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Autore: XShade_Shinra    18/07/2013    1 recensioni
L’elfa Lassirya è una sposa bambina, venduta ancora in tenera età al suo futuro marito per un’ingente somma di denaro. Impaurita dai modi di fare rudi di quell’orco, con il quale dovrà condividere tutta la vita, sfugge alla loro prima notte di nozze, nascondendosi in una nicchia del fatiscente e oscuro castello del marito, assieme al suo peluche preferito: Sheirinnath, un pacioso drago nero.
[ Storia partecipante al contest “L'Anguisette e... il Principe” indetto da Eylis sul forum di EFP ]
Genere: Avventura, Fantasy, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Escapology
L’elfa Lassirya è una sposa bambina, venduta ancora in tenera età al suo futuro marito per un’ingente somma di denaro. Impaurita dai modi di fare rudi di quell’orco, con il quale dovrà condividere tutta la vita, sfugge alla loro prima notte di nozze, nascondendosi in una nicchia del fatiscente e oscuro castello del marito, assieme al suo peluche preferito: Sheirinnath, un pacioso drago nero.
Storia partecipante al contest “L'Anguisette e... il Principe” indetto da Eylis sul forum di EFP




Nick dell’autore: XShade-Shinra
Titolo: Escapology
Tipologia: Storia a capitoli (3 capitoli + epilogo)
Lunghezza: 13’000 parole circa (totali)
Genere: Fantasy, Avventura, Sentimentale
Avvertimenti: Tematiche delicate 
Rating: Giallo/Arancione (non ci saranno certe scene scabrose, quindi leggete con serenità. Ufficialmente ho messo come rating “arancione” perché ci sono comunque tematiche delicate).
Credits: Lo scritto e i personaggi sono interamente di mia proprietà. Tutti i personaggi di questa storia sono maggiorenni e comunque non esistono/non sono esistiti realmente, come d’altronde i fatti in essa narrati.
Luoghi scelti: La Nicchia e l’Harem
Personaggi scelti: La Bambina e il Drago
Binomio (omaggio a Jacqueline Carey) scelto: La Sposa e la Stirpe
Note dell'autore: L’escapologia è la branca dell'arte illusionistica che sta a indicare la capacità di un mago di sapersi liberare da costrizioni fisiche (camicie di forza, bauli, gabbie, ecc…) e ambientali (stanze cieche, celle, ecc…). La parola deriva dall'inglese to escape, che significa "sfuggire, scappare". [wikipedia]
Era ormai da tempo che dovevo pubblicare questa storia, la quale giaceva nei meandri di quella fossa biologica che è il pc, e finalmente ho deciso che oggi sarebbe stato il giorno buono.
Un ringraziamento particolare va a Kospades, che ha betato la storia prima della pubblicazione su EFP (non fate caso alla parlata dell’orco; è stato veramente divertente dargli voce – anche se a volte non sapevo bene come modificare le sue frasi in modo che ci fossero degli errori, ahah!).
Auguro a tutti buona lettura. ^^



 
- Escapology -
Escape 1 – A Narrow Escape – 
Cavarsela per Miracolo


«Anf… anf…».

«Corri, Lassirya! Corri!».

«Non ce la faccio…».

«Devi farcela! Avanti!».

«Il vestito… Questo vestito da sposa è troppo ingombrante…».

«Lass, sbrigati!».

Questi sussurri concitati si udivano appena, nascosti dai passetti leggeri della piccola elfa Lassirya che correva tra i bui corridoi dell’oscuro castello di Thornoth, l’orco possessore delle terre di Lejandrth, sede del suo tetro maniero.

Lassirya vestiva ancora l’abito bianco da sposa che aveva indossato durante la cerimonia nuziale da poco conclusa nella cappella del villaggio dove, pochi giorni prima, era stata portata da coloro che l’avevano catturata e condotta via dal suo Reame: dei cacciatori di creature del bosco.

Era stata venduta per un’ingente somma di denaro all’orco Thornoth, e lui l’aveva sposata subito dopo l’acquisto, senza pensarci due volte.

Costretta dunque a doversi maritare con quell’orco che le incuteva timore a causa dei suoi atteggiamenti e della pregnante puzza di sangue che avevano le sue logore vesti di pelle, era scappata dalla camera dove l’orco voleva consumare la loro prima notte di nozze.

Lassirya era solo una bambina – non era neppure in grado di utilizzare la magia, a causa della sua giovane età –, ma non per questo era una sprovveduta, come invece era tipico della sua specie tra i più piccoli.

«Shei… non ce la faccio più…», si lamentò la piccola, annaspando l’aria e continuando a correre.

Le snelle gambe le dolevano, così come il petto, compresso nel bustino che le donne del villaggio le avevano stretto.

«Resisti…».

«Non ho più… aria…». L’ultima parola fu detta con voce incrinata dalla fatica e dalle lacrime, che minacciavano di scorrere lungo le sue guance.

«Trova un posto dove nasconderti! Un mobile, un camino, un’armatura… fa’ qualcosa, ma non fermarti qui!». La voce concitata che le dava forza e le suggeriva cosa fare era quella di un peluche a forma di drago nero, dal corpo in sovrappeso e le ali striminzite, che Lassirya teneva tra le braccia.

Si chiamava Sheirinnath, ed era il suo pupazzo preferito. Non se ne separava mai, nemmeno per un instante, perché era anche il suo migliore amico.

«Sì…», ansimò lei, guardando a destra e sinistra, mentre continuava a correre con movimenti sempre più sconnessi per gli anditi di quel castello, sperando di non incontrare nessun orchetto.

D’un tratto, la bambina vide un’ombra nera nel muro, la quale catturò la sua attenzione.

I capelli biondi virarono con forza, come una frustata, quando scartò verso destra, correndo in direzione di quella piccola apertura.

«Cos’è?», chiese il drago, muovendo le paffute zampette anteriori.

«Non lo so… sembra una nicchia…», mormorò Lassirya con il fiatone, buttandosi ginocchioni davanti all’anfratto nel muro. Strinse di più a sé Sheirinnath e ingollò tutta la saliva che le stagnava in bocca. «Provo a entrare…».

«…È molto stretta…», le fece notare il peluche.

«Lo so… Appunto per questo», rispose lei, posandolo a terra accanto a sé. «Entra dopo di me, per favore, così spingerai gli strascichi del vestito, in modo che non appaiano… E poi tu sei nero, mi coprirai…».

«Pensi di riuscire a entrare là?», chiese il draghetto, guardandosi attorno preoccupato.

«Non riesco più a correre». Lassirya era veramente stremata: doveva rifiatare. Quindi sarebbe entrata anche a forza in quel cunicolo.

«Ok», rispose l’amico, facendole cenno di accedervi.

La nicchia era veramente stretta – sembrava quasi un condotto per l’areazione – e talmente angusta che solo un bambino sarebbe potuto entrare là, per di più a stento.

Lassirya strisciò a terra, sporcandosi di polvere e terra gli avambracci e il vestito. Lo spazio era appena sufficiente per passare e non era per niente confortevole, ma il pavimento di pietra fredda cominciava a dare un po’ di sollievo alla piccola elfa, sudata e accaldata dai diversi strati di stoffa che indossava, e il sapere che si sarebbe potuta riposare un poco le dava la forza per sorridere.

Aveva in mente di attendere un po’, e poi riprendere la sua fuga per poter scappare da quel castello – da quell’orco.

«Devi andare un poco più avanti». Sheirinnath, da fuori, iniziava già ad ammatassare lo strascico del vestito e spingerlo nella nicchia. Per il momento non era passato nessuno per quel corridoio, ma l’ansia cresceva di secondo in secondo. Il drago non voleva che fosse fatto del male alla sua amica: l’avrebbe difesa a costo della vita.

Si erano sempre aiutati a vicenda, così si erano salvati da tutte le avversità – e così avrebbero continuato a fare.

«Sì, qui la nicchia continua», avvertì la bambina, continuando a strisciare nella polvere.

Dopo qualche attimo, Lassirya fu abbastanza dentro da permettere anche al drago di entrare con i suoi soffici e molli passetti da peluche animato, ed entrambi furono al sicuro tra le ombre oscure della cavità.

«Fiuuu…», sospirò il pupazzo, portandosi la morbida coda all’altezza del cuore. «Per le scaglie del drago d’oro… Mi stavano per venire le cuciture al rovescio dalla paura…», soffiò, posando la schiena sui piedini di Lassirya. La bambina però non rimase ferma, e continuò ad avanzare in quello stretto pertugio nel muro, facendo così cadere a terra il peluche. «Ehi!», esclamò questi, prendendosi uno “Ssssh!” come risposta.

«Shei! Fa’ silenzio!», lo pregò sottovoce l’elfa.

«Scusa!», brontolò lui, muovendo gli arti all’aria come una cimice caduta di schiena, prima di riuscire a rimettersi a quattro zampe e poter seguire la bimba. «Ma dove vai?».

«Voglio vedere dove porta…», spiegò Lassirya, arricciando il nasino e trattenendo forzatamente uno starnuto. C’era veramente molta polvere lì: non doveva mai essere stato usato, né pulito. Sarebbe stato veramente un ottimo nascondiglio se fosse sbucato da qualche parte.

Mentre matasse di grigia sporcizia si depositavano e si attaccavano ai capelli e al vestito da sposa di Lassirya, facendole lacrimare gli occhi celesti e arricciare il naso, Sheirinnath camminava goffo per il sentiero pulito dall’amica.

«Vedi qualcosa?», le domandò.

«No, ma sento un leggero spiffero provenire da davanti…».

«Basta che non lo senta io…», osò fare del sarcasmo Sheirinnath.

«Shei! Come fai a trovare la forza di fare battute in un momento del genere?!», sibilò la bambina.

«Sono un peluche: il mio dovere è quello di divertirti e darti forza», le ricordò, fiero del suo ruolo.

L’elfa scosse la testina, facendo ondeggiare i batuffoli di polvere. A volte non capiva il comportamento festaiolo del suo drago, ma doveva ammettere che risollevava l’atmosfera.

Da quando era stata catturata dai bracconieri aveva chiesto a Sheirinnath di non dire nulla, in modo da non farsi scoprire, o avrebbero tentato in ogni modo di capire il motivo per il quale un pupazzo di stoffa e bambagia potesse muoversi, parlare e avere un proprio pensiero.

Mentre Lassirya ipotizzava su cosa potesse trovarsi dall’altra parte di quel sentiero che tendeva verso il basso, d’un tratto le apparvero davanti agli occhi delle piccole fiammelle provenienti da delle torce appese al muro, e alle orecchie le arrivò un mesto vociare. Si fermò di colpo e il draghetto andò a sbattere contro i suoi piedi, inciampando.

«C’è qualcuno…», soffiò impercettibilmente l’elfa, tornando appena indietro con il corpo.

«Attenta, Lass», sussurrò l’amico, afferrandola per la lunga gonna dell’abito, come se volesse essere pronto a trascinarla via.

Lei annuì e ricominciò a strisciare lungo il condotto.

La nicchia doveva essere un passaggio segreto per un luogo di pace, una zona franca dove solo poche creature potevano entrare; che conduceva all’ignoto.

«Cosa vedi?», le chiese il drago, preoccupato che Lassirya stesse davanti, così esposta al pericolo che li attendeva.

L’elfa cercò di strisciare quanto più possibile vicino all’apertura, e si accorse di essere molto in alto – almeno a due metri da terra – e capì subito di trovarsi in un luogo dove avrebbe preferito non essere.

Era finita dall’andito alle prigioni. Dalla padella nella brace.

Vide diverse donne, bloccate al muro tramite delle manette o che portavano ai polsi lunghe catene, parlottare tra loro.

Erano tutte bellissime, ma portavano i vestiti strappati e non avevano per niente un buon odore addosso. Anzi, in tutta la sala c’era puzza di sangue, urina, escrementi, sudore e quant’altro, che Lassirya non riuscì a riconoscere.

«Ehi, Lass…», la chiamò ancora il drago sottovoce, in apprensione.

«Donne…», rispose lei, sporgendosi un po’.

«Uhm?», fece Sheirinnath, non capendo cosa ci facessero lì delle umane. Lassirya si mosse prima che l’amico potesse fermarla: andò avanti fino a sporgersi, lasciando ciondolare fuori il velo e i lunghi capelli.

«Signore?». La voce della bambina risuonò in quella stanza come un rombo di tuono, rompendo il silenzio quasi totale che vi era.

Tutte le donne alzarono di scatto la testa, guardando con occhi sbarrati la piccola che sbucava dalla nicchia che tutte loro credevano che non servisse a nulla se non come condotto dell’aria.

Lassirya si sentì osservata da quattro paia di occhi, e sorrise piano alle donne, un po’ imbarazzata.

«Ma che fai?!», ululò il draghetto dietro di lei, anche se non venne sentito all’esterno.

L’elfa gli diede un calcetto e si rivolse alle prigioniere:

«È stato Thornoth a rinchiudervi qui?», pigolò piano.

Loro si guardarono a vicenda e solo in quel momento Lassirya fece caso alle loro orecchie, tutte con delle piccole punte nella parte alta del padiglione auricolare. Troppo corte per appartenere a delle elfe, troppo lunghe per appartenere a delle semplici umane. Quelle donne erano delle mezzelfe. Una di loro prese la parola. Aveva lunghi capelli rossicci, tendenti all’arancione, e gli occhi verdi.

«Sì, è stato lui…», rispose triste.

«E tu come mai se qui?», chiese una mezzelfa dai capelli e gli occhi neri come l’ossidiana.

«Mi sembra una domanda piuttosto stupida, Gabrielle!», intervenne una terza, con corti capelli castani. «È vestita da sposa ed è qui nel castello… Non sai fare due più due?!».

«Ma noi non siamo mai state sue spose, Amanda!», le fece notare la rossa, che stava in piedi, con le mani bloccate al muro. «Potrebbe essere diversa da noi…».

Lassirya seguì in silenzio la loro discussione, prima che le tre la guardassero nuovamente, bisognose di spiegazioni. Lei arrossì appena, arretrando un po’. Quelle donne erano strane, soprattutto Amanda.

«Io… Thornoth mi ha preso in moglie stamattina, ma sono scappata una volta che mi ha portato nella sua camera da letto… Ed eccomi qui», spiegò.

Le tre mezzelfe si guardarono in maniera strana, come se non capissero qualcosa di tutto quel racconto.

«Scusa, piccola…». Una voce lieve e rotta dal pianto arrivò alle orecchie oblunghe di Lassirya, facendola voltare verso l’unica mezzelfa che fino a quel momento era rimasta in silenzio. Anche lei, come Amanda, era seduta in terra, su della paglia, e aveva dei lunghi boccoli biondi che arrivavano a posarsi sullo sporco pavimento; gli occhi azzurri erano umidi dalle lacrime e l’elfa notò che aveva il pancione tipico delle donne incinte. «Tu… sei una mezzelfa come noi?».

Lassirya scosse il capo.

«No, sono un’elfa», rispose, scostandosi i capelli in modo da mostrare il padiglione auricolare.

A quella risposta, le donne lì presenti trasalirono, ingoiando a vuoto.

«Ma… sei solo una bambina…», la mezzelfa palesemente incinta sembrava la più turbata dalla notizia appena appresa.

«Che orrore!», aggiunse Amanda.

Lassirya stava per rispondere, quando un movimento dietro di lei la fece sussultare. Sheirinnath, fortemente preoccupato nel sentire quelle voci delle quali non comprendeva bene le parole, approfittò del fatto che, nel punto dove si era fermata l’amica, la nicchia fosse leggermente più larga e, sfruttando la grande comprimibilità della bambagia della quale era riempito, passò sotto la sua gonna fino a strisciare lungo il suo petto e sbucare proprio all’entrata del condotto. Non aspettandosi di trovare il nulla sotto di sé, il draghetto cadde nel vuoto ma mosse velocemente le piccole alucce rafforzate con il fildiferro riuscendo a stare sospeso in aria a pochi centimetri dall’impatto con il suolo. Tirato un sospiro di sollievo, Sheirinnath risalì fino all’imbocco della nicchia.

«Lass!», esclamò furibondo. «Non tenermi fuori da tutto questo solo perché sono un…». Lassirya non fece in tempo a rispondere che le quattro mezzelfe si illuminarono nel vederlo.

«Un drago!», dissero festanti.

«Quella bambina ha un drago con sé! Ehi, Dorothy! Riusciremo a uscire da qui!», esclamò la mezzelfa pel di carota, rivolta alla bionda.

«Ah… Dici, Charline?».

Sheirinnath si imbarazzò nel vedere che quelle donne sembravano entusiaste all’idea di averlo lì tra loro, e svolazzò – con fatica, a causa del suo peso – sopra le loro teste.

«Scusate, signore… Come mai tanta gioia nel vedere un drago grassone?», domandò.

«Non capisci?!», chiese Amanda, colei che sembrava la più irritabile. «Queste manette che quel porco di Thornoth ci ha messo ai polsi sono magiche! Sigillano i nostri poteri!», spiegò, muovendo gli arti e facendo tintinnare le lunghe catene. Lei e Dorothy erano le uniche sedute e che potevano muovere le braccia, mentre le altre due erano in piedi e con i polsi ammanettati al muro, come testimoniavano le diverse abrasioni che avevano.

«Se fossimo state libere di usarli, secondo te saremmo ancora qui?», chiese Charline, sorridendo appena.

«Ma tu, con i tuoi arcani poteri, puoi fare qualcosa per liberarci, fortunatamente!», esclamò Gabrielle.

Sembravano tutte di buon umore, ma non erano a conoscenza di un piccolo, minuscolo, microscopico particolare.

«Ehm, in realtà…», iniziò a dire Lassirya, ma fu anticipata da Sheirinnath.

«Mi dispiace, signorine, ma oltre ad essere visibilmente in sovrappeso, non posseggo alcun potere magico: sono solo un drago a forma di peluche, non ho certo i poteri di quei lucertoloni che vivono nelle paludi e spruzzano fiotti d’acido!».

Le mezzelfe spalancarono la bocca e aprirono un po’ di più gli occhi.

«Cosa vuoi dire?!», lo attaccò Amanda. «Non vorrai farmi credere che un peluche che si muove, parla e addirittura vola non ha un potere!».

Stanco, Sheirinnath si posò sul pavimento, muovendo, in fase di atterraggio, la polvere lì presente.

«Io sono solo un drago di peluche, ripeto. E sono amico di Lassirya», spiegò, indicando la bimba con un cenno del capo. «Non so perché posso muovermi, è stata lei a chiedere che fosse possibile e, magicamente, è stata accontentata; ma io non ho alcun potere, e lei è ancora troppo piccola per poter usare i propri».

«Dannazione!», urlò la mezzelfa dai capelli castani. «Dannazione!».

Dorothy, invece, riprese a piangere piano, delusa.

Le altre due sbuffarono affrante.

«Possiamo provare lo stesso a liberarvi, no?», chiese Lassirya, che non riusciva a scendere da così in alto. «Ci sarà una chiave!».

«Sì, c’è», annuì Gabrielle. «Ma la ha un orchetto che fa la guardia qui… Purtroppo è l’unico modo che abbiamo di aprire i lucchetti, se non possiamo utilizzare la magia».

Lassirya fece cenno di aver capito, e il draghetto prese la parola:

«Non mi è però chiara una cosa. Perché Thornoth vi tiene qui imprigionate?».

Le mezzelfe tacquero un attimo, poi Charline prese la parola:

«Perché siamo mezzelfe», rispose sibillina.

«E… quindi? La sua prima fidanzata era una mezzelfa e le stanno antipatiche tutte quelle della vostra razza?».

«No…», rispose Charline, scuotendo il capo.

«Lui ha bisogno di noi», disse allora Dorothy, asciugandosi gli occhi con il dorso delle mani. «Lui vuole creare una stirpe invincibile: esseri nati dall’unione di un orco, per prenderne la forza, e di un elfo, per acquisirne i poteri magici. In queste terre gli elfi sono rarissimi, quindi si è dovuto accontentare di noi…», spiegò, accarezzandosi il pancione.

«Quindi…», intervenne Lassirya, «quel bambino…».

Dorothy annuì triste, mentre Gabrielle aggiungeva:

«Anche Amanda è da poco incinta. Quelle di noi che riescono ad avere dei figli da lui hanno il privilegio di stare più comode… Ma è difficile…».

Il draghetto fece una smorfia piena di disgusto, immaginandosi cosa facesse quell’orco alle mezzelfe pur di avere una prole.

Quello era il suo harem, un luogo dove provava piacere e lavorava per perseguire il suo orrido scopo.

«Noi non siamo state rinchiuse qui perché malvagie: è lui quello crudele», aggiunse Amanda. «Se solo potessi lo ucciderei con queste mie mani!».

«Calmati, Amanda», la riprese gentilmente Dorothy. «Drago nero, tu sei amico dell’elfa, vero?», domandò a Sheirinnath, il quale annuì. «Allora aiutala a scappare, non preoccupatevi per noi».

«Cosa?!», urlò Amanda. «Ma sei rincoglionita, forse?», sbuffò, incredula.

«Lei non riuscirà a prendere quelle chiavi e non può far nulla per liberarci. È meglio che fugga: è solo una bambina e quell’orco vuole dei figli da lei, lo capisci?!».

Amanda la guardò con rabbia. «Dorothy! Sai benissimo cosa ci fa quello lì tutti i giorni, anche a noi che ormai potremmo benissimo non servigli più, e tu rifiuti questo aiuto venuto dal cielo?!».

«È perché lo so, che voglio che quella piccola elfa scappi! Non voglio che faccia la nostra fine!».

«Ha ragione lei, Amanda», intervenne Gabrielle, mentre l’ultima mezzelfa annuiva. «Non fare l’egoista come al solito!».

Dorothy guardò il draghetto con gli occhi carichi di sentimento: «Portala via, salvala», disse.

Sheirinnath annuì e prese la rincorsa, sbattendo freneticamente le ali e riuscendo così a sollevarsi da terra. Arrivò alla nicchia che ormai aveva il fiatone e Lassirya lo accolse tra le proprie braccia.

«Andiamo», le disse. «Dobbiamo trovare un modo per scappare di qui il prima possibile».

«Ma… io…», iniziò l’elfa, ma un rumore metallico fece sobbalzare sia lei che tutte le donne.

«La porta…», sussurrò il peluche, capendo l’origine di quel rumore. «Sta entrando qualcuno, presto, rientra dentro!», esclamò a voce bassa, spingendola appena con le sue soffici zampe.

La bambina, nonostante non volesse lasciare lì quelle mezzelfe, si rintanò nella nicchia, mentre il drago ancora la incitava ad arretrare. Non voleva che la sua amica vedesse di quali orribili brutture era capace quell’orco.

«Shei… non possiamo lasciarl—».

«Zitta, per la barba di mago Merlino!», disse lui, tappandole la bocca con la coda.

Erano ormai arrivati a una distanza considerevole ed erano arretrati il tanto giusto perché neppure una creatura dotata di scurovisione potesse vederli, grazie all’inclinazione del cunicolo.

La voce di Thornoth che era appena entrato nel suo personale harem si sentiva, però, forte e chiara, tanto da creare una fastidiosa eco.

«Har, har, har!», rise. Una risata per nulla divertita.

Lassirya spalancò gli occhi e Sheirinnath premette più forte la coda contro le sue labbra.

«Allora, donzelle… Sto cercando per una piccola fuggiasca… Non penso che era trovato un modo per arrivare fin di qui, ma io e i miei orchetti abbiamo girato tutto il castello senza trovare, e uno dei pochi posti che rimanesse è proprio questo». Era risaputo che gli orchi non brillassero per intelligenza, ma la parlata del signore di quel castello era veramente terribile per le colte orecchie a punta del genere femminile lì presente.

«Thornoth, non credi che sarebbe da stupidi finire dalla padella nella brace?», le fece notare Gabrielle educatamente. «Questa è una prigione».

«Lo so, ma non dimentichiamo che è mio dovere cercare per tutto castello, quindi pure qua!».

«Qui non c’è», disse Charline.

«Har, har, har! Siete certe? Magari posso fare voi un regalo… se daresse qualche informazione preziosa».

«Che genere di regalo?», chiese subito Amanda, fortemente interessata.

I due amici nella nicchia rabbrividirono.

Quella mezzelfa non aveva fatto loro una buona impressione fin dall’inizio e ora li voleva vendere.

«La prescelta non toccherò per una settimana. Mi sembra abbastanza favorevole».

Sheirinnath tremò a quella proposta, sicuro come la morte che Amanda avrebbe accettato, perché nemmeno quelle già incinte venivano esentate dai trattamenti dell’orco.

«Lass…». Il pupazzo iniziò a chiamare piano l’amica, per dirle di fuggire, ma la voce di Amanda lo sconcertò:

«Tsk! Potrei dirti una bugia, tanto…».

Si udì la risata dell’orco, poi egli si rivolse a Dorothy.

«E tu, che piangi sempre in silenzio? Non hai niente da dicci?».

«Lasciaci in pace…», singhiozzò lei, per poi continuare a chiudersi nel suo silenzio.

«Ah, è così la faccenda?», tuonò Thornoth. «Bene, dato che oggi sono impegnato nella caccia alla sposa, allora anticipo i nostri incontri a ora. Non posso saltare un giorno prezioso per i miei figli futuri».

Sheirinnath, a sentire quelle parole e il rumore metallico di qualcosa che cadeva a terra – presumibilmente la fibbia della cintura di Thornoth –, portò le sue zampe alle orecchie dell’elfa, perché non sentisse le urla delle mezzelfe nella prigione e le risate soddisfatte di quel malvagio orco.

Se prima il draghetto aveva dubitato anche solo per un attimo che quelle creature fossero state rinchiuse senza colpa, ora ne aveva la certezza. Avrebbe voluto liberarle, ma era veramente troppo difficile. Anche Dorothy gli aveva chiesto di portare via Lassirya, e sarebbe stato quello che avrebbe fatto, non appena la piccola avesse smesso di tremare e di piangere senza che un solo suono uscisse dalle labbra ancora coperte dalla sua soffice coda. Per quanto le zampe di Sheirinnath fossero morbide e cotonate, qualche rumore era comunque percepito dal fino udito elfico della bambina, che sentiva la sofferenza di quelle donne, catturate da quel mostro che l’aveva sposata solo poche ore prima.


[Continua...]
XShade-Shinra


  
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