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Autore: Alyss Liebert    05/07/2013    5 recensioni
Un bambino allegro, pieno di sogni e speranze è stato vittima delle discriminazioni contro la sua gente. Riconosceva di essere diverso dagli altri, voleva esplorare il mondo che lo circondava per imparare a rispettare le persone ed essere accettato.
Il suo clan venne sterminato pochi anni dopo per avidità e disprezzo. Ricordava i corpi senza vita dei suoi familiari, bruciati ed ammassati a terra come degli appestati, e i loro visi senza bulbi oculari...
"Quegli occhi scarlatti valgono una fortuna".
"Appartenevano ai figli del diavolo!".
Giurò vendetta a costo della vita, diventando un Blacklist Hunter per recuperare gli occhi dei suoi compagni e dare la caccia alla Brigata.
Il Kuruta si era incatenato nella parte più squallida della società, dove gli omicidi erano all'ordine del giorno e dove i frustrati diventavano peccatori.
Stavolta i problemi sorgeranno nella Mafia. In questa guerra Kurapika si renderà conto delle sue scelte sbagliate, dell'odio che lo ha accecato, di essere diventato un criminale.
Si risveglierà la sua parte malvagia e svanirà il suo buon senso. Non potrà contare sull'aiuto dei suoi amici e capirà di aver gettato la sua anima e giovinezza in un baratro dove non sarebbe più arrivata la salvezza.
Genere: Azione, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kurapika, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta, Spoiler!, Tematiche delicate
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L’udienza
Capitolo 1: “Sentimenti x Capacità x Pericolo”.
 
 
  
  
Tutto cominciò in Giappone, a Tokyo. Erano le quattro del mattino del cinque Novembre. Quella città normalmente affollata e caotica era deserta dalla sera precedente. Il buio e il freddo stavano ancora prevalendo in tutti i quartieri. Pioveva a dirotto e le gocce d’acqua copiose che continuavano a depositarsi sulle strade non davano il segno di voler cessare. Come se non bastasse, da qualche minuto aveva cominciato a farsi sentire il rumore dei tuoni e dei lampi, i quali parevano volersi scagliare minacciosi contro gli alberi della piazza e i tetti degli edifici più alti. L’unica cosa che mancava era il vento, ma quella non era di certo una buona scusa per uscire fuori di casa.
Era accaduto per la prima volta negli ultimi anni un coprifuoco serale scelto dagli stessi cittadini. Il motivo di quell’avvenimento fu una pericolosissima asta che durò dai primi minuti della mezzanotte fino alle tre del mattino seguente. Ad essa parteciparono tutte le famiglie mafiose più pericolose del Giappone; per quel motivo le persone, essendo state al corrente di ciò, si erano messe al sicuro nelle loro abitazioni.
Vennero venduti molti fra gli oggetti più rari e preziosi del mondo, compresi alcuni reperti trovati da famosi Hunter Archeologi e soprattutto parti del corpo.
 
 
 
 
 
Le uniche persone ancora a piede libero si stavano riparando dalla pioggia sotto il portico di un ristorante situato in un vicolo cieco. Indossavano entrambe degli impermeabili blu e avevano le teste coperte con i cappucci. La figura che reggeva una sorta di scrigno era di statura molto bassa e, a giudicare dai suoi lunghi capelli, pareva essere una ragazza. L’altra era molto più alta della precedente e teneva in mano un cellulare.
Cominciò a digitare velocemente un numero e si mise l’oggetto vicino all’orecchio, aspettando di ottenere una risposta.
Dopo due squilli esatti gli giunse la voce di una persona di mezza età che pareva essere molto agitata.
«Sono Light Nostrade. Chi parla?».
«Capo?», si limitò a dire l’interlocutore per rassicurarlo.
«… Finalmente, Kurapika! Ti rendi conto che è dalle undici che non mi hai più dato delle informazioni sulla tua posizione e l’asta?».
«Non ho deciso io l’ora in cui si sarebbe dovuta svolgere. Inoltre avevano proibito l’uso dei cellulari, quindi mi è risultato impossibile contattarla». La freddezza e la tranquillità, con le quali il giovane disse quest’ultima frase, fecero sorprendere e allo stesso tempo rilassare l’uomo.
«Va bene, ti credo. Dov’è Senritsu? Doveva seguirti!».
«E’ qui vicino a me e sta reggendo lo scrigno con l’oggetto che lei e sua figlia desideravate tanto».
«Siete riusciti ad ottenerlo?!», sbottò incredulo. Si meravigliò poi nel sentire una lieve risata provenire dalla sua fidata guardia del corpo.
«Aveva dubbi, capo?», fu la semplice risposta che diede facendo un sorriso alquanto sinistro.
«Come avete fatto? Voglio i minimi particolari!».
«Non ce n’è bisogno. Mi limito a dirle che il suo nome e cognome si è ben diffuso tra le famiglie mafiose, tanto è vero che ci hanno visti con cattivo occhio non appena abbiamo varcato la porta d’ingresso. Grazie all’acuto udito di Senritsu abbiamo potuto scoprire che stavano complottando contro di noi».
«Non mi stupisco. Sanno che sono una persona molto temibile».
«Però noi due siamo riusciti a ricattarli. Dato che minacciarli sarebbe stata una scelta sconveniente per la sua incolumità, abbiamo avuto un dialogo faccia a faccia con colui che aveva architettato il piano».
«Dunque?».
«Siamo riusciti a convincerlo a non truccare la parte dell’asta interessata in cambio di due dei nostri uomini da assumere come guardie della loro villa, 50.000 jeni e almeno uno degli oggetti che è riuscito a recuperare fino ad ora».
«Come dici?! E’ un affare sleale!», esclamò allibito.
«Non direi proprio. Prima di tutto non accettava altre condizioni, poi non ci ha praticamente fatto sborsare un soldo per comprare l’oggetto. Quel signore infatti ha avvertito tutti i mafiosi che partecipavano per il nostro stesso scopo di partire con delle basse offerte e di non alzare il prezzo di oltre una cifra prestabilita. Alla fine abbiamo avuto l’oggetto per la bellezza di soli 10.000 jeni e in più lo scrigno che lo custodisce ne vale ben 200.000. Lei sarà costretto a dare via 60.000 jeni, dei nostri uomini e un oggetto prezioso, però lo scrigno vale molto più di ciò che perderà. Mi è sembrato un affare molto equo, il quale è andato a gonfie vele».
Light rimase senza parole. In tutta la sua vita non aveva mai trovato un ragazzo che sapesse soddisfarlo meglio di Kurapika; non perdeva mai le speranze e riusciva a cavarsela anche con poco, pur di risollevare le sorti della sua nuova famiglia.
«… Eccellente, ragazzo mio. Eccellente! Non finisco mai di stupirmi di te. Ti prometto che avrai una bella ricompensa insieme a Senritsu appena tornerete!», concluse gioiosamente.
«Ancora si stupisce? Si ricordi che nessuno può ostacolare i Nostrade in questa guerra», rispose il biondo con determinazione.
«Esatto. Allora, dimmi dove vi trovate».
«Vicino alla piazza, sotto il portico del ristorante Nagato».
«Perfetto. Basho passerà a prendervi tra qualche minuto. Rimanete dove siete!».
«Ricevuto. A dopo».
 
 
Appena riattaccò, Senritsu gli rivelò: «Ho sentito tutto!».
«L’avevo immaginato».
«Light tiene molto a te. Non so se tu debba ritenerti fortunato».
«Fortunato? Bah, staremo a vedere…».
«Ci sono due sedie là in fondo. Perché non aspettiamo Basho seduti?», chiese indicandole.
«Sarebbe il caso. Comincio a sentire la stanchezza di una notte passata in bianco».
 
 
 
 
Ormai Kurapika era diventato un pezzo grosso all’interno della Mafia; Light gli permetteva di recuperare oggetti di suo gradimento alle aste e firmare contratti con altre famiglie. Al ragazzo veniva data la maggior parte degli incarichi perché la fiducia che aveva in lui il suo capo era quasi diventata cieca. Faceva vita notturna, era raro che gli dessero operazioni da fare durante il giorno. Si era inoltre specializzato nei pedinamenti: grazie alla sua incredibile forza di volontà e lo Zetsu riusciva a scoprire essenziali informazioni per poter allontanare i nemici della famiglia e fare soldi, sfruttandone altre.
Siccome la notte in città circolava sempre altra gente di malaffare e qualche ragazzo ubriaco che poteva infastidirlo nelle sue missioni, fu obbligato ad indossare una divisa formata da maglietta e pantaloni neri aderenti per avere più agilità nei movimenti e per potersi nascondere meglio. Non dovevano mai mancare delle armi di riserva oltre al Nen; se infatti gli fosse capitato un uomo capace di annullare o assorbire i poteri, per lui sarebbe stata la fine.
Quella era stata l’unica sera in cui era andato all’asta con i suoi classici vestiti per non dare troppo nell’occhio.
 
 
A furia di svolgere quei pericolosi compiti, aveva finito per prendere molto seriamente le cose. Era molto cambiato caratterialmente: era più razionale e calcolatore. Aveva però smesso di dare la caccia alla Brigata, anche perché in quel periodo si trovava da tutt’altra parte. Cercava di considerare quel lavoro come uno strumento che potesse aiutarlo a scaricare il suo dolore e a non rimuginare troppo sul passato. Però aveva ancora dei punti deboli, i quali mai nessuno gli avrebbe potuto togliere.
Per quanto riguardava la famiglia Nostrade, essa si era trasferita in un’imponente villa appena fuori Tokyo e il nome di Light aveva già iniziato a farsi conoscere con timore tra le altre prestigiose famiglie.
 
 
 
 
*****
 
 
 

Dopo circa un quarto d’ora Basho e gli altri arrivarono con l’auto dentro il cortile dell’abitazione. Appena varcarono l’ingresso, Neon, la figlia del capo, corse ad accoglierli.
«Grazie, Basho», gli disse sorridendogli.
«Dovere», fu la risposta.
«Come state? E’ tutto a posto?».
«A parte la stanchezza…», mormorò Kurapika cercando di essere il più gentile possibile.
«Venite: mio padre vuole parlarvi!».
 
 
 
 
Arrivati nello studio del capo, quest’ultimo fece loro cenno di sedersi. Dopo chiese: «Mi fate vedere l’oggetto?».
«Ce l’ho io», rispose Senritsu posando lo scrigno sulla scrivania. Light trovò al suo interno una mano ormai andata in putrefazione. Le sole cose che resistevano erano le unghie. Esse erano lunghe, affilate ed era rimasto intatto uno smalto brillante color oro e rosso sangue.
L’uomo esaminò ogni centimetro di esse con una grossa lente d’ingrandimento, poi sollevò lo sguardo verso i due e fece loro un sorriso compiaciuto.
«Sì, sono autentiche», cominciò a dire, «Queste sono le magnifiche unghie della principessa Naoko, vissuta intorno al XVIII secolo. Lei era esperta di stregoneria e si diceva che usasse le sue mani per compiere delle benedizioni o maledizioni. Ancora oggi, non si sa come, le sue unghie sono rimaste senza il minimo difetto. E’ un ottimo regalo per mia figlia!».
Dopo ciò, richiamò Neon e, quando entrò, i suoi occhi brillarono dalla gioia.
«D-Dimmi che non sono una stupida copia…», riuscì a dire in preda all’emozione.
«No, cara. Ho controllato con attenzione e queste sono proprio le unghie che volevi!», le rispose il padre. La giovane urlò dalla felicità e si precipitò a prendere lo scrigno.
«Kurapika e Senritsu, vi ringrazio davvero tanto!».
«Prego. Spero le tratterai con cura», disse Senritsu ricambiando il sorriso.
«Sarà fatto. Vado subito ad aggiungerle alla mia collezione!», concluse prima di scomparire dalla stanza.
 
 
«E’ una delle poche volte in cui la vedo così contenta! Di solito ha sempre qualcosa da ridire…», rifletté Light.
«Se Neon è felice, significa che anche lei deve esserlo, capo. E’ andato tutto secondo i piani», fece notare Kurapika.
«Già, hai ragione. Non posso biasimare il suo insolito comportamento».
 
 
Dopo pochi secondi di silenzio si alzò dalla sua sedia e annunciò: «Sono appena le cinque del mattino e sta per smettere di piovere. Per questo motivo concedo a voi due un’intera mattinata libera, senza precisi incarichi da fare. Potete andare dove volete, basta che non vi allontaniate da Tokyo: potreste essere esposti a pericoli. Però verso mezzogiorno vi rivoglio nella villa! E’ tutto chiaro o devo ripeterlo?».
«No, capo», rispose Senritsu.
«Grazie mille», aggiunse il Kuruta. Light si avvicinò a lui e gli disse: «Quando tornerete, vi darò la ricompensa che vi spetta».
I due fecero cenno di sì con la testa e subito dopo corsero nelle loro stanze a prepararsi.
 
 
Dopo essersi fatto una doccia veloce, Kurapika si mise dei semplici jeans con una felpa viola e andò ad aspettare l’arrivo della sua compagna nell’enorme e illuminata sala della villa.
Essa era completamente arredata con mobili antichi, i quali dovevano valere una fortuna. Sul grosso tavolo posto al centro c’erano vasi di porcellana e centrini ricamati a mano. In una grossa cassaforte erano conservate cornici d’oro, posate di cristallo e tutta l’argenteria. In ogni angolo erano stati messi dei candelabri d’argento, in modo che la sera si potessero accendere delle candele per illuminare con la loro luce l’intera sala. Sembrava di stare in un castello.
 
 
Quando giunse Senritsu con indosso una tunica di un bel color blu oltremare, i due poterono lasciare la villa.
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
Durante il loro tragitto a piedi verso la città, la ragazza chiese: «Allora? Dove andiamo?».
«Mi dispiace, ma non riesco a ragionare. Ho un sonno terribile…», fu la risposta dell’amico.
«Beh, se proprio non vuoi proporre, allora direi di andare in una caffetteria a mangiare qualcosa, dato che ieri sera non abbiamo neanche cenato!».
«Senti, a me non interessa mettere del cibo sotto i denti. Ho bisogno di bere!», confessò nervoso.
«… E va bene, andiamo», concluse Senritsu sospirando amaramente.
 
 
 
 
Arrivati a Tokyo, entrarono in una caffetteria molto famosa per i turisti. Essa era sempre affollata e non c’era mai posto a sedere. Era anche vero però che lì si facevano i dolci più buoni del Giappone.
I due riuscirono fortunatamente a trovare due posti liberi al bancone. Senritsu gustò una deliziosa ciambella all’arancia e un tè caldo, mentre Kurapika…
 
 
«Un’altra, grazie», disse porgendo al cameriere un bicchiere di vetro.
«Non esagerare con la birra! Prenditi un succo o qualcos’altro!», gli consigliò la mora con un filo di preoccupazione.
«Cosa vuoi che mi faccia una bevanda del genere? Vedi che non sono ancora completamente sveglio?», rispose faticando a tenere gli occhi ben aperti.
«Non ti farà di certo meglio bere quella roba!».
«Scusa, ragazzo?», si intromise anche il cameriere, «Non vorrei fare il guastafeste, ma la tua amica ha ragione. Hai già preso una tazza di caffè, un bicchiere d’amaro e un altro di birra. Non va bene per uno della tua età consumare così facilmente tutte queste cose!», gli fece notare usando un tono gentile.
La risposta che ottenne, però, non lo fu altrettanto. Il Kuruta fulminò con lo sguardo quella persona e, senza staccargli gli occhi di dosso, si limitò a dirgli: «Per sua informazione ho compiuto diciotto anni e perciò sono maggiorenne. Inoltre non può dirmi quello che non devo fare; anzi, le dico che di solito sono abituato ad ingerire e reggere bevande molto più pesanti, quindi si rallegri».
«Kurapika…», l’avvertì Senritsu, vedendo il viso del signore tingersi d’imbarazzo per via dell’alto tono di voce che stava usando il biondo.
«Lei adesso sta facendo il cameriere… e come tutti gli altri il suo compito è servire la gente senza batter ciglio. Tuttavia, più cose ordinano i clienti, più soldi guadagnate; quindi mi porti il terzo bicchiere e facciamola finita», finì per concludere senza scomporsi.
L’uomo, rimasto offeso e in soggezione, mormorò: «Va bene, come vuoi…» e andò a preparargli quello che aveva chiesto.
 
 
Senritsu osservò Kurapika allibita: dopo la figura che aveva fatto fare a quella povera persona, non mostrava il minimo segno di pentimento. Continuava ad aspettare imperterrito la sua bevanda, mentre fissava il vuoto con occhi che non lasciavano trasparire la minima emozione. Inoltre aveva un viso molto pallido, il quale faceva contrasto con le guance tinte di rosso per via di tutte quelle sostanze ingerite.
«Giuro che non ti riconosco più», cominciò a dire la ragazza quando vide che, arrivato il bicchiere, il Kuruta cominciò a berlo avidamente e senza interruzioni.
«Un tempo adoravi anche tu il tè. Lo prendevamo insieme in salone alle cinque in punto, come gli inglesi. Ti piaceva tanto mangiare cibo salutare, leggere… e il tuo pregio migliore era la tua incredibile sensibilità, nascosta dietro quella maschera da duro che solevi mettere».
Appena l’interessato riappoggiò il bicchiere vuoto sul bancone con sguardo più intorpidito che mai, lei aggiunse: «Adesso quella maschera non c’è più. Ti sei trasformato in una persona menefreghista che dice le cose in faccia alle persone senza prima riflettere. Ti stai deperendo perché mangi poco e niente; sfoghi le tue frustrazioni in quelle bevande, convinto che possano ridarti le forze. Stai facendo esattamente come me e il mio defunto migliore amico, prima di ridurci in questo stato!».
Detto ciò, indicò il suo braccio sperando che l’amico potesse degnarla di uno sguardo; invece non osò girare la testa e rimase assorto nei suoi pensieri.
Allora Senritsu, presa da un sentimento di compassione, si avvicinò al ragazzo e, toccando con una mano il suo mento, gli girò la testa, obbligandolo ad incrociare il suo sguardo.
«So che mi stai ascoltando! Io non voglio che tu faccia la nostra stessa fine. Lascia queste abitudini: ti sentirai meglio!», gli disse cercando di regalargli un sorriso tranquillo.
 
 
 
All’improvviso sentì una mano di Kurapika allontanargli bruscamente la sua.
«Taci», fu l’unica risposta tagliente che seppe darle. La giovane perse un battito.
«Come la fai facile! Non ci vuole molto a consigliarmi dei buoni propositi, quando in realtà non hai mai provato ciò che sto provando io».
«I-In che senso…?», chiese lei sconcertata.
«Tu non sai cosa significa quando qualcuno ripone in te tutte le speranze e non puoi tirarti indietro. Non sai come ci si sente ad essere privato di tutti i possibili divertimenti che un ragazzo della mia età dovrebbe vivere; ti senti già un adulto con mille responsabilità sulle spalle. Tu non sai cosa vuol dire fare vita notturna, avere a che fare con persone poco affidabili e avere ancora impressa nella testa quella maledetta solitudine e voglia di vendetta, le quali stanno straziando il mio cuore!».
La ragazza ascoltava inorridita quelle parole. Lo sguardo di Kurapika rimaneva freddo come il ghiaccio, ma il suo cuore batteva con ritmo malinconico e d’odio. La cosa le diede un senso terribile d’angoscia.
«Non sai ancora niente di me, perciò è meglio che non sprechi fiato per farmi la predica», concluse poi tornando a guardare dall’altra parte.
 
 
 
 
La giovane tornò a sedersi senza poter ribattere ciò che aveva detto, mentre la tristezza cominciava ad impadronirsi del suo cuore.
Come negarlo: Kurapika era molto più maturo rispetto alla sua età e sembrava aver vissuto chissà quali avvenimenti. A causa di quel durissimo lavoro che svolgeva tutte le notti, era costretto a stare in piedi pur sentendo che il suo corpo lo stava per abbandonare. Così cominciò a fare uso di alcolici, certe volte molto forti, per farlo stare meglio o, secondo lui, dargli la grinta giusta per affrontare gli incarichi.
Senritsu fu la prima a scoprirlo perché lo trovò una sera in un bar completamente ubriaco e chiese l’aiuto di Basho per riportarlo a casa. Da quel momento non si tolse più il vizio: cominciò a bere più del dovuto e a mangiare poco, cosa che lo stava facendo dimagrire sempre di più, di giorno in giorno.
L’unica cosa da cui era riuscito a salvarsi era il fumo; nonostante tutti i suoi compagni tranne Senritsu fumassero, lui aveva ancora un po’ di buon senso per rifiutare quest’altro supplizio. Purtroppo, quando non beveva qualcosa ogni giorno, il biondo diventava improvvisamente isterico e senza la capacità di ragionare; per questo motivo Senritsu non poteva fare niente per lui, tranne soffrire in silenzio.
 
 
 
 
A rompere tutt’ad un tratto quella tensione fu il cellulare di Kurapika che stava squillando. La mora guardò il suo orologio e disse: «Non sono neanche le sette! E’ impossibile che sia il capo».
«Lo scopriremo subito», rispose l’altro premendo il tasto verde, «Pronto?».
 
«Ehilà, Kurapika!», urlò la voce di un bambino.
«… Gon!», esclamò il Kuruta sorridendo lievemente. L’amica notò che il suo battito cardiaco
cambiò ritmo: divenne più tranquillo e meno freddo.
«Ti ho disturbato? Stavi lavorando?».
«No, ho la mattina libera. Inoltre è domenica!», fece notare.
«Giusto, sennò anche noi saremmo impegnati!».
«Beh, cosa succede?».
«Sono con Killua e Leorio al parco. Ti va di unirti a noi?», chiese speranzoso.
«Volentieri! C’è anche Sen con me».
«Senritsu, dici? Ok, porta anche lei! Più siamo, meglio è!».
«Va bene. Dateci qualche minuto e siamo da voi».
 
 
Appena chiuse la chiamata, si alzò dalla sedia e fece per dirigersi alla cassa. Senritsu però lo fermò.
«Ehi, chi era?».
Il Kuruta la osservò per un secondo, poi si mise a ridere dicendo: «Dai, Sen, mi prendi in giro? Ho nominato Gon e inoltre con le tue capacità non puoi non averlo capito!».
«… Certo, era per metterti alla prova», rispose mentendo. Infatti gli aveva fatto quella domanda solo per capire se fosse ancora arrabbiato.
«Ora vado io a pagare tutto, poi ti racconto», concluse allontanandosi.
La giovane però aveva anche capito quali erano le intenzioni dei suoi amici. Tornò ad osservare il Kuruta mentre pagava e ripensò a tutte le sue reazioni. Aveva appena avuto una discussione con lei, ma dopo la chiamata di Gon aveva percepito dei sentimenti più sereni provenire dal cuore del biondo. Ebbe la sensazione che l’amico non si sarebbe mai potuto riprendere, se non fosse stato per l’intervento del moro.
La sua presenza lo faceva sentire a disagio? Lo aveva forse giudicato troppo e troppo male? La ragazza riconosceva di aver avuto in quel momento uno scoppio d’ira, però si stava trascinando quei sentimenti da molto tempo.
Aveva fatto sapere della sua presenza a Gon, ma lei sentiva che, se lo avesse seguito, sarebbe stata solamente di poca importanza; loro erano i suoi amici, erano un gruppo… e lei non c’entrava niente.
Quei pensieri le causarono un’improvvisa morsa allo stomaco.
 
 
 
 
Il Kuruta tornò.
«Scusa se ti ho fatto aspettare: c’era fila».
«Non ti preoccupare».
«Tornando al discorso di prima, Gon ci ha chiesto di…».
Non riuscì a finire la frase perché Senritsu mise una mano davanti a lui.
«So già tutto: ho sentito anche questo».
«… Allora possiamo andare?».
Ci volle un po’ prima che lei rispondesse.
«No, Kurapika. E’ meglio vada tu da solo».
«E perché?», chiese l’altro sorpreso.
«Beh, preferisco girare la città, piuttosto che restare al parco», gli spiegò cercando di essere convincente.
«Chi ti ha detto che dobbiamo rimanere lì? Possiamo anche passeggiare, se vuoi».
«Dico sul serio: non fa niente. Vai senza di me».
La giovane fece per girarsi, quando il Kuruta le afferrò un braccio per farla voltare.
«Cosa succede?», si limitò a chiederle.
Giunti a quel punto, Senritsu sentì che non poteva e voleva più mentirgli. Così si girò e gli disse: «Sai… credo che ti diverta di più con i tuoi migliori amici, anziché provare ad essere diverso anche con le altre persone».
Dal viso del biondo si poteva notare un filo di stupore.
«E’ la verità! Non penso abbia passato una buona mattinata. Ho notato che stare con loro ti aiuta a sfogarti meglio», continuò, «Ora è meglio che tu vada. Non vorrai farli aspettare!».
 
 
Kurapika divenne improvvisamente cupo: ricordare la loro discussione l’aveva aiutato a capire il motivo del comportamento della ragazza. In fondo lei non aveva tutti i torti…
«Sì, forse hai ragione», concluse poi rimettendosi il portafoglio in tasca.
Superò Senritsu fino a raggiungere l’uscita della caffetteria.
«A più tardi», fu l’unico saluto freddo che seppe darle prima di andarsene.
La mora però era abituata alle sue nuove maniere; ormai non riuscivano più a capirsi, era tutto inutile.
Dopo aver aspettato qualche secondo, uscì dal luogo e prese la strada opposta a quella del biondo.
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
Intanto al parco Gon, Killua e Leorio stavano aspettando il loro amico seduti sotto un albero. Leorio stava leggendo un giornale, Gon e Killua stavano mangiando dei gelati al cioccolato.
«Ehi, Gon, hai preso una coppa anche per Kurapika?», chiese Killua.
«… Q-Quale coppa?», domandò l’amico confuso.
«… Quella in cui conservi i tuoi ultimi neuroni. Potevi prendere un gelato anche per lui, no?».
«Cavoli, non ci ho pensato!», sbottò il moro.
«Poi dicono che quello egoista sono io…», mormorò il suo coetaneo.
«Leorio, sei tu che mi hai accompagnato in gelateria. Dovevi ricordarmelo!», lo rimproverò.
«Vi ricordo che Kurapika detesta i dolci», rispose continuando a fissare la prima pagina del quotidiano.
«E allora? Non è giusto essere a mani vuote!», ribatté Gon.
«Vi ricordo che non lo vediamo da appena tre giorni», continuò a dire il più grande, «Non sta tornando da una guerra».
«Beh, con il lavoro che fa…», precisò Killua.
«Facciamo che gli darò metà del mio gelato; ho preso anche il cono! Spero non mi schiferà».
«Sai, Gon, che quella è la causa di molte malattie?», gli spiegò Leorio.
«Traducendo ciò che ha detto il nostro medico, non credo che a Kurapika farebbe piacere terminare metà cono mangiucchiato con residui di cioccolato e saliva sopra», continuò Killua.
«Uffa, siete cattivi!».
 
 
 
 
Quando Leorio alzò per un attimo lo sguardo dal suo giornale, riuscì a scorgere il viso del Kuruta in lontananza.
«Eccolo!».
«Davvero? EHI, SIAMO QUI! CI VEDI?», cominciò ad urlare Gon agitando le braccia.
«Salva noi, che siamo su quest’isola deserta da qualche anno! Detesto le noci di cocco, voglio una pizza!», proseguì Killua scherzando.
«Smettila di prendermi in giro!».
 
 
 
 
Quando il biondo li raggiunse, questi ultimi videro che stava sorridendo.
«Che c’è?», gli chiese Gon.
«Senza i tuoi segnali di fumo non sarei mai riuscito a trovarvi», rispose ironicamente.
«Hehe, è una dote naturale!», concluse l’altro stando al gioco.
«E a noi non saluti?», sbottò Leorio, piombandogli addosso insieme a Killua e facendolo cadere in mezzo all’erba.
«Ma cosa…?».
«Ciao!», lo salutò Killua.
«Resta seduto e non fare l’antipatico!», continuò Leorio.
«Va bene, va bene… e ciao anche a voi, eh?».
 
 
Ecco un altro dei punti deboli di Kurapika: i suoi migliori amici. Sono loro che riuscivano sempre a trasformare una sua giornata particolarmente faticosa in una anche divertente. Capivano ogni suo problema solo guardandolo in faccia. Lui non riusciva proprio a rimanere serio con loro; era come se lo costringessero inconsciamente a tornare come prima, anche solo per un’oretta.
Non avrebbe saputo come fare se non li avesse avuti sempre accanto.
 
 
«Scusaci se non ti abbiamo portato niente da mangiare!», disse Gon finendo il suo gelato.
«Non avrei accettato comunque nulla: sono già stato in una caffetteria con Sen».
«Giusto, manca lei! Perché non è venuta?», gli domandò Killua.
«Si è ricordata che deve fare una commissione urgente», mentì.
«Quindi anche tu hai mangiato un gelato prima di raggiungerci?», chiese il piccolo moro speranzoso.
Il biondo lo osservò per un attimo, poi, abbozzando un sorriso malinconico, rispose: «No, Gon. Ho preso ben altro».
«… Altro?».
Kurapika continuò a rimanere in silenzio, fino a quando si accorse che Leorio lo stava letteralmente scrutando dalla testa ai piedi.
«Cosa c’è?», gli chiese infastidito.
«Non hai una bella cera. Sei molto pallido».
Il giovane gettò la testa all’indietro sospirando.
“Ci risiamo…”, pensò esasperato.
«E stai anche tremando!», concluse il più grande con tono serio.
Quest’ultima affermazione stupì il biondo, tanto da tornare ad osservare l’amico e quasi urlargli: «Che diavolo stai blaterando?!».
«Guardati le mani».
Era tutto vero. Leorio non si stava sbagliando: il ragazzo aveva queste ultime tremanti assieme alle braccia, ma lui finora non se n’era accorto. La cosa lo lasciò incredulo.
«Sii sincero. Hai bevuto ancora una volta?».
Gon e Killua osservarono l’interessato in attesa di una risposta.
 
 
«… E anche se fosse? Mi vuoi forse arrestare?», chiese il biondo gettando uno sguardo gelido al moro. Quest’ultimo aveva assunto un’espressione preoccupata nei confronti dell’amico.
«Sei un testone!», cominciò a dirgli, «Non vedi gli effetti che ti stanno causando quegli alcolici?».
«Che lagna, Leorio! Tu sei la terza persona che mi rimprovera stamattina. E’ proprio necessario fare il medico rompiscatole anche il fine settimana?», sbottò il giovane con un’espressione parecchio seccata.
«Se è per il tuo bene, sono pronto a farlo».
«Ma cosa vuoi insegnarmi? Hai smesso di ingerire quelle bevande solo un anno fa. Pensi davvero che possa imparare qualcosa da te?», lo fece riflettere con una punta d’irritazione.
«Ho molta più esperienza di te in queste cose. Inoltre ricorda che io sono riuscito ad uscire da questo vizio, mentre tu sei ancora all’inizio dell’incubo!», gli rinfacciò il moro.
 
 
«Kurapika…», si intromise Gon, «Io non ho mai avuto questo problema, però, da quanto ho sentito, quelle cose fanno molto male alla salute. Ti consiglio di farne a meno!».
«Beata ingenuità…», cominciò a dire il Kuruta, «Si vede che sei ancora troppo piccolo per capire. Smettere da un giorno all’altro è come riuscire a sollevare un peso di cento chili in poco tempo. Non hai idea di quanto ne abbia bisogno, soprattutto in questo periodo».
 
 
Sia Gon che Leorio rimasero colpiti dal suo atteggiamento: era totalmente cambiato nel modo di ragionare e nel modo di rispondere alle persone.
Loro non riuscirono a dire niente, mentre Killua, per sviare un po’ il doloroso argomento, si limitò a chiedergli: «Quindi in questi giorni stai lavorando parecchio?».
Kurapika capì le sue intenzioni e fu ben felice di seguire l’amico.
«Le cose che faccio sono rimaste sempre le stesse che voi sapete. Il problema è che, siccome il mio capo sta iniziando a farsi conoscere, esse sono diventate più difficili da svolgere».
«Ti capita di lavorare anche qualche notte?», chiese Leorio.
«Tutte le notti», precisò.
«Non vorrei essere nei tuoi panni…», confessò Gon.
«Adesso capite perché sono così? E’ vero che ho scelto io di fare questo lavoro, è vero che il capo ha fiducia in me… ma deve capire che non sono fatto d’acciaio».
I tre osservarono il ragazzo dispiaciuti.
«Mi dispiace se mi comporto così, ma sto male anch’io. Vorrei stare di più con voi, però questo lavoro me lo impedisce», concluse abbassando lo sguardo fino a vedere le sue mani, le quali avevano iniziato a tremare di meno.
Sentì successivamente una mano di Leorio toccargli la sua spalla. Risollevò lo sguardo e vide gli altri sorridere.
«Il Kurapika che conosciamo non si arrende facilmente. Anzi, ti ho sempre considerato un tipo cocciuto!», disse Killua.
«E’ vero che ci stiamo vedendo di meno, ma la nostra amicizia è e rimarrà sempre salda!», affermò Leorio.
«Ricordati che, se hai bisogno d’aiuto o di rilassarti, ci siamo noi!», concluse Gon.
«… Vi ringrazio», rispose il Kuruta sentendo una gioia profonda invadergli il cuore.
 
 
«Gon, guarda che non potremo essere sempre disponibili: c’è la scuola in mezzo!», gli ricordò Killua.
«Accidenti, è vero!».
«Ed io ho il mio lavoro…», aggiunse Leorio sbuffando.
«A proposito… Gon, Killua, raccontatemi tutto sulla scuola. Come vi sembra?», si interessò il biondo.
«E’ come tutte le comuni scuole: è noiosa, fa schifo, le maestre sono tutte zitelle, ci riempiono di compiti…», descrisse negativamente lo Zaoldyeck.
«Killua…», lo fermò Kurapika ridendo.
«Non esagerare. E’ bello studiare: si imparano un sacco di cose!», ribatté Gon.
«Ha parlato il “secchione” che prende il massimo dei voti in educazione fisica ed è negato in matematica…».
«Non la capisco. Invece la maestra di ginnastica è davvero atletica!».
«E’ logico: ti sei preso una cotta per lei!».
«Bugiardo!».
 
 
A fermare il litigio fu Leorio, il quale disse: «Avete offeso Kurapika. Lui adora la matematica».
«Non fa niente», rispose il giovane. Poi propose a Gon: «Se hai difficoltà in quella materia, posso darti una mano».
«Lo faresti davvero?», sbottò il moro con gli occhi lucidi, «Beccati questo, Killua! Ora ho un insegnante privato ed è anche Kurapika!».
«Approfittatore! Già lui ha i suoi problemi; ti ci vuoi mettere anche tu?», lo sgridò.
«Beh, per aiutare degli amici… posso tentare di farmi concedere un po’ di tempo libero durante la settimana», li rassicurò.
«Grazie infinite!».
 
 
 
 
Ormai tutti e quattro si erano stabiliti a Tokyo.
La motivazione di Gon e Killua era istruirsi a sufficienza prima di intraprendere qualsiasi altro viaggio difficile come Hunter. I due si erano iscritti in un istituto privato, dedicato a tutti i bambini che fino ai tredici anni non avevano avuto l’occasione di studiare.
La scuola era molto costosa; per questo motivo i due erano stati assunti come badanti di ben cinque bambini di una famiglia molto ricca. Lavoravano tre pomeriggi a settimana e li pagavano con i soldi necessari che servivano alla scuola.
Invece Leorio si era diplomato in medicina e lavorava come un principiante aiutante di un pediatra. Lo pagavano bene, però avrebbe voluto fare di più anche per le persone più grandi. Per questo aveva deciso che, quando avrebbe avuto più tempo, sarebbe andato all’università per studiare seriamente e salire di livello.
I tre vivevano in un appartamento che avevano affittato; Gon e Killua alloggiavano al quarto piano e Leorio al quinto.
Riuscivano a vedersi poco con Kurapika perché tutti e quattro avevano degli impegni parecchio pesanti.
 
 
 
 
«Ragazzi, vi va di camminare un po’? Detesto stare fermo», propose Killua annoiato.
«Ci sto. Magari incontreremo Sen!», fece notare Gon, «Leorio, Kurapika, cosa ne dite?».
I due fecero cenno di sì con il capo; così i quattro corsero via dal parco.
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
 
 
Intanto, seduta sugli scalini della grande fontana della piazza, c’era Senritsu. Teneva la testa appoggiata su una piccola ringhiera ed era completamente assorta nei suoi pensieri.
Lei stessa si considerava noiosa perché non riusciva a pensare ad altro se non a Kurapika. Non poteva fare a meno di riflettere sul perché si stesse comportando così con lui… e non capiva il motivo per cui il giovane fosse così freddo con lei.
 
 
Chiuse gli occhi e lasciò che i ricordi le tornassero alla mente come un’unica folata di vento.
Ricordò la prima volta in cui lo aveva incontrato dopo quel tragico avvenimento della sonata oscura. Stavano viaggiando su un treno in prima classe verso York Shin. Entrambi avevano la stessa meta, ma ancora non lo sapevano.
Ella stessa aveva detto:- *Stesso viaggio, stesso destino*- e aveva ragione.
Ricordò che le avevano casualmente dato il posto vicino a Kurapika. Per via della sua bassa statura non riusciva a posare la sua valigia sopra il sedile e fu in quel momento che lui l’aiutò.
Quando si risedette, lei poté scrutarlo meglio: doveva essere un ragazzo sui sedici o diciassette anni. Non poteva essere di origini giapponesi, infatti era biondo e con gli occhi color azzurro cielo. Era vestito in modo strano, ma a catturare la giovane fu quello sguardo determinato e il ritmico battito del suo cuore. Era una melodia lenta ma terribilmente fredda.
 
 
-*Scusa, posso chiederti dove stai andando?*-, gli aveva domandato timidamente.
-*Perché lo vuoi sapere?*-.
-*Sai, penso sempre al detto che, chi viaggia in compagnia di qualcuno, di solito quelle persone sono destinate a rincontrarsi. Tu ci credi?*-.
-*No*-, era stata la sua quasi acida risposta.
La giovane stava per rinunciare al tentativo di fare la sua conoscenza, quando entrò il controllore e chiese il biglietto del compagno. La ragazza si meravigliò nel vedere che l’interessato aveva un’autentica licenza di Hunter. Le preoccupò molto l’espressione che fece il signore e i suoi sospetti erano fondati: quell’uomo aveva successivamente chiamato una squadra di ladri professionisti per rubargli la licenza.
Lei riusciva a sentire tutte le loro conversazioni e aveva paura. Fu costretta ad interrompere il Kuruta mentre leggeva e a raccontargli tutto.
Come se lo avesse informato di una futile cosa, il biondo non si scompose; anzi, le assicurò che non avrebbe creato disturbi e che avrebbe risolto in un attimo la faccenda.
 
 
Accadde tutto in qualche secondo: dalla sua mano gli comparve una lunga catena e con una veloce mossa del braccio ferì tutti gli assalitori, privandoli delle armi. Gli intrusi furono costretti a fuggire e lui tornò a sedersi come se niente fosse successo.
La giovane rimase allibita: doveva proprio essere un genio nel combattimento. Inoltre l’aveva protetta.
Lei non riusciva a credere che fosse una persona senza cuore e ne ebbe la prova quando, dopo aver scoperto che dovevano lavorare insieme, lui le raccontò una sera il suo triste passato. Capì che le loro storie erano molto simili: nutrivano entrambi dei sentimenti di vendetta e avevano bisogno di un conforto reciproco.
 
 
Da quel momento erano diventati inseparabili. Quando lui stava per perdere il controllo, era triste o stava male, lei cercava sempre di farlo sentire a suo agio, magari suonandogli qualche melodia. Quando lei era giù di morale, bastava un suo sorriso per rallegrarla.
 
A furia di passare tutto quel tempo insieme e avendo l’occasione di conoscerlo più a fondo, la ragazza riconobbe di aver sviluppato un sentimento un po’ più forte verso di lui. Non era sicura che fosse molto più di una semplice amicizia, ma l’affetto e la voglia di proteggerlo erano vivi nel suo cuore, soprattutto ora che era in quello stato.
Il punto era che, per via dei problemi che stavano venendo alla luce in quel periodo, i due non riuscivano ad avere un dialogo: lei era troppo piena di rimorsi e preoccupazioni, lui era diventato più solitario ed incapace di ascoltare i consigli degli altri.
 
 
Perché quel ragazzo le stava così tanto a cuore? Le ricordava semplicemente il suo vecchio amico? Voleva solo insegnargli come prendere la vita… o c’era qualcos’altro?
Le parole taglienti che le aveva rivolto prima le tornarono di nuovo alla mente e questa volta fu difficile reggerle.
 
 
-*Taci. Tu non hai mai provato ciò che sto provando io*-.
 
-*Sei privato di tutti i possibili divertimenti*-.
 
-*Ti senti un adulto con mille responsabilità sulle spalle*-.
 
-*Non sai cosa vuol dire avere impressa quella maledetta solitudine e voglia di vendetta che stanno straziando il mio cuore!*-
 
-*Evita di sprecare fiato per farmi la predica*-.
 
-*Non sai ancora niente di me!*-.
 
 
-*Taci…*-.
 
 
-*TACI!*-.
 
 
 
 
Bruciore. Tutt’ad un tratto sentì un terribile bruciore agli occhi. Si alzò in piedi e chinò la testa all’indietro per ricacciare dentro le lacrime che sarebbero state prima o poi prossime a scendere. Cercò di svuotare la mente da quei pensieri che lei stessa considerava esagerati.
“Basta rimuginare. Sono sicura che non gli sarà importato niente di ciò che è successo”.
Decise di prendere la strada verso la villa con l’idea di chiedere il permesso al capo per riposarsi fino all’ora di pranzo.
 
 
La giovane lasciò la piazza proprio nel momento in cui giunsero Kurapika e i suoi amici.
 
 
 
 
*****



Mezzogiorno passò e vennero le tre del pomeriggio. La pioggia aveva ricominciato a farsi sentire, ma era molto meno fitta rispetto a quella precedente. Non era comunque consigliabile uscire di casa per via della bassa temperatura.
 
 
Tutti i membri della famiglia Nostrade erano dentro la villa: c’era chi metteva in ordine e compilava delle carte, chi studiava una mappa con tutte le principali vie di qualche quartiere di Tokyo, chi si allenava con le armi e faceva simulazioni.
In particolare Light stava parlando per telefono con il capo Mafia interessato al fantomatico patto che Kurapika e Senritsu avevano fatto con lui all’asta.
«Va bene… Sì, sono d’accordo… A stasera».
Appena riattaccò, chiamò sua figlia Neon.
 
 
L’interessata si precipitò nello studio.
«Cosa c’è? Sai che questa è l’ora in cui mi limano le unghie?», si lamentò.
«Sarò breve, figliola. Questa sera non potrai andare al concerto del tuo gruppo preferito».
«… E perché? Perché non posso?!», chiese con espressione avvilita.
«Devo incontrare Nakamura, uno degli organizzatori dell’asta di ieri. Devo concludere quelle trattative in sospeso di cui ti ho parlato», spiegò.
«Cosa c’entra questo con la mia uscita?».
«Kurapika e Basho verranno con me per sicurezza, mentre le altre guardie del corpo rimarranno nella villa a lavorare. Quindi nessuno potrà accompagnarti, tantomeno le tue cameriere».
«Posso andarci da sola, no?», ribatté la giovane.
«Niente affatto. Fuori fa molto freddo e inoltre alcune persone sanno che sei mia figlia: correresti dei rischi».
Vedendo il viso triste della ragazza, il padre continuò a dirle: «Ti prego, non lamentarti. Se guadagnerò questi soldi, potrai comprarti tutto ciò che vorrai! E’ un’opportunità che non posso lasciarmi sfuggire!». Poi, sollevandole il viso appoggiando una mano sul suo mento, le promise: «Appena il tuo gruppo farà un altro concerto, ti ci porterò io stesso. Su, fammi contento!».
«… E va bene», rispose abbozzando un sorriso.
 
 
Anche Neon era cresciuta; aveva capito che piangere e sbraitare per un permesso negato era inutile e sciocco. Inoltre l’idea di avere più soldi non le dispiaceva affatto.
 
 
«Puoi andare ora», le concesse Light.
«No, aspetta. Adesso mi hai incuriosita!», esclamò la ragazza.
«Riguardo a cosa?».
Dopo aver preso una sedia ed essersi seduta comodamente, lei gli domandò: «Per te… cos’ha di speciale Kurapika?».
Vedendo il volto sorpreso del padre, si spiegò meglio: «Voglio dire… non riesci a fare un discorso senza nominarlo! Lo vuoi sempre affianco, dovunque vada! Eppure… mi sembra un tipo molto solitario. Mi parli di lui?».
 
 
Light osservò per un attimo l’espressione curiosa della figlia, poi finì di mettere a posto alcuni oggetti messi in disordine sulla scrivania e cominciò a dirle: «Sai, lui non è come gli altri. Si sa distinguere nell’intelligenza e razionalità nel fare trattative, nell’agilità nei combattimenti…».
 
«Aggiungerei anche nella bellezza. E’ un vero figo!», sbottò la giovane con sguardo sognante, utilizzando parole che pronunciavano comunemente i ragazzi.
«Neon, sto parlando seriamente!», la rimproverò Light.
«Beh, pure io!», rispose seria in viso.
Allora l’uomo tirò un grosso sospiro, poi riprese: «Dalla prima volta che l’ho visto, ho capito subito di che pasta era fatto. Quando Daltzorne è morto, gli altri non avevano avuto problemi ad eleggere lui. Fu in quel momento che tu mi avevi chiamato, avvertendomi di quella drastica decisione, e subito dopo sentii la sua voce. Mi dettò senza esitare tutti i piani che aveva in mente di mettere in atto. Mi disse che la cosa più essenziale era proteggerti».
«Questa non la sapevo! Che tenero!».
«Parlando di te… quando quel ragazzo di nome Kuroro ti imbrogliò e ti rubò i poteri, lui fu il primo a preoccuparsi di dove potessi essere. Con le sue capacità individuò il luogo preciso dove lui ti aveva attaccata. Siamo riusciti ad arrivare in tempo e a salvarti grazie a lui».
«… Ero stata imprudente quella volta. Meno male che sono sopravvissuta», ammise abbassando il capo.
«Esegue gli ordini senza batter ciglio, non fallisce mai in una missione, mantiene il suo sangue freddo di fronte alla peggiore avversità… Non so spiegarti, è una persona incredibile. E’ come se fosse spinto da un particolare motivo per fare tutti questi sacrifici», concluse compiaciuto.
«Caspita, deve sapere proprio il fatto suo!», affermò la ragazza, «Non vorrei intromettermi, ma… se è così bravo… non credi che dovresti premiarlo?».
«L’ho pagato profumatamente appena è tornato!», rispose il padre sorpreso.
«Non sto parlando dei soldi; anzi, sono sempre e solo quelli la sua ricompensa. Io stavo pensando… a qualche onore importante all’interno della famiglia», specificò la giovane.
 
 
Light rimase qualche secondo a riflettere, poi rivelò: «In realtà… quest’idea mi è già passata per la testa. Fargli fare tutti quei lavori solo come guardia del corpo mi sembra eccessivo».
«Allora cosa aspetti a farlo salire di livello?! Sono sicura che sarebbe onorato di sentire questa notizia!».
«Non è tutto così facile, Neon. Se lo facessi diventare un membro più importante, sarebbe costretto a venire a conoscenza di molti affari segreti che finora non gli ho raccontato. Ho bisogno di rifletterci su», ribatté con un filo di timore.
«Mamma mia, che ansioso! Ingigantisci sempre le cose… Mi sono stufata di ascoltarti; è meglio che vada a farmi le unghie», concluse uscendo imbronciata dalla stanza.
L’uomo però non la fermò. Forse nemmeno si accorse che se n’era andata via.
Continuò a meditare sulle sue parole e su ciò che anche lui aveva pensato qualche tempo fa.
 
 
Venne distratto per qualche secondo dalle voci di Kurapika e Basho, i quali stavano dialogando nella camera di fronte. Fu allora che sospirò e pensò.
“Certo che potrei cambiargli il ruolo; a fare questo non ci metterei niente. Il problema è… che sarebbe costretto ad interrompere definitivamente i contatti con le altre persone al di fuori della villa. Diventerebbe un mafioso a tutti gli effetti e non potrei permettergli di vedersi con coloro che non fanno parte dell’organizzazione. Non so davvero… come la prenderebbe…”.
 
 
 
 
*****
 
 
«Attenta con lo smalto, porca la miseria!...... Questo colore fa schifo. Ne voglio uno molto più brillante!...... No, non mi piace…… HO DETTO DI SMETTERLA!».
 
 
Furono gli insopportabili lamenti di Neon a svegliare la povera Senritsu dal suo riposo pomeridiano.
La figlia del capo doveva essere abbastanza arrabbiata per la faccenda del concerto: stava letteralmente sfogando la sua ira verso le ragazze che le stavano aggiustando le unghie e non era facile sopportarla.
La mora osservò l’orologio della sua camera e vide che erano quasi le sette. Era quasi arrivata l’ora che Light, Kurapika e Basho andassero da quell’uomo.
Aveva fatto appena in tempo a sentire ciò che il capo aveva detto a Neon a proposito di un certo Nakamura, poi era caduta in un sonno profondo.
Le poche nottate che passava fuori la spossavano completamente e non invidiava Kurapika per questo motivo.
Non aveva comunque la sera libera: Light le aveva chiesto di elaborare una mappa dov’erano indicati i principali luoghi di ritrovo dell’importante famiglia mafiosa Murasaki, con la quale avrebbero potuto fare grandi affari.
Perciò si alzò dal suo letto, sistemandosi il vestito e i capelli. Osservò il suo viso ancora assonnato allo specchio e sospirò.
 
 
 
 
Quando volse lo sguardo verso la porta aperta, le parve di vedere il Kuruta passare velocemente per quel corridoio. Allora la ragazza osservò fuori dalla stanza e giunse alla conclusione che non aveva visto male. Il giovane si stava dirigendo verso le scale che portavano al piano terra con il portafoglio in mano. Non aveva ancora indossato i suoi vestiti da lavoro e questo fece venire un brutto presentimento a Senritsu.
Era stato il capo ad avergli dato il permesso di uscire… o lui stesso?
Un pensiero le consigliava di rimanere a riposarsi ancora un po’, un altro le diceva di seguirlo e alla fine l’ultimo prevalse.
Percorse anche lei la lunga rampa di scale fino a raggiungere il ragazzo vicino alla porta d’entrata della villa.
Lui non si era accorto della sua presenza e la sua mano stava per raggiungere la maniglia della porta. Senritsu però non poteva lasciarlo andare via così: doveva sapere.
 
 
«Kurapika!», lo chiamò. Il biondo si girò di scatto e la osservò sorpreso.
«Mi hai fatto prendere un accidente! Che ci fai qui?», le chiese.
«Dove stai andando? Lo sai che tra un po’ devi partire con Light e Basho?», domandò non curandosi del dubbio dell’amico.
Il biondo cambiò improvvisamente la sua espressione in una più seria e girò la testa fino a darle le spalle.
«Tranquilla. Il capo mi ha dato il permesso».
«Per andare dove?», insistette la giovane. Lei temeva… temeva di quello che avrebbe potuto fare.
«A prendere una boccata d’aria…».
«Stai mentendo!», esclamò con tono freddo, osservandogli di nuovo il portafoglio, «Non ti porteresti in giro dei soldi per niente. Non nasconderlo: la verità è…», cominciò a dire mentre la rabbia stava prendendo di nuovo il sopravvento. Perché le stava mentendo? Perché?
 
 
Osservando poi il ragazzo che teneva ormai i pugni serrati, probabilmente perché stanco di aspettare, le sfuggirono delle parole che non avrebbe dovuto dire.
«La verità è che stai andando a fare la stessa fine di quasi tutte le sere: ubriacarti come un ossesso con i tuoi simili!».
Subito dopo si tappò la bocca con le mani, rimanendo disgustata da ciò che aveva appena detto.
Era stata veramente lei a parlare? Si era rivolta davvero in quel modo a lui?
 
 
Un silenzio tombale calò e l’atmosfera divenne tesa. Senritsu sapeva che quelle erano le vere intenzioni del biondo, ma nessuno le dava il diritto di giudicarlo così, essendo soprattutto al corrente di ciò che anche lui stava provando.
Cosa diavolo le stava succedendo?!
 
 
La mora tornò ad osservare il Kuruta, ma lo vide girato e immobile come una statua. Lo sentiva forte e chiaro: questa volta l’aveva ferito.
«Kurapika, io… non volevo dire questo», mormorò abbassando lo sguardo.
 
 
«Senti…», cominciò d’un tratto a dire il biondo. La mora aspettò che finisse la frase con il cuore in gola.
«… Ti costa tanta fatica… farti gli affari tuoi?».
Quella domanda che rivolse con tono sprezzante le fece perdere ogni minima speranza di riappacificarsi con il ragazzo. In altre parole le aveva detto di non volerla in mezzo e di non desiderare il suo aiuto.
«Visto che non hai problemi ad usare la lingua, vai pure a riferire questa cosa al capo. Però… devi lasciarmi in pace».
Riusciva a percepirlo benissimo: i sentimenti del giovane erano all’improvviso cambiati in peggio. Lei sentiva che, se avesse parlato ancora, lui sarebbe scoppiato dalla rabbia. Senritsu stava davvero iniziando ad avere paura.
«Kurapika, mi…», provò a dirgli.
«Non intrometterti ulteriormente… Tu non sei mia madre!», concluse arrabbiato il Kuruta. Aprì la porta e la sbatté quando fu fuori dall’abitazione.
 
 
La ragazza rimase sola… sola ad osservare il pavimento, del quale i colori accesi parevano in netto contrasto con il suo stato d’animo.
Ma perché non era rimasta zitta? Cosa pretendeva di fare? Voleva forse cercare di insegnare qualcosa a Kurapika, come se lei non avesse mai avuto quel genere di problemi in vita sua? Voleva sostituirsi a sua madre? Con quale diritto!
Il Kuruta era nel torto… ma un vero amico non gli avrebbe mai detto quelle cose offensive.
Si rese conto di aver peggiorato la situazione… solo perché lui non le stava dicendo la verità. Si sentiva proprio un’egoista.
Quel ragazzo riusciva a mandarla fuori di testa in qualsiasi momento; non sapeva se considerarla una cosa positiva o negativa.
 
 
I suoi occhi divennero in poco tempo tanto lucidi da impedirle di osservare ciò che le stava intorno; osservarlo… prima di lasciarselo alle spalle, prima di correre via dal quel luogo che le aveva fatto nascere un nuovo brutto ricordo.
Maledisse il suo pessimo carattere, il suo lavoro e quell’inferno di giornata.





*****
 
 
 
 
 
Il bar più vicino alla villa era sempre pieno di ragazzi poco affidabili che andavano lì la sera per bere e magari corteggiare la prima ragazza che passava. Non era il genere di posto che poteva essere frequentato da tutti.
Kurapika preferiva non avere niente a che fare con loro; entrava in quel luogo solo per soddisfare il suo palato, nonostante fosse accaduto che molte giovani ci avessero provato con lui.
Quella sera però non era proprio in vena di scherzare: era infuriato e voleva solo che nessuno si intromettesse nella sua vita. Nient’altro.
 
 
«Cosa ti porto da bere, ragazzo?», disse il barista appena lui si sedette ad un tavolo.
«Un alcolico abbastanza leggero a sua scelta. Faccia presto», ordinò.
 
 
Quando l’uomo si allontanò, il biondo appoggiò le braccia sul tavolo e affondò la testa fra di esse.
Per qualche motivo gli era tornato in mente il volto di sua madre: una donna allegra, solare, testarda, premurosa e con tanta energia nonostante l’età. Inoltre era bionda come il suo caro figlio.
Era strano che i suoi pensieri stessero viaggiando in un passato così lontano; eppure gli pareva di essersela completamente tolta dalla testa. Forse, per quanto si sforzi, non potrà mai riuscire a cancellare un dolore così grande.
Ma lui cinque anni fa era ancora piccolo. Ricordava che faceva lo schizzinoso appena sua madre provava a baciarlo, non voleva il suo aiuto e diceva sempre che era appiccicosa.
Eppure… in quel momento non sapeva neanche lui quanto avrebbe dato per poterla di nuovo abbracciare, chiederle scusa e farla sentire orgogliosa di un bambino ormai diventato adulto che non si dava pace pur di ottenere la giustizia tanto bramata.
 
 
Senritsu, giusto…
Pretendeva di aver capito tutto di lui…
Non assomigliava a sua madre né fisicamente, né caratterialmente…
Il solo pensare all’arroganza della ragazza, con la quale gli aveva detto quelle parole, lo faceva imbestialire.
Con una terribile confusione in testa, chiuse gli occhi e attese la sua bevanda.
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
Erano le sette e dieci minuti. Light e Basho stavano aspettando il loro compagno nel salone vestiti di tutto punto. Assieme a loro c’erano due guardie che dovevano essere reclutate nella villa dell’altro boss; inoltre Basho stava reggendo una grossa scatola dove c’erano i soldi necessari e un oggetto che risaliva ad un’asta avvenuta un paio d’anni fa.
Il capo osservava spazientito l’orologio e del Kuruta non c’era l’ombra.
«Questo è il suo primo ritardo!», esclamò Basho.
«Ma dove accidenti è andato?! Non è in casa!», si lamentò l’altro.
«Forse Senritsu sa qualcosa: quei due stanno sempre insieme», ipotizzò la guardia del corpo.
«Allora valla a chiamare: ci saprà dire qualcosa».
 
 
Dopo qualche minuto la giovane scese di nuovo per incontrare i loro volti. Voleva riposarsi ancora un po’ nella sua stanza, ma purtroppo doveva prima confrontarsi con un capo isterico.
«Senritsu, sai dov’è andato Kurapika? Saremmo dovuti partire da cinque minuti!».
La ragazza strinse i pugni: doveva nascondergli ciò che l’amico stava facendo… o rivelare tutto per il suo bene? Almeno avrebbe smesso di andare in quei posti e sarebbe stato tenuto più sotto controllo.
 
 
Però era anche vero che confessare quella cosa significava tradire la sua fiducia; allora sì che la loro amicizia sarebbe finita per sempre. Il punto era che si stava facendo sentire molto la sua preoccupazione, poiché pensava al fatto che probabilmente lui avesse già bevuto troppo.
Era meglio dire le cose come stavano… o cercare in qualsiasi maniera di salvaguardarlo?
L’egoismo alla fine non prevalse e cercò di inventarsi qualcosa per giustificare la sua assenza.
 
 
«Ehi, Sen! Non vogliamo fare la muffa», l’avvertì Basho.
«… Mi ha detto che… è andato a prendere l’auto in cortile. Non vuole che prendiate freddo», disse cercando di sorridere.
«Beh, ci sta mettendo troppo tempo. Sei sicura?», le chiese Light.
«Ma certo! Il fatto è che le sta dando una ripulita interna, poi sarebbe passato a prendervi», rispose cominciando a sentire la tensione crescere.
«Allora il ritardo è giustificato!», affermò Basho sollevato.
«E in più ci porterà lui stesso alla villa di Nakamura! Che bel gesto da parte sua!», aggiunse il capo.
 
 
Senritsu perse il sorriso. Si ricordò che, se l’amico fosse stato costretto a guidare, sarebbe stato pericoloso per lo stato in cui si trovava. Si era appena data la zappa sui piedi e non poteva più tornare indietro.
«Sen, tutto ok?», le chiese Basho, «Sei sbiancata!».
«No… cioè… sì», balbettò terrorizzata. C’era solo una cosa che poteva fare in quel momento, ma doveva contare soprattutto su Kurapika.
«Scusate, mi sono dimenticata di fare una cosa. Aspettatemi qui!», disse e corse subito in camera sua, chiudendo la porta e prendendo il suo cellulare.
Digitò velocemente il numero del ragazzo e aspettò la sua risposta.
 
 
 
 
Il telefono del biondo cominciò a squillare contemporaneamente. Appena finì di bere il suo secondo bicchiere di vodka, rispose alla chiamata: «Pronto?».
«… Sono Sen», disse la giovane.
«Cosa vuoi?».
«Ti piace tanto prendertela con comodo? Muoviti a tornare perché ti stanno aspettando!».
«Che aspettino! Qualche minuto di ritardo non nuoce a nessuno».
«Beh, io ti avverto che ho giustificato la tua assenza con il fatto che eri andato a prendere la macchina, che l’avresti pulita dentro e che avresti guidato tu. Spero non abbia bevuto troppo…», spiegò.
«… Per fortuna no! Che diamine, non avevi una scusa migliore?».
«Mi dispiace se la mia idea non è di tuo gradimento. Ti prego di accontentarti e di tornare subito alla villa!».
«… Sì, scusa», ammise d’un tratto il biondo cercando di calmarsi. La rabbia che aveva per il litigio in quel momento non serviva proprio a niente e non gli conveniva pensarci ancora.
Aspettò qualche secondo, poi le disse: «Sen…».
«… Sì?».
«Grazie per avermi coperto», concluse prima di mettere giù la chiamata.
 
 
Il cuore della ragazza cominciò a battere velocemente. Sentì una gioia crescere interiormente sempre di più. Sembrava che il Kuruta non ce l’avesse più così tanto con lei.
Era vero che avrebbe continuato ad andare in quei locali, ma lei era fiduciosa che un giorno avrebbe smesso con quelle abitudini. Lo sentiva.
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
Kurapika, all’insaputa di Senritsu, aveva già pensato all’abbigliamento. Quando raggiunse l’auto nel cortile, dopo aver corso parecchio velocemente, cominciò a sbottonarsi la camicia che indossava. Sotto i suoi indumenti aveva già indosso la sua divisa nera formata da pantaloni e giacca; la cravatta era rossa.
Si sedette al posto di guida e trovò al lato una bottiglia d’acqua. Si inumidì il viso per svegliarsi del tutto; si bagnò i capelli e se li tirò indietro, siccome non aveva avuto il tempo di curarseli prima. Subito dopo prese dell’acqua di colonia contenuta a destra del cruscotto e ne spruzzò un po’ in tutta la macchina per dare un’idea di pulizia.
Fu allora che mise facilmente in moto quest’ultima, poiché Light si dimenticava sempre di chiuderla e di portarsi la chiave, e si diresse verso l’ingresso della villa.
 
 
Dopo circa due minuti Light e gli altri sentirono il rumore di un clacson, così si precipitarono subito fuori dall’abitazione. Di fronte a loro era parcheggiata l’auto guidata da Kurapika.
«Finalmente, dannazione!», sbraitò il capo.
«Perdoni il ritardo. Come può vedere, però, ho messo l’auto in perfette condizioni», gli fece notare.
«Lecchino!», disse Basho facendogli l’occhiolino.
 
 
«Ehm, Kurapika?», lo chiamò d’un tratto Light.
«Dica».
«Quei vestiti sono tuoi o sbaglio? », chiese indicando questi ultimi piegati e messi sul sedile posteriore.
L’espressione sorpresa del biondo fece ridere Senritsu. Nonostante la situazione fosse diventata abbastanza grave, non riusciva a non vedere questa come una scena anche comica.
Aveva immaginato che Kurapika si fosse cambiato in auto, ma lui come avrebbe potuto spiegarlo al capo?
Il Kuruta invece stava pensando ad una scusa intelligente per sviare la situazione, ma la faccia stranita che Basho gli stava rivolgendo non lo aiutava di certo.
 
 
«Kurapika?».
Era proprio in un bel guaio. Per la fretta si era dimenticato di nascondere i suoi vestiti in un posto più sicuro.
 
 
«Mmh… a quanto pare Kurapika non è stato solo qui dentro!», esclamò Basho dando all’interessato una pacca sulla spalla.
Il biondo lo fulminò con lo sguardo: cosa diamine aveva capito?!
«Potresti darci una spiegazione?», chiese il capo incuriosito.
«… Va bene, vi dico la verità. Sono passato dalla sarta prima che chiudesse», s’inventò cercando di mantenere il suo atteggiamento freddo.
«Oppure è la sarta ad essere passata da te?», chiese Basho divertito.
«Come mai?», domandò Light.
«Dovevo ritirare quei vestiti. Mi ha dovuto accorciare le maniche perché erano troppo lunghe. I pantaloni erano corti ma, siccome avevano già l’orlo, non ha avuto problemi ad allungarmeli», spiegò.
«Mi sa che non ti ha allungato solo i pantaloni…», s’intromise di nuovo l’amico.
Fu in quel momento che Kurapika lo trascinò a sé, prendendolo per il colletto della giacca.
«Tappati il culo, Basho», sussurrò rivolgendogli un’occhiata gelida.
«Tranquillo, non te la rubo».
Il Kuruta stava per perdere seriamente la pazienza, quando Senritsu si avvicinò a loro.
«Basho, dopo ti spiegherò tutto», lo avvertì per fargli smettere di dire battute.
«Di cosa state parlando?! Non sto capendo più niente!», sbottò il capo esasperato, «Kurapika mi ha già detto tutto, quindi non è necessario che voi due vi intromettiate».
«Ci scusi», dissero Basho e Senritsu in coro.
«Adesso, Senritsu, torna dentro e fai i lavori che ti ho detto. Tu, Kurapika, portaci da Nakamura; non vorrei perdere altro tempo», concluse asciugandosi la fronte sudata con un fazzoletto.
«Ricevuto».
 
 
 
 
*****
 
 
 
 
Nella zona dove si trovava la villa dell’altro boss mafioso era iniziato il maltempo con pioggia fitta e maestrale.
Dalla finestra dell’ultimo piano si intravedeva una luce fioca.
All’interno di quella stanza c’era un piccolo tavolo ad ellisse dov’era seduto Nakamura con altri capi Mafia della città. Pareva che stessero discutendo su faccende molto importanti, infatti…
 
 
«Quel pezzente di Light sta rovinando tutti i nostri piani!», affermò Satoshi, una persona molto irascibile ed orgogliosa.
«Sotto quella faccia da santo si nasconde un figlio di buona donna!», continuò Kagamine, uomo testardo e combattivo.
«Andateci piano con gli insulti: non serviranno a niente», ribatté Shijo dal carattere riflessivo e razionale.
«Fate silenzio, per favore!», cercò di calmarli Nakamura battendo due volte la mano sul tavolo, «Light potrebbe arrivare da un momento all’altro e non voglio che ci senta».
«Parleremo più piano», promise Kagamine.
Allora l’altro riprese il discorso, appoggiando il mento sulle sue mani incrociate.
«La situazione è molto seria. Non è passato neanche un anno… e Light sta guadagnando popolarità di giorno in giorno. Riesce sempre ad ottenere qualcosa in un modo o in un altro».
«Ti ha anche ricattato, no?», chiese Shijo.
«Sì, ma ho accettato perché era un buon affare anche per me».
«I mafiosi dovrebbero aiutarsi a vicenda, però lui vuole fare tutto da solo!», si lamentò Satoshi.
«Ma è riuscito comunque ad incamerare molti beni».
«Lo aiuta molto anche quel ragazzo biondo che ha reclutato. Credo si chiami Kurapika», aggiunse Kagamine.
«Quanto odio quel bastardo! E’ riuscito a far scoprire uno dei miei uomini durante uno scambio di stupefacenti notturno! Lo voglio morto!», rivelò Satoshi.
«Devo ammettere che è bravo a lasciare il segno, nonostante non sia un veterano. Inoltre è troppo intelligente e calcolatore per i miei gusti: ci darà del filo da torcere», commentò Shijo.
 
 
«Cari miei… la soluzione mi sembra solo una, la quale potremo discutere meglio alla prossima riunione», cominciò a dire Nakamura per chiudere in fretta il discorso.
«E quale sarebbe?», chiese Kagamine incuriosito.
«Svegliati, idiota! La cosa da fare è tentare di allontanare quei maledetti da Tokyo, mi sembra ovvio», ipotizzò Shijo.
 
 
«No… non solo da Tokyo…», lo corresse Nakamura con un sorriso malefico stampato in faccia, «… da tutto il Giappone».
 
 
 
 
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RETTangolo dell’autrice:
 
Perché ho postato questa storia? Perché ho appena mostrato all’Italia il frutto di mille seghe mentali derivate dalla visione di “Man in Black”, “Una mamma per amica” e una buona dose di “C’è posta per te”?
Per chi non mi dovesse conoscere, sono da sempre stata un’appassionata di storie comiche. Stavolta mi sono cimentata in una fan fiction triste dedicata al fantastico Kurapika!
All’inizio la facevo leggere solo al mio migliore amico; un bel giorno però, entrando nel fandom di HxH, sono stata colpita da una palla di fieno vagante…
Insomma, non c’è lo sprint di un tempo! ò.ò Ho postato la mia schifezza per dimostrare che tengo molto alla vitalità del fandom.
Prima di entrare nel panico per le vostre opinioni, volevo precisare alcune cose relative solo al capitolo (il resto lo scoprirete strada facendo).
Senritsu in questa storia è una ragazza di 20 anni. Ha ancora lo stesso aspetto che si vede nell’anime, ma Togashi non ci ha mai detto la sua età. Spero sia veramente giovane!
Per la questione delle coppie, posso dirvi che… non è tutto come sembra. Ci saranno delle sorprese (belle o brutte, non posso dirvelo)!
Su Kurapika vi dico che ho deciso di renderlo più riservato e con vari problemi per rendere più verosimile la cosa. Il segreto è mettersi nei panni dei personaggi. Potrei sembrare antipatica, ma avrei fatto la stessa cosa se fossi stata al suo posto.
Gon e gli altri avranno un ruolo importante proprio quando si ingigantiranno le cose. Hehe…
Nakamura… inutile dirlo… è un bastardo! Lui è lo strumento dove io posso dare sfogo alla mia vena maledettamente pazza e le cose che farà ai Nostrade e a Kurapika saranno innumerevoli.
Infine, tanto per rompervi ancora un po’, voglio raccontarvi una cosa che mi ha fatto piegare in 12 dalle risate! xD
Nella parte dove Kura sfoggia tutto il suo charme nel lucidare l’auto del capo, avevo saltato su Word una riga e avevo scritto: “Prese una bottiglia d’acqua e si bagnò dietro”.
Ci sono voluti molti minuti prima di essermi ripresa… Haha, come sono scema! xP
Comunque, so di non essere il massimo nello scrivere. La mia intenzione è farvi commuovere, ma temo che dovrete farvi aiutare da una cipolla!
Fatemi sapere se ho fatto “orrori” di ortografia; inoltre vi ringrazio di cuore per aver letto la mia idiozia e aver sprecato parte della vostra giornata.
Mi raccomando, siate sinceri con i commenti.
Tutti:- Fai schifo! Suicidati!-
Non COSI’ sinceri T_T…
 
 
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Nel prossimo capitolo:
 
«E così sei tu il biondino che quel bastardo ha reclutato!».
 
«Killua, mi spieghi cosa sta succedendo?».
«Mi pare che non sia io a dover dare delle spiegazioni».
 
«Non si vede da questo se si è un mafioso di alto livello».
 
«Non sei niente male in quanto a voler cadere in piedi!».
 
«Potrebbero farti qualche torto, sai?».
«Con Kurapika è diverso!».
 
«Lei è l’unico membro della famiglia che gli è rimasto e desidera non perderla mai».
 
«Tu e le tue marionette avete appena firmato la vostra condanna…».
 
 
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A presto,
Scarlet Phantomhive.

 
 
 
 

  
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