Fanfic su attori > Johnny Depp
Segui la storia  |       
Autore: Nadim    18/07/2013    3 recensioni
Qualcuno vuole fare del male , qualcuno vuole vedere morto il famoso attore.
Lei è solo una cavia. E’ solo il suo lavoro e come tale lo deve svolgere al meglio.
Ma ella è inconsapevole. Si, scaltra,ma ingenua. Intelligente,ma sciocca.
Forse,questa volta, si è immischiata in un caso più grande di lei. Forse.
 ‘Il suo crimine?’ Pensava.
Non lo sapeva,ma non aveva importanza .Lei doveva solo uccidere.
Genere: Mistero, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
“Come procede April?”
Il suono dei passi di William rimbombava per tutta la stanza.
Si muoveva freneticamente avanti e indietro come se fosse tormentato, come se pensasse ad un qualcosa che lo metteva in grande agitazione.
E di fatti era così.
Serrò le mascelle in uno scatto di rabbia, poi aprì bocca per parlare.
“Procede bene, Signore.” Si diresse a grandi passi di fronte a lui, che concentrato scrutava delle carte, seduto sulla sua grande sedia in pelle rossa.
William era più che sicuro che Mr. White non stesse leggendo quei fogli bianchi che erano appoggiati sulla scrivania, ma che stesse piuttosto pensando ad un qualcosa che lo preoccupava.
Lo stesso qualcosa che forse preoccupava anche lui.
“Ha avuto…”-si sedette sulla sedia in pelle nera, in modo da guardare negli occhi il suo Capo che non si accingeva ad alzare lo sguardo su di lui- “…un po’ di problemi a trovare la sua vittima.”
“Non mi stupisce.” -disse con voce profonda Mr. White- “Infondo è pur sempre una persona famosa.”
“Sì… è riuscita comunque a farsi portare a cena.”  Sorrise un po’ tirato.
“Non mi stupisce neanche questo. April quando vuole sa essere molto determinata ed…esigente.”
Alzò per la prima volta gli occhi sul suo agente.
“C’è qualcosa che ti preoccupa, William.” Pronunciò con queste parole con tono freddo, asciutto e distaccato.
“Anche a voi, Signore. Nonostante cerchiate di nasconderlo.” Disse con naturalezza, con un tono calmo e pacato.
Mr. White si alzò sospirando dalla sua sedia e gli diede le spalle abbassando il capo e giungendo le mani dietro la propria schiena. Si diresse, poi, verso un mobiletto alla sua destra.
Lo aprì e ne estrasse una bottiglia di whiskey con due bicchierini da liquore.
Pochi lenti passi e ritornò al suo posto, sedendosi di fronte a William.
“Sei sempre stato molto acuto fin da ragazzo, William.”
Aprì la bottiglia girando il tappo lentamente e una volta fatto, versò quel liquido rossastro nei piccoli bicchieri di vetro, porgendone uno al suo agente e tenendo l’altro per se.
William, a quella affermazione, abbozzò un sorriso e prese con garbo il bicchierino che gli era stato offerto. Lo appoggiò sulla scrivania, rigirandolo piano tra le mani.
“Non avrei mai dovuto andare lì.” Disse con un tono triste provocato dalla sensazione di colpa che albergava nel suo cuore e nella sua mente.
“Non sarebbe cambiato molto.” Affermò Mr. White, con un espressione nella voce tipica di uno che la sa lunga. “Ci aveva avvisato venticinque anni fa. Speravamo che il tempo avesse modificato le sue intenzioni, che avesse riflettuto. Ci avevamo anche creduto. Eravamo convinti che fosse così. E invece…” –si portò il bicchiere alla bocca bevendo un sorso di whiskey e una volta fatto lo staccò da se, tenendolo in mano a mezz’aria- “…e invece non è cambiato nulla. Lui, la sua vendetta, la sua ossessione non se ne andranno mai.”
Tra il silenzio, sorseggiò ancora un po’ il suo liquore e una volta finito, poggiò con decisione il bicchierino vuoto sulla scrivania.
William ancora doveva bere il suo. Era rimasto con uno sguardo fisso e cupo sul suo Capo, con un espressione contratta e piena di rabbia sul viso.
“Infondo è un bene che tu sia andato a trovarlo. Ha avuto il pensiero di metterci in allerta, William. Anche se non dubito che in un modo o nell’altro ce l’avrebbe fatto sapere.” -disse queste parole con un po’ di rammarico nella voce- “O meglio, ricordare.” Concluse poi con un piccolo sospiro.
Guardò il suo interlocutore con eloquenza, aspettandosi che dicesse qualcosa.
 
E invece prima di aprire bocca per parlare, William bevve il whiskey tutto ad un fiato come per darsi forza.  
Batté, poi, il bicchierino con forza sul grande tavolo in legno.
“Io ho solo paura che possa accadere qualcosa ad April!” Disse alzando un po’ la voce arrabbiato.
“E’ un pensiero che reca afflizione anche a me.” Dichiarò Mr. White con un tono duro e intimando William, con la sua espressione corrucciata in viso, di calmarsi.
Quest’ultimo sospirò.
“Non è giusto.” Parlò piano. “Lei…non ha colpe in questa storia. Lei non doveva diventare un assassina!” Colpì la scrivania con un pugno, in uno scattò d’ira.
“Calmati!” Mr. White alzò la voce minaccioso. Lo fece rabbrividire. “Nessuno ha colpe. April è diventata un’assassina perché doveva diventarlo.” Grugnò i denti.
“O perché voi l’avete fatta diventare tale.” Disse provocandolo a denti stretti.
“E tu, invece, non hai contribuito a tutto ciò, non è vero?” Gli chiese beffardo.
“Io ho solo eseguito gli ordini.” Disse lentamente con voce roca.
Abbassò la testa, guardando a terra e poggiando le mani sulle sue cosce, stringendole.
Infondo Mr. White aveva ragione.
Anche lui aveva contribuito. Cert sotto le sue direttive, ma chi era lui, William, per giudicare?
Avrebbe dovuto ribellarsi, avrebbe dovuto dire no.
Sì ecco. Sarebbe dovuto scappare anni orsono, con quella piccola creaturina tra le braccia.
Avrebbe dovuto trovare casa, sposarsi e far crescere April come un normale essere umano.
Avrebbe dovuto rischiare la sua vita, per lei.
Rischiare. Perché se l’avesse fatto, se fosse scappato,  Mr. White avrebbe sicuramente mandato qualcuno a cercarlo.
E a ucciderlo.
E a prendere la bambina, April. Infondo non aveva nessun diritto civile su di lei.
Aveva avuto paura, prima per se stesso in realtà; pensando egoisticamente. Poi per April, naturalmente.
E così decise di restare e di sottoporsi agli ordini di Mr. White.
Albert White… non era mai riuscito a capirlo fino in fondo.
Era un personaggio strano, molto. Aveva avuto una vita movimentata, segnata soprattutto dal dolore. Un dolore, talmente grande che l’ha portato ad essere l’uomo che oggi è, che è stato e che non fu.
William credeva che Mr. White non fosse sempre stato così, anzi.
Lo si leggeva nei suoi occhi. A volte trapelavano un emozione, un sentimento diverso dal rimpianto, dal tormento, dall’odio, dalla tristezza…
Era amore, un po’corrotto. Ma pure sempre amore.

Ma ora come ora, per come lo stava guardando, Mr. White non provava amore.
Ma rabbia. Si sentiva tradito da quella parole. Le parole che aveva pronunciato l’unica persona, che forse, non lo aveva mai temuto. Che gli si era dimostrato sempre disponibile, come un amico.
Ma d’altronde non aveva nemmeno tutti i torti. Era stato lui a far di April un’assassina.
William aveva solo seguito gli ordini. Ma non sopportava l’idea di essere incolpato così.
Lui l’aveva fatto per April prima di tutto. Per salvarla.
Poi l’aveva fatto per salvare lui stesso. E il suo lavoro e i suoi “dipendenti.”
Stava ancora guardando William, ma si era calmato… Non poteva avercela con lui.
Non doveva. Non dopo tutto questo.
Fece un profondo respiro.
“Non credere di essere l’unico a tenere ad April.” -disse- “Io ho fatto tutto ciò per salvarla. Venticinque anni fa ho avuto paura, William. Per la prima volta, dopo tanto tempo, ebbi paura. Quelle parole, le sue parole, le sue minacce mi fecero rabbrividire. Allora presi la decisione che April sarebbe diventata un’assassina. Sarebbe stato l’unico modo per metterla in salvo, per trovare un accordo. Ed è stato un bene, non trovi? Alla fine è sceso lui in trattativa, in un ultimatum.
Il carcere non l’ha sicuramente cambiato, né l’ha fatto riflettere. Ma gli ha dato il tempo di essere gentile con noi, per la prima volta.”
William alzò lo sguardo sul suo Capo. Aveva un nodo in gola; cercò di respingerlo.
“E…”-iniziò con occhi lucidi- “e non potremo dirle di…di uccidere Johnny entro i cinque mesi?”
“No. Non le abbiamo mai dato un tempo determinato perle sue missioni. Si insospettirebbe. E lui ha detto chiaramente, e chi meglio di te lo può sapere, che non dobbiamo dirglielo. Ne verrebbe comunque a conoscenza.”
“Come? Sta in carcere.” Chiese perplesso
“Non ne sono sicuro ma…”
“Ma?” Lo incitò a continuare.
Mr. White si avvicinò lentamente al suo orecchio.
“Ma credo che abbiamo qualche spia qui.” Gli sussurrò.
Poi si staccò velocemente, riprendendo la sua espressione dura.
“Nessuna mossa azzardata, William.”
Abbassò lo sguardo, calando il tono di voce quasi con nostalgia.
“Non voglio perdere anche April…”
 
***
 
Per la prima volta, dopo un mese o forse due a questa parte, era stato bene.
Sereno, tranquillo, pacato, protetto, in pace con se stesso, col mondo. Bene.
Ed era stata lei. Lei. Quella ragazza. Evelyn!
Ma come era possibile? Come?
La conosceva da poco. Troppo poco.
Inizialmente pensava di conoscerla da sempre…e invece ora…ora che avevano parlato gli sembrava così una sconosciuta. Era…era…non lo sapeva cos’era.
Ma era sicuro di non averla mai incontrata prima. Di essersi sbagliato.
Di essersi fatto troppe seghe mentali.
Voleva rincontrarla, sì l’avrebbe trovata ovunque abitasse.
Voleva continuare a sentire la sua storia, raccontata in grandi linee la sera scorsa.
Voleva scoprirla in tutto e per tutto. Perché l’attirava, l’attirava un casino.
Voleva sentirsi bene ancora una volta, solo una promesso.
Poi non l’avrebbe più cercata, ma per il momento sentiva il bisogno di sentirsi come l’altra sera.
E vaffanculo le conseguenze e i problemi!
Solo una volta…ancora una e basta. Poi l’avrebbe dimenticata.

Ma ora come ora doveva suonare quel campanello.
Doveva tornare da Vanessa, dai bambini.
Loro avevano bisogno di lui. E lui di loro.
Bussò.
La porta si aprì.
“Johnny…” Sussurrò lei con uno sguardo addolcito che ne nascondeva uno segretamente addolorato.
“Vane…”
Fece un passo verso l’ingresso, avvicinandosi con il suo corpo a Vanessa.
“Perdonami.”
La baciò.

                                                                           ***


Era stata brava, anche se non credeva di aver fatto la cosa giusta.
Forse era stata troppo melodrammatica. Ma infondo era il passato di Evelyn, il suo personaggio
che come tale, aveva una storia diversa. Differente da quella di April, differente da qualsiasi altro ruolo che aveva dovuto interpretare.
Per Evelyn si era inventata una storia alquanto drammatica ed era riuscita a renderla credibile, piangendo. Proprio come un’attrice.
Sorrise tra se e se. Era stata brava.
Se lo stava ripetendo oramai da un’ora nel bagno, nuda davanti lo specchio; come per autoconvincersi.
In realtà ora come ora non riusciva a fare altro se non pensare al suo passato, alla storia della sua vita… perché per quanto cercasse di nasconderlo, quella serata passata lì con quell’uomo la fece sentire per la prima volta tranquilla, pulita. Lei, proprio lei che era un assassina.
Ed ora pensava ai suoi ventiquattro anni trascorsi…in un modo che non aveva mai considerato.
Non aveva mai avuto amici.
Era cresciuta in solitudine con William che le faceva non solo da tutore, ma anche da insegnante. Era così riuscita a prendere il diploma.
Non aveva mai avuto rapporti di amicizia, no. Né di amore.
In verità non aveva mai fatto cose che ogni persona della sua età normalmente faceva.
Da piccola, per esempio, non era mai andata in un parco giochi, non aveva mai imparato né a nuotare, né ad andare in bici. Nessuno gliel’aveva insegnato, neanche William.
Proprio quest’ultimo le diceva: “Non fa parte del programma, April.”
E sorrideva poi amareggiato.
Da bambina non capiva a quale “programma” si riferisse William.
Incominciò a comprenderlo verso l’età adolescenziale. Doveva diventare un’assassina, certo. Non poteva permettersi il lusso di divertirsi; lo capiva perfettamente. Anche se il suo tutore qualche volta cercava di farla svagare un po’. Poche volte avevano visto il mare, le stelle, il cielo insieme. Poche volte lei aveva sognato come ogni adolescente. Nessun aspirazione se non quella di vendicarsi, di uccidere.
Per i suoi genitori. Per quell’auto che li investì. Per quei pirati della strada mai arrestati...
Si morse il labbro con violenza guardando minacciosa l’immagine di se di fronte allo specchio.
Era cresciuta, oh si che lo era. Ma dentro se non sentiva niente che fosse cambiato.
Lei che ora ragazza non pensava mai al suo futuro, come tutti gli altri. Non pensava a trovarsi un marito, una casa.
La sua vita le era scivolata addosso, come acqua su cera che a piccole goccioline scivola, ma non bagna, non segna  né il suo percorso né il suo cammino.
Tutto questo per far sì che maturasse in se stessa un carattere “freddo e distaccato.”
Ma non si era mai lamentata di ciò. E continuava a non farlo. Non doveva farlo.
Anche se ora ci pensava e non sapeva perché. No, no basta.
Si portò le mani alle tempie, massaggiandosele.
Lei era un assassina, il suo destino era stato (ed è) ancora quello.
Infondo la freddezza era tutto ciò che doveva avere.
Lei Apri.
E anche Evelyn.
Ma la freddezza non era l’unica cosa che avevano in comunque, loro due.
La storia di Evelyn, in parte, era simile a quella di April.
Non aveva mai avuto amici Evelyn; quindi non sapeva cos’era l’amicizia e neanche che cos’era l’amore…così proprio come April.

Continuava a guardarsi allo specchio, sentendo qualcosa dentro di se che cambiava, si trasformava.
Poggiò le mani sui suoi fianchi e li strinse, soprattutto quello sinistro.

Perciò Evelyn doveva essere così distaccata e così poco socievole…lei sarebbe stata  tormentata dal suo dolore, dalla sua storia.
Avrebbe pianto, qualche volta. Non sempre, a volte.

Ma April non piangeva mai, il suo passato era acqua, non le interessava più di tanto.
La sua durezza con il mondo non era stata causata dalla solitudine, come per Evelyn, ma le era stata inculcata fin da piccola.
Su questo sarebbero state differenti.
Ma c’era ancora un sentimento che le legava.
L’unica sentimento che “il passato” le suscitava era la vendetta, la sua sete di vendetta che sentiva ogni giorno.
E che trasmetteva sempre ad ogni suo personaggio, ma solo quando quest’ultimo uccideva.

Gettò la testa all’indietro sospirando, respirava profondamente come se qualcuno si stesse impossessando lei. Ma non aveva paura, sentiva una scarica di adrenalina salirle lungo tutta la schiena.

Evelyn però non avrebbe mostrato la sua debolezza. L’aveva fatto la sera scorsa, ma non l’avrebbe fatto più. Infondo quella sera era ancora April che cercava di rendere il tutto più credibile.

Sì perché anche lei, April, si mostrava sempre forte.
Ma perché lei lo era, non è così?
Si strinse nelle spalle, rigettò la testa verso lo specchio e si toccò con delicatezza il viso con la mano destra.
 
Forse ora aveva capito com’era Evelyn; come farla comportare.
Ora più che mai era il momento giusto per farlo, per trasformarsi. Per dare il vero “via” alla missione.
Finora aveva solo giocato a fare Evelyn, a conoscere Johnny.
Ora lei lo era si sentiva pronta e Johnny sarebbe stato suo. Ne era sicura.

Osservò il suo fianco sinistro.
Diciassette cicatrici. Diciassette omicidi. Diciassette vittime. Diciassette personaggi.
Prese una piccola lametta e l’avvicinò piano al suo fianco, fin quando non lo raggiunse.
Fece una piccola pressione.
Diciottesimo taglio.
Diciottesima promessa.
La promessa che quella sarebbe diventata un’altra cicatrice.
La promessa che avrebbe compiuto il suo omicidio.
La promessa di avere diciotto vittime, diciotto personaggi.
La promessa che quel sangue che sgorgava dal suo fianco sarebbe stato vendicato.
Era il suo corpo che cambiava.
Era Evelyn che ora diventava.
Ed April che abbandonava.

Anche se forse, April non l’avrebbe mai abbandonata per tutto.
Ma questo Evelyn, ancora lo doveva sapere.

 ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------

Eccomi qui! Non sono ritornata dopo due mesi questa volta xD
E’ un capitolo un po’ corto, lo so.
Ma è di vitale importanza.
Il titolo l’ho preso da una canzone dei Litfiba, appunto “Il mio corpo che cambia.”
Mmmh, vi ricorderete che nei capitoli precedenti ho scritto che gli assassini “devono passare inosservati.” Le diciassette cicatrici, non sembrano facciano ciò, giusto? xD
Beh, nel prossimo capitolo vi spiegherò il perché delle cicatrici u.u
Ora volevo chiudere un po’ più a “suspance”.
Spero di aver reso bene il cambiamento di April e il suo travaglio interiore, è stato così difficile!
Un’altra cosa, visto che ora abbiamo “abbandonato April”, parleremo solo in termini di “Evelyn”.
E spero anche che vi piacciano queste situazioni illustrate così, senza un preciso tempo cronologico, dove si da più spazio ai pensieri “interiori” che non sempre vengono descritti.
Ringrazio in anticipo chi legge e recensisce. Grazie <3
Alla prossima :3
Ps. Sto modificando immagini per inserirle nella storia e sto anche revisionando tutti capitoli.
Ho messo fin ora solo un immagine al primo cap della storia, se vi va andatelo a vedere.
Ciao!

 

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su attori > Johnny Depp / Vai alla pagina dell'autore: Nadim