Storie originali > Generale
Ricorda la storia  |      
Autore: Cosmopolita    18/07/2013    2 recensioni
[...]-Ciao. –
Si girò parecchio stizzito per controllare chi fosse mai quell’idiota che gli aveva rovinato quel momento di silenzio assoluto.
Non fu affatto sorpreso di ritrovarsi accanto a lui un moccioso paffutello sui sette anni, tutto sorrisini e fossette. [...]
Dedicata a Fuser e Fede
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Il parco al calare del sole era un posto idealmente perfetto.

Era uno di quei momenti sospesi, memorabili, quando il sole estivo stava per tramontare, allora le nuvole si tingevano di oro e tutto appariva più vivido, luminoso.

Era uno di quei momenti in cui il parco cominciava a svuotarsi e, finalmente, non sentiva più rimbombare nelle sue orecchie il vociare soffuso e, secondo il suo gusto, terribilmente fastidioso dei bambini.

Una leggera folata di vento gli rinfrescò il viso, gli scompigliò i capelli. Intorno a lui ogni cosa sembrava andasse spegnendosi piano piano e che solo in quell’attimo, al tramonto, volesse mostrare il meglio di sé. Anche l’edificio bianco dall’aria austera e sbiadita che stava davanti ai suoi occhi.

Perfino quello.

Avrebbe voluto che tutto rimanesse per sempre così, sospeso nel preciso istante in cui il sole era al crepuscolo, mentre lui era seduto sulla panchina di quel parco.

 

-Ciao. –

Si girò parecchio stizzito per controllare chi fosse mai quell’idiota che gli aveva rovinato quel momento di silenzio assoluto.

Non fu affatto sorpreso di ritrovarsi accanto a lui un moccioso paffutello sui sette anni, tutto sorrisini e fossette. Aveva tutta l’aria di essere uno di quei bimbetti idioti viziati in modo spasmodico dai genitori; riusciva a incastonarlo perfettamente all’interno di una villa lussuosa, circondato da giocattoli, senza fratelli o sorelle a condividere insieme a lui l’affetto dei due stolti che lo avevano messo al mondo.

Sì, è sicuramente un bambinetto disgustoso si annotò arricciando il naso. Lui odiava quel genere di bambini.

In effetti, li odiava tutti

-Ciao, moccioso. – rispose rigirandosi a fissare il cielo, incrociandosi le braccia sul petto.

Sperava con tutto il cuore che i suoi modi scorbutici avessero fatto desistere il marmocchio, sicuramente abituato a ben altro trattamento, ma quello non sembrava demordere

-Cosa ci fai qui, signore? Non è un po’ grande per stare qui?-

Ci volle tutto il suo stoicismo nascosto da qualche parte nell’anticamera del suo cervello per non urlargli contro di andarsene via.

Magari, se lo avesse ignorato, avrebbe smesso.

Al suo silenzio, quel rompiscatole in scala ridotta, lo prese per il lembo della giacca e cominciò a strattonarlo con insistenza –Beh, signore! Che fa, non risponde? La mamma dice sempre che chi non risponde ad una domanda è un maleducato. –

 

Tua mamma avrebbe dovuto anche spiegarti che tediare la gente è altrettanto incivile, se non di più.

 

-Cosa vuoi da me, ragazzino?- sbottò spazientito, guardandolo dritto negli occhi.

Non fece una piega. Assunse un’espressione alquanto altezzosa e, dopo essersi alzato dalla panchina, si mise di fronte a lui –Io mi chiamo George Davis. – aveva un tono innaturalmente affabile –George, come il Presidente…Tu lo sai chi è?-

-Certo che so chi è!- Ribatté risentito. Mettersi a disquisire con un bambino era la cosa più umiliante che avesse fatto…fino a quel momento, beninteso.

-Papà dice che io farò grandi cose, proprio come George Washington.– continuò George con un tono alquanto saccente –Tu invece come ti chiami?-

Si morse un labbro. Decise di rispondere –Winston.–

L’altro corrugò la fronte –Non mi piace il tuo nome.-

Quel bambino gli stava sempre più antipatico -E’ lo stesso di uno statista inglese. Winston Churchill.- avvertì un certo orgoglio nel suo stesso tono di voce; non gli piaceva quando gli altri mettevano in discussione qualunque aspetto di sé. Neanche riguardo al nome

-Stati-cosa?-

Alzò gli occhi al cielo -Lascia perdere. –

George rise e Winston per un momento si chiese cos’avesse, ma giunse alla conclusione che non era poi molto importante: i bambini facevano sempre qualcosa di insensato

-Sei simpatico, signore.- commentò sorridendo.

La cosa non è reciproca, avrebbe voluto rispondergli, ma si trattenne

-Beh, grazie. – bofonchiò, stringendo ancora di più le braccia verso di sé. Poi si accorse di un dettaglio, il quale inizialmente gli era sfuggito, che stonava parecchio con il resto della circostanza

-Ragazzino, ma i tuoi genitori dove diavolo sono?- Possibile che debbano mollare a me una piattola del genere?

Si guardò attorno; nel parco, così come nei dintorni, non c’era anima viva

-Mamma e papà adesso stanno lavorando. Io ho chiesto alla nonna se mi lasciava qui, così facevo loro una sorpresa e li andavo a prendere…Loro fanno così con me, quando vado a scuola.- con il dito indicò la facciata dell’edificio bianco che campeggiava davanti al panorama –Lavorano lì, alla banca.- aggiunse alla fine con voce orgogliosa.

Winston sogghignò; se i suoi calcoli non erano sbagliati, i suoi genitori dovevano essere, come minimo, due dirigenti o qualcosa di simile.

Magari uno dei due era perfino il direttore

-Mio padre è il capo della banca. –

Ecco, appunto…

-E tu, signore, che lavoro fai?-

Il suo ghigno si spense –Io…beh, anche io lavoro nel settore. –

-Fai lo stesso lavoro della mia mamma e del mio papà?-

Faceva troppe domande scomode, quel moccioso -Non saprei…-

Gli occhi azzurri di George parvero quasi ridere di lui -Hai dei figli belli e simpatici come me?- cambiò improvvisamente discorso, tanto che Winston si chiese come facesse a trovare spunti di conversazione così idioti. Perfino un bambino della sua età sapeva trovare argomenti più intelligenti di quelli

-No…cioè, sì, li ho dei figli. Tre.-

Di certo non sono come te. Di rompiscatole della tua risma non ne ho mai conosciuti. Ce ne sono tanti, certo, ma mai così tediosi.

 

Pensò a sua moglie, al suo grembiule di cotone bianco, al suo sorriso che sapeva di tante belle sensazioni e poi a Richard, a Michael, alla piccola Rachel; quelle erano, con molta plausibilità, le uniche persone che davvero amava in quel Mondo.

Era solo per loro che lui era lì, a sorbirsi le chiacchere di quel moccioso viziato e eccessivamente logorroico.

Un giorno li avrebbe portati in quel parco. Era così piacevole stare lì…beh, a parte per quel maledetto

-Anche loro vanno a scuola?-

-Due sì.-

-Anche io vado a scuola, lo sai? Sono al primo anno e sono il più bravo della classe.-

Era stufo delle sue vanterie –Buon per te. – bofonchiò al limite della pazienza.

Ma quand’è che si sbrigano?

 

D’improvviso sentirono provenire dalle vicinanze dell’edificio di fronte ai loro occhi, un rumore assordante e dal suono nasale. Era come se…

-Oh, è successo qualcosa in banca!- urlò il bambino esaltato, non capendo evidentemente la gravità della situazione –La sente? Magari presto arriverà la polizia!-

Winston evidentemente non era del suo stesso umore; trasalì improvvisamente e balzò in piedi.

Ormai il desiderio di godersi qualche minuto di pace e di silenzio era diventato vano.

Non degnò neanche di uno sguardo quella piaga in forma umana e cominciò a correre burrascoso  verso il marciapiede dirimpetto a quello che costeggiava il parco.

George lo guardò correre via confuso –Signore! Ma dove vai?-

-Al lavoro, brutto moccioso disgraziato!-

George lo osservò con occhi attoniti mentre saliva a bordo di una macchina.

Molti anni dopo, pur ricordando alla perfezione tutti i dettagli del loro incontro, non avrebbe mai rammentato di che colore fosse.

Con gli occhi lo seguì mentre si appostava con l’auto verso un angolo della banca.

Vide con immenso sbigottimento degli uomini, probabilmente amici suoi, tutti ben coperti perfino al viso nonostante quel giorno fosse abbastanza caldo, uscire dalla struttura con una foga confusa e disordinata, e salire su di essa.

Li guardò ripartire velocemente dalla parte opposta rispetto al rumore della sirena.

 

-E’ stato un colpo fantastico!-

-Già, abbiamo racimolato proprio un bel bottino. –

Winston continuava a fissare la strada impassibile. Poi improvvisamente domandò –Ci sono state delle complicazioni?-

Rispose uno dei suoi compagni -Abbiamo leggermente ferito il direttore della banca, ma nulla di che. Cambia qualcosa?-

Non rispose.

Avrebbe dovuto preoccuparsi, ma non riuscì a trattenere un sorrisetto compiaciuto.

Pensava soltanto a quella sera, quando avrebbe baciato sua moglie sulle labbra e avrebbe detto ai suoi figli che un giorno o l’altro li avrebbe portati al parco. Forse in un’altra città, magari a Parigi o in qualche altra metropoli europea, chissà… In un certo senso, il fatto che non avrebbe mai più rivisto quel parco in particolare, gli faceva salire un groppo allo stomaco. Era l’unica cosa per cui valeva la pena di rimanere lì.

Faceva tutto quello solo per loro.

 

 

E’ la prima volta che scrivo una storia originale. Spero sia bella come volevo che fosse

   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: Cosmopolita