

 Allungai il braccio e mi prese < Coraggio, non ti lascerò andare. Forza ti tengo >. Feci forza sulle gambe, ma qualcosa andò storto. Forse avrei dovuto prestare più attenzione e non mettere il piede sul vestito.

Infatti scivolai e l’unica cosa che mi teneva su erano le mani di Jack. Urlai sentendo un formicolio allo stomaco dovuto al vuoto che avevo sotto i piedi.

< Ti tengo, Pen! >

< Jack > deglutii a vuoto, inghiottendo le mie stesse lacrime che ancora continuavano a scendere. Da quanto tempo scendevano? < Non lasciarmi, Jack! >.

Il mio braccio scivolava lentamente dalle sue mani ed io non riuscivo a salire < Non perderò anche te, Penelope! >.

Ormai piangevo a dirotto e lo guardavo, forse per l’ultima volta. 

< Ti amo Jack >

< Se dobbiamo morire, moriremo insieme > e fece una cosa che non mi sarei immaginata, nemmeno nei miei sogni più reconditi. Mollò la presa dal parapetto e si gettò nel vuoto insieme a me. Persa ogni presa iniziammo a precipitare Dio sa dove, ma le nostre mani non si lasciarono. E in un attimo tuttò si fermo, iniziò a sfumare e avvertii una già provata leggera nausea, cadendo nel buio dell’incoscienza.

 

Uno strano calore mi riportò alla vita. Sbattei le palpebre un paio di volte per rendermi conto di dove fossi.

Poi sgranai gli occhi. Nell’aria c’era l’incofondibile odore di incenso che alla mamma piaceva tanto, non potevo ingannarmi. Mi sollevai, e mi guardai attorno. Al mio fianco, il corpo di Jack, immobile.

< Jack! >. Strisciai ancora bagnata fradicia verso di lui accarezzandogli i capelli, incurante della pozza d’acqua che si allargava sul tappeto della mia camera. Non stavo ancora realizzando bene ciò che era successo o cosa avrebbe comportato, ma non me ne curai, in quel momento lui era il pensiero dominante in me. Posai la testa sul suo petto e sentii il cuore battere.

Era vivo!

Una gioia immensa mi invase e gli baciai gli occhi chiusi, la fronte, il naso, dovunque riuscissi ad arrivare e non mi sorpresi quando mi accorsi che lentamente iniziava a ricambiare i miei baci, passandomi una mano intorno alla vita e stringendomi convulsamente a sé. Non so quanto tempo passammo a baciarci, forse qualche minuto o ore o giorni.

Quando però ci staccamo si alzò e mi domandò dove fossimo finiti.

Io mi tirai su e gli sorrisi sgargiante < A casa mia! >.

Stupito alzò gli occhi e guardò la stanza, poi guardò me.

E infine mi prese in braccio, facendomi girare e ridendo come un bambino.


Ecco, non sono riuscita a trattenermi. Amo troppo questo capitolo, anche se rappresenta la fine di questa storia. Beh, la quasi fine, l'epilogo non mancherà (: Insomma, avevo deciso di pubblicare due finali diversi, ma mentre scrivevo, questo è venuto fuori da solo e così ho cambiato i miei piani. Siete delusi? Siete soddisfatti? In entrambi i casi spero di essere riuscita ad emozionarvi, a trasmettere tutta la disperazione di Penelope e il suo amore per Jack. Spero di essere riuscita a trasportarvi lì, sul Titanic, e a farvi vivere quegli istanti goccia a goccia. Aspetto con ansia i vostri commenti e vi ringrazio.

Devotissima,

Orihime02

   
 
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