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Autore: Lady Ligeia    28/01/2008    5 recensioni
Un'altra delle mie storie depresse. Questa volta è un'adolescente un po'... "cresciuta", che torna a visitare il paese delle vacanze.
E dei ricordi.
E' dedicata a tutte le ragazze di questo sito, alle ragazze di cui leggo le storie, con un invito: ogni istante che non vi appartiene fino in fondo, è sprecato per sempre. Vivetelo, quindi, più che potete: per imparare, per incontrare, per amare...
Genere: Romantico, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un puntino nella ragnatela della cartina dell'ACI, perduto nel gomitolo di strade di quelle montagne.
La ragazza con la moto trattenne il respiro, quando vi arrivò.
Non era originaria di là, né lo era la sua famiglia, ma ugualmente lo chiamava "il mio paese", da sempre.
Anche adesso, dopo anni che non vi tornava più.
Aveva trascorso in quel luogo le estati di quindici dei suoi venticinque anni.

Quando i suoi genitori avevano deciso di vendere "la casa ai monti” la ragazza aveva avuto una delle poche crisi isteriche della sua vita.
Non aveva saputo spiegarne il motivo, le erano mancate le parole. O forse non erano mai nemmeno esistite, quelle parole. Perché il suo rapporto con "il paese" non era mai stato razionale, basato su ragioni precise, su pensieri razionali, su fatti concreti.
Era un legame fatto di immagini di case di pietra strette contro la chiesa, di cime velate di nubi, di profumo di legna bruciata e fieno, di campane che battono le ore, di nascondigli in cui la ragazza con la moto aveva scambiato sassolini e segreti tanto tempo prima.

Ancora non sapeva perché avesse deciso di trascorrere proprio là quei due giorni di ferie fuori stagione.
Parcheggiò la moto nella piazzetta, si sfilò il casco, si osservò nello specchietto retrovisore.
Frangetta sulla fronte, naso a punta, zigomi pallidi: tutto al proprio posto. Incatenò la moto con un vago sorriso senza motivo e si incamminò in modo altrettanto vago, senza direzione.

In dieci anni il paese non sembrava molto cambiato. C'era una cabina telefonica nuova, sulla piazzetta, al posto della vecchia fontana muschiosa dove la ragazza ricordava donne anziane curve a lavare alla vecchia maniera le loro preziose lenzuola di lino.
Il bar si era ingrandito, forse aveva cambiato gestione.
Una bambina giocava a palla contro il muro della chiesa.
Aleggiava nell'aria un senso di malinconia e di vuoto, ma probabilmente dipendeva soltanto dal periodo dell'anno: era il venticinque aprile.

La ragazza con la moto era pronta a giurare che in estate l’animazione e la gente sarebbero tornate.
Ci sarebbero stati ancora i giovani a tirar tardi in piazzetta, le stelle si sarebbero confuse ancora con i fuochi artificiali, i ragazzini avrebbero decorato con ghirlande di fiori e nastri azzurri i davanzali delle finestre per la fiaccolata di Ferragosto... anche lei l'aveva fatto, tanti anni prima, e poi alla sera c’era sempre quel ragazzo che suonava la chitarra e gli altri si ubriacavano di Coca Cola e di canzoni dei Beatles: erano il loro inno stonato all'allegria di stare insieme.
In città, la ragazza con la moto era sempre stata taciturna, solitaria, spenta; in realtà era soltanto tutta concentrata a fantasticare sulla magia di quelle estati in cui si trasformava in un’altra persona e scopriva con gli amici le emozioni della compagnia, della condivisione...

Al bar aveva comprato un pacchetto di Camel Light.
Se ne accese una guardando la valle.
Era un mosaico di tessere verdi e di case piccole come saliere per la distanza, di ciuffi di prezzemolo che forse erano abeti e di nastrini bianchi che forse erano cascate frizzanti di schiuma.
La ragazza si strinse nelle spalle come se avesse freddo.

L’aroma bruciante del fumo le dava un senso di fastidio, un nodo alla gola.
Guardò il pacchetto aggrottando le sopracciglia: nemmeno le piacevano, le Camel Light, perché mai le aveva comprate?
Camel Light.

Il ragazzo con la chitarra. Chissá dov'era, adesso.
Aveva avuto anche un nome, sicuro, un nome apparso cento volte sul suo diario.
Ora non le andava di ricordarlo, no, non le andava.

I suoi baci sapevano di sigarette Camel. Light.
Questo lo ricordava, invece.
Quella sera d'agosto andata ad aspettare le stelle cadenti con un suo maglione di traverso sulle spalle e il suo braccio intorno alla vita e le era sembrato, lo ricordava distintamente, di avere le ali...

Perché tutt’a un tratto le lacrime le pungevano gli occhi?
Era una ragazza serena, senza rimorsi né rimpianti... perché proprio ora la assaliva la nostalgia di tante sciocchezze - il primo lucidalabbra alla fragola, il primo reggiseno col ferretto, il primo gioco di sguardi e di risatine all’angolo delle labbra?

La ragazza spense la sigaretta, ma l'incantesimo non si spense con essa.
Capì con un brivido che non sarebbe mai dovuta tornare.
Capì che non era il paese a mancarle, ma tante altre cose.
L'innocenza, la voglia di sognare, i desideri da esprimere.
I baci al sapore di Camel Light.

Si sentì molto sciocca.
Molto giovane e insieme molto vecchia.
Non sarebbe davvero mai dovuta tornare.

A testa bassa raggiunse la piazzetta.
Ripartì con la sua moto, in silenzio.
Lasciò il suo paese...che, ormai l'aveva capito, non sarebbe mai più stato suo.
  
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