11:45
Erano le undici e quarantacinque e Giuseppe sbuffava.
Sbuffava perché era suonata la sveglia e si doveva alzare.
Sbuffava perché doveva fare la spesa e non c’era nessuno che potesse aiutarlo.
O meglio, nessuno che si prendesse la briga di farlo. Nessuno che si curasse di
andarlo a trovare, per vedere come stesse o per portargli una torta come si
faceva ai bei vecchi tempi.
Erano le undici e quarantacinque e Giuseppe sbuffava.
Era scorbutico, tutti lo evitavano ed era arrivato a starsi antipatico da solo.
Da solo, si, perché lui questo era: solo. E vecchio, aggiungerei, tanto che
ormai viveva solo grazie alle orride medicine che gli faceva prendere quello
stronzo del dottore.
Giuseppe guardò l’orologio: erano le undici e quarantacinque e lui sbuffava.
E sbuffando si mise a sedere, percorrendo la stanza con lo sguardo.
Disordinata, buia e con la carta da parati piena di muffa che si staccava dalle
pareti. Ma a lui stava bene così: a parte lui non c’entrava nessuno e lui non
aveva voglia di mettere in ordine e tantomeno di pulire. Era pigro già da
ragazzo e con il progredire dell’età era diventato sempre più pigro. Talmente
pigro che trovava troppo faticosa la vita stessa.
E per questo Giuseppe, alle undici e quarantacinque, sbuffava.
Una volta aveva una moglie, che aveva amato e poi odiato e dalla quale era
stato amato e poi odiato, che era rimasta con lui finché non si era resa conto
di quanto fosse insopportabile e se ne era andata nottetempo, portandosi via
tutta la roba di valore che era riuscita ad infilare nella valigia. A due anni
dalla sua fuga, Giuseppe era venuto a sapere che era morta, ma non gli era
importato. Aveva una sua foto sul comodino.
Erano le undici e quarantacinque e Giuseppe sbuffava.
Senza alzarsi, si stiracchiò e si infilò le pantofole, che erano ai piedi del
letto. Di tutto ciò che aveva, l’unica cosa che gli piacesse veramente erano le
sue pantofole. Non ricordava di cosa fossero fatte, ma erano comode, rosse, con
una G gialla che lui stesso aveva ricamato. Non erano belle a vedersi, però
avevano quel qualcosa che lo affascinava e che gli impediva di buttarle. In un
certo senso, erano le sue compagne, lo facevano sentire meno solo.
Erano le undici e quarantacinque e Giuseppe sbuffava.
Stava per alzarsi, quando decise che era troppo stanco. Si sfilò le pantofole e
si rimise a dormire, sperando in cuor suo di non svegliarsi mai più.
Erano le undici e quarantacinque, ma Giuseppe non sbuffava più.