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Autore: Alyss Liebert    17/07/2013    4 recensioni
Un bambino allegro, pieno di sogni e speranze è stato vittima delle discriminazioni contro la sua gente. Riconosceva di essere diverso dagli altri, voleva esplorare il mondo che lo circondava per imparare a rispettare le persone ed essere accettato.
Il suo clan venne sterminato pochi anni dopo per avidità e disprezzo. Ricordava i corpi senza vita dei suoi familiari, bruciati ed ammassati a terra come degli appestati, e i loro visi senza bulbi oculari...
"Quegli occhi scarlatti valgono una fortuna".
"Appartenevano ai figli del diavolo!".
Giurò vendetta a costo della vita, diventando un Blacklist Hunter per recuperare gli occhi dei suoi compagni e dare la caccia alla Brigata.
Il Kuruta si era incatenato nella parte più squallida della società, dove gli omicidi erano all'ordine del giorno e dove i frustrati diventavano peccatori.
Stavolta i problemi sorgeranno nella Mafia. In questa guerra Kurapika si renderà conto delle sue scelte sbagliate, dell'odio che lo ha accecato, di essere diventato un criminale.
Si risveglierà la sua parte malvagia e svanirà il suo buon senso. Non potrà contare sull'aiuto dei suoi amici e capirà di aver gettato la sua anima e giovinezza in un baratro dove non sarebbe più arrivata la salvezza.
Genere: Azione, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kurapika, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta, Spoiler!, Tematiche delicate
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L’udienza
Capitolo 2: “Discussione x Angoscia x Segreti”.
 
 
 
 
Light, Kurapika e Basho giunsero con l’auto di fronte al cancello della villa di Nakamura. Dopo aver parcheggiato, Kurapika prese tre ombrelli dal cofano e ne diede due al suo amico e al capo.
Passarono diversi minuti sotto la pioggia, poi videro finalmente il cancello aprirsi e venne ad accoglierli un uomo con indosso una divisa blu; reggeva tra le mani coperte da un paio di guanti bianchi una lista di nomi.
Appena fu loro vicino e li ebbe scrutati attentamente, chinò la testa e li salutò.
«Buona sera, cari ospiti».
Aveva una voce molto grave e parlava in una maniera terribilmente lenta.
«Lei chi è?», chiese Light.
«Sono uno dei maggiordomi della villa. Per la precisione il mio incarico è quello di andare incontro a tutti coloro che mettono piede qui dentro. Invece uno dei miei colleghi è l’addetto all’eliminazione di tutti i possibili ladri che potrebbero fare irruzione in questo luogo; non offriamo mica loro i pasticcini!», fu la sua lunga risposta.
La sua ironia mise ancora più a disagio i tre ospiti. Il sospetto che quella persona ne sapesse una più del diavolo era parte dei loro pensieri.
 
 
«Dunque, possiamo entrare o dobbiamo fare qualche rito propiziatorio?», domandò Kurapika irritato, sentendo che, pur avendo l’ombrello, l’acqua stava iniziando a bagnargli anche le spalle. Basho trattenne a stento una risata.
«Ma certo, ci mancherebbe altro!», esclamò l’uomo indicando la porta d’ingresso, «Potete iniziare ad incamminarvi; io devo chiudere il cancello».
 
 
Appena i tre lo ebbero superato, un terribile sguardo di quest’ultimo si posò sul Kuruta.
«E così sei tu il biondino che quel bastardo ha reclutato, eh? Adesso capisco perché il signor Nakamura ti detesta: sei tale e quale al tuo capo», mormorò con un tono talmente lugubre che pareva dovesse sputare veleno da un momento all’altro.
 
 
 
 
Quando i tre oltrepassarono la porta e lasciarono i loro ombrelli bagnati, si sorpresero nel vedere la sala quasi completamente al buio. Le grosse poltrone poste al centro riuscivano ad essere illuminate solo dai riflessi della luna sulle finestre.
 
«Il capo sta arrivando. Aspettatelo seduti», disse il maggiordomo prima di andarsene. Gli interessati rabbrividirono per il fatto che fosse piombato all’improvviso dietro di loro.
Si misero successivamente comodi su una poltrona ciascuno. In particolare Kurapika stava cominciando a provare parecchia stanchezza; quell’atmosfera così apparentemente tranquilla non stava facendo altro che conciliargli il sonno.
“Maledizione, cosa mi succede?”, pensò faticando a tenere gli occhi ben aperti.
«Quanto dovremmo aspettare, secondo voi?»chiese Basho annoiato.
«Spero il meno possibile», rispose Light guardandosi intorno.
 
 
 
 
Appena il Kuruta fu in procinto di addormentarsi, si accesero di colpo gli enormi lampadari del salone, emanando una luce terribilmente abbagliante.
Kurapika per un attimo non ci vide più e la testa cominciò a girargli. Temette sul serio di rimanere cieco.
«Diamine, che spavento!», esclamò Light tentando di far abituare gli occhi.
«Avete presente un interrogatorio? Ecco, mi sento improvvisamente un carcerato!», commentò Basho. Poi si rivolse all’amico: «Kurapika, è tutto a posto?».
«Più o meno…», rispose cominciando a recuperare la vista.
 
 
D’un tratto comparve una figura vestita nel loro stesso modo, mora e molto alta.
«Nakamura, era ora!», disse Light sorpreso.
«Perdonate il ritardo. Sapete, dovevo ricompensare la mia cameriera Miku per aver lucidato così bene i miei sette lampadari. Brillano abbastanza, vero?», chiese alla fine sorridendo.
«D-Direi…», ammise Basho.
“Le persone passate per questa strada devono averli scambiati per un faro marittimo a luce fissa”, rifletté Kurapika osservando la luce che sprigionavano fuori dalla finestra.
 
 
Dopo essersi seduto anche lui su una poltrona, venne subito al dunque.
«Light, hai portato ciò che ti ho chiesto?».
«Basho ha con sé i soldi e l’oggetto di una vecchia asta», rispose lasciando che la sua guardia del corpo glieli consegnasse.
«E i due uomini?».
«Arriveranno dopo perché ho dato loro prima un incarico da svolgere. Mi dispiace farti perdere tempo», spiegò.
In realtà lui stesso aveva ordinato ai due di giungere alla villa con l’altra auto dopo circa un’ora. Erano riusciti ad arrivare ad un accordo, ma Light non si era dimenticato del fatto che l’altro boss avesse tentato di truccare l’asta della sera passata.
Ciò che stava facendo era un tentativo di rendergli pan per focaccia. Se Nakamura avesse avuto del lavoro da fare, sarebbe stato costretto ad aspettare e a trattenere i suoi ospiti.
 
 
 
 
Purtroppo quest’ultimo non aspettava altro: quella era l’occasione perfetta per tentare di ammansire il suo nemico, sapere qualcosa in più sul ragazzo biondo e riuscire a tirare fuori dalla bocca di Light un accenno riguardo ai suoi progetti futuri attraverso un apparente innocuo discorso.
Lui era sempre stato un uomo ingenuo. Farlo parlare con qualche scusa era un’ottima tattica per migliorare il piano che stava discutendo prima assieme agli altri boss.
 
 
Intanto Kurapika si era accorto delle occhiate gelide che quello sconosciuto gli stava rivolgendo. Non sapeva cosa stesse passando per la testa di quell’uomo e non si fidava di lui; il suo sesto senso gli diceva di stare all’erta.
 
 
Dopo aver appoggiato la schiena sulla sua poltrona, Nakamura prese una campanella che era appoggiata su un comodino e la suonò.
«Visto che siete costretti a restare qui per un po’ di tempo, è il caso che il mio servitore ci porti qualcosa da bere», disse sorridendo tranquillamente.
«Ripeto che mi dispiace molto esserti d’intralcio nei tuoi lavori», fu la risposta del signor Nostrade, il quale cercava di mettere in evidenza quel problema.
«Non avrei avuto comunque niente da fare, caro Light. Rilassati!», concluse con un atteggiamento altezzoso che fece irritare parecchio lui e le sue guardie del corpo.
«Mettetevi comodi: siete tesi come le corde di un violino», commentò l’uomo, «Cominciamo a conoscerci meglio. Sono sicuro che abbiamo tante cose da dirci!».
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
Alla villa dei Nostrade regnava la concentrazione. Tutti i membri che erano rimasti al suo interno stavano svolgendo dei compiti che il capo aveva loro assegnato.
La giovane Senritsu stava facendo alcune ricerche al computer. La fitta pioggia che era cominciata da mezz’ora non faceva altro che metterla a disagio.
Voleva tanto stare vicino a Kurapika; chissà a che ora sarebbero tornati quella sera.
 
 
All’improvviso il suo cellulare squillò. La ragazza corse subito a vedere chi era; purtroppo non la stava chiamando il Kuruta, ma la incuriosì comunque il fatto che fosse Gon.
 
 
«Pronto?».
«Ciao, Sen! Ti disturbo?», chiese il moro con la sua solita voce squillante.
«No, tranquillo. Mi fa piacere sentirti», rispose serenamente.
«Sei a casa?».
«Sì».
«Sei rilassata?».
«… Ehm, sì… più o meno».
«Stai bene?».
«… Gon, che cosa c’è? Perché mi hai chiamato?», chiese stranita per via di quelle domande.
«Beh… questa mattina non ci hai raggiunti al parco. Ci chiedevamo se fossi arrabbiata con noi», rivelò il giovane.
Lo stupore che provò Senritsu in quel momento fu tale da lasciarla a bocca aperta.
Si erano davvero preoccupati così tanto per lei?
«Ma… certo che no! Come potrei avercela con voi? Ho fatto altre cose», spiegò.
«So che è maleducazione chiedertelo… ma cosa dovevi fare?».
La domanda così invadente di Gon la spiazzò.
C’era un motivo per il quale fosse così curioso? Oppure… gli interessava solo che tipo di risposta avrebbe dato?
Comunque fossero le cose, doveva inventarsi subito una scusa plausibile.
 
 
«Ecco… stavo poco bene, così sono rimasta in caffetteria al caldo; poi sono tornata a casa per svolgere alcuni lavori».
«Hai detto una bugia!», affermò il giovane.
«C-Cosa?!», sbottò allibita.
«Allora è vero che c’è qualcosa che non va…», mormorò Gon tristemente prima di allontanarsi dal telefono.
«Ehi, Gon! Ci sei?... Pronto?», provò a chiamarlo preoccupata.
Come faceva a sapere che stava mentendo?
 
 
Dopo qualche secondo fu Killua a risponderle.
«Ehi, Sen…».
La giovane ebbe il sospetto che il suo coetaneo avesse sentito fino a quel momento l’intera telefonata.
«Killua, mi spieghi cosa sta succedendo?».
«Mi pare che non sia io a dover dare delle spiegazioni», la corresse.
«… Ma perché Gon ha reagito così?».
La risposta di Killua venne dopo diversi secondi.
«Quando Kurapika ci ha raggiunti, ha detto che tu dovevi sbrigare una commissione urgente. Credo sia tutto il contrario di ciò che hai annunciato poco fa».
 
 
Era tutto chiaro. Gon e gli altri l’avevano telefonata per accertarsi che Kurapika non avesse mentito riguardo alla sua posizione.
In effetti c’era da aspettarsi una cosa del genere; era logico che prima o poi i tre si sarebbero insospettiti per la sua assenza.
A lei non era venuta minimamente l’idea di chiamarli e scusarsi. Aveva così tante cose per la testa da non essersi curata di quel particolare e non sarebbe stato facile spiegare l’intera situazione.
Il Kuruta non aveva informato loro del litigio…
 
 
A farle tornare la lucidità fu un rumore improvviso che sentì nel cellulare.
«K-Killua?».
«Tranquilla, ho solo messo il vivavoce. Siamo a casa con il telefono fisso», spiegò allontanandosi dall’oggetto. Subito dopo chiese: «Sei arrabbiata con noi per qualche motivo?».
La giovane stava per ribattere, ma Leorio si intromise domandando: «O meglio… è successo qualcosa con Kurapika?».
«E’ vero! Quando gli abbiamo chiesto di te, ha fatto una faccia abbastanza seccata. Abbiamo avuto la prova del suo comportamento sentendo la tua versione dei fatti», concluse Killua.
«… Ma voi non c’entrate niente! Perché vi intromettete in questa faccenda?», sbottò la ragazza ormai stufa di essere tempestata di domande. Non aveva proprio voglia di ritornare su quell’argomento.
«Sen…», la chiamò Leorio, «Se è successo qualcosa, importa a tutti noi! E poi non mentire: sappiamo bene in che situazione si trova Kurapika».
«Non siamo anche tuoi amici? Se dici di non intrometterci, potrei iniziare a pensare il contrario!», le rinfacciò Killua semplicemente per farla riflettere.
A quel punto la giovane si arrese. Era inutile negarlo: cercare di trovare da sola una soluzione ai problemi del Kuruta era impossibile. Forse le avrebbe fatto bene sfogarsi un po’…
 
 
«Si vede che siete i suoi migliori amici: la vostra forza di volontà non mente. Chi meglio di voi può capirlo?», cominciò a dire sentendo l’angoscia invaderla.
Killua e Leorio preferirono rimanere in silenzio e aspettare fino a quando le sarebbe tornata la voglia di parlare.
«Proprio… perché siete così uniti… dovreste sapere come stanno le cose. Kurapika sta peggiorando, sta diventando un’altra persona… e voi che lo conoscete da più tempo dovreste esservene accorti. Il lavoro che fa lo sta distruggendo: è sempre pallido e molto magro. Mangia poco, ma assume così tanti alcolici da farmi paura. Quando stamattina eravamo nella caffetteria, ha aggredito a parole un povero cameriere, insultandolo solo perché gli stava consigliando di prendere qualcos’altro…».
Fece una breve pausa, mentre dall’altra parte i due si stavano osservando stupiti.
«… A quel punto non ce l’ho fatta più. Ho cominciato a rimproverarlo per essersi comportato da sciocco; infatti non voglio che lui si riduca come me, facendo lo stesso sbaglio che abbiamo commesso io e il mio amico…».
«E lui?», chiese Killua incuriosito.
«… Mi ha detto di tacere dimostrandomi che io non ho mai provato il fatto di essere sommersa da responsabilità, solitudine, rabbia… Dice che nessuno lo può aiutare…».
Tirò un lungo sospiro prima di proseguire.
«Però… non capisce che vorrei aiutarlo, che gli fa male reagire così. Un’ora fa è uscito all’insaputa del nostro capo per andare in un bar vicino alla villa a fare quello che voleva».
«Eri l’unica a saperlo?», le domandò Leorio.
«Sì, ma perché l’ho scoperto io! L’ho bloccato un attimo prima che potesse uscire. Vedendolo fare lo strafottente come al solito , mi sono arrabbiata e l’ho sgridato pesantemente. So che sarebbe stato meglio non farlo, ma non so più cosa fare per farlo ragionare».
 
 
Dopo qualche secondo di silenzio, Killua provò a dirle qualcosa per farla stare meglio, ma Senritsu riparlò.
«Scusate se mi sono dilungata. E’ solo che… credevo di riuscire a risolvere questa faccenda senza l’aiuto di nessuno. Ricordando tutte queste cose, però, mi sono resa conto che la più egoista sono io. Ecco perché litighiamo: non faccio altro che peggiorare le cose e lui stesso ama cacciarsi nei guai. Temo… che gli succederà qualcosa se non starà attento».
Sentì improvvisamente i suoi occhi inumidirsi e la sua voce farsi sempre più roca.
«Perdonatemi… sono una stupida…».
 
 
Sentendola reagire così, gli interlocutori abbassarono lo sguardo. Credevano che dovessero tenere a freno il ragazzo solo quando aveva del tempo libero, ma si sbagliavano. La situazione era ancora più grave.
 
 
«Non sei sola, Sen…», cominciò a dire Leorio, «Non sai quante volte abbiamo provato a parlarne con quell’idiota, ma il suo lavoro lo sta trasformando. Non abbiamo più l’occasione di vederci spesso; abitiamo nella stessa città, ma sembriamo non so quanto distanti…».
Alla ragazza facevano piacere quelle parole; non era l’unica a pensarla in quel modo.
«Lui dov’è adesso?», chiese all’improvviso lo Zaoldyeck.
«… Di sicuro non è con me. Ieri sera abbiamo fatto delle trattative ad un’asta. Ora è andato insieme a Basho e al capo dal boss che si occupava di tutto per completare gli affari», spiegò la giovane.
«Ascolta, Sen…», la chiamò il moro, «Sappi che non hai colpa di niente. Ricordati che Kurapika è diventato così per ciò che gli è successo quand’era un bambino; la depressione è una brutta bestia che è difficile reprimere».
«Lo so. Per questo ho paura…», rispose pensando all’accanimento che il biondo aveva avuto contro di lei per avergli ricordato sua madre.
«Lui… era diverso quando abbiamo fatto l’esame per diventare Hunter. Dov’è finita la sua mania della perfezione, i suoi discorsi da enciclopedia e il suo desiderio di risolvere i problemi sempre insieme? Voglio capire cos’ha nel cervello, ma non posso avvicinarmi a lui quando sta svolgendo dei compiti così pericolosi! Bah, sarà che sono un migliore amico troppo perfetto per lui…», continuò a dire Leorio con amarezza, mentre lasciava che la sua mente viaggiasse nei ricordi, «Perciò… visto che hai l’occasione di stargli vicino, continua a dargli tutti i consigli che puoi. E’ un ragazzo intelligente e che sembra tutto d’un pezzo, ma in realtà è molto sensibile».
«Ti ricordi che mi avevi già chiesto questo quando eravamo all’aeroporto di York Shin? Non l’ho mai dimenticato!», rispose lei accennando un sorriso e sentendosi sollevata.
«Grazie, Sen. Conto su di te».
«Ehi?», s’intromise Killua, «… Noi siamo sempre qui!».
«Grazie, sei troppo gentile!», esclamò la ragazza, «E… per favore, spiega tutto a Gon».
«A quello zuccone? Guarda che ha sempre delle reazioni esagerate, però posso dirti che tu gli stai molto a cuore», la rassicurò.
«Oh, meno male!».
«Dai, ci sentiamo domani?», domandò il medico.
«Se si potrà… Sono contenta che abbiate pensato a me e a Kurapika».
«Forza e coraggio, eh?».
«Sì… Buona notte».
 
 
 
 
Appena chiuse la chiamata, la ragazza tornò ad osservare il computer dove stava prima lavorando. Era talmente stanca che le bruciavano gli occhi appena questi osservavano lo schermo.
Decise di fare una pausa e andò a sdraiarsi sul suo letto. Non le importava di terminare il compito a mezzanotte; doveva interrompere tutto anche solo per una decina di minuti.
Mise la testa sul cuscino e le costò veramente tanta fatica non addormentarsi.
“Kurapika… torna presto…”, pensò preoccupata mentre continuava ad osservare le stelle dalla finestra più vicina.
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
Il buio era ormai diventato il padrone della città e le strade di essa erano deserte ed illuminate solo dalla luce degli enormi lampioni. C’erano ancora pochi ragazzi che passeggiavano nei marciapiedi delle vie principali, ma c’era freddo e si tenevano coperti con ingombranti giubbotti in piuma d’oca.
 
 
L’interno della villa di Nakamura era stato riscaldato a sufficienza da ben cinque termosifoni e tre pompe di calore, i quali erano stati tenuti accesi nel salone fino a qualche minuto fa. Era davvero difficile restare lì dentro con quegli abiti eleganti e poco comodi.
Gli interessati non avevano ancora iniziato a discutere di cose importanti; nonostante fosse tardi, Nakamura aveva fatto portare da un suo servitore un vassoio di porcellana sul quale erano stati messi dei piatti contenenti diversi tipi di biscotti, delle zollette di zucchero e quattro tazze piene di tè verde.
Appena l’uomo disse loro di servirsi, Basho non se lo fece ripetere due volte. Lui non era il tipo che si ingozzava di tutti i cibi che gli offrivano e tantomeno gli piaceva il tè; purtroppo quella sera non avevano cenato abbondantemente e, proprio perché non era la prima volta che ciò capitava, il giovane stava cominciando a sentire il bisogno di mettersi in forze.
Mentre lui era impegnato a divorare i biscotti, Light beveva a piccoli sorsi il suo tè; non riusciva a goderselo fino in fondo per via dell’ansia terribile che non riusciva a combattere.
 
 
L’unico che non aveva ancora toccato niente era Kurapika; non poteva fare a meno di osservare chi gli stava intorno e di analizzare la situazione.
A parte Basho si era creata un’atmosfera di parecchia tensione fra il suo capo e quello strano individuo.
Quel signore non gli piaceva per niente: da quando avevano messo piede dentro la sua villa, li aveva scrutati dalla testa ai piedi. Fino a quel momento non aveva fatto altro che vantare il suo orgoglio per quanto riguardava la sua lussuosa casa, le sue ricchezze, le sue mille divise, la sua erudizione su infiniti argomenti… Inoltre pareva provare gusto a stuzzicare Light per non sapersi organizzare e non essere calmo; perdeva tempo a consigliargli dei medicinali a base di erbe ed esercizi di rilassamento.
C’era qualcosa che al Kuruta non piaceva nel suo modo di fare così altezzoso e non gli garbava soprattutto il modo in cui lo stava osservando: aveva i suoi occhi neri come l’inchiostro piantati nei suoi di colore azzurro e il suo sguardo emanava un misto fra rabbia e curiosità.
Non sopportava quando qualcuno lo studiava da lontano senza spiegare il motivo del suo comportamento. Era stato proprio lui a volerli ingannare l’altro giorno.
Perché mai dovrebbe raccontare la sua vita personale, dare consigli ed essere così apparentemente tranquillo?
 
 
Kurapika non stava bene neanche quella sera; non sapeva spiegarselo, ma aveva un terribile malessere fisico e la testa continuava a girargli fino ad annebbiargli la vista. Un senso di nausea lo opprimeva e vedere il tè o del cibo in generale peggiorava la sua situazione. Non voleva assaggiare niente e avrebbe dato qualsiasi cosa per prendere una bevanda che avrebbe potuto tirarlo su.
Le insopportabili occhiate di quell’uomo e il caldo soffocante che albergava in quel salone non lo aiutavano di certo.
 
 
 
 
Quel silenzio allo stesso tempo fastidioso e assordante venne interrotto da Nakamura che tossì delicatamente per richiamare l’attenzione di tutti. Poi girò improvvisamente la testa verso il Kuruta.
«Ehi, ragazzo…».
Il biondo, essendo stato chiamato, cercò di riprendere la sua lucidità e tornò ad osservare quell’uomo con volto serio.
«Come mai non mangi e non bevi niente? Questo tè verde è di ottima qualità!», cominciò a chiedergli l’altro.
Quell’atteggiamento infastidì Kurapika e preferì ignorare la sua domanda.
Basho, però, s’intromise.
«Che strano! Tu adori molto il tè!».
«Ah, davvero?», domandò Nakamura con un’espressione avvilita talmente poco credibile da far venire voglia al Kuruta di spaccargli i denti.
Light osservò il giovane con sguardo curioso, perciò Kurapika si vide costretto a rivolgergli la parola solo per vedere dove volesse arrivare.
«Non ho fame», fu la sua secca risposta. Tra le cose più orribili che il ragazzo avrebbe potuto fare, dopo aver bevuto tutti quegli alcolici, c’era sicuramente l’idea di mettere sotto i denti qualcos’altro.
 
 
La reazione di quell’uomo fu un’energica risata. Nessuno dei presenti se l’aspettava da parte sua, tantomeno il biondo.
Dopo aver ripreso fiato, il signore parlò.
«Sai chi mi ricordi, ragazzo? Il mio vecchio pastore tedesco Sam. Era un cane che non amava farsi accarezzare e, se non gli piaceva qualcosa, abbaiava arrogantemente. Ma quando sentiva il profumo del suo adorato cibo preferito, le cosce di pollo, diventava un altro animale. Aspettava però sempre elegantemente che io gli mettessi il piatto davanti agli occhi e faceva il prezioso annusando attentamente la carne. Ah, che bastardo… però gli volevo bene».
 
 
La costernazione si dipinse sul volto del giovane. Venne a lui e a Basho il presentimento che non avesse la testa completamente a posto.
«Scusi… mi sta paragonando al suo cane?», chiese il biondo ancora sorpreso.
«No, non fraintendere! Sam è il primo esempio che mi è venuto in mente, tutto qui», rispose l’altro agitando le mani. Poi continuò: «Quante volte mangi al giorno? Sei pallido e magro come un chiodo!».
«Nakamura…», lo chiamò Light per farlo smettere.
«Non lo sto dicendo per offendere il ragazzo, ma sto dando i miei soliti consigli. Sembra così inquieto e quasi malato!».
Si rivolse a Kurapika.
«Se questa è la tua costituzione, scusami. Altrimenti ti dico che non basta indossare una divisa nera per nascondere il tuo pallore».
 
 
L’irritazione del giovane raggiunse il culmine. Riacquistò le energie ed osservò l’uomo con odio.
«Le dispiacerebbe tanto se si facesse i cazz…».
Prima che potesse fare quella domanda, la quale non avrebbe fatto altro che metterlo in cattiva luce, a Basho vennero dei fortissimi colpi di tosse che fecero sospendere la discussione.
Light concentrò la sua attenzione su di lui, osservandolo preoccupato.
«E’ tutto a posto, Basho? Stai bene?».
«Sì, certo… Scusate, mi devono essere andate di traverso le briciole di un biscotto. Dannazione!», rispose colpendosi forte il petto con una mano. Subito dopo osservò il Kuruta e gli fece un veloce occhiolino.
Allora il biondo capì che l’aveva fatto apposta per evitare che la sua frase potesse scatenare delle situazioni indesiderate.
Fece un grosso respiro e cercò di controllare i suoi impulsi di riempire Nakamura di pugni: arrabbiarsi così voleva dire “fare il suo gioco” e perciò non poteva permettersi di abbassarsi a quel livello, bensì di rispondere nel modo più provocatorio possibile nel caso fosse ricapitato ciò.
Doveva stare molto attento ai suoi occhi: se si fosse irritato troppo, sarebbero diventati scarlatti e quella era una cosa che non poteva permettersi di accadere. Maledisse sé stesso per non essersi messo le lenti a contatto quella sera.
 
 
«Perdonami, cosa mi stavi dicendo prima?», chiese l’uomo con il suo solito sorriso da ingenuo.
Kurapika non era sicuro che lui avesse inteso cosa volesse dirgli, ma mentì comunque per il suo capo dicendo: «Stavo per chiederle se le dispiacerebbe… farmi una lista delle cose negative che mi ha riscontrato. Dopo quello che ha detto, dovrei proprio iniziare a preoccuparmi!».
 
 
Il sorriso di quel boss si spense. Si rese conto che anche lui lo stava prendendo in giro.
“Interessante… il biondino vuole fare botta e risposta, eh?”, pensò, “Va bene, giochiamo! Sono sicuro che mi renderà tutto più facile!”.
Così Nakamura cominciò a stuzzicarlo.
«Come desideri. Prima di tutto ti posso assicurare che quel tè non è avvelenato; se tu volessi, potrei assaggiarlo dalla tua stessa tazza per toglierti ogni dubbio». Poi aggiunse: «Volendo fare lo psicologo… ti dico che secondo me appari molto teso perché non ti rilassi mai; sei sempre all’erta come Light. Guarda che non ti fa di certo bene fare l’ansioso! Devi imparare ad abbassare la guardia e a stare sereno».
Il giovane cercò di farsi scivolare via quelle assurde parole; Light ascoltava interessato la discussione mentre beveva il suo tè.
Sistematosi meglio sulla poltrona, Nakamura continuò: «Caro mio, non si vede da questo comportamento se si è un mafioso di alto livello».
 
 
Stava esagerando. Il ragazzo non poteva fare a meno di sentirsi ricoperto di insulti indiretti; lo stava trattando come se fosse più piccolo della sua età e questo non gli piacque.
Doveva forse ascoltare gli insegnamenti di un tipo sconosciuto ed impenetrabile? Non ci pensava proprio!
La risposta del Kuruta fu immediata.
«La prudenza non è mai troppa. Sa, non mi fido molto dei finti teneri cerbiatti in smoking che alloggiano nella sede distaccata di Buckingham Palace».
 
 
Basho dovette trattenersi dal fare una sonora risata. Quella frase detta così freddamente ed ironicamente allo stesso tempo era perfetta per ribattere. Dopotutto Kurapika stava solo attuando la stessa tattica di Nakamura.
«Questa è buona…», bisbigliò sorridendo, ma Light lo fulminò con lo sguardo per farlo tacere.
Anche al capo stava piacendo la grinta del biondo, però, vedendo Nakamura osservare il giovane come se volesse lanciargli una maledizione, si vide costretto ad intervenire.
«Scusalo per il suo carattere, ma è fatto così: mantiene il suo sangue freddo», spiegò soddisfatto.
«Sì… l’ho notato», rispose l’altro a denti stretti, «E’ un tipo molto diretto, non ha peli sulla lingua… E’ interessante vedere com’è la sua visione del mondo. Paragona le persone ad animali, come ho fatto anch’io… Beh, devo ammettere che in questo siamo simili».
Kurapika ascoltava in silenzio i suoi discorsi filosofici parecchio ridicoli e contraddittori.
«Non sei niente male in quanto a voler cadere in piedi, ragazzo. Da quel che ho potuto capire, devi valere molto e magari… sei anche molto carismatico», rifletté, «Come ti chiami?».
 
 
In realtà l’uomo sapeva benissimo il suo nome, ma lo voleva sentire parlare: lo incuriosiva.
 
Il Kuruta rimase del tutto indifferente. Non ne poteva più di conversare con quel capo Mafia così caparbio e ostinato a rovinargli la serata.
«Anche se glielo dicessi, le cambierebbe qualcosa?».
«Mi pare di no, però io ho già avuto modo di conoscere il tuo compagno Basho tempo fa. Vorrei evitare di chiamarti ad esempio “bel biondino” o usare altri soprannomi». Poi concluse dicendo: «Lavori per Light, ma non dimenticarti che in questa stanza è presente solo gente mafiosa e tu sei sulla nostra stessa barca».
Dopo aver visto la fronte del Kuruta aggrottarsi per le cose inaudite che gli stava dicendo, non poté che lasciarsi scappare un’altra risata.
 
 
 
 
«… Non ricordo di aver firmato qualche contratto con una persona che voleva ingannare all’asta alcuni boss per utilizzare le unghie di quella principessa come grattaschiena».
Non poteva trattenersi più. Kurapika gliel’aveva detto.
Come poteva quell’uomo dire certe cose, parlare di accordi quando era stato il primo a voler mandare in fumo i loro piani? Con che coraggio?
 
Nakamura sentì una rabbia improvvisa ribollirgli nelle vene. Non pensava che quel ragazzo fosse così diretto. Lo odiava di più, sempre di più.
 
 
Light dovette calmare le acque rimproverando il giovane.
«Ora basta, Kurapika! Vedi di controllarti!», gli ordinò. La sua espressione, però, non era adirata.
Il ragazzo capì che non era contro di lui e tutto fu più chiaro quando il capo spiegò a Nakamura: «Scusalo, è colpa mia. L’ho abituato io ad essermi molto fedele. Devo ammettere che con gli altri non ha problemi a mettersi in competizione per la nostra famiglia».
 
L’uomo cercò di far scomparire dal suo volto quell’espressione da sottomesso e continuò a parlare come se niente gli fosse stato detto. Era cosciente della veridicità delle parole del biondo, però non poteva permettere che loro gli infangassero la reputazione.
«Non fa niente, Light. Anzi, ti faccio i complimenti: hai creato proprio un mostro… in senso buono, eh?», rispose facendo al Kuruta un sorriso sornione.
«Inoltre gli ho insegnato a non fidarsi mai delle false persone che cercano di mettere nei problemi gli altri e poi si mostrano tutt’ad un tratto socievoli», continuò Light facendo risollevare il morale a Kurapika.
«Ci mancherebbe altro!», esclamò l’altro boss. Poi, assumendo un’espressione più tranquilla, disse: «Guardate che è inutile continuare a girarci intorno: so di essere io l’ingiusto. Vorrei però che mi capiste! Voi siete una famiglia mafiosa più benestante della mia; anche se sembra il contrario, io preferisco rendere ben visibile il mio status sociale facendo diventare la mia villa più lussuosa di una reggia. Invece voi celate i vostri segreti… E’ normale che in questi casi preferisca il bene di altre persone meno avvantaggiate piuttosto che il vostro».
 
 
Nella sua autodifesa non c’era una scusante. Il motivo era semplice: prima quell’uomo diceva che dovevano tutti collaborare, poi preferiva occuparsi di altre persone che avrebbero potuto anche truffarlo allo stesso modo. Inoltre non faceva altro che esporsi ai pericoli; gli agenti e la polizia non dovevano sapere come guadagnasse così tanti soldi, ma lui preferiva migliorare la sua estetica e basta.
La malattia dell’invidia era sempre più evidente.
 
 
Light ignorò la sua spiegazione e disse al Kuruta: «Puoi presentarti».
Il giovane vinse l’ostentazione.
«… Mi chiamo Kurapika».
Gli occhi di Nakamura mandarono un veloce guizzo di sorpresa. Fu certo che il ragazzo non stava mentendo e che non era parecchio interessato ad usare particolari pseudonimi.
«Oh, che nome strano! Giuro che non l’ho mai sentito!», affermò per mantenere comunque il suo atteggiamento diffidente, «Dimmi una cosa: non sei di queste parti, vero?».
 
A Kurapika venne subito uno strano presentimento. Non riusciva a trovare una spiegazione per la quale quel boss lo stesse riempiendo di domande.
Perché voleva sapere da dove veniva? Dove accidenti voleva arrivare?
L’ansia cominciò a crescere al suo interno. Cosa poteva rispondergli? Doveva automaticamente rivelare a lui e al suo capo di essere un Kuruta? La situazione stava peggiorando.
 
 
«… No, vengo da altri posti. E allora?», cominciò a chiedere stranito.
«Come sei riservato! Che esagerazione! E da dove mai verresti?».
Cocciuto… Era l’aggettivo più giusto per descrivere quell’uomo.
«Di sicuro da un posto dove circola meno aria viziata», rispose l’interessato lasciandolo ancora con l’amaro in bocca.
 
A quel punto l’uomo si rivolse direttamente al suo capo, facendo preoccupare il giovane ancora di più.
«Ehi, Light! E’ testardo il tuo Kurapika!», esclamò con espressione quasi divertita.
Adesso sarebbe lui quello ostinato? La falsità di quel tipo stava facendo saltare ancora di più i nervi al biondo.
«E’ proprio così che voglio le mie guardie: testarde», concluse Light senza stare a pensarci troppo.
Ma Nakamura aveva ancora la convinzione di poter ingannare quella mente apparentemente salda e tarata sulle sue idee. Era certo che ci fosse ancora qualcosa che Light non sapeva riguardo alla sua fedele guardia… qualcosa di importante.
 
 
«Dato che non riesco ad avere un dialogo amichevole con la tua giovane recluta, possiamo conversare noi due… da boss a boss!», propose dunque, «Raccontami qualcosa su questo ragazzo!».
 
 
 
 
Il cuore di Kurapika perse un battito. Adesso era nei guai.
Cosa avrebbe potuto rispondere il suo capo? Tra boss mafiosi una regola rigida era il fatto di non nascondere nessun argomento che potesse interessare la Mafia in generale. Pur essendo in competizione, Light non poteva fare scena muta o sviare la conversazione: sarebbe stato un atto molto sospetto.
D’altra parte non poteva nemmeno rivelargli l’abilità che possedeva sua figlia Neon e dirgli che grazie alle sue predizioni avevano guadagnato un sacco di tesori.
 
E se avessero cominciato a parlare della Brigata? Se Light si fosse insospettito? Se avesse cominciato a provare curiosità riguardo alle vere identità delle sue guardie?
Il mondo sarebbe caduto nuovamente addosso al Kuruta e quel bastardo voleva per forza sapere una risposta. Tutto era nelle mani di Light.
 
 
Il signor Nostrade, dopo averci riflettuto, osservò l’uomo e con coraggio rispose: «Sarò sincero. Io ho scelto questi ragazzi osservando le loro abilità; hanno forza, intelligenza e determinazione. Non mi sono voluto interessare ai loro affari personali e al loro passato; penso di non averne nemmeno il diritto e non sono obbligato a chiedere la vita di ognuno».
Nakamura cercò di metterlo in difficoltà dicendo: «Fai male, molto male. Questo dimostra che non conosci chi ti sta attorno abbastanza a fondo. Sembra che la libertà regni sovrana e che la concezione di capo Mafia sia quasi inesistente». Dopo aver indicato con i suoi indici Kurapika e Basho, rivelò: «Potrebbero farti qualche torto, sai?».
 
 
Basho si irritò profondamente per l’accusa. Doveva mettere in mezzo proprio colui che non aveva ancora detto una parola?
“E’ meglio se abbassi subito quelle dita, imbecille maleducato!”, pensò osservando poi il suo compagno, il quale lasciava trasparire dal viso un’espressione di disagio.
 
 
«Io ho piena fiducia nelle mie guardie, specialmente nelle persone che tu stai indicando e in una ragazza che ora non è presente», ribatté riferendosi a Senritsu.
Anche lui stava cominciando a temere quelle domande. Light si fidava molto dei tre, ma era anche vero che non aveva mai avuto un dialogo con loro riguardo a quegli argomenti. Quando era a York Shin, venne attirato dall’asta degli occhi scarlatti talmente tanto da aver reclutato un sacco di persone senza conoscerne la provenienza.
Doveva stare calmo; fino a quel momento gli sono stati sempre fedeli e quindi cercò di considerare le parole di Nakamura come cose futili, pensando oltretutto agli errori che commetteva quella stessa persona.
Non erano affari che gli riguardavano e non aveva il diritto di fare appunti sul suo operato.
 
 
Nakamura non aspettava altro che quella risposta. E così c’era una ragazza per completare il podio! Tutto si stava facendo tremendamente interessante.
 
«Fai come ti pare», continuò, «Io con i miei uomini sono tutt’altro che concessivo: li sottopongo a duri allenamenti fisici e psicologici per resistere alle intemperie o alla forza dei loro nemici. Li rendo dei carri armati indipendenti, carismatici… e obbedienti». Rivolgendo a Light uno sguardo di superiorità, chiese: «Non fai niente di tutto ciò?».
 
“Ancora con queste domande! Già il capo lo ha informato di Senritsu… Quando la finirà?!”, pensò il Kuruta temendo che il signor Nostrade potesse rivelare accidentalmente qualcos’altro.
 
«Non tratto i miei come delle cavie e so quali sono i loro limiti. Mi obbediscono, quindi concedo loro di stare abbastanza liberi», rinfacciò l’interessato, mentendo però sul fatto che conoscesse le loro debolezze e lacune.
L’altro boss non perse l’occasione di pavoneggiarsi ancora.
«Cosa? Si prendono tutta questa libertà?! Dammi retta: se non li abitui adesso a sudare, ben presto ti accorgerai che avranno esaurito la loro prestanza fisica! Infatti i miei lavorano sodo di giorno e riposano la notte quattro ore, se tutto va bene».
“Crede di sapere tutto, ma scommetto che i primi ad ammalarsi e ad abbandonarlo saranno i suoi cosiddetti carri armati!”, rifletté Basho osservandolo con disprezzo.
 
Light cominciò ad arrabbiarsi.
«Con Kurapika è diverso!».
 
Il biondo si gelò. Era appena successa una fra le tante cose che temeva: il suo capo aveva rivelato a quell’impiccione il suo lavoro di pedinamento e perlustrazione notturna.
Era grazie a quella se scoprivano indizi e segreti importanti sulle altre famiglie; Light non poteva lasciarsi andare e rivelare tutto solo per mostrare la sua validità.
Quel boss lo stava interrogando come un prigioniero con l’intenzione di riuscire a strappargli alcune informazioni utili per mandare a monte un’altra asta o cose simili.
Il ragazzo l’aveva capito, lui no.
Doveva interromperli? Se l’avesse fatto, Nakamura avrebbe smesso con le domande o sarebbe solo servito per buttare benzina sul fuoco?
 
 
Il loro avversario si incuriosì e tornò ad osservare il ragazzo dalla testa ai piedi.
«Ehi, Light! Vorresti dirmi che fai lavorare Kurapika più degli altri e con il mio metodo? E poi… cosa mai farebbe di tanto eroico questo giovanotto così apparentemente fragile?».
 
Che faccenda complicata: li stava mettendo nel sacco con delle semplici ma dolorose provocazioni.
 
«Perché dovrei dirtelo? Ti sto solo facendo notare che non è tutto come pensi», fu la risposta.
 
Stavano perdendo tempo.
 
«Cosa mi dovrebbe importare dei tuoi uomini? Voglio solo sapere se Kurapika sa lavorare nel campo degli affari più costantemente di quanto usi la lingua», spiegò facendo un ghigno alla fine.
 
Il biondo aveva i nervi a fior di pelle, ma non tento di sfigurargli quella faccia odiosa.
Aveva capito un’altra sua tecnica: l’uomo aveva preso di mira il ragazzo per usarlo come diversivo. Soleva offenderlo in modo che qualcuno fra loro si adirasse e magari vantasse la sua posizione nella famiglia, contraddicendo le sue idee.
La cosa che ancora non capiva era il fatto che Nakamura stesse perdendo tempo solo con lui senza rivolgersi anche a Basho.
 
Purtroppo Light non faceva altro che irritarsi.
«Non ti permetto di rivolgerti così a lui. Ti assicuro che è una delle guardie più importanti!».
«Dai, stavo scherzando! Non hai proprio il senso dell’umorismo!», esclamò l’interlocutore, «E’ solo che continua a sorprendermi il suo carattere: quando prima reagiva alle mie battute, ora è il più silenzioso di tutti! Inoltre, anche se non me lo volete dire, vedo che è giovanissimo».
“E sicuramente più maturo di te”, pensò il giovane.
Un lieve sorriso increspò le labbra dell’uomo.
«Caro Light, mi sembra strano che un ragazzo di quest’età sia interessato a collezionare… parti del corpo. Ci deve essere una valida motivazione, non credi?».
 
 
La sua affermazione fece irrigidire il capo. In effetti Kurapika era il più giovane fra i suoi uomini e aveva sempre avuto uno spirito combattivo contro certe bestie. Era come se non avesse ancora imparato a godersi la sua vita.
 
Nakamura aveva ragione… però…
 
 
Un pensiero gli attraversò la mente. Riflettendoci bene, anche sua figlia Neon aveva la passione per queste cose ed era più piccola di qualche mese rispetto al ragazzo.
Sentì di nuovo il vigore invaderlo e spiegò: «Qualunque sia il suo motivo, sono orgoglioso di ripeterti che lui non mi ha mai tradito e perciò gli sarò sempre debitore».
Il Kuruta, sentite quelle parole, si riempì di gioia. Era la prima volta che il suo capo lo difendeva così fermamente.
“Grazie”, pensò.
 
«Sai cosa ti dico, Nakamura? Che dovresti imparare a fidarti di più dei tuoi uomini, altrimenti comincia a dimenticarti l’idea di instaurare con loro un rapporto più sereno», concluse poi.
 
 
Se quel boss avesse replicato, si sarebbe capovolta la situazione e il filo del discorso si sarebbe spezzato.
Perciò riprese a dire: «Fammi riflettere, Light… Tu ti fai in quattro per aiutare coloro che lavorano per te e dici che sei loro debitore. Così mi fai credere che non siano esseri umani e che tu dipenda da loro».
«Non è così».
«Beh, buon per te! Devono essere davvero bravi per averti fatto guadagnare soldi e diventare quasi milionario!», affermò, «Non sarai anche tu un po’ troppo egoista?».
 
Giunse un tasto dolente per Light. Lui non voleva il denaro tutto per sé, non voleva far stremare le sue guardie per ottenere tutti quei benefici.
C’era un’altra ragione, la quale gli sarebbe costata cara rivelare; vedendo però l’espressione meravigliata dell’uomo, non poté fare a meno di togliergli ogni dubbio.
 
«… Ho bisogno di soldi… per fare felice la mia famiglia!».
 
Kurapika spalancò gli occhi.
“Non starà iniziando a parlare di Neon!”, pensò allarmato.
 
«Famiglia?!», sbottò Nakamura, «Non mi avevi detto che tua moglie era morta?».
Lo stupore del boss stavolta era reale. Mai si sarebbe potuto immaginare che nascondesse qualcosa anche sui propri cari, tant’era vero che credé di essere preso in giro.
«Mi sa che quel tè ti sta dando alla testa, Light. Sei solo: i meriti dovrebbero andare solo a te! Oppure sei arrivato a considerare le tue guardie come figli illegittimi?», chiese poi facendo un sorriso divertito.
 
Basho rimase paralizzato: se Light avesse parlato di Neon, sarebbero caduti nel baratro e lei stessa sarebbe stata di nuovo in pericolo.
 
«Ti sbagli… Il motivo è…».
“Che si fermi, maledizione…”, pregò il Kuruta cercando di farsi venire qualche idea.
 
 
 
 
Come se ci fosse stato un intervento divino, tutti sentirono all’improvviso un clacson suonare di fronte al cancello della villa per quattro volte: due lentamente e due velocemente, come se si stesse componendo una password.
Light e gli altri si rallegrarono capendo che erano finalmente arrivati i due uomini che dovevano diventare proprietà di Nakamura.
Però la questione non era ancora finita; lo capivano dallo sguardo irritato di quell’uomo, il quale era stato appena interrotto sul più bello.
«Kou, vai ad accogliere gli altri ospiti», ordinò a quello strano maggiordomo.
 
 
Con passo lento si diresse fuori dall’abitazione, ma dopo neanche due minuti era già rientrato con i due uomini.
Questi ultimi camminarono a testa alta verso Light.
«Salve, Akito e Nagumo», si rivolse a loro, «Questo è Nakamura, il vostro nuovo capo. Badate bene a portargli rispetto; tutto ciò che mi riferirà di brutto riguardo a voi peserà sulla vostra coscienza e condotta».
Per tutta risposta i due si portarono le mani al petto e chinarono il capo come segno di un ultimo saluto, un addio.
Subito dopo girarono la testa verso l’altro boss ed esclamarono: «Ogni suo desiderio è un ordine!».
 
L’uomo sorrise loro compiaciuto.
«Siete i benvenuti, miei cari. Mi aspetto molto da voi», cominciò a dire, «Al terzo piano di questa villa sono state preparate le vostre camere. I vostri colleghi vi stanno aspettando».
 
Non se lo fecero ripetere due volte: lasciarono il salone in pochi secondi.
 
 
Era accaduto tutto così velocemente! Kurapika sperava potessero rimanere ancora un po’, invece quel disgraziato li aveva liquidati solo per procedere con il discorso.
Non si era mai vista una cosa più egoista di quella!
 
«Ma che obbedienti, Light! Almeno ora so che non tutte le tue reclute sono dei tipi ribelli», ammise Nakamura.
«Te l’ho detto».
«Ascolta… li hai scelti a caso per darli a me?», domandò curioso.
 
Light si immaginò dove volesse arrivare: desiderava sapere qualcosa riguardo ai suoi guadagni anche attraverso quei due, ma lui aveva preparato tutto scegliendo proprio coloro che facevano la guardia alla villa nella parte posteriore. Non avevano niente a che fare con i suoi affari.
Light era ingenuo, ma non stupido.
«Mi dispiace, ma loro sono completamente estranei alle mie questioni di denaro», rispose deciso, godendosi poi il viso deluso di quel signore.
«Sei troppo misterioso… ma devo ammettere che a volte riesci a sorprendermi!», affermò grattandosi la testa. Il Kuruta capì che era nervoso perché gli stavano tremando le mani.
«Beh, almeno sono due tipi abbastanza robusti! Ti ringrazio…».
 
 
Ci furono diversi secondi di silenzio. Stava per riprendere l’argomento, lo sentivano. Non sarebbe servito a niente evitare di parlarne; si doveva affrontare la situazione e cercare di uscire dalla villa senza rimorsi.
 
 
«Allora… questa famiglia?».
“Testa di cazzo!”, pensò Basho iniziando a sudare.
 
Dato che Light non si azzardava a dire una parola, Nakamura raccontò: «Se ti può rendere più tranquillo, ti dico che mi occupo di fare affari con mio fratello di Osaka per lo scambio di sostanze dopanti! Non c’è niente da nascondere: siamo quasi colleghi!»
“Sta mentendo”, fu il primo pensiero del biondo, “Sarebbe sciocco rivelare una cosa del genere. Se fosse tutto falso e il capo tentasse di incastrarlo, ci andrebbe di mezzo lui perché non si sarebbe trovata nessuna prova contro quel farabutto”.
 
Purtroppo il viso di Light cominciò a rasserenarsi e Kurapika avrebbe fatto qualsiasi cosa per trasferire i suoi pensieri nella sua testa e svegliarlo da quella sorta di ipnosi.
 
 
Fu troppo tardi perché iniziò a parlare.
«Mia moglie è morta… ma mi resta la mia adorata figlia!».
 
“Merda!”.
 
«Hai una figlia? Non me ne hai mai parlato!», commentò l’altro deluso.
«Non ero obbligato a farlo».
«Quindi condividi le cose con tua figlia?!», chiese incredulo.
«Devo farla felice e darle quello che le piace! Dopo la morte di sua madre si sente sempre sola e senza pace… Voglio che le ritorni il sorriso sulle labbra», spiegò con aria commossa.
«Un grande boss mafioso… che si preoccupa dei capricci della figlia?! Giuro che questo da te non me lo sarei mai aspettato!».
 
Nakamura era veramente sorpreso. Doveva esserci una ragione molto grossa per la quale Light avesse tanto a cuore la ragazza… e lui voleva scoprirlo.
 
«So anche essere severo con lei!», continuò Light, «Però… si merita di ricevere molte cose…».
 
Il verbo “meritare” catturò l’attenzione dell’altro. Dietro quella semplice parola si nascondeva il motivo del successo parziale di Light. Riusciva a percepirlo.
Il signor Nostrade si stava mettendo nel sacco da solo.
 
«Non dirmi che stai già educandola agli imbrogli ed esponendola ai pericoli!».
Sentendosi dire questo, Light esplose.
«No… NO, per carità! Proprio lei? Non se ne parla! Ti sbagli… TI SBAGLI! Non posso permetterlo! Io… non posso e non voglio che corra pericoli! Non deve succedere…».
 
 
Kurapika e Basho lo guardarono atterriti. Non doveva reagire così.
Capivano che il ricordo dei poteri rubati a Neon fosse difficile da digerire, ma il sospetto che la ragazza fosse molto più che una semplice adolescente si stava facendo sempre più nitido nella mente di Nakamura.
 
Come se non bastasse, Light rivelò: «Anche per questo… voglio che venga protetta».
 
 
Quella frase fu come una doccia fredda per il Kuruta e il suo compagno. Il capo aveva confermato i sospetti di quell’uomo, il quale non avrebbe sicuramente più smesso di volerne sapere di più.
Si sentivano violati, come se li stesse lentamente spogliando di tutti i possibili segreti. Quel tipo non si sarebbe dato pace e avrebbe continuato a torturare il loro povero capo fino a quando non sarebbe riuscito a strizzarlo completamente come un panno.
 
Il Kuruta doveva pensare ad un’idea anche banale… e subito.
 
«Ho capito bene?», chiese Nakamura facendo un sorriso a trentadue denti, «Quindi la tua giovane bionda recluta deve farle da cavaliere?!».
 
 
 
 
Un rumore assordante invase tutta la sala. Fu talmente fastidioso che Basho si dovette tappare le orecchie.
Siccome proveniva dalla poltrona del biondo, tutti si girarono verso di lui. Kurapika aveva appena rovesciato i due vassoi dov’erano posate le tazze di porcellana, i cucchiai d’argento, tutti i biscotti, le zuccheriere… ed erano caduti anche due vasi di cristallo che erano messi vicino a quegli oggetti.
I pezzi di quei materiali si erano pericolosamente sparsi a terra; il ragazzo aveva combinato un disastro, ma era l’unica idea che gli era venuta in quel momento.
Tutti lo osservarono spaventati tranne Basho, il quale aveva capito il trucco.
 
«K-Kurapika!», lo chiamò Light preoccupato e allo stesso tempo arrabbiato per ciò che aveva fatto.
«Mi dispiace», rispose cercando di fare un’espressione mortificata.
«Ti sei tagliato?», domandò allarmato il signor Nostrade.
«No. Ora pulisco tutto», disse chinandosi a terra.
«Fermo!», lo avvertì Nakamura, «Rimani seduto e comodo: puliranno i miei camerieri. Ho il triplo degli oggetti che hai rotto».
 
 
 
 
Quel boss aveva preso una decisione: fermare la discussione temporaneamente. Aveva già scoperto abbastanza, ma non era finita lì.
Sentiva che quello non era il momento migliore per fare approfondimenti a causa del biondo che metteva i bastoni fra le ruote.
Avrebbe continuato ad indagare, ma utilizzando altri metodi. Voleva sottomettere quella famiglia in tutti i modi per avere campo libero, anche con la forza. Però non doveva avere fretta; quel ragazzo non gli incuteva paura, bensì una voglia matta di confrontarsi con lui e fargli patire le pene dell’inferno.
I Nostrade avevano vinto una battaglia, non la guerra. Presto se ne sarebbero accorti, presto avrebbero cominciato a lottare!
Questo promisero Nakamura e i suoi alleati.
 
 
 
 
Light osservò il suo orologio e vide che era mezzanotte.
«E’ tardi: dovremmo cominciare ad andare».
«Lo credo anch’io», concordò Basho.
 
 
Il signor Nostrade si era calmato e poteva capire meglio quali gravi cose erano uscite dalla sua bocca. Se non fosse stato per l’incidente di Kurapika, avrebbe messo in pericolo ogni persona a lui cara.
 
Il Kuruta, vedendolo amareggiato, si rivolse a Nakamura dicendo: «Se posso intromettermi, vorrei fare alcune precisazioni prima di andarmene».
Tutti lo ascoltarono in silenzio.
«Sappia che il mio capo vuole proteggere sua figlia, farla sentire a casa e non farle mancare niente… semplicemente perché è suo padre. E’ l’unico membro della famiglia che gli è rimasto, desidera non perderla mai e quindi può anche permettersi di viziarla. A differenza di certi umanoidi senza cuore che non hanno parenti e pensano solo ai soldi, lui sa provare dei buoni sentimenti. E’ per questo che gli rimarrò fedele!».
 
 
Light dovette girarsi per non farsi vedere: quel discorso l’aveva commosso.
Nonostante il suo comportamento infantile, la sua guardia prediletta era sempre lì a difenderlo anche nel torto.
 
L’altro boss ignorò i suoi insulti e pensò: “Certo, continua pure a tirare fuori gli artigli. Ben presto la smetterai di cantare vittoria; abbandonerai in lacrime il Giappone insieme al tuo capo e agli altri membri della tua maledetta famiglia. Sarete odiati da tutti!”.
 
 
 
 
Appena furono vicino all’uscita, Nakamura propose: «Siete sicuri di non voler fare un’alleanza con me?».
Light rimase sbalordito.
«Cos’è quella faccia? Mica ve ne pentirete! A me piace mantenere il contatto con gli altri; se vi uniste a me, potreste trarne benefici come una migliore riuscita dei piani e un maggior rispetto da parte delle altre famiglie», spiegò, «Volete proprio fare i solitari?».
Il signor Nostrade gli voltò le spalle rispondendogli: «Mi pare di non trovarmi poi così male lavorando da solo. Ringrazio la tua proposta, ma noi non ci alleiamo con nessuno».
L’altro immaginò quella reazione.
“Come vuoi, caro mio. Tu e le tue marionette avete appena firmato la vostra condanna”, pensò osservandoli come se volesse dare loro un’ultima occhiata prima di ucciderli.
 
Kurapika fu l’ultimo ad uscire e richiuse la porta che lo separava da quell’uomo facendo apposta un violento rumore.
 
 
Mentre i tre si stavano incamminando verso le due auto, dal piano superiore della villa gli altri boss mafiosi li osservavano attraverso un’enorme finestra.
«Sono i tre moschettieri?», chiese Satoshi.
«Così pare. Sono il biondino impiccione, il colosso ingordo e il loro capo ingenuo», commentò Shijo, «Li vedo già con le valigie in mano, pronti a levare le tende!».
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
Il viaggio di ritorno in macchina fu particolarmente silenzioso.
Light preferì guidare da solo una delle auto: voleva stare in disparte. La cosa peggiore che le sue guardie avrebbero potuto chiedergli era qualcosa riguardo a quella dannata sera.
C’erano così tante cose sulle quali avrebbe già dovuto iniziare a riflettere e a preoccuparsi, ma mancava la voglia di usare la testa.
Avrebbero iniziato a discuterne il giorno dopo; guidare in quel momento era la cosa più importante e, con il sonno che aveva, poteva essere pericoloso distrarsi.
La notte era lunga: aveva ancora cinque ore per pensare.
 
 
Kurapika e Basho erano sull’altra auto. Dopo aver visto che il biondo non si sentiva sufficientemente bene per guidare con sicurezza, l’amico prese il posto a sinistra.
Il Kuruta si addormentò sul suo sedile dopo neanche due minuti dalla partenza e quindi Basho non ebbe l’occasione di parlare con lui.
Tutto sommato non gli dispiacque: tirare ancora fuori quegli argomenti sarebbe servito solo a complicare le loro idee con mille supposizioni.
Che piega avrebbe preso la situazione?
L’unica cosa che poteva fare era rilassarsi durante quei pochi minuti che avrebbero impiegato per tornare a casa; si incantò a guardare le luci dell’auto del capo, la quale era prima della loro.
Il sentimento che più albergava nei loro cuori era l’essere rimasti impressionati e in un certo senso spiazzati dalla facilità con la quale Nakamura era riuscito ad ingannarli.
La loro ingenuità li portò ancora una volta a credere che l’esperienza con quello stano individuo fosse stata solo passeggera. Magari era solo una persona strana con vari complessi che presto o tardi li avrebbe lasciati in pace.
Ma la questione era molto più grave e nessuno, tantomeno Kurapika, avrebbe potuto immaginare cosa in realtà quella famiglia aveva in serbo per far provare il dolore della loro esistenza.
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
Quando misero piede all’interno della loro abitazione, si salutarono e si diressero verso le proprie camere a sistemarsi per dormire.
Tutte le altre guardie che lavoravano nella villa avevano finito i loro doveri ed erano andati a riposare già da tre ore; regnava un silenzio tombale.
 
Kurapika giunse finalmente nella sua stanza camminando a passo lento e cercando di sforzare la sua vista, la quale gli faceva ormai vedere tutto doppio.
Era esausto. La sua stanchezza derivava dall’accumulo delle fatiche a cui era sottoposto tutti i giorni e da tutto ciò che da molto tempo soleva bere.
Per poco non riusciva nemmeno a ricordare il viso di quell’odioso capo Mafia e, per quanta rabbia provasse in quel momento, non aveva la forza di continuare a ragionare sull’accaduto.
Riusciva a sentire i suoi insulti, il faticoso scontro di opinioni che era cominciato per una provocazione, tutti quei segreti che Light aveva buttato al vento, la figlia, i misteriosi poteri, l’alleanza…
 
 
Smise di pensare: non ce la faceva più. Il ragazzo perse l’equilibrio con la stessa rapidità di un oggetto a cui veniva staccata la spina.
Fece appena in tempo ad avvicinarsi a qualcosa che avesse potuto attutirgli la caduta, chiuse gli occhi e l’ultima cosa che sentì fu la morbida superficie di un materasso.
 
 
 
 
Il sonoro sbadiglio di Basho svegliò la povera Senritsu dal suo sonno, siccome la camera del giovane era vicino alla sua.
La ragazza, dopo aver tirato un sospiro di rassegnazione per le maniere poco garbate del suo amico, osservò l’orologio: era quasi l’una.
Pur sapendo che a quell’ora conveniva rimanere a letto, si riempì di gioia nel capire che i tre erano tornati sani e salvi; Kurapika era di nuovo vicino a lei.
Ricordandosi della conversazione avuta con i suoi amici, andò a vedere se il biondo era ancora sveglio. Non metteva di certo in dubbio che stesse dormendo, ma voleva avere la certezza che si sentisse bene.
Camminò con cautela nel corridoio buio, stando attenta a non inciampare nell’enorme tappeto, ed arrivò di fronte alla sua camera.
Bussò lievemente alla porta, ma nessuno le rispose.
La curiosità la vinse ed entrò.
 
Con suo stupore vide il ragazzo disteso a pancia in giù sopra il suo letto. Era caduto in un sonno profondo e aveva il respiro pesante.
Provò pena per lui vedendo che si era addormentato con indosso la sua elegante divisa e che non aveva avuto la forza di sistemarsi bene.
Non poteva lasciarlo così a prendere freddo. Prese dunque una coperta di lana dal suo armadio e la adagiò delicatamente sopra il giovane, facendo attenzione a non disturbare il suo riposo.
Il Kuruta fece un respiro più forte dei precedenti, ma fortunatamente non si mosse dalla sua posizione.
Senritsu non aveva più motivo di stare lì, però qualcosa la trattenne.
Si sedette su una sedia vicina ad osservare incantata il ragazzo.
Non sapeva spiegarsi che sensazione sentisse, ma l’espressione così innocente del biondo mentre dormiva le faceva provare tenerezza; sembrava mettersi in netto contrasto con il carattere antipatico che aveva tutti i giorni.
La mora sapeva che anche quella sera era stata faticosa per lui e per questo non riusciva a scacciare dal suo cuore quell’immenso timore che presto o tardi sarebbe successo qualcosa di grave; forse lui stesso sarebbe arrivato a commettere in futuro degli atti non consueti per la sua persona. Anche lei avrebbe probabilmente dovuto sopportare alcune cose.
 
 
All’improvviso un rumore catturò la sua attenzione: proveniva dal cellulare di Kurapika. Gli era arrivato un messaggio e l’avviso era di cinque ore fa; lui non se n’era accorto. Per il troppo sonno aveva addirittura lasciato acceso il telefono.
Senritsu non era la tipa che si interessava agli affari degli altri, ma decise comunque di leggere il messaggio con la convinzione che ci fossero scritte delle cose importanti.
 
Fece un piccolo sorriso scoprendo che invece il numero di telefono del mittente era di Leorio.
Aprì il messaggio e lesse:
-Buona notte, saputello! Sii sempre forte, te lo raccomandiamo… Da Leorio, Gon e Killua-.
 
 
Poche parole, un grande significato.
Era proprio vero che con brevi frasi d’incoraggiamento si poteva fare felice una persona che si sentiva sola.
“Ha degli amici che gli vogliono bene”, pensò tornando ad osservare il biondo.
Un senso di malinconia la oppresse. Tutto ciò le faceva ricordare i tempi in cui tutti i suoi compagni erano vivi e lei non era stata ancora vittima della Sonata Oscura. Si sostenevano a vicenda ed erano rimasti uniti fino al giorno della separazione.
 
Senritsu non poteva permettere che Kurapika patisse un dolore anche superiore al suo; perciò promise che, se il ragazzo a cui tanto teneva avesse avuto bisogno di qualsiasi cosa, lei gliel’avrebbe data.
Nessun amico era escluso e doveva assolutamente prendersi cura di lui; non importava che il ragazzo fosse volente o nolente.
L’egoismo e il troppo carisma portavano mai da nessuna parte e proprio la giovane, la quale sarebbe dovuta restare per sempre al fianco di Kurapika nella famiglia mafiosa, non poteva diventarne succube.
Anche se le loro strade si erano quasi ormai divise, tra i cinque non sarebbe mai successo niente che avrebbe rovinato il loro rapporto.
Con fatica sarebbero tornati sereni e con la stessa voglia di avventura che condividevano insieme da piccoli.
Insieme… come un tempo.
 
 
 
 
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Lazzaretto dell’autrice:
 
33 pagine di Word, ragazzi! 33 piene!
Questo è un Guinness World Record!
Kura:- Non crederti troppo, malata!-
Eh, sì: è proprio vero! T^T Non so come abbia fatto a scrivere questo capitolo! Tra inviti al mare ed improvvise serate uggiose mi sono bruciata, ho avuto la febbre e ancora adesso ce l’ho (più bassa).
Sentirsi male in estate è la cosa peggiore! Ti sembra di soffocare dal caldo…
Mentre scrivevo, avevo il ventilatore puntato in faccia (anche se troppa aria fa male). E il mio tenero cuginetto cosa fa? Mi strappa uno dei miei fogli! Ho dovuto riattaccare tutto come un puzzle! Non l’ho picchiato solo perché ha 3 anni…
Ho cercato di ricontrollare il capitolo più e più volte, ma non so se ci sono ancora errori di battitura o di grammatica. Se è così mi dispiace, però non ho potuto fare tanto X.X…
Sappiate che non vedevo l’ora di togliermi questo capitolo perché lo odio! Non c’è azione e tutto si concentra su un dialogo.
I prossimi non saranno così; anzi, vi dico che i veri casini non sono neanche iniziati.
Il discorso di quel disgraziato (Nakamura) è servito solo per far annusare a Kurapika e company l’odore del pericolo. Se quel boss è esperto nell’imbrogliare le persone con semplici parole, allora immaginatevi cosa può venire fuori se passa ai fatti!
Comunque spero che apprezziate il contenuto di questo capitolone! xD Il mio è stato un tentativo di dimostrare che una battaglia può avvenire anche con una discussione, senza il necessario bisogno di scazzottate (le quali però verranno in seguito)!
Voglio precisare altre cose…
Il titolo “L’udienza” è stato dato per una cosa che (ahimè) accadrà alla fine…
Poi spero di avervi trasmesso i maggiori sentimenti possibili!
Kura:- Non è una precisazione…-
Senti, torna nella storia e non rompere! Non ti conviene aprire bocca, visto che combinerai anche tu delle cose spiacevoli <.<…
Ho fatto un’enorme fatica ad evitare le ripetizioni! Ci sono state poche scene e mi sono dovuta adeguare! Speriamo bene xD…
Se volete che Leorio si “confronti” con Kura, dovrete aspettare il meglio/peggio! Ah, Kurapika ha una pazienza di ferro e Senritsu è una santa! U.U
Poi sono presenti alcuni verbi all’apparenza strani tipo “credé”. In realtà è giusta anche questa forma! Quando ho messo “credette”, Word me lo ha sottolineato…
 
Grazie mille a tutti coloro che hanno commentato/messo la storia tra le preferite e/o seguite.
Sto parlando di:
Faith Yoite
Hiroto49
Chichi Zaoldyeck
Raine93
 
E ovviamente grazie ai miei lettori anonimi (che io conosco xD) e a quelli che hanno letto anche solo una frase della mia fan fiction!
Voglio tanto bene a tutti! *-*
Killua:- Bleah…-

 
 
 
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Nel prossimo capitolo:
 
«Non c’è cosa più brutta di essere giudicato e preso in giro da una persona che forse ha studiato meno di te».
«Non ti sentiresti così giù di corda se fosse accaduto solo questo».
 
«Mi faccio schifo da solo…».
 
«Basho… sto male…».
«Kurapika!».
 
«Ucciderai chiunque oserà intralciare i nostri piani. Ti ordino di
non avere pietà!».
 
«Doveva scegliere proprio te per farle compagnia?».
«Cosa c’è? Ti dà fastidio?».
 
«Vorresti dire che questo diversivo…».
«Esatto. Sarà… la vittima sacrificale».
 
 
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Un bacione e recensite!^^
Scarlet Phantomhive.
 

  
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