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Autore: elvi92    17/07/2013    1 recensioni
Una  lettera scritta ad un'amica per poter dar voce a parole
che ancora le bruciavano in gola e che mai sarebbero riuscite ad
uscire. Il racconto di un amore costretto, di una vita rubata, di una
telefonata, di un fuoco ardente, ma effimero. Il tutto sullo sfondo della
grande e maestosa capitale inglese, Londra.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bulma, Vegeta, Yamcha | Coppie: Bulma/Vegeta, Bulma/Yamcha
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Capii subito che c’era qualcosa che non andava: per quanto fossi convinta di non provare più nulla per Yamcha, in tutti quegli anni non mi aveva mai nemmeno sfiorata l’idea di un altro uomo nella mia vita. Ero più propensa a ritrovare la mia perduta ed agognata libertà. Sospesi tutti i miei pensieri e cercai, per quanto fosse possibile, di godermi il resto della giornata e di non sembrare agli altri troppo sovrappensiero. Non avrei gradito domande invadenti, non era il momento. Non era mai il momento.
Ma come avevo fatto a ridurmi così? Mi sentivo sotto una maledizione. Come se un giorno avessi visto una maschera, ne fossi stata incuriosita e l’avessi provata. Come se da quel giorno mi fosse stato impossibile toglierla, come se avesse incominciato a diventare più pesante sul mio volto, di giorno in giorno. Non ce la facevo più, era un peso troppo grande, un peso che mi piegava la testa fin sotto il terreno. Qual era la chiave per spezzare la maledizione?

Quando tornammo a casa io, mia madre e Susan ci accomodammo sulle poltroncine nel giardino chiacchierando davanti ad un the e godendoci un variopinto e suggestivo crepuscolo.
La padrona di casa non aveva smesso nemmeno un attimo di parlare di James, il suo adorato primogenito: ne vantava l’aspetto, la prestanza fisica, le doti intellettive, i pregi caratteriali. Non l’avevo conosciuto molto bene, ci scambiai giusto qualche parola di circostanza in quanto prediligeva la compagnia degli uomini di casa. Trascorsa una buona mezz’ora, ad ogni modo, l’argomento di conversazione non era ancora cambiato ed io cominciavo davvero ad irritarmi. Non era tanto perché non mi interessassero le qualità di James tessute come odi ad un Dio, quanto il fatto che le evidenti parzialità che si facevano tra i due figli fossero spiattellate con sgradevole naturalezza e nonchalance anche davanti agli estranei.

-Signora Smith, e di Vegeta cosa sa dirci? – Intervenni provocatoriamente.

La sua espressione cambiò, diventando meno definita.

-Ah … - Temporeggiò. – Vegeta, Vegeta è un caro ragazzo. È solo molto diverso da James. L’abbiamo adottato quando aveva già dieci anni, due in meno di suo fratello. Per tanto tempo, difatti, io e mio marito abbiamo tentato di avere un secondo figlio nostro, ma purtroppo non è mai arrivato. Abbiamo usufruito dei più moderni mezzi di fecondazione artificiale, speso parecchie migliaia di sterline, ma questa grazia non c’è mai stata data. Perciò decidemmo, come ultima ipotesi, di ricorrere all’adozione: ci dissero subito che non ci spettava un bambino europeo, ma non era un dettaglio importante per noi. –Sorseggiò il suo the puntando gli occhi nel vuoto per un momento. – Quando arrivò fra noi eravamo tutti al settimo cielo. Lui, però, non sembrava condividere il nostro stesso entusiasmo. Da subito si presentò cupo, solitario, sempre in disparte. E Dio solo sa se non abbiamo provato in tutti i modi a coinvolgerlo e a farlo sentire a suo agio! Sembra quasi che con noi non si sia mai sentito a casa sua. Forse sarebbe stato meglio se l’avessero affidato ad un’altra famiglia. – Concluse. Quelle ultime parole mi lasciarono addosso una sensazione amara.

-E Samuel che ne pensa?- Domandò mia madre, presa dall’ argomento. Era sempre stata una gran pettegola. La donnina sospirò.

-Sam non ha mai accettato il fatto che non fosse come James. Gli ha sempre rivolto poche attenzioni, non ha voluto più insistere con lui dopo i primi tentativi di avvicinamento. Vegeta, così, si è chiuso ancora di più in se stesso. Ha abbandonato la scuola appena ha potuto e Sam non si è mai preoccupato del fatto che si guadagnasse un futuro. Ogni tanto gli chiede di potare le siepi e lui lo fa senza replicare, ma per il resto non interagiscono molto.- Spiegò.

-Non vi chiedete perché non stia mai insieme a noi o che cosa faccia tutto il giorno via di casa?- Domandai allora.

-Oh, no. Abbiamo smesso di preoccuparcene anni fa. – Asserì come se fosse la cosa più naturale del mondo.-Ma io credo che non ami molto vivere qui. Forse un giorno, se riuscirà a mettere da parte un bel gruzzolo, andrà via.-

Sospirai. Non ne potevo più di ascoltare quelle storie, le sentivo congetturate, elaborate e ritrite giustificazioni di una loro mancanza, come un modo per liberarsi la coscienza e scaricare su di lui ogni errore.

-Vegeta è un ragazzo molto intelligente.- Intervenni. –I genitori dovrebbero comprendere un figlio, non abbandonarlo per concentrarsi su suo fratello solo perché è più facile così. Che sia biologico o meno, questo non cambia nulla. Con tutto il rispetto, signora Smith, ma io ho avuto l’occasione di parlargli, negli ultimi giorni, e le posso assicurare che è una persona a dir poco sorprendente, anche se molto sola e spesso incompresa. La sua “diversità” non è necessariamente qualcosa di negativo, anzi.-

Le due donne mi guardarono basite, senza proferire parola. Indubbiamente non si aspettavano che io prendessi così animatamente le sue difese.

-E tu quando ci avresti parlato, esattamente?- Udii la voce di Yamcha dietro di me, un po’aspra.

Sobbalzai e mi salì il cuore in gola. Provai un sentimento di vergognosa colpevolezza. Ma era una colpevolezza dovuta ad ombre di pensieri che soltanto io conoscevo, per cui tentai di non agitarmi e di non dare nell’occhio.

-Ieri l’ho incontrato mentre andavo al supermercato, mi ha tenuto compagnia ed abbiamo chiacchierato per un po’.- Spiegai con tutta la disinvoltura che potei mostrare.

Mi alzai d’istinto e lui mi prese la mano, tirandomi a sé. Ridacchiò sottovoce mormorando che per un attimo s’era “addirittura” ingelosito. Povero idiota, non aveva capito un bel niente.
La madre, più degli altri in quel momento, mi guardava sconcertata, un po’ per il tono che avevo usato, un po’ perché forse nessuno aveva mai detto qualcosa di carino su suo figlio. La conversazione, comunque, fu volutamente interrotta lì.
S’era fatto tardi. Decidemmo, allora, di rientrare, anche perché c’era un vento piuttosto insistente a prestarci la sua fastidiosa compagnia. Yamcha mi strinse a sé per riscaldarmi, accompagnandomi all’interno della grande villa ed augurandomi di trascorrere una buona nottata. Le nostre strade, lì, si separarono.
Arrivata in camera, quindi, tolsi gli orecchini e li poggiai sul comodino accanto al mio letto, mi spogliai in fretta ed indossai la mia vestaglia da notte, stiracchiandomi e godendomi il fugace relax di uno sbadiglio. Stropicciandomi gli occhi, soddisfatta di quei gesti un po’ infantili che conciliavano il sonno, mi voltai per chiudere la persiana, prima di gettarmi a peso morto sul materasso. 
Ma con mia grande sorpresa davanti alla mia finestra, nel giardino, c’era Vegeta a fissarmi. Trasalii.

-Si può sapere da quanto tempo mi stai spiando?- Lo rimproverai imbarazzata.

-Abbastanza da godermi lo spettacolo.- Rise, poggiandosi al davanzale con un fare sicuro e borioso. Non capivo se dicesse sul serio o mi stesse prendendo in giro.

-Sei solo un villano screanzato!- Arrossii. Lui sghignazzò ancora.

-Per fortuna non hai parlato di me in questi termini davanti a mia madre.- Ribatté secco, senza mezzi termini, facendomi intendere che, non sapevo come, aveva ascoltato la nostra conversazione. Io mi impacciai ancora di più.

-Mi sembrava il minimo.- Risposi. –Non mi andava giù che tu venissi messo da parte in quel modo, che si parlasse di te come un cane da accudire forzatamente.- Tentai di esser seria.

Silenzio da parte di entrambi. Poi, in un attimo, senza nemmeno darmi il tempo di accorgermene, me lo ritrovai in camera. Con la sua invidiabile agilità aveva scavalcato in pochi secondi.

-Che stai facendo?! Esci subito da qui!- Gli intimai. Sentivo i capillari del viso esplodermi in un improvviso calore e sperai che non si notasse.

Mi fece cenno di abbassare la voce. Io, non so nemmeno per quale motivo, obbedii. Attendemmo qualche secondo muti e con le orecchie tese per controllare se i decibel delle mie lamentele avessero destato la preoccupazione di qualcuno, ma notammo che l’intera casa era, ormai, assopita.

-Non dirò niente a nessuno del fatto che sei qui, promesso, ma devi andartene.- Insistetti.

Ignorò completamente le mie incitazioni e mi afferrò un braccio, avvicinandomi leggermente di più a sé. Mi fissò con quegli occhi liquidi, così profondi che avevano la capacità di farmi pensare a tutto e a niente, di farmi tremare le ginocchia, di farmi dimenticare di respirare.

-Pensi realmente quelle cose, quelle che hai detto a mia madre?- Mi chiese soltanto. Ma la sua voce diceva molto di più. Sembrava diversa da quella che avevo udito le altre volte, sembrava una voce che riuscivo a percepire soltanto io.

-Perché mai avrei dovuto mentire?- Ebbi la forza di rispondere.

Poi lasciò la presa.

-Perché ora lo stai facendo, quando dici che non mi vuoi qui e che devo andarmene.- Provocò, abbozzando un sorriso.

-Non mento. Io non mento mai.-

-Che bugiarda.- Ridacchiò ed io non potei fare altro che accompagnarlo, per non sembrare più ridicola. 

Forse lo stavo sognando, magari ero già addormentata nel mio letto ed il mio inconscio si stava prendendo gioco di me. Se così fosse stato davvero, non avrei voluto affatto svegliarmi.
Perché negartelo, Chichi? Non mi nasconderò da te. Sei sempre stata sveglia ed intuitiva, quindi immagino che avrai già capito da un po’come stavano veramente le cose. Ero presa da un sentimento che mi coinvolgeva fino all’ultimo centimetro e che mi riscaldava il sangue nelle vene. Ci misi un po’ad ammetterlo a me stessa, è vero, ma il mio corpo reagiva fregandosene del mio raziocinio. Credo che, una volta arrivati a quel punto, non si possa negare. Non c’è una via di fuga. Non si può dire “sono un po’ innamorata”. Però si può distinguere l’amore dall’infatuazione. E lì trovi il cavillo per salvarti, avvocato del diavolo. “E’ solo una cotta.” Pensai.  Il problema, quello vero, è che mentre mi spremevo le meningi per dare una definizione a ciò che sentivo per Vegeta, ero ancora fidanzata con Yamcha.

Note: Un grazie di cuore a tutti coloro che leggono la storia e a chi la recensisce, capitolo dopo capitolo. Vi informo che ho terminato finalmente di scriverla, quindi cercherò di rendere l'aggiornamento più veloce, ma non impossibile da seguire. A presto, baci :)

 

  
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