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Autore: Portman98    18/07/2013    1 recensioni
Cosa succederebbe se la realtà in cui viviamo fosse completamente capovolta? La riusciremmo ad accettare oppure impazziremmo? Ma se in gioco ci fosse un bene più grande...
Stavolta per sconfiggere il loro nemico le guerriere Sailor dovranno oltrepassare non solo il tempo e lo spazio, ma la loro stessa realtà!
Riusciranno a superare e conoscere i loro lati "oscuri"? Sopravvivranno gli amori, le amicizie, oppure tutto si perderà nella pioggia?
Questa è la prima fanfiction che scrivo, per cui abbiate pietà... nasce da un'idea comica, ispirata ovviamente da Heles, però spero che questa storia mantenga almeno un po' di quella suspance, di quel romanticismo e di quell'avventura che rendono il manga insuperabile.
Spero vi piaccia...
P. S. Le recensioni sono ben accette, aiutatemi a migliorare.
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai, Crack Pairing | Personaggi: Haruka/Heles, Mamoru/Marzio, Michiru/Milena, Un po' tutti, Usagi/Bunny | Coppie: Endymion/Serenity, Haruka/Michiru, Mamoru/Usagi, Seiya/Usagi
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Dopo la fine
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Mondo parallelo
2.30 a.m.
L’unico segno che tradiva la vita nell’edificio buio era il rumore incessante di cartelle e rapporti che venivano sfogliati. Solo una luce fioca penetrava da una finestra nelle tenebre della notte, avvolta nei contorni quasi irreali della pioggia, che aveva appena smesso di cadere, si intravedeva una figura china su una scrivania. Apparentemente assorti in un caso di furto, in realtà i pensieri del commissario di polizia, continuavano a ritornare a quella strada buia, a quel maledetto incrocio.
“Milena, stavolta nemmeno l’amicizia che un tempo ci legava potrà salvarti!” rimuginò ancora Sidjia, mentre i suoi occhi frugavano una volta di più gli scaffali in cerca di quella cartella, attratti da essa come le falene dalla luce.
Colta da un improvviso impeto di risentimento non poté impedirsi  di sbattere un pugno sul tavolo, il liquido scuro nella tazza fumante ondeggiò pericolosamente di fronte a lei e alcuni fogli scivolarono sul pavimento.
- Pensi che dovrei smetterla, vero Xer? – domandò abbandonandosi sulla poltrona con la testa fra le mani, il pastore tedesco accoccolato su uno sgabello alla sua destra, con le zampe anteriori appoggiate sulla scrivania, la fissò impassibile attraverso la nuvola grigiastra che si propagava dal suo sigaro in tutta la stanza.
- Non dovresti fumare, lo sai vero? – l’espressione di Sidjia si addolcì mentre affondava la mano nel morbido pelo del suo fedele compagno, il cane in tutta risposta emise un mugolio di protesta e prese un altro tiro dal sigaro cubano che stringeva saldamente tra i denti.
- Non cambierai mai – disse dandogli un buffetto sulla guancia – Ma d’altronde nemmeno io… - ammise poi sconsolata – Eppure sai anche tu che c’è qualcosa che non quadra, qualcosa che ci sfugge! – imprecò sbattendo ancora il pugno sulla scrivania, stavolta alcune gocce di caffè colarono dalla tazza impregnando i documenti dinnanzi a lei.
- La fortuna non sembra proprio essere dalla mia parte – sospirò Sidjia raccogliendo i pochi rapporti indenni, sotto lo sguardo interdetto di Xer – Beh, allora tanto vale dare un’occhiata a quella cartella… - si arrese il commissario.
Xer si sporse interessato sulla scrivania, mentre Sidjia tremante appoggiava davanti a loro il fascicolo dell’incidente. Lo aprì piano, con cautela, come se temesse che la verità contenuta in quel plico di fogli potesse d’un tratto svanire. L’aveva compilato poche ore prima Tomoe, lei era stata considerata troppo coinvolta per indagare sul caso, tutti infatti sapevano dell’amicizia che, nonostante le loro posizioni molto differenti, continuava ad unire lei e Milena. Come poteva la scrittura minuta e ordinata di Tomoe raccogliere l’ondata di sentimenti che si annidavano nel suo cuore? Tuttavia, non era troppo coinvolta, avrebbe potuto benissimo portare a termine le indagini e, Tomoe lo sapeva… ma questa era la sua vendetta, lei gli aveva sottratto il posto da commissario e ora lui le rubava il caso.
“Eppure un tempo eravamo amici, può davvero la brama di potere trasformare a tal punto le persone?” rifletté rattristata. Erano stati una squadra formidabile, insieme avevano consegnato alla legge centinaia di criminali, ma dopo le dimissioni del capo… i loro rapporti si erano come congelati, solo qualche gelida parola accompagnava i loro sporadici incontri, ormai.
- Mi rimani solo tu Xer – sussurrò Sidjia accarezzando il pastore tedesco. Per alcuni istanti il suo sguardo si fermò sul vuoto dei ricordi lontani, serrò gli occhi per arrestare una lacrima colma di rimpianto.
Poi di colpo si riscosse, chiuse il fascicolo e si alzò in piedi. Inspirò profondamente un po’ di quell’aria satura di tabacco e caffè – La vita va avanti… - esclamò priva di convinzione – E tu non dovresti proprio fumare Xer! –

Mondo reale
- Perché cavolo ho prestato il mio ombrello a Taiki? – imprecò balzando  giù dall’autobus.
- Ragazzo fa più attenzione – lo ammonì l’autista, ma Seya non se ne curò, come non si curava della pioggia che in quei giorni annebbiava incessantemente le vie di Tokyo . Aveva piovuto anche quel dannato giorno.
- Maledizione – il suo piede era affondato in una pozzanghera – questi erano gli unici pantaloni decenti che avevo!  –
Era dura la vita sulla terra quando non si era una rock star e Seya l’aveva capito solo pochi giorni prima. Niente autista privato, niente vestiti d’alta moda, solo squallidi autobus e pantaloni di seconda mano. Ma d’altronde la memoria degli uomini era davvero corta: un giorno sei l’idolo di Tokyo, l’altro la gente non ricorda nemmeno più le tue canzoni. Come tutte le tendenze anche i Three Lights si erano persi nell’oblio collettivo, rimpiazzati da nuove e stupide boy band come quei “Back Street Boys”!
- Odio i Back Street Boys – mugugnò scuotendo la gamba per scrollarsi via l’acqua. Seya odiava quella nuova vita sulla Terra, ma ciò che odiava di più era il fatto che Bunny non la vivesse con lui! In quei due mesi in cui erano stati lontani non aveva fatto altro che pensare a lei, al suo profilo delicato, al profumo della sua pelle, ai suoi capelli dorati… e lei? Lei era stata per tutto il tempo con Marzio. Lei amava Marzio e lui non sarebbe stato altro che un amico, doveva farsene una ragione. Tuttavia, per quanto ci provasse, non riusciva a convivere con quella realtà, era molto meglio quella dei suoi sogni.
Poi era successo questo!
Prima la battaglia, poi l’incidente… Tutto così in fretta! Ed ora lei si ritrovava in un letto d’ospedale, confusa, spaventata… Forse aveva bisogno di lui! E Seya doveva sottostare agli orari di quegli stupidi autobus!
Risvegliato da quel pensiero riprese a correre a perdifiato, sotto la pioggia, che si era fatta più fitta. Le gocce gli correvano giù per la schiena e si insinuavano tra i capelli, ma l’unica cosa che gli importava in quel momento era raggiungere il Tokyo Hospital al più presto!

-

Seya adorava i racconti, quelli che le nonne leggono la sera per far addormentare i loro nipoti, quelle che parlano di cavalieri che, sui loro valorosi destrieri, cavalcano nelle notti di luna piena per salvare le loro amate rinchiuse in oscuri castelli, sorvegliati da draghi. E in quel momento, mentre lo scorrere delle porte automatiche accompagnava il suo ingresso trionfale nel Tokyo Hospital, si sentiva proprio uno dei protagonisti di quelle magnifiche fiabe! Peccato che in quel momento fosse pieno pomeriggio, che stesse piovendo (E nelle fiabe non può piovere, altrimenti che ne sarebbe dello scintillio delle armature dei cavalieri?), che quello non fosse un oscuro castello bensì un semplice ospedale, che il suo drago non fosse niente meno che un infermiera grassottella dal volto arcigno, intenta a rimproverarlo perché era fradicio, e, per completare, che la sua principessa avesse già un principe… ah, e non aveva neppure un destriero.
Seya ignorò l’infermiera, e si diresse a grandi passi verso la sala d’aspetto, dove riconobbe la figura slanciata di Marzio, che si stagliava scura contro il lucore soffuso della pioggia.
- Dovrebbero cambiare le lampadine in questo ospedale – constatò Seya , arrivandogli alle spalle.
- E tu dovresti cambiarti i vestiti – ribatté Marzio girandosi verso di lui, un sorriso tirato gli increspava le labbra e le occhiaie delle lunghe veglie gli avevano scavato il volto, dimostrava molti più dei suoi vent’anni in quel momento.
Seya abbassò imbarazzato lo sguardo sui suoi vestiti, imperlati da piccole goccioline d’acqua.
“Perlomeno non si vede più la macchia sui pantaloni” pensò invidiando ora più che mai la classe e l’eleganza del suo rivale.
- Immagino che tu voglia vederla – disse Marzio per interrompere la cortina di silenzio che era calata tra loro. Seya si limitò ad un cenno del capo.
- Andiamo allora – Marzio gli fece strada per un’infinità di corridoi asettici e identici fra loro, finché non giunsero ad una piccola e sobria stanzetta con un solo letto. La porta era chiusa, ma l’interno si poteva osservare da una finestra che dava sul corridoio. Sul letto, sdraiata in posizione fetale, una mano pencolava sul bordo del letto, ciocche dorate le ricadevano sparpagliate sul viso e sulle spalle, i suoi occhi erano fissi sulla porta, ma non la stavano davvero guardando.
- E così che l’ho trovata – sussurrò Marzio – L’altra notte intendo – ribadì – Era abbandonata in mezzo a quell’incrocio maledetto, disorientata, in stato confusionale… - mentre parlava rughe di preoccupazione gli solcavano il viso, i suoi occhi si erano adombrati – Alcuni testimoni hanno dichiarato di aver visto una macchina gialla prenderla in pieno, ma lei… quando l’ho trovata non mi ha detto niente, se ne stava là sull’asfalto, immobile, a fissare il vuoto e, il bello è che non aveva nemmeno un graffio… blaterava di un mondo parallelo, qualcosa sulla polizia, non ho capito, a te queste cose dicono per caso qualcosa? Non so, magari qualche ricordo, io sono stato via parecchio tempo – concluse con un sospiro rammaricato.
- No, non mi dicono nulla – rispose Seya atono, in realtà non ascoltava le parole di Marzio, il suo sguardo era perso oltre il vetro che li separava,  nell’immagine della ragazza che doveva proteggere, dell’unica che non poteva avere.
  
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