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Autore: Nemainn    19/07/2013    9 recensioni
Un certificato di morte tra le mani che manda il cuore e la mente della protagonista ad un momento particolare, ad una promessa che deve mantenere.
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ultimo Saluto

 

 

 

Senza parole osservo l'uomo che mi ha dato questo foglio di carta. La sento tra le dita: è carta comune, un semplice formato A4 da stampante. La liscio tra le mani, poi la stendo sulla superficie metallica della scrivania. Non so perché mi sento così sorpresa, in fondo sono venuta qua per questo. Per un certificato di morte.
Non so cosa dire quindi mi alzo e l'uomo mi guarda.
“Condoglianze”, dice in modo distratto, automatico.
Condoglianze... quante volte ho sentito quella parola in questi giorni? Dolore e rabbia si mescolano dentro di me. Vorrei urlare all'uomo se sa per lo meno cosa significa quella parola, di non dirmela così, per dovere, svuotata di significato.

Fa solo male, così. Condoglianze... partecipo al tuo dolore.

Eppure nessuno è venuto per partecipare al mio dolore, ma solo per buttarmi sulle spalle il loro. Mi sento uno scoglio sferzato dalla tempesta, una roccia che sta al suo posto senza cedere perché non può cedere; perché a volte non si ha la scelta di essere forti, se ne ha il dovere e la responsabilità.
Esco dall'ufficio, cammino nel corridoio deserto e mi sento abbastanza confusa per un momento, poi ricordo dove ho parcheggiato.
Non faccio a tempo a sedermi in auto che le lacrime riprendono a scendere lungo il mio volto e scoppio a piangere in singhiozzi accorati.
Papà sei morto e mi hai lasciato qua con una promessa che non avrei voluto farti sulle spalle. Te ne sei andato e mi manchi terribilmente.
Mi manca enormemente parlarti e stare con te, mi manca sedermi in silenzio accanto a te.
Il tuo posto al tavolo e io al tuo fianco, in silenzio.
Quel silenzio però colmo, quel silenzio pieno di pace e affetto.
Un silenzio morbido come i petali dei fiori e altrettanto bello.

Un anno sono stata con te tra gli ospedali a incitarti, ad amarti...
Ho fatto abbastanza però?
Ogni tanto me lo chiedo, se avrei potuto in qualche modo fare di più. È un tarlo che rode la mia anima dicendomi che potevo fare di più, sicuramente avrei potuto fare di più! Ma cosa in più? Cosa? Non ne ho idea, chi mi circonda dice parole che mi sembravo sciocche, come “sei una brava figlia e hai fatto tutto quello che potevi”. Ma mi scivolano sulla pelle come pioggia. Non ho fatto nulla di tutto quello che ho fatto per sentirmi dire quelle cose, ho fatto per amore quello che ho potuto, tutto quello che ho potuto, forse.

Un anno in cui tu hai cercato di lottare con tutte le tue forze, fino a quando non hai deciso di essere stanco e io ho capito. Non sai quanto ti ho capito. Stare qua non è la cosa più importante, e stare qua per forza non si può e tu non ne potevi più, il dolore era troppo.

Non ti condanno per aver gettato la spugna, tutti a un certo punto lo fanno e ho accolto la tua decisione con tutto l'amore che potevo.
So quanto eri stanco e non parlo solo del tuo corpo, ma sopratutto del tuo spirito.
Ho provato, papà, ho provato a chiedere aiuto, a dire che la mamma non era normale, ho provato... Nessuno mi ha creduto, però. Solo quando nel delirio ha tirato fuori il coltello e una forza che non si capiva da dove provenisse hanno cominciato a credermi.
Allora ho smesso di essere io la pazza, ma questo pensiero è amaro, più che consolante.
Ma era troppo tardi, perché tu lì ti sei arreso: qualcosa dentro si è rovinato definitivamente.
La mamma sempre più pazza e in preda ai deliri, tu in ospedale e centocinquanta chilometri tra me e voi in un triangolo di distanza. Medicine che la hanno stroncata, ora non cammina nemmeno più... la tua morte è stata troppo per lei.
E il mio odio per lei non è certo diminuito dalla pietà o da questo strano miscuglio di emozioni che contiene comunque amore. È mia madre e pur con tutto quello che mi ha fatto, tra odio e risentimento, c'è questa traccia di amore che non vuole scomparire. Perché se lei fosse stata più buona, meno egoista, tu saresti ancora qua, ne sono sicura...

Se lei quel giorno non ti avesse detto che non voleva darti la macchina tu non avresti usato il motorino e quella ragazza non ti avrebbe investito. Se lei fosse stata meno egoista durante tutta la sua vita, se... se...

Ma non è stato mai così e anche se so che ha una malattia non è certo da quello che dipende il suo carattere e quello che ti ha fatto non lo posso perdonare. E tu lo sapevi che non l'avrei mai perdonata: ecco perché mi facesti fare quella promessa. Sapevi che te ne stavi andando su quel letto.
Eri in quella stanza, vedevi il lago dalla finestra e tanti alberi, almeno quello mi rallegrava. Amavi il verde e si poteva morire in posti peggiori che con una vista simile. Ero lì accanto a te in quelle quarantotto ore di veglia, non ti ho mai lasciato.
Piangevo in silenzio e ti tenevo la mano... ho cercato tanto di essere forte e coraggiosa, papà, ho cercato tantissimo di non farti andare via nell'ultimo viaggio con il peso della mia disperazione. Mi hai detto “promettimi che non abbandonerai la mamma”, e io te l'ho promesso.
Nel tuo ultimo momento di vera lucidità mi hai preso il volto e mi hai riempito di baci: il tuo addio. Ti ho detto quanto ti volevo bene in ogni momento di quei due giorni. Ti ho detto che sarei stata con te, di andare se era il tuo momento, di non preoccuparti per me, che me la sarei cavata. Ogni tanto dicevi qualcosa, salutavi chi amavi morto da tanto tempo, parlavi di tulipani. Sapevo che stavi vedendo chi dall'altra parte ti attendeva con amore e ti dicevo di andare senza rimpianti, senza rimorsi.
Ti ripetevo quanto ti amavo.
A volte eri tu che nel delirio ti rendevi conto che ero lì e trovavi la forza di dirmi di andare a casa a dormire. “Vai a casa cosa fai qua?”, mi dicevi. E io ribadivo che non ti volevo lasciare.
Avevi solo me e io avevo solo te. Noi due in quella stanza fino a che, stremata, non ti dissi che mi allontanavo per poco, il tempo di una doccia.
E nel tuo tenderti verso l'altro mondo hai fatto quello che volevi, hai colto il momento che aspettavi: mi hai fregato, papà. Non volevi ti vedessi in quell'attimo, non volevi che assistessi. Volevi risparmiarmelo, forse?
Non erano passati neppure dieci minuti che il telefono suonava, il tuo cuore si era fermato.
Mi hai fregato, papà, mi hai messo sulle spalle una promessa che manterrò perché la ho fatta a te, e te ne sei andato di nascosto appena ho voltato le spalle.
Ma eri fatto così, onesto e schivo, l'uomo che non ha mai voluto attenzioni su di sé, buono perché ha scelto in ogni momento della tua vita di esserlo. Hai amato tutta la vita la mamma nonostante tutto quello che ti faceva passare, le sei sempre stato vicino, e quando sei mancato qualcosa in quel suo meccanismo già inceppato si è rotto.

Smetto di piangere, mi soffio il naso.
Ho una promessa da mantenere e metto in moto la macchina perché mia madre mi aspetta.
Il cuore è il frantumi, mi ferisce con frammenti di vetro affilato, ma non posso crollare, ci sono solo io, non posso.



NdA:
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Grazie di leggere e, se vipiace, ricordate che i commenti fanno bene all'autostima dell'autrice! XD
 

 

   
 
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