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Autore: Darik    19/07/2013    2 recensioni
Il destino lotta per far accadere ciò che deve accadere, ma i piani millennari sono ormai compromessi, e mentre nuove figure emergono, i vecchi attori cercano di vincere, sopravvivere o almeno vivere.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Un po' tutti
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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8° Capitolo
La sala mortuaria era fredda e vuota.
Su un lettino c’era un solo corpo, coperto da un lenzuolo bianco, ma leggermente rosso nel punto sovrastante il ventre.
Misato entrò con passo titubante, si avvicinò al lettino, lentamente mise una mano sulla parte del lenzuolo che copriva il volto di quel cadavere, e con estrema lentezza lo sollevò.
Un singulto di disperazione le scappò dalla bocca.
Rimise a posto il lenzuolo ed uscì a passo svelto.
Ritsuko era affianco alla porta.
“Come… com’è succeso?”, domandò il maggiore.
“Stando a quanto hanno detto gli agenti del servizio di sicurezza, si è trattato di un barbone. Ha agito così in fretta che non sono riusciti a fermarlo. Quando gli hanno sparato era ormai troppo tardi”.
Misato sbatté un pugno contro il muro.
Sembrava che volesse parlare, ma a giudicare dai tremori, la tensione dei muscoli le sigillava la bocca, quindi dovette per qualche attimo tentare di rilassarsi.
“Ti faccio una domanda. Non è una provocazione, devo farlo perché questa è la prassi, Misato, lo sai bene. Non può esserci l’autopsia, giusto?”
“Se ci provi, ti affogo ficcandoti la testa in un water!”
“Quindi no”.
“Non permetterò che subisca profanazioni. Inoltre, non mi sembra ci siano molti dubbi sulla causa della… morte”.
L’ultima parola fu pronunciata a denti stretti, come se fosse un’ammissione strappata con la forza.
 “In effetti è così”, riprese la dottoressa. “Intanto ho provveduto a chiamare i genitori di Asuka. La matrigna vuole che i funerali si svolgano in Germania”.
“Che?!”
“Intende seppellirla vicino alla madre”.
“Ah”.
“E Shinji come l’ha presa?”
“Mi aspetta all’uscita. Non è voluto venire qui”.
Concludendo con un “Comprensibile”, Ritsuko se ne andò.
“Voglio vedere il rapporto della sicurezza”, le ordinò per ultimo Misato, prima di avviarsi nella direzione opposta.

Shinji era seduto nell’ufficio di Misato: stava con le gambe aperte, le braccia distese e le mani giunte, il volto basso.
Non sembrò nemmeno accorgersi che la porta dell’ufficio si era aperta.
“Ikari”.
Shinji non rispose ad Ayanami, non reagì nemmeno quando lei si avvicinò, e neppure quando lei lo abbracciò.
“Mi dispiace… veramente!”
Il ragazzo si mise in piedi facendo alzare anche lei.
Parlò con voce atona: “Dimmi, Ayanami, durante lo scontro con l’ultimo angelo, Asuka ha parlato di una promessa con te”.
“Sì”.
“Riguardava il prendersi cura di me nel caso le fosse successo qualcosa?”
“….sì”.
La guardò in faccia, l’estremità sinistra della sua bocca si piegò in quello che forse era un sorriso, e infine uscì dalla stanza.
Fu allora che il First Children sentì qualcosa di bagnato scenderle lungo una guancia, e se la toccò.
“Queste sono… lacrime?! Io sto piangendo?”

Il tragitto in macchina dalla base della Nerv fino al loro appartamento fu completamente silenzioso.
Shinji non disse nulla, stando sempre con lo sguardo basso, e d’altronde anche la sua tutrice non sapeva cosa dire.
Quando rincasarono, il ragazzo andò direttamente verso la sua camera: “Non intendo cenare”, avvertì prima di chiudere la porta.
Neanche Misato aveva fame, quindi anche lei andò in camera.
Pen Pen si limitò ad osservarli fugacemente un attimo prima di rifugiarsi nel suo piccolo frigorifero.

“Hai saputo del Second Children?”
Fuyutsuki, che osservava il geo-front dalla finestra dell’ufficio di Gendo, sapeva che era una domanda oziosa.
“Certo”, rispose Gendo, che era seduto davanti alla sua scrivania.
“E allora?”
“Allora niente”.
Kozo guardò perplesso il suo amico. “Dunque non intendi ricorrere a quella tecnica?”
“No. Di angeli ormai ne è rimasto solo uno e noi abbiamo a disposizione due Evangelion”.
“Ma un solo pilota”.
“Non è un problema”.
Il vice-comandante rimase ancora più perplesso, ma Gendo sembrò chiudersi in un mutismo assoluto.

Il giorno dopo, Misato andò a svegliare Shinji, anche se immaginava in realtà di trovarlo ben sveglio.
Del resto anche lei non aveva chiuso occhio, passando la notte a riflettere.
Ora si sentiva il corpo distrutto, però alla mente non importava.
Il maggiore della Nerv aprì la porta e trovò Shinji rannicchiato contro il muro, a testa bassa.
“Shinji?”
“Non intendo fare colazione. E non voglio neppure andare a scuola”.
“Domani… il corpo… verrà trasferito in Germania. Non vuoi darle l’ultimo saluto?”
“No”.
Il ragazzo aveva parlato con voce atona, nessun sentimento traspariva, sembrava un robot, e non aveva neanche sollevato la testa.
Misato pensò se fosse il caso di fare una prova: rivelargli la morte di Kaji.
Era consapevole di non avere prove, forse da qualche parte sperava ancora. E forse per questo non aveva osato controllare nei computer della Nerv, proprio grazie al codice che lui le aveva lasciato, per sincerarsene.
Però l’ultima discussione, l’ormai prolungato silenzio da parte di Rioji e il suo istinto di donna innamorata, glielo strillavano ai quattro venti.
“Mi lasci solo, per favore”, mormorò allora Shinji, che si alzò e si mise sul letto, dando le spalle a Misato.
“No, anche Kaji era una persona importante per lui, non posso dargli un altro dolore”, concluse lei chiudendo la porta.
Tuttavia la sua perplessità si faceva sempre più forte, perché era davvero troppo inquietante l’indifferenza di Shinji.
Troppo calmo, troppo inattivo, non era una reazione normale.
Certo, che soffrisse, si avvertiva. Però era una sofferenza troppo compassata da parte di uno che aveva perso la persona più cara.
Persino Misato, intuita la morte del suo amato, per giorni si era chiusa nella sua stanza tentando di annegare il dolore nella birra. E proprio per questo aveva meditato di confidarglielo, sperando in questo modo che Shinji capisse quanto la sua tutrice lo comprendesse in quel momento. Così magari si sarebbe sfogato con lei.
Ma non se l’era sentita, e ora poteva solo attendere l’evolversi di quella faccenda.
Tuttavia c’era un'altra questione che poteva cercare di risolvere, un dubbio che la assillava dalla sera precedente.
Qualcosa non quadrava nella morte di Asuka: non appena ricevuta la notizia, aveva subito chiesto al reparto servizi di sicurezza di fare rapporto, e le era stato consegnato mentre stava per lasciare la base.
Considerati poi gli ultimi avvenimenti, era andata a controllare anche nel computer del servizio di sicurezza.
Le due versioni coincidevano: da entrambe risultava che un vagabondo aveva aggredito Shinji e Asuka per tentare una rapina, colpendo a morte lei con un coltello. Subito dopo, l’assassino era stato freddato dagli agenti della Nerv.
Ovviamente, Misato sapeva che quegli agenti non erano infallibili e anche loro potevano venir colti di sorpresa.
Senza contare che nella mente di quel vagabondo poteva essere scattata chissà quale scintilla per colpire mortalmente, e senza dire una parola, una ragazza sconosciuta.
Quello che non convinceva il maggiore era la sua uccisione.
Perché l’avevano eliminato?
Non aveva armi da fuoco, solo un coltello, e ciascun agente di sicurezza della Nerv sarebbe capace da solo di disarmare a mani nude almeno cinque uomini armati di coltello.
Inoltre, dato che ormai aveva già colpito, la procedura avrebbe richiesto che fosse arrestato per gli interrogatori.
Adesso invece non sapevano nemmeno come si chiamasse, dato che non aveva documenti.
Come risolvere il problema?
Non certo rivolgendosi agli agenti di sicurezza, lei non aveva tale autorità su di loro e neanche ficcandogli una pistola in bocca li avrebbe convinti a parlare.
L’unica possibilità era quella di indagare sul vagabondo.
Sul rapporto c’era la foto del suo cadavere, il cadavere di un uomo sulla quarantina, con barba leggermente incolta e capelli lievemente lunghi, un viso abbastanza pulito.
Fu proprio quel viso, grazie al codice lasciatole da Kaji, che Misato prelevò dal database dei servizi di sicurezza per poi confrontarlo con le banche dati della Nerv e dell’intero Giappone, anche quelle protette.
Quell’operazione avrebbe richiesto solitamente giorni, ma potendo usare abusivamente i Magi, Misato ci avrebbe impiegato solo qualche ora.
Le venne un forte sbadiglio, la notte passata in bianco cominciò a farsi sentire, quindi abbassò lo schermo del suo computer portatile, si coricò per riposare un attimo gli occhi e invece si addormentò quasi di botto.
La mente era forte, ma anche il corpo voleva il suo tributo.

Ritsuko Akagi, seduta nel suo ufficio, stava ultimando via telefono i preparativi per il trasferimento della salma di Asuka in Germania.
Il corpo era chiuso in una bara metallica, che sarebbe stata imbragata e caricata su un aereo.
La porta si aprì e girandosi per vedere chi fosse, la scienziata non poté nascondere una leggera sorpresa alla vista del vice-comandante Fuyutsuki.
“Dottoressa”, esordì lui con un lieve inchino.
“Va bene, fate come vi ho detto”, disse Ritsuko terminando la telefonata per poi rivolgersi al suo superiore: “Posso fare qualcosa per lei?”
“Speravo che potesse rispondere ad una mia domanda”.
“Ovvero?”
“Lei sa cosa ha intenzione di fare il comandante Ikari?”
Ritsuko fece una strana smorfia. “Perché mi chiede questo? Che cosa è successo?”
“Poco fa mi ha congedato, ordinando di sostituirlo in tutte le funzioni di controllo. Si è pure chiuso nel suo ufficio, dicendo che non vuole essere disturbato”.
Alquanto sorpresa, la scienziata fece per prendere il telefono.
“Inutile, ha interrotto la linea in entrata. Può fare telefonate ma non riceverne”, la fermò Kozo.

Misato si ridestò leggermente, qualcuno la stava toccando sulle gambe scoperte, quasi picchiettando.
Era Pen Pen.
Capendo di averla svegliata, il pinguino cominciò ad agitare le ali freneticamente, pigolando con insistenza.
“Mph”, bofonchiò lei lottando ancora contro il sonno, “che succede, Pen Pen? Hai fame?”
Con occhio spento Misato guardò la sveglia che teneva affianco al futon.
Aveva dormito per tre ore.
Poi vide il suo portatile davanti a sé: lo schermo era alzato.
Un dettaglio che la fece scattare in piedi come se avesse preso la scossa.
Prese la pistola di ordinanza e cautamente uscì dalla stanza: la casa era deserta.
Pen Pen uscì dalla stanza e con ostinazione indicò prima l’ingresso e poi la stanza di Shinji.
 “Shinji? Shinji, mi senti?”
La sua domanda non trovò risposta, quindi Misato entrò e vide la camera vuota.
Pen Pen ora indicava con insistenza solo la porta d’ingresso, e un orribile sospetto s’insinuò nella mente del maggiore.
Corse al portatile e lesse le informazioni, la ricerca sul vagabondo era terminata da circa dieci minuti e aveva dato esito positivo.
Positivo e sorprendente.
Misato impallidì, frettolosamente recuperò scarpe e giacca ed uscì, sotto lo sguardo del pinguino domestico.

Gendo Ikari sedeva nel suo ufficio, il silenzio era ancora più opprimente del solito, e sembrava concentrarsi sul comandante.
Lui era sempre stato un uomo capace con la sua espressione impenetrabile e l’aura di severa intransigenza, di attirare su di sé, come un magnete, la concentrazione dei rari visitatori.
Per questo, di solito, non si accorgevano del disegno posto sul soffitto di quell’immensa stanza: l’albero delle Sefirot.
Gendo per un attimo pose lo sguardo sul lungo rapporto che aveva sul tavolo.
Il rapporto dettagliato di tutto quello che era successo a suo figlio dal giorno dell’entrata nella Nerv.
Era stato redatto dagli uomini della sorveglianza e integrato con testimonianze prese, a loro insaputa, da coloro che erano più vicini al ragazzo.

“Andiamo! Andiamo!”
Con ansia crescente, Misato cercava di correre e insieme di reggere il cellulare.
Stava tentando di chiamare gli uomini del servizio di sicurezza, particolarmente quelli della piramide centrale.
Li avrebbe informati della situazione, specificando che per nessuna ragione al mondo avrebbero dovuto fare del male al ragazzo.

Gendo aveva passato tutta la mattinata a riflettere intensamente sugli eventi descritti nel rapporto.
Alzò gli occhi verso l’albero delle Sefirot: erano in dieci, più un’undicesima complementare.
Anche su quelle aveva riflettuto fortemente.
La prima era Malkut: il livello fisico, il più basso, da cui partono tutti.
Poi c’era Yesod, la verità dei fatti: Shinji doveva averla appresa quando scoprì, grazie all’indiscrezione della dottoressa Akagi, che Gendo teneva in modo particolare a Rei Ayanami.
Lo stesso Gendo doveva aver permesso a Shinji di raggiungere la terza Sefirot, Hod, lo splendore: lodandolo, gli aveva dato la possibilità di trovare con l’Eva una vera ragione di vita, rasserenando il suo animo.
Era invece responsabilità del maggiore Katsuragi, con i suoi complimenti, il raggiungimento della quarta Sefirot: Netzach, la vittoria, cosa che tuttavia lo aveva reso troppo precipitoso contro il 12° Angelo.

“Maledizione! Ma perché non rispondono!?”, sbottò Misato mentre i minuti passavano e il telefono squillava a vuoto.
Usando un numero criptato, decise di chiamare Makoto Hyuga.

A quel punto avrebbe dovuto arrivare la quinta Sefirot, Teferet, la compassione verso gli altri.
Però rivedendo lo schema degli eventi, si evidenziava che un elemento di disturbo era giunto: Mana Kirishima.
In base ad intercettazioni avvenute a scuola e al risultato di alcuni pedinamenti a grande distanza, la sua storia aveva risvegliato una sorta di lato oscuro in Shinji, una visione possessiva ed egocentrica di un'altra persona, che aveva offuscato la compassione, spingendo il giovane a sfruttare il Fourth Children per i suoi desideri egoistici.
Per ultimo, grazie alla confessione intercettata durante il ricovero del Second Children, si era scoperto che Shinji, sentendosi tradito, aveva rischiato sempre più di sprofondare nell’oscurità, desiderando la morte di Mana.
Questo però era stato evitato grazie all’esplodere improvviso della quinta Sefirot durante lo scontro col 13° Angelo: l’aver capito il suo sbaglio e il terribile senso di colpa dimostravano che Shinji sapeva preoccuparsi davvero per gli altri.

“Maggiore Katsuragi, cosa c’è?”, domandò Hyuga, già sul posto di lavoro ma sorpreso di ricevere una telefonata del suo superiore in un momento che pensava di lutto.
“Hyuga! Ti sto parlando da una linea criptata! Shinji è alla base?”
L’operatore della Nerv richiamò sul suo computer l’elenco che riportava chi e quando era entrato o uscito dal Geo-front servendosi delle security card da usare agli ingressi.
“Sì. E’ arrivato quattro minuti fa”.
“Ordina alle guardie di fermarlo, ma senza fargli del male!”
“Come?!”
“Quello che è successo ad Asuka, era un attentato!”

Il disturbo provocato da Kirishima era continuato: il senso di colpa per i sentimenti omicidi verso di lei e successivamente per averla sfruttata, avevano spinto Shinji Ikari in una direzione che gli aveva fatto raggiungere prematuramente la settima Sefirot, Chesed. Ovvero l’amore.
Ma così facendo era stata saltata una Sefirot.

Shigeru e Maya giunsero in quel momento sul ponte di comando e si accorsero subito di quanto fosse diventato bianco il loro collega Hyuga.
“Ho… ho capito, li informò subito!”, disse lui mettendo giù la cornetta.
“Che… che è successo?”, domandò Maya.
 Hyuga non rispose e fece un numero di telefono.
“Dannazione! Perché le guardie della piramide non rispondono?!”
Prontamente Aoba attivò le telecamere in quel settore.
Vide qualcosa di davvero inquietante. “I corridoi… sono deserti. Le postazioni di guardia sono vuote!”
Si accorse di qualcuno che stava prendendo un ascensore.
“Shinji Ikari! Il Third Children sta salendo dal comandante”.
“Oh no! Diamo l’allarme!”
“Si può sapere una buona volta che succede?!”, chiese sempre più agitata Maya.
“L’uomo che ha ucciso Asuka”, spiegò Makoto, “non era un vagabondo. Era un architetto, Katsuhiro Kawasaki, ed era anche un malato terminale, con una famiglia da mantenere. L’hanno ingaggiato versando sul suo conto ben cinquanta milioni di yen!”
Shigeru e Maya non sembrarono capire.
O forse non volevano crederci.
Almeno fino a quando Hyuga non disse il nome del misterioso benefattore.

La sesta Sefirot saltata era G'vurah.
Tuttavia era come per le addizioni: anche cambiando l’ordine dei fattori, il risultato non mutava.
L’ingresso dell’ufficio si aprì.
Gendo vide entrare suo figlio, Shinji.
Il ragazzo lo fissava con occhi di ghiaccio.
Occhi che cominciarono a lacrimare: “Tu…”
Il comandante della Nerv non batté ciglio: “Si”, rispose con assoluta calma. “Io ho pagato quell’uomo affinché uccidesse Asuka Soryu Langley”.
Shinji da dietro la schiena tirò fuori un grosso coltello da cucina e corse verso il genitore.

Misato correva a perdifiato per i corridoi della piramide, mentre gli allarmi si attivavano.
Prese l’ascensore e salì nell’ufficio di Gendo Ikari.
Prima ancora di arrivare, sentì una specie di urlo continuo, dapprima indistinto, ma lancinante e straziante quando le porte si aprirono.
La donna sentì il cuore fermarsi per un attimo: vicino alla scrivania c’era Gendo Ikari.
Steso per terra, in un lago di sangue e con un coltello piantato nel ventre.
A gridare era Shinji.
Rannicchiato per terra con un’espressione stravolta e rigata da un pianto copioso.
Misato corse da lui e lo abbracciò.
“Shinji! Shinji, ti scongiuro! Calmati!”
Ma lui non ascoltava, gridava e basta, e sembrava sull’orlo di una crisi nervosa.
“Perdonami!”, esclamò allora Misato colpendolo dietro il collo col taglio della mano e stordendolo.
Nell’ufficio calò un silenzio irreale.
“…F-forza… e… e rabbia…”, mormorò Gendo con un filo di voce e un’espressione soddisfatta.
Girò la testa di lato, restando poi immobile, con cautela Misato gli controllò il polso.
Batteva ancora.
Per un attimo, un lungo, lunghissimo attimo, fu tentata di lasciarlo lì a morire dissanguato.
Oppure di dargli il colpo di grazia, magari usando il coltello ancora piantato nel suo corpo.
Ma fu solo un attimo.
Prese il telefono della scrivania e chiamò i soccorsi medici: non avrebbe permesso che Shinji diventasse un assassino per colpa di quell’uomo.

  
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