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Autore: Yu_Kanda    19/07/2013    2 recensioni
Il Re di Astanglia cerca alleanze, invece accoglie nel suo castello dei nemici. Due Principi da un regno vicino chiedono la mano della figlia, ma il loro obiettivo è davvero quello? Un matrimonio d'interesse per forgiare un'alleanza fra i regni? Forse; e forse no.
Qualche notte più tardi il Principe ereditario scompare all'improvviso, senza lasciare traccia... [YAOI]
[Fanfiction Classificata 1° al Contest a Bivi di "Disegni e Parole" indetto da Sango_79 sul Forum di EFP]
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Sovrannaturale
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Ottavo capitolo. Da qui niente più immagini, ho dovuto concludere la storia con il capitolo sette, ma, poiché pubblicare un capitolo di 20 pagine mi sembra esagerato, ho deciso di spezzarlo in tre.
Inoltre, visto che la mia situazione familiare peggiora, avviso che non sarò in grado di aggiornare a breve con il nono e ultimo capitolo. Ci sono elevate probabilità che lo pubblichi a inizio Agosto.
Avviso anche che ero troppo stanca per rileggere, per cui dato che le prime 4 pagine sono state aggiunte ex novo, potrebbero esserci delle imperfezioni.


Capitolo 8: L'Alchimista

 

 

Lord Howard camminava a passo spedito per i pomposi corridoi del castello, diretto all'unico luogo dove quasi nessuno si recava mai: la biblioteca reale.

Per quale motivo il vecchio Re avesse insistito per concentrare tutto quel sapere dentro il castello, anziché lasciarlo alla cure dei monaci in un qualche monastero, proprio non lo capiva. Del resto conosceva molto poco il defunto sovrano, era giunto al castello solo dopo la morte di lui, al seguito di Lord Malcom, di ritorno da una visita in Gallia, dove si diceva avesse discendenze.

Era il luogo dove gli insegnanti dei principi tenevano le loro lezioni e si documentavano riguardo esse, ma sostanzialmente quello pareva l'unico vero utilizzo di una simile, imponente, biblioteca. Per il resto del giorno restava deserta; era stato proprio in virtù di quel fatto che Kanda aveva insistito che le sue lezioni di magia si tenessero lì, nessuno sarebbe mai andato a cercarli.

Quasi era inutile che avesse un custode. Difatti dopo la morte del Re per molto tempo non ve n'era stato uno, solo negli ultimi mesi Mastro Tomà, un anziano ed erudito studioso, aveva fatto la sua comparsa assumendo l'incarico.

Una figura controversa della quale si sussurravano in segreto molte cose, fra le quali che si intendesse di alchimia e che, forse, praticasse persino le arti oscure.

A ogni modo, mago oppure no, il vecchio era assai noto come erborista, persino presso il sovrano, per il quale preparava regolarmente tisane e decotti. Re Theodore lo adorava, passavano ore a conversare, e probabilmente era per questa ragione che, alla fine, gli aveva dato il posto di bibliotecario.

A quell'ora del giorno difficilmente avrebbe incontrato altri visitatori, aveva buone probabilità di poter discutere con Mastro Tomà senza orecchie indiscrete in giro; ammesso che il vecchio fosse ancora lì. Lord Howard scrutò la grande porta di legno intarsiato, spingendone piano un'anta per saggiare se fosse chiusa a chiave. Un lieve cigolio ne annunciò l'apertura, traducendosi in un aumento nella possanza della forza che la muoveva.

Lord Howard si ritrovò d'improvviso immerso nella penombra; unica guida per i suoi occhi la tremolante luce di due candele, poste in apposite coppe di vetro sulle scaffalature in legno brunito che custodivano gli antichi libri. Davanti a esse l'imponente scrivania di mogano utilizzata dal bibliotecario, sulla quale giacevano aperti numerosi tomi e, a qualche passo di distanza, accanto alla ricca sedia dallo schienale imbottito, un meraviglioso mappamondo. Quest'ultimo era poggiato su un piedistallo che lo attraversava tutto e ne reggeva il notevole peso, agganciato a un supporto circolare dorato all'interno del quale ruotava il suo globo. Il tutto circondato da un secondo cerchio, più spesso e appiattito, sostenuto da quattro gambi finemente cesellati.

Tutto era silenzio eccezion fatta per il debole crepitio delle candele; Lord Howard si guardò intorno, a metà fra estasiato dall'atmosfera arcana e pressato dal compito che aveva accettato di assumersi per conto del Principe Kanda.

- Lord Howard; quale gradita sorpresa! - lo apostrofò una voce a lui ben nota. - A cosa devo l'onore della vostra visita?

L'anziano bibliotecario pareva essere apparso magicamente dal nulla dietro di lui, cosa che Lord Howard non si sentiva di poter escludere a priori, facendolo quasi sobbalzare per la sorpresa. Cercò di dissimulare quanto pesantemente fosse stato colto alla sprovvista con il suo contegno altero, rivolgendo all'uomo un cenno del capo a mo' di saluto, accompagnato da un leggero inchino.

- Mastro Tomà, lieto di trovarvi ancora qui. - disse in tono formale. - Io...

L'uomo sollevò una mano come a zittirlo e gli girò intorno, andando a riprendere il suo posto dietro la scrivania ingombra di sapere, ma non si sedette. Rimase invece a fissare l'ospite inatteso con evidente interesse negli occhi scavati, cerchiati da segni lividi così profondi da risultare simili a chiazze nere dell'inchiostro con cui erano vergati quei libri che tanto amava.

- Voi? - riprese, notando l'espressione dubbiosa sul volto di Lord Howard. Cosa poteva spingerlo a rivolgersi proprio a lui, fra tutti i sapienti del castello?

- Ho... bisogno del vostro aiuto per una particolare erba. - dichiarò infine l'uomo, sostenendo lo sguardo indagatore del vecchio bibliotecario.

Questi gli rivolse un ghigno scaltro, strofinandosi il mento con una mano, l'aria pensierosa, come se stesse ponderando con molta attenzione quella richiesta e la risposta più appropriata da opporvi.

- Da quando il cane di Lord Malcom si diletta a preparare decotti e tisane? - ritorse quindi, l'espressione severa che lasciava capire chiaramente quanto poco si fidasse di colui che gli stava di fronte.

Lord Howard si umettò le labbra; l'atmosfera di sospetto che aleggiava attorno al vecchio Tomà permeava l'aria della stanza quasi fosse un qualcosa di palpabile e gravava su di lui come un macigno. Non poteva dargli torto se non si fidava, il ruolo che ricopriva a corte per merito del Primo Ministro l'aveva reso inviso a molte persone, sia fra i nobili che tra i suoi stessi soldati.

- In realtà - disse dopo qualche attimo d'esitazione - si tratta d'uno degli ingredienti per una pozione curativa. È... una questione molto delicata. So che vi dilettate di Alchimia, così ho pensato di rivolgermi a voi.

A quell'affermazione gli occhi scavati di Mastro Tomà si dilatarono leggermente per la sorpresa e parve combattuto sulla reazione da mostrare al proprio interlocutore.

- Dopo tutti questi anni, il tuo padrone ancora non mi ha dimenticato? - chiese a bruciapelo, ricevendo in risposta uno sguardo estremamente sorpreso. Lord Howard lo fissava in silenzio, le labbra leggermente aperte come se volesse dire qualcosa e non ne fosse capace. - Dovrei essere lusingato di sentire che continua a cercare di liberarsi di me, invece devo confessare che mi offende. Non potete essere così stupido da credere di farmi cadere in un tranello tanto puerile - continuò Mastro Tomà, scrutando attentamente ogni minima reazione dell'uomo di fronte a sé - quindi dovete essere disperato. Cosa può essere talmente importante da spingervi a contravvenire ai dettami del vostro padrone? Cosa, Lord Howard? Ditemelo, e forse deciderò di aiutarvi.

Il vecchio aveva ragione, era davvero disperato. Così disperato da umiliarsi a supplicare se si fosse reso necessario; non poteva permettere che il Principe Kanda restasse sotto lo stesso tetto con un lupo mannaro un minuto di più. Lord Howard serrò forte i pugni cercando di contenere il tremore che l'aveva assalito.

- Non posso dirvi chi mi manda... - esordì, la voce poco più di un sussurro roco. - Io... vi prego, ho veramente bisogno del vostro aiuto! - esclamò poi con enfasi.

Mastro Tomà sollevò un sopracciglio con aria scettica; un comportamento davvero insolito per il tirapiedi prediletto della sua nemesi, sembrava quasi sincero. No, non poteva esserlo; non si sarebbe fidato, né lasciato incastrare di nuovo nei giochetti di quell'uomo.

- Siete davvero un ingenuo, Lord Howard. - rispose in tono pacato, facendo scivolare le dita diafane sopra le pagine di uno dei libri disposti sulla scrivania. - E un ipocrita. Sostenete la proibizione delle arti magiche e in segreto le praticate voi stesso, come arma al servizio del vostro padrone, l'uomo che ha contribuito a corrompere l'armonia di questo regno. A causa sua il nuovo sovrano ha abbracciato la religione di quei cosiddetti cristiani, facendoci diventare un cancro all'interno dell'Europa. Eravamo riusciti ad arginare l'invasione di quei folli, ma con la capitolazione della Bretagna si è aperta una breccia; breccia attraverso la quale voi avete portato il contagio anche qui.

Lo sguardo di Mastro Tomà era severo e tagliente, un atto d'accusa rivolto a lui e a ciò che serviva e rappresentava. Come mai parlava al plurale? Chi lottava contro la religione che lui tanto ferventemente praticava e serviva? Perché?

- Io... non capisco... - mormorò Lord Howard, incapace di ricollegare il discorso dell'anziano alchimista al presente.

- Voi non capite, certo. - ripeté questi in tono ironico. - La magia è l'anima della terra, il mio clan la serve da sempre. Il vecchio Re rispettava i Druidi e tutti coloro che praticavano le arti magiche, anzi se ne circondava e ne accettava il consiglio. Il vostro arrivo ha seminato paura e sospetto fra la popolazione, che ha iniziato a guardarci come qualcosa di malvagio. E così, alla morte del Re sono stato scacciato.

Gli occhi di Lord Howard si spalancarono di colpo allorché la sua mente realizzava chi realmente gli stava di fronte. Dopo tutti quegli anni era ritornato? O, cosa assai più probabile, non se n'era mai andato?

- Voi! - esclamò allibito. - Siete davvero voi? Il consigliere del defunto Re? Il mago di corte?

Il volto dell'uomo assunse una luce sinistra, come se le ombre della stanza improvvisamente si fossero radunate attorno alla sua persona, accentuando le rughe che gli solcavano guance e zigomi.

- Forse lo ero, una volta - ammise, scrutando a fondo negli occhi del proprio interlocutore come se volesse leggergli nella mente - ora, sono soltanto un bibliotecario che s'intende d'erboristeria. Sono inutile per il vostro padrone.

Lord Howard si sentì quasi violato da quello sguardo penetrante, e per un istante provò la spiacevole impressione che Mastro Tomà stesse per strappargli l'anima.

- So che non vi fidate di me e comprendo le vostre ragioni, ma... io ho... tradito tutto ciò in cui ero persuaso di credere. - confessò, meravigliando per primo sé stesso di aver fatto una simile dichiarazione a qualcuno che conosceva a malapena, più che altro di fama. Che gli avesse lanciato qualche incantesimo perché dicesse la verità? - Ho mancato a tutti i miei giuramenti, incluso quello verso colui che mi ha condotto in questo regno; ormai non mi è rimasto altro che la magia.

E quella era l'assoluta verità, quella che non aveva mai osato ammettere nemmeno a sé stesso. Aveva contravvenuto a ogni sua regola, mandato all'aria una vita di disciplina e obbedienza... non si tornava indietro dal luogo in cui s'era avventurato. Doveva accettare le proprie scelte e conviverci, se voleva mantenere la sanità mentale; tuttavia, una parte di lui gli diceva che consentendo la relazione con Neah aveva tradito anche il Principe Kanda, oltre al resto. La cosa peggiore di tutte, constatò con una certa amarezza, era l'accorgersi di aver tradito anche sé stesso.

Chinò il capo, come se improvvisamente si vergognasse di essere lì, di fronte a un uomo così saggio e fedele alle sue convinzioni.

Mastro Tomà si sedette sullo sfarzoso scranno foderato di porpora, intrecciando le dita delle mani fra loro con aria assai perplessa.

- Voi, un traditore; difficile da credere, Lord Howard. - affermò in tono calmo, continuando a fissare il giovane con interesse.

Per qualcuno sempre calmo e misurato come Lord Howard, quel comportamento estremamente emotivo era molto insolito. Talmente insolito da supportare la sua confessione di tradimento; ma cosa mai aveva potuto spingerlo ad abbandonare Lord Malcom? Cosa poteva essere importante a tal punto per lui?

- Vi prego, ascoltate quello che ho da dire, almeno. - supplicò Lord Howard, ormai preda della più totale disperazione, sentendo il tempo scivolargli fra le dita come la sabbia di una clessidra.

Mastro Tomà si limitò ad annuire, poggiando il mento sulle mani intrecciate, sostenendosi sui gomiti in modo che il suo peso gravasse sulla scrivania.

- Vi ascolto. - aggiunse, vedendo che l'altro esitava.

Lord Howard si umettò le labbra, infilandosi due dita nel colletto e muovendole avanti e indietro, a disagio quasi fosse talmente stretto da soffocarlo.

- C'è un ragazzo in uno dei villaggi attorno al castello che ha bisogno di una pozione curativa molto particolare, i cui ingredienti sono Aconito e Mandragora. - disse tutto d'un fiato; gli occhi del vecchio bibliotecario si spalancarono per la sorpresa, ma non commentò. - Io possiedo un quantitativo sufficiente di Mandragora, ma purtroppo non...

Udendo quelle parole, di nuovo Mastro Tomà sollevò subito una mano per zittirlo, saltando in piedi neanche il cuscino su cui sedeva fosse diventato incandescente.

- Voi disponete di una radice di Mandragora? Nel nome di tutti gli Dei, come ve la siete procurata? - chiese con enfasi. L'espressione che si dipinse sul volto di Lord Howard e le labbra di lui leggermente dischiuse ma immobili gli dissero che non voleva (o non poteva) rivelarlo. - Sta bene, assumo sia un vostro segreto. Siete consapevole, immagino, di ciò che state chiedendo. - Lord Howard annuì, serio, e il vecchio continuò. - Ho dell'Aconito; vi aiuterò. In cambio, mi darete parte della radice di Mandragora in vostro possesso.

Lord Howard non parve sorpreso nell'udire il prezzo da pagare per i servigi di quello che era sempre stato considerato uno dei maghi più potenti in circolazione, prima della messa al bando delle arti arcane.

- Sta bene - consentì, mostrando il prezioso ingrediente nel palmo della mano guantata - purché ciò che mi rimane sia sufficiente per creare la pozione curativa.

Mastro Tomà annuì con aria solenne, quindi prese una piccola lanterna dal vano di uno degli scaffali adiacenti, l'accese e fece cenno al suo ospite di seguirlo.

- Basterà. - promise, incamminandosi nel labirinto della biblioteca.

Guidò il giovane in mezzo alle file interminabili di scansie ingombre di sapere e si fermò in un punto preciso della libreria più nascosta, allungando la mano ossuta, le dita protese verso un particolare tomo. Un pesante volume rilegato in velluto verde, che afferrò e smosse con movimento sicuro, provocando un sinistro 'click'; la parete si dischiuse appena e Mastro Tomà la spinse perché potessero entrare nel passaggio.

- Dov'è il licantropo? - chiese d'improvviso appena il meccanismo si richiuse dietro di loro, rompendo il silenzio che si era creato da quando avevano lasciato la sala principale.

A quanto pareva, non era l'unico a conoscere gli scomparti segreti nascosti nella biblioteca, rifletté Lord Howard.

- Vive nel villaggio a ovest del castello. - rispose prontamente, ansioso di collaborare alla pozione curativa.

Il vecchio mago si fermò di colpo, facendolo quasi inciampare su di lui; si voltò a guardarlo, una strana espressione sul viso arcigno. Emise uno sbuffo che suonò molto simile a un'imprecazione soffocata.

- Brestana? - domandò ancora, e quando l'altro annuì parve sul punto d'imprecare sul serio, questa volta. Scosse il capo con disapprovazione, come se la notizia ricevuta fosse a dir poco nefasta, e riprese a camminare per il cunicolo, seguito da un confuso Lord Howard. Sbucarono in uno stanzino dalle pareti spoglie, i cui unici mobili erano un tavolo e dei semplici ripiani di legno, occupati unicamente da una quantità indescrivibile di fiale e alambicchi. - È impossibile che ci siano due licantropi a Brestana. - commentò mentre preparava l'attrezzatura alchemica per distillare la pozione. - Descrivimelo.

Lord Howard parve ancora più confuso. Due licantropi? Mastro Tomà era già a conoscenza del problema e stava lavorando alla cura da prima di lui? Oppure... no, non aveva senso, era assurdo anche il solo pensiero che... Si forzò a interrompere quella catena di considerazioni e iniziò a descrivere Lavi.

- Circa vent'anni, alto più o meno un metro e ottanta, capelli corti di un rosso innaturale, occhi... - si sforzò di essere preciso, ma fu bruscamente interrotto.

Ancora una volta Mastro Tomà sollevò una mano con fare autoritario per zittirlo, gli occhi che mandavano lampi, chiaramente contrariato da ciò che aveva appena udito, ma perché?

- Gli avevo chiaramente detto di tenersi alla larga dai guai. - mugugnò con fare stizzito, accendendo una fiamma sotto una delle ampolle. - Mio nipote dovrà spiegarmi come ha fatto a ottenere il vostro interessamento alla sua condizione. - Lord Howard rimase impietrito a fissarlo dopo quella rivelazione, ma non ebbe il tempo di eccepire che il vecchio tornò a rivolgersi direttamente a lui. - E anche voi. - gli intimò, per poi chiedere subito dopo: - Dove l'avete incontrato?

Lord Howard cercò rapidamente di mettere insieme i pezzi del puzzle: dunque aveva indovinato? Lavi era il nipote di quest'uomo? Riflettendoci, aveva senso; fece qualche calcolo mentale e la data d'arrivo di Mastro Tomà a corte pareva corrispondere a quella in cui Lavi affermava di essersi trasferito al villaggio. Tuttavia, non poteva proprio rivelare come l'aveva incontrato e perché, quindi si preparò a essere evasivo.

- È una lunga storia. - rispose, e fu sufficiente per essere zittito di nuovo. Le sue labbra si erano appena mosse per aggiungere dell'altro che la voce gli rimase in gola nel ricevere un nuovo, lapidario invito a tacere.

- Che mi racconterete, ma non ora. - Mastro Tomà lanciò un'occhiata eloquente al suo spiazzato spettatore, che stava per essere promosso ad assistente temporaneo. Indicò dei vasi pieni di erbe essiccate, poi la piccola pendola sopra il ripiano sul quale erano riposti, quindi il sistema di alambicchi col quale distillava le erbe. - La preparazione della pozione è molto particolare e avrò bisogno di estrema concentrazione. Non abbiamo molto tempo, domani sarà l'ultima notte di luna piena. Una volta completata dovremo muoverci immediatamente; durante il viaggio potrete ragguagliarmi sulla situazione. - Lord Howard annuì, apprestandosi a restare in un angolo in silenziosa contemplazione e osservare il maestro alchimista in azione, ma questi gli fece cenno di avvicinarsi. - Passatemi la radice di Mandragora e siate pronto a eseguire i miei ordini con assoluta precisione. Abbiamo un solo tentativo e non possiamo fallire. - disse, afferrando un coltello rituale e attendendo di ricevere l'ingrediente più prezioso di quella pozione.

Sorpreso di avere la fiducia del vecchio mago al punto di essere chiamato ad assisterlo, Lord Howard quasi fece cadere in terra la radice magica, guadagnandosi da questo uno sguardo rovente carico di rimprovero. Una volta che l'ebbe in mano, Mastro Tomà recitò una litania arcana e incise la Mandragora proprio al centro della sua forma umanoide, quindi cantilenò un'altra formula in una lingua incomprensibile. Ripeté il processo altre tre volte e, al completamento della sezione, posò lo sguardo sul vaso contenente l'Aconito dando un cenno col capo.

- Eccolo - disse prontamente Lord Howard, passando all'uomo il vaso aperto - devo fare altro?

- Accendi i fuochi sotto tutti gli alambicchi. - ordinò questi, avvolgendo ciascun frammento di Mandragora in una foglia di Aconito e poi facendo scivolare ognuno di essi dentro una diversa ampolla contenente un diverso liquido. Notando lo sguardo carico di aspettativa di cui era oggetto, Mastro Tomà aggiunse: - Ora non ci resta che aspettare.

Diverse ore più tardi, due figure ammantellate lasciavano nottetempo il castello, non viste.

 

 

Quando riprese i sensi, Kanda restò immobile sotto l'amante. Non vedeva lo scopo di affannarsi anche quella mattina per nascondere ciò che avevano fatto, visto che ne portava ampiamente i segni. Tuttavia, forse lo shock di una spiegazione a posteriori poteva essere preferibile a quello di risvegliarsi nudo su di lui, rifletté il giovane.

Spostò Lavi di lato e gli posò un bacio fra i capelli prima di alzarsi; poi lo coprì con il lenzuolo e uscì dalla piccola prigione, zoppicando vistosamente. La passione che aveva cercato quella notte lo stava ripagando con la stessa moneta, anche dopo che si fosse medicato non era certo di riuscire a mascherare del tutto il problema. Prese l'unguento e fece ciò che doveva, rivestendosi; quindi si sedette al tavolo della cucina, in attesa dell'inevitabile.

- Yuu? - giunse a un certo punto dall'altra stanza. - Dove sei? Vieni ad aprirmi?

Kanda sospirò, preparandosi mentalmente alla faccia che avrebbe fatto Lavi appena l'avesse visto.

- È aperto. - rispose.

Un'esclamazione soffocata di sorpresa seguì la sua affermazione, allorché colui al quale era indirizzata verificò che, di fatto, il lucchetto non c'era. La cella era realmente aperta. Qualche attimo dopo Lavi entrava in cucina, l'espressione accigliata che annunciava la sua intenzione di protestare per l'azzardo di averlo liberato prima del tempo. Espressione che si mutò subito in sgomento quando il giovane vide i due piccoli buchi paralleli, incrostati di sangue ormai secco, far bella mostra di sé sul labbro appena gonfio di Kanda.

- Yuu! - esclamò, avvicinandosi di corsa. - Com'è successo? Sono stato io? Ti ho colpito attraverso le sbarre?

Kanda gli rivolse uno sguardo rassegnato. "Quanto tempo impiegherà a capire che sono morsi, non tagli?" si stava chiedendo con insistenza.

- Non è grave. Non ha importanza. - rispose.

- Ne ha per me! - ribatté Lavi, prendendogli il viso fra le mani. I suoi occhi si dilatarono nel realizzare la vera natura di quelle due ferite. - Questo è... un morso! - mormorò con un filo di voce, guardando poi negli occhi Kanda con aria mortificata. Iniziò a tremare e dovette appoggiarsi al tavolo per non afflosciarsi in terra. - Ti ho morso... Com'è successo? - chiese, il tono incrinato di chi sta facendo un immane sforzo per non piangere. Kanda non rispose, limitandosi a sostenere lo sguardo addolorato di lui. - La cella era chiusa! Ti ho visto chiuderla! Com'è potuto succedere, Yuu?

La disperazione era chiaramente udibile in quelle domande; Kanda sapeva quanto Lavi si sentisse responsabile. Doveva dargli una risposta.

- Non è colpa tua. Io ho aperto la cella e sono entrato. - rivelò, le labbra incurvate in un sorriso amaro. Stava per perdere tutto ciò cui teneva e non poteva evitarlo.

- Cosa? Perché! - volle sapere Lavi.

Kanda sospirò. Cercò di sembrare freddo e distaccato, invece, sotto il tavolo, le mani gli si stavano serrando con forza sulle cosce.

- Perché - rispose - io ero l'unica cosa che poteva tenerti calmo. Le tue urla rabbiose iniziavano a farsi così forti che temevo le udissero tutti, ma se mi avvicinavo a te la furia diminuiva. Quando ho posato la mano sulla tua hai smesso del tutto. Così ho aperto il lucchetto e sono entrato.

- È stata una follia, Yuu! Sei fortunato a essere vivo! - esclamò Lavi, prendendolo per le spalle e cercando di farlo alzare. - Fammi vedere se ti ho ferito da qualche altra parte.

Kanda lo assecondò, ma l'attimo stesso in cui appoggiò la gamba offesa a terra questa cedette e solo grazie ai riflessi di Lavi non cadde all'indietro.

- Non è niente, ho solo perso l'equilibrio. - mentì, pretendendo di poter stare in piedi da solo, ma si accorse di non essere creduto.

Lavi lo osservò rimettersi a sedere, con attenzione, troppa, e non mancò la smorfia di dolore che passò per un istante sul suo viso al contatto con la sedia.

- Yuu... - mormorò, una nota di paura nella voce nel realizzare ciò che probabilmente era successo. - Yuu, ti ho morso sulle labbra... non è un posto dove normalmente si morde... e non riesci nemmeno a sederti. Che altro ti ho fatto?

Aveva un'idea abbastanza precisa di cosa poteva aver fatto una volta fuori controllo. I suoi sentimenti per Yuu erano molto forti; una volta trasformato, se il giovane aveva tentato una qualunque cosa che lui potesse aver interpretato come un invito... Lesse negli occhi di Kanda che era così, che l'aveva violato; ma non c'era odio in quegli occhi scuri. Come mai?

- Niente che io non volessi. - rispose il giovane, serio.

Assurdo. Come poteva fargli credere di aver voluto una cosa del genere? L'aveva ferito, umiliato e chissà che altro...

- Yuu. La verità, ti prego... Cosa è successo? - supplicò di sapere. - Non posso vivere con il dubbio di averti usato violenza.

Eccolo giunto al dunque. Arrivato a questo punto non si tornava indietro; Kanda chiuse per un attimo gli occhi, desiderando che ci fosse un'altra soluzione, che per incanto potesse fargli dimenticare ciò che aveva visto. Non poteva. Deglutì a vuoto.

- Mi hai avuto. - confessò infine, e sul viso di Lavi si disegnò un'espressione inorridita. - Ho dovuto farlo! - si giustificò, credendo che quell'orrore fosse diretto a lui. - Mentre mi possedevi restavi calmo e in silenzio e dopo riuscivo a farti addormentare finché non tornavi normale!

Lavi si sedette, sopraffatto, prendendosi la testa fra le mani. Apprendere che Yuu aveva accettato la violenza perché lui non fosse scoperto e ucciso era forse peggio del pensiero stesso di averlo violato.

- Oh, Dio, che cosa ho fatto... - singhiozzò, appoggiandosi al tavolo. Braccia gentili si insinuarono intorno a lui, stringendolo forte al loro proprietario. Yuu... lo stava abbracciando? Perché?

- Non hai fatto niente di male; io lo volevo, capisci? So che può sembrarti disgustoso che io... - Kanda s'interruppe, incapace di confessare quanto disperatamente lo desiderasse.

Stava per liberare Lavi e andare a sprofondare la sua vergogna in un angolo fino all'arrivo di Lord Howard, quando un altro paio di mani si sovrappose alle sue.

- Credevo che fossi più tu il tipo da trovare peccaminoso questo genere di rapporto, sai? - affermò Lavi, la voce di nuovo allegra. Kanda s'irrigidì, confuso. Che intendeva dire? - Shh, non hai nessuna colpa... non potrei mai fartene una colpa. Ti sei mai domandato per quale motivo mi sono avvicinato proprio a te, fra tutti i clienti di quella bettola? - si sentì chiedere, e i suoi occhi si dilatarono leggermente per l'aspettativa che quella domanda generava in lui. - Quindi - continuò Lavi - se io confessassi che ti amo, tu non mi respingeresti?

Kanda trattenne il fiato: faceva sul serio? Stava confessando che non era stato un caso se gli aveva offerto da bere quel giorno, finendo per costringerlo a fare amicizia con lui? Che per tutto quel tempo aveva nutrito in segreto gli stessi sentimenti che si era scoperto a provare solo ora? Non ebbe il tempo di chiederlo, perché fu preso di peso e messo a sedere sul tavolo mentre labbra impazienti cercavano le sue. Ricambiò il bacio, finché, senza fiato, Lavi l'interruppe, tenendogli fermo il viso perché lo guardasse dritto negli occhi mentre gli parlava.

- Prometti che non mi lascerai, una volta finita questa storia? - chiese, il tono estremamente serio.

- Anche tu. - fu la risposta che ottenne.

Il volto di Kanda era serio, le guance leggermente meno pallide del solito; che fosse un accenno di rossore? Probabilmente la promessa che si erano scambiati era un grosso azzardo, ma per una volta Lavi voleva credere che le cose si sarebbero risolte per il meglio e loro due sarebbero rimasti insieme. E il rossore sul volto di Yuu era un ottimo segno; rise di gusto, riprendendo a baciarlo, finché proprio lui gli fece cenno di spostarsi sul letto.

Un invito che Lavi non poteva rifiutare. Finalmente, l'avrebbe avuto mentre era in grado di ricordare ciò che faceva e nessuno dei due avrebbe dovuto vergognarsi dell'accaduto il mattino seguente.

   
 
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